lunedì 2 giugno 2014

LE INCERTE OPZIONI DI SALVEZZA ITALIANA-2: UN'AGENDA OLTRE IL...GOLD STANDARD

 

In prosecuzione delle tematiche emerse dall'ultimo post, ci pare utile focalizzare partendo da questo commento di Mauro Gosmin:
"...Se devo essere sincero questo post mi ha messo in confusione, ma il problema italiano da 30 anni, post divorzio Tesoro/banca d'Italia non è anche la mancata crescita del mercato interno? 
Non è questa contrazione che riduce gli investimenti e quindi la Produttività
E la crisi che è scoppiata in eurozona non è una crisi fra creditori ( paesi del centro) e debitori (paesi periferici)? La Spagna, la Grecia il Portogallo si sono indebitati con gli emergenti o con i paesi core? "

Queste domande pongono un'esigenza di armonizzazione tra i diversi livelli, macroeconomico e diciamo "industriale" e di politica fiscale" che consentono, a mio parere, e nei limiti delle mie capacità di sviluppo, di rispondere in modo da conciliare sinteticamente le contraddizioni apparenti alla base delle perplessità di Mauro (e non solo).
Proverò dunque a formulare la mia ipotesi-diagnosi utilizzando le risposte già date sul blog, con  opportune integrazioni "migliorative".

Il problema della mancata crescita interna si è posto, per via del vincolo sul cambio, inizialmente, cioè fin dalla introduzione dello SME (e del divorzio) come output-gap e quindi come disoccupazione al di sopra delle potenzialità produttive del sistema industriale (un problema comune a tutte le economie occidentali a seguito dell'adozione di un certo paradigma monetarista e neo-liberista). 
Consideriamo sempre che questo è un dato sostanzialmente trascurato nelle analisi attuali dei mainstream, che tendono a evidenziare "altri" problemi strutturali...sbagliati.
Ma questo è del tutto ovvio, perchè agire su questi fattori "fuorvianti" è una scelta obbligata per ESSI: sarebbe altrimenti posto in pericolo l'obiettivo sostanziale della strategia ordoliberista, che si realizza, abilmente "mimetizzato", in quanto i suoi slogan pop inneschino un nuovo "senso comune diffuso" e una costante "inversione dei rapporti causa-effetto" (si tratta, come ben sapete, della più attuale versione della "doppia verità" liberista, unita all'autorazzismo colpevolizzatore mediatico suo coessenziale strumento di controllo socio-politico).

Esiste un "post 1992" (uscita dallo SME, ma quasi simultanea adesione al Trattato di Maastricht), fino al 1996 (rientro nello SME ristretto e sostanziale rivalutazione), e poi ancora più acutizzato nel 1996-99, che è fatto essenzialmente di calo degli investimenti-flessibilizzazione del lavoro (fase iniziale) dovuti alla manovra fiscale di convergenza (sui parametri di Maastricht)
Ma con l'entrata in vigore dell'€ circolante, quando ancora non era (del tutto) manifesto il forte deterioramento in corso sul saldo CAB, subentrò l'effetto-ricchezza sugli immobili e lo spiazzamento conseguente del risparmio-investimento.

Cioè, in termini storici, l'effetto SME-divorzio è una compressione della domanda privata ed estera cui supplirono, in parte, forti deficit pubblici, instaurando prima ancora che una fase di drastica deindustrializzazione, una lenta agonia in tale direzione, unita ad una gigantesca redistribuzione del reddito verso i detentori del debito pubblico

Poi, nel post Maastricht, agiscono i limiti fiscali di deficit e di debito pubblico, prevalendo la leva fiscale unita all'effetto accelerato, e ancora non ammesso, delle riforme del mercato del lavoro.
Ma certamente un nostro "spiazzamento" sull'immobiliare, subìto e non governato, ha aggiunto altri elementi, non puramente legati al cambio ed alla percezione del calo degli interessi (problemi connessi, certo, ma in qualche modo gestibili diversamente). 

Col senno di poi, non è facile dire se il "partito delle tasse" (o "delle banche", piuttosto che quello della "evasione tollerata" (inizialmente) per mantenere il consenso del proprio elettorato, avrebbero saputo esprimere la politica industriale che suggerisce retrospettivamente Cesare. Riterrei di no, e non solo perchè i fatti lo dimostrano: ancora più importante è constatare quanto ancora oggi non abbiano compreso ed ammesso i propri errori.

Quel che è certo è:
- che il nostro sistema perde in accelerazione quote di mercato UE a causa della "mossa" tedesca sul REER (cioè dopo le riforme Hartz e la "loro" manovra sull'IVA); 
- che i vincoli fiscali si assommano allo spiazzamento sull'immobiliare nell'amplificare la perdita di competitività extra-UEM, determinata dagli insufficienti investimenti (rispetto al livello necessario per "differenziarsi", quanto a processi-prodotti, e mantenere la competitività);
- Che, peraltro, tali investimenti, potevano conseguire solo ad una diversa e tempestiva politica fiscale, che ri-orientasse i comportamenti dell'offerta e degli stessi consumatori. Che, cioè, colpisse da subito il settore immobiliare, i flussi di consumo e di esportazione di capitali (evasione) che ne conseguirono, e agisse con un forte stimolo, determinato da quel gettito "mirato", indirizzando la spesa pubblica e lo sgravio simultaneamente verso ricerca e investimenti connessi, con la attenuazione "a regime", (non a termine e priva di selettività) del trattamento fiscale degli utili reinvestiti (tralasciando l'assurda IRAP).
Ora, essendo in recessione, la base imponibile (domanda interna) non consente questa manovra a scoppio ritardato che si sta rivelando troppo distruttiva (quand'anche fosse svolta in modo coerente: e non lo è).

Cioè, a partire dal 2002, diciamo, si sarebbe dovuto:
- togliere di mezzo l'IRAP (la cui illegittimità costituzionale, per irrazionale e evanescente individuazione di un'autonoma capacità contributiva, avrebbe dovuto essere dichiarata da un bel pezzo..);
- aumentare, indicizzandole ragionevolmente con tempestive ricerche di mercato, le rendite catastali: non far finta di nulla ed agire tardivamente quando i conti pubblici e la fuga all'estero degli extra-profitti  da change over già avevano posto gravi e prevedibilissimi problemi;
- aumentare l'IVA (in simmetria all'azione tedesca, tra l'altro), incidente sui settori sensibili all'importazione massiccia "sostitutiva" (certo in modo approssimativo non potendo fare aiuti di Stato o restrizioni dirette delle importazioni);
- rivedere le aliquote dell'imposta sul reddito, (alzando in particolare la soglia di applicazione di quella al 38%), e consentire forti deduzioni dal reddito imponibile di spese di beni e servizi opportunamente individuati, in modo da far emergere così anche le basi imponibili delle relative attività (le stesse che avrebbero nascosto i profitti da change over e esportando il frutto di tale evasione);
- incentivare il reinvestimento di utili in settori estranei all'immobliare, e specialmente nell'IRS, evitando così la preferenza per la liquidità del risparmio creato dall' "effetto richezza" immobiliare e dai profitti generati dal conseguente extra-flusso di consumi (ribadiamo massicciamente, quando non totalmente, esportato off-records);
- istituire subito un consistente credito pubblico alle esportazioni;
- evitare ulteriori flessibilizzazioni del mercato del lavoro, cosa che amplificò lo "spiazzamento" non solo verso il settore immobiliare ma anche verso i servizi e il manifatturiero labor-intensive;
- fare spesa pubblica, anche non rispettando il deficit al 3% nella misura in cui GER e FRA simultaneamente non lo rispettavano, in formazione e ricerca pubbliche (anche nel campo energetico) nonchè in infrastrutture diffuse localizzate nelle realtà urbanizzate (
- evitare accuratamente l'applicazione della riforma del Titolo V della Costituzione e provvedere alla sua immediata revisione (politicamente la Lega avrebbe reso ciò impossibile successivamente al 2001, e d'altra parte l'errore imperdonabile fu proprio quello di concretizzare tale riforma nel 2000).

Ma con Prodi, Amato e Tremonti (per motivi diversi, ma sempre ..sbagliati) non era pensabile una organica politica fiscale e industriale del genere.

Oggi è tardi e diviene prociclica, nella parte che stanno realizzando in ritardo, mentre nella parte mai realizzata, ignorano il moltiplicatore fiscale e Haavelmo, e si sono legati a vincoli fiscali ancora più stringenti.
Insomma avremmo dovuto avere governati nell'interesse dell'Italia (ohibò!) e cognita causa su quale fosse la struttura industriale italiana.
E comunque dove li troviamo, ancora oggi, i governanti dotati di queste conoscenze e di questa coscienza dell'interesse generale?
Come ne usciamo in termini pratici? 

Beh. questo angoscioso interrogtivo ci rinvia al post precedente, cui tanto hanno contribuito le analisi di Francesco Lenzi.
Ma, più esattamente, ci rinvia ad un passaggio della introduzione di tale post, laddove sottolineavo (e preannunziavo) come si dovesse prendere in esame, come linea di difesa "estrema", la "ipotesi di Cesare Pozzi che, con ragionevolezza in premessa assolutamente condivisibile, ci dice, - è meglio chiarirlo subito- che first of all, dobbiamo disporre di un modello coerente e consapevole che rilanci e valorizzi gli assets di sistema di cui ancora oggi l'Italia (non si sa ancora per quanto) dispone.
Il suo "facciamoci buttare fuori", implica la priorità di questa realizzazione politico-economica e, sopratutto di modello di sviluppo industriale.  
Quali siano le meditate conseguenze del fissare una tale priorità programmatica, verrà in dettaglio passato in rassegna; ma possiamo preannunciare che, in termini di Costituzione democratica e di riattivazione della fondamentale Costituzione economica, la soluzione sintetizzata da Cesare, rinvia direttamente sia alla sovranità sia alla indispensabile ed immediata "disponibilità" di una nuova e diversa classe dirigente (politica e "economica" nel senso riferibile alle istituzioni autorappresentative delle forze produttive).
Ora il passaggio fondamentale, al di là dell'insieme di misure da me sopra elencate e che certamente possono essere oggetto di perfezionamento e integrazione (più) meditate, rimane il "facciamoci buttare fuori" e la, necessaria e correlata, riattuazione della nostra Costituzione economica, che in effetti è essenzialmente riflessa nell'insieme di misure da me sopra elencate.
Io stesso, alla prospettiva "facciamoci buttare fuori", ho in un primo tempo avuto una reazione di semi-sconcerto. 
Ma il punto rimane, e lo trovo condivisibile, che si può ripensare la nostra società, il nostro modello economico solo agendo in un'ottica che definisca, appunto, la nostra traiettoria culturale "COME SE" l'elemento valutario non ci fosse: rammentando che l'euro funziona da gold-standard ma non lo è
Lo è solo se:
a) si accetta un'idea di Stato -  connessa inscindibilmente con gli obblighi costituzionali incombenti sugli organi di governo-, alterata dai vincoli fiscali "esterni", di Maastricht, Lisbona e del FC;
b) se si rinuncia conseguentemene non tanto alla propria capacità negoziale (peraltro del tutto assente), ma alla stessa idea di interesse nazionale prevalente come salvaguardia della democrazia costituzionale e, proprio, nella stessa interpetazione delle clausole e dei vincoli dei trattati.
Il "facciamoci buttare fuori" ha una portata per molti versi clamorosa e finora sottovalutata.
Ne parleremo appositamente in un prossimo post, ripartendo dall'analisi appena ora svolta...






 


15 commenti:

  1. ROTTE LOSSODROMICHE

    Magnifico il richiamo all’isogono cilindrico (= angoli uguali di rotta) di Mercatore.

    La funzione di “trasformazione” diviene utile per pianificare a “vista”, meno per circunavigare quando risultano distorte le dimensioni e le forme passando tra meridiani e paralleli della sfera.

    Quando le distorsioni da piccolo cabotaggio del LIBRO BIANCO SUL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA
    (Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità) ( M Sacconi. M Biagi. C Dell’Aringa, N Forlani, P Reboani, P Sentito – FORMEZ, ottobre 2001 .

    Magari qualcuno/a - se c’è voglia, sapienza e conoscenza della narrativa storica – ricostruisce la genesi e i significati significanti del PRECARIATO dell’articolo primo costituzionale

    Poi marginali risulterebbe le intuizioni che sorgono guardando il JOB ACT attivato con il consenso POPULISTICO secondo Matteo R che naviga a vista e sotto costa.

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    1. Parole sante Poggio, ma qui è una corsa contro il tempo e pure in salita. In una Repubblica la cui sovranità è ormai fondata sugli IDE

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    2. :-)
      Gli IDE son gavitelli per quelli che poco conoscono la fonda.
      Poi considerazioni sulla "materia" del gavitello (IDE), serve non far conoscere allo stolto l'inganno, come il "communist" H Ford ebbe a dire.
      Ma prima qui e là, c'è da ricostruire una rotta che s'è "rotta".

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  2. Straconsigliato:

    The Moral Limits of Markets
    A special event with Harvard professor and Institute for New Economic Thinking Senior Fellow
    Michael Sandel.

    https://www.youtube.com/watch?v=UbBv2ZGC2VI

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  3. non ho capito in cosa il "facciamoci buttare fuori" sarebbe diverso dallo "usciamo fuori"......è l'oggetto del prossimo post? se sì non serve scomodarsi a rispondermi :)

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  4. Cercherò di dare qui alcune risposte a Mauro, per quel che son riuscito a capire di tutto questo casino in cui ci troviamo:
    "...Se devo essere sincero questo post mi ha messo in confusione, ma il problema italiano da 30 anni, post divorzio Tesoro/banca d'Italia non è anche la mancata crescita del mercato interno? Non è questa contrazione che riduce gli investimenti e quindi la Produttività? .. “
    credo che la questione del divorzio, come è stata ben trattata in questo blog, deve essere sempre riconsiderata nella sua dimensione di modello organizzativo della politica monetaria (che gli anglosassoni chiamano di monetary dominance contrapponendola alla fiscal dominance), derivato dall'impostazione seguita dagli Stati Uniti dal 1979. In sostanza l'Italia, come gran parte degli Stati occidentali, ha ripreso ed adottato un modello per seguire il filone mainstream dell'epoca, per rendersi "credibile" nel perseguimento di obbiettivi d'inflazione. L'aumento dei tassi reali negli USA, che questo modello porta con se (per il fatto di impegnare la Banca Centrale nel controllo degli aggregati monetari e lasciando al proprio destino i tassi d'interesse a breve) ha portato poi tutte le altre economie ad adeguare le proprie strategie di politica monetaria. La domanda che ci si deve porre è se questi capitali sarebbero rimasti in Italia se avessimo continuato ad offrire rendimenti reali negativi quando negli Usa rendevano il 6-7% (in sostanza è lo stesso ragionamento, all’opposto, per quanto riguarda il “dividendo dell’euro”). Purtroppo in regime di libera circolazione dei capitali i fondi si muovono dove trovano migliori opportunità di rischio/rendimento e se la banca del mondo decide di seguire una certa strategia di tassi d’interesse, alle altre, che necessitano di finanziamenti dall’estero, restano molti meno spazi di autonomia. Tutto questo poi ha portato all'aumento della spesa per interessi e la necessità di ridurre il disavanzo primario contraendo il contributo del settore statale alla domanda aggregata, ma trasferendo ugualmente risorse al settore privato, verso i detentori di titoli pubblici. La produttività e la crescita del prodotto italiano è comunque stata ben in linea negli anni ottanta, e almeno fino alla metà degli anni novanta, quando, come già ripetuto, dev’esser successo qualcosa.

    “…E la crisi che è scoppiata in eurozona non è una crisi fra creditori ( paesi del centro) e debitori (paesi periferici)? La Spagna, la Grecia il Portogallo si sono indebitati con gli emergenti o con i paesi core?”
    La crisi della zona euro è certamente una crisi di “fiducia” tra Stati creditori e debitori. Il mercato interbancario fuori dai confini nazionali è sostanzialmente bloccato per operazioni a medio/lungo termine (la cosiddetta frammentazione), segno che pochi credono al fatto che i cocci dell’euro possano riaggiustarsi. Però bisogno distinguere tra dove si son fatti i deficit commerciali (o i surplus) e dove si son presi i soldi per finanziare questi deficit. Nel caso Italiano in particolare il grosso del deficit commerciale è stato verso Paesi Extra-EU, ma, per finanziare questo deficit, siamo ricorsi a prestiti prevalentemente con Francia e Germania. I nostri debiti esteri rimangono quindi con chi ci ha prestato i soldi, non verso chi abbiamo fatto i deficit commerciali.

    Spero di esser stato d’aiuto.

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    1. Grazie Francesco.
      Il commento-interrogativo di Mauro Gosmin era nel precedente post :-)
      Segnalo che la tua interpretazione è perfettamente in linea con quanto si dice in questo blog (grazie anche al tuo contributo "genetico" fin dai tempi del post sulle "5 domande").
      Qui aggiungi la puntualizzazione che il debito estero extra-UEM è stato finanziato dai sistemi finanziari tedesco e francese.
      E grazie per il focus (non bisogna mai dimenticarsene).

      Peraltro, aggiungo, come viene detto nella versione aggiornata (oggi) del post, bisogna anche tener conto che l'Italia ha "subito", negli anni successivi al change over in €, anche una fuga di capitali ("on" e, specialmente, off-records) corrispondenti agli extraprofitti indotti da effetto-ricchezza immobiliare e consumi connessi, peraltro essenzialmente sottratti alla base imponibile mediante evasione ed elusione.
      Il che ha eroso i conti dello Stato e ha portato a minor risparmio disponibile sia nel sistema bancario nazionale che quanto a propensione all'investimento extra-immobiliare.

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    2. Il punto dei tassi reali esagerati dopo la politica monetaria di Volker per 'uccidere' l'inflazione è centrale :vorrei capire pero' quanto questi tassi durarono in usa ...e quanto in italia...perchè se
      ricordo bene in italia tassi reali spropositatamente alti (ingiustificatamente) ci furono per moltissimi anni...e l'impressione che ho è che dopo averli subiti (i tassi alti) chi poteva se ne approfitto' ...tranquillamente è comprensibile che l'italia subi' e dovette seguire la politica monetaria usa...pero' l'inflazione scese molto e molto rapidamente dopo i primi '80 (se ricordo bene) l'italia cresceva...quei tassi reali cosi' alti sono ingiustificabili (anche considerata una mobilita' di capitali...che forse era ancora molto limitata all'epoca...quella
      della mobilita' dei capitali sarebbe un altro aspetto che approfondire ...)

      quato all'interpretazione che da' Francesco (con cui sono quasi sempre d'accordo...) dell'equilibrio di Cab italiana verso eurozona sono abbastanza in disaccordo..ad esempio con la germania c'è un deficit importante
      grave per tanti motivi , perchè è competitor diretto etc...perchè un certo modo germania 'finanzia' il suo export direttamente...
      (non sono quello della 'germania cattiva' ricordiamolo...)

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    3. Sull'approfittamento dei tassi reali alti questo è lo studio migliore che ho reperito in rete (già citato in vari post)
      http://aldobarba.files.wordpress.com/2011/07/la-redistribuzione-del-reddito1.pdf

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    4. Sul secondo aspetto (Germania) concordo nella sostanza e rammento questa specifica trattazione:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/05/la-grande-trappola-delleuro-la-germania.html

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    5. se può essere d'aiuto su twitter postai questo, realizzato mettendo insieme i dati sui tassi d'interesse reale dal database oecd e i dati sul disavanzo/debito nei venti anni dal 1971 al 1991. I tassi italiani si adeguarono con ritardo rispetto a quelli Usa, ma alla fine del periodo i nostri tassi reali erano intorno il 6% contro il 3% degli Usa. Credo che questo abbia anche molto a che fare con lo SME credibile e la politica monetaria adottata dalla Buba a fine anni ottanta.

      Quanto poi ai rapporti commerciali dell'Italia la cosa che in un'ottica del dopo è, a mio parere, interessante analizzare è la posizione che l'Italia ha tenuto negli scambi dei beni (diverso invece il CAB che tiene conto anche di chi ti finanzia ed a che tassi). Dal database Ameco il saldo commerciale sui beni, dal 1999 al 2012, con la UE è cumulativamente positivo per 33 miliardi di euro. Poi, certo, nei confronti della Germania abbiamo perso molto terreno, anche in considerazione della svalutazione nominale del marco del 20% dal 1995 al 1997 (reale fu ancora di più), ma resta il fatto che nel suo complesso la nostra posizione con i nostri vicini non è molto peggiorata. Con questo però non voglio minimizzare i danni che ci ha causato l'euro, ne abbiamo parlato anche altre volte, ma credo che essi riguardino soprattutto il fatto di averci fatto affrontare la competitività di prezzo delle economie emergenti, nel contesto di globalizzazione, con una valuta troppo forte per i nostri fondamentali (e troppo debole per i nostri concorrenti tedeschi) ed aver ritardato importanti decisioni per ridurre la nostra dipendenza dall'estero delle risorse energetiche. Molto meno nei rapporti di scambio intra-EU.

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  5. Ciao Francesco grazie per la risposta. Se non ricordo male la libera circolazione dei capitali in Italia è avvenuta nel 1990 con l'avvento dello Sme credibile, quindi 8 anni dopo il famigerato divorzio.. Poi io, non sono un economista, ma ricordo bene l'intervista ( rintracciabile su Youtube) di Bagnai nel viaggio da Cesena con Fraioli. Il Prof Bagnai spiegava più o meno così se la memoria non m'inganna. Quando entri in un sistema di cambi fissi ( allora erano aggiustabili) non è che il cambio lo fissi con il chiodo. Ogni giorno la BC è costretta a intervenire se hai squilibri nella bilancia dei pagamenti, o vendendo marchi per acquistare lire, oppure alzando i tassi d'interesse per attirare capitali esteri per compensare quelli che escono dalla differenza import-export. Per cui l'esplosione del debito pubblico italiano fu causata oltre dalla politica sui tassi di Volker, anche dall'appartenenza allo SME. Sempre se non ricordo male nel 1992 la spesa per interessi era del 12% del PIl contro un 3.5-4% di Germania e Francia. E' dal 1992 che inizia la politica degli avanzi primari. Ormai ne abbiamo accumulati oltre 700 miliardi, drenati dal lavoro e regalati alle rendite. Sommiamo i 350 miliardi persi con l'estero dall'avvento dell'euro e la frittata è fatta. Adesso invece di fare la svalutazione competitiva, facciamo l'austerità competitiva, distruggendo ulteriormente la domanda interna. Dimenticavo, la pressione fiscale pre Divorzio si attestava di un 12/13 punti in meno dei ns maggiori concorrenti Germania e Francia. Forse anche per quel motivo oltre alla moneta debole eravamo competitivi, adesso abbiamo una moneta forte e ipertassazione, esportiamo cervelli importiamo calciatori e dobbiamo essere competitivi.

    Ma ormai abbiamo analizzato tutto, vivisezionato tutto, il problema è: come mandare a casa questi criminali che ci governano da trent'anni? Questa è la vera domanda, come è possibile che in Italia non sia nato un partito antieuro e pro Costituzione? Secondo il mio modestissimo punto di vista è su questo problema che dobbiamo riflettere e trovare soluzioni.

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    1. la completa liberalizzazione dei capitali si ha nel 1990, ma non è che avviene tutta in un tratto. Il primo Code of Liberalisation of Capital Movements a cui l'Italia ha aderito è del 1961 ed ogni anno progressivamente si sono andati riducendo i limiti ai flussi. Dai dati che sono riuscito a ricavare anche durante tutti gli anni settanta i nostri tassi reali d'interesse sono stati "in linea" con quelli della FED.

      Poi, hai ragione tu, la vera domanda è quella che tu poni. Purtroppo non lo so, e non credo che sia possibile incidere significativamente su questi processi. Solo cercare di comprenderli ed adeguarsi per non soccombere, se ci se la fa. :-)

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