venerdì 13 giugno 2014

L'AZIONE RISARCITORIA DIRETTA PER INTERPRETAZIONE DELLE NORME ( se scomparisse la corruzione in effetti non ne parlerebbero più...)



 
 

http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-1117_it.htm

Questo post nasce da un articolo che, tempo fa (il problema è infatti ricorrente, "stranamente", negli ultimi anni, e sempre in occasione di inchieste sulla corruzione), avrebbe dovuto essere pubblicato sul Fatto Quotidiano: mi fu risposto che era "troppo lungo"...
Ne feci una versione più breve, nel limite delle battute richiestemi, e mi fu risposto che "non interessava"...
Ve lo ripropongo in una versione aggiornata alle ultime vicissitudini parlamentari...
ADDENDUM: la questione ha degli effetti "sistemici" del tutto anomali, ma irresponsabilmente verrà portata avanti. E non certo nel vostro interesse. Al danno si aggiunge la beffa: se ne parlerà, politicamente e mediaticamente (si tratta del blocco sinergico ordoliberista) quel tanto che basta per distrarre l'attenzione dalle misure recessive che questa estate ci riserverà a "gogò".

1. Spiegare senza tecnicismi la questione dell'azione di responsabilità civile contro i magistrati, allargata alla interpretazione delle norme, non è semplice. 
Ed infatti, il dibattito politico e mediatico si esprime proprio su degli slogan semplificatori che oscurano la realtà.
Cominciamo col dire che il giudice non è un "professionista" - cioè non rende la prestazione professionale nell’ambito di un contratto d’opera-, ma un funzionario, indipendente dal governo per previsione costituzionale (artt.101 e 104 Cost.: e con ciò si implica “anche”, e specialmente,dalla maggioranza parlamentare del momento). 
Il giudice dunque è un funzionario pubblico, indipendente oltre che imparziale, che dirime una controversia tra due parti (due soggetti dell'ordinamento, persone fisiche o giuridiche), rappresentate, loro sì, da due professionisti, loro sì obbligati a cercare di "dare" un certo risultato favorevole alla  parte che li paga. 
Questo nella giustizia civile o amministrativa, dove sono rappresentati gli interessi economici più forti (magari contro uno più debole o condizionabile nella vita reale; es; piccolo comune o piccolo imprenditore contro una banca).
In quella penale, - l'unica su cui si arriva a discutere e che si ha di mira al momento di parlare di “riforme” della giustizia, (con miopia)-, c'è comunque una parte privata, l'accusato, sempre rappresentato da un professionista, ma può anche essere presente la parte civile, la vittima, anch'essa rappresentata da un professionista.
Per venire al caso del chirurgo, - spesso portato ad esempio come termine di paragone della responsabilità civile del giudice, sulla parallela suggestione della difficoltà della "operazione" che è chiamato a compiere-,  da quanto detto discende che il giudice, per definizione, agisce su un piano funzionale e di regole (di responsabilità) sostanzialmente diverse dal chirurgo (o dall’avvocato): i professionisti, infatti, sono scelti "fiduciariamente", in base alla stipula di un contratto, dalla parte interessata (cittadino-utente o anche un ente privato o pubblico) che, in cambio di un  corrispettivo, può esigere di avere un beneficio, una certa utilità, che si spera derivi dalla prestazione del professionista.
Il professionista, quindi, ha un’obbligazione contrattuale, dietro corrispettivo - spesso equivalente, per una singola causa, a diverse mensilità, se non annualità, dello stipendio complessivo di un giudice-, di agire correttamente e di utilizzare tutta la perizia e diligenza per arrivare al "risultato" sperato (ciò, quindi, anche in via “mediata”, cioè riferita all’impiego della “miglior” professionalità) nel contratto. 

2. Il giudice, per definizione, non deve garantire alcun risultato "nell'interesse" di una qualunque parte del processo; cioè deve essere imparziale e, se c'è il dubbio in proposito, specifiche regole processuali garantiscono questa imparzialità (con il suo obbligo di astensione o la facoltà di ricusazione della parte). 
Alla parte il giudice non può e non deve essere legato da un’obbligazione contrattuale.
Non “deve”, perchè è "obbligato verso la comunità intera" ("il popolo italiano" in nome del quale la sentenza è emanata), ad accertare come si applica correttamente la legge ai fatti presentati dai professionisti; questi ultimi presenteranno i fatti stessi, attenzione, in modo da favorire la parte che li paga, non certo la verità oggettiva.
Le regole processuali sull’onere della prova, e sostanziali sul “titolo”, cioè sugli elementi che costituiscono il diritto o l'interesse azionati, e sulla "misura" di tale diritto, in quanto riconosciuto da specifiche norme, consentono per implicito questa “strategia”.
Quindi, il giudice è più comparabile ad un chirurgo che non "opera" il paziente, dovendo piuttosto verificare come hanno operato (in relazione alle norme sostanziali e processuali) altri chirurghi (parti-difensori): ma sempre sulla base delle auto-rappresentazioni (dell'operazione ricostruttiva della propria situazione) compiute dalle parti mediante i rispettivi atti difensivi.
Inoltre, la “rappresentazione” (atto difensivo) normalmente rinvia, a sua volta, a un’operazione nella vita “reale” (chirurgica, economico-negoziale, esercizio di un pubblico potere) che coinvolge, nella stessa realtà, una valutazione del rispetto di regole professionali e tecniche proprie della prestazione “reale” richiesta. O anche solo una valutazione dell'accortezza e diligenza del comportamento della parte-cittadino: es; ho contratto un mutuo ma senza verificare di essere in grado di ripagarlo; ho tamponato un'auto senza tenere le distanze di sicurezza.

3. L'operazione cui è chiamato il giudice è dunque molto più complessa, pur muovendosi sul piano delle stesse regole applicative del diritto e delle varie scienze e tecnologie, di quella che svolge il professionista. Viene valutata la realtà (normativa) di un fatto della vita, ma solo nei limiti dell'intermediazione necessaria che farà un difensore nell'ambito del processo.
Ed è comunque un'operazione, per definizione, "a posteriori", la "autopsia" di un evento “negativo”, secondo il diritto, già verificatosi (il reato, la mancata guarigione, l’illegittimità e\o dannosità di un atto della p.a.).

Non si tratta, dunque, nel decidere una controversia, di garantire alle parti un'utilità (attesa in base ad un contratto dietro corrispettivo), come nel caso del professionista, ma vedere se questa utilità, nella presupposta vita reale, è stata tutelata o disattesa in relazione a fatti passati compiuti da altri cittadini o imprenditori o dalla pubblica amministrazione
Niente a che vedere con la responsabilità del professionista, perchè, sempre per definizione, filtrato dai due (ulteriori) professionisti-parti che selezionano i fatti (nel processo penale, peraltro, il p.m., parte che mantiene una ineliminabile natura pubblica, non dovrebbe "selezionarli" ma accusare in base all'oggettivo riscontro delle prove di colpevolezza e per questo è importante garantirne l'indipendenza, per evitare che sia "parte nell'interesse specifico di qualcuno", magari il governo).

4. Ora, date queste differenze (qui solo sintetizzate, ed altre sussistono ma ci vorrebbe un libro), nessuno Stato appartenente alle “nazioni civili” consente illimitatamente (o comunque in modo consistente) né alla parte, né allo Stato-apparato in via di ”regresso” (ove esso stesso sia stato condannato in prima battuta per responsabilità civile derivante dall’attività giurisdizionale),  di rivalersi a titolo personale sul giudice per il mancato risultato (utilità della vita-prestazione contrattuale, o assoluzione) che comunque, in base a un contratto, o altro fatto che fa sorgere nella realtà un qualche tipo di obbligazione a carico di altri, il privato ritiene essergli dovuto. E per ottenere il quale, poi, un altro professionista (l'avvocato che si è scelto e che dovrebbe aver pagato) gli ha fatto la promessa contrattuale di perseguirlo con diligenza.
Nelle controversie giurisdizionali amministrative, poi, le violazioni diobblighi professionali” coinvolte si manifestano in una duplice fase temporale (sostanziale e processuale): il dirigente-funzionario amministratore che, in assunto del ricorrente, ha sbagliato ad applicare le norme e a valutare i fatti condensati in un provvedimento, e l'avvocato dell’interessato-danneggiato che deve dimostrare ciò davanti al giudice.
Consentire di “concentrare" la responsabilità, derivante da violazione “grave” verificatasi nell’interpretazione delle norme, sulla persona fisica (o sulle persone componenti il collegio giudicante) che esercita la funzione (sovrana) di dirimere le controversie,- funzione che lo Stato, per Costituzione, DEVE garantire per consentire la civile convivenza nel rispetto delle regole che esso stesso detta-, significa rimettere in contestazione all'infinito il "merito" della causa, penale o civile, ma soprattutto amministrativa. 
Questo, com'è intuibile, nel senso che la parte che perde, sarà da ciò indotta con frequenza - tanto maggiore quanto più forte è l'interesse economico sottostante-, e SE HA LE RISORSE ECONOMICHE PER FARLO, a contestare l'esito del giudizio a lei sfavorevole in forma di attacco all’agire personale al giudice.
Segnaliamo che non solo questa tendenza è incentivata dalla presenza di questa possibilità di "attacco diretto" - non a caso non previsto in nessuna parte del mondo civile- ma sarà resa più consistente dalla stessa tendenza di un difensore a: 1) sviare dalla propria condotta ogni responsabilità per l'andamento sfavorevole del processo; 2) lucrare, specie laddove la posta economica in gioco sia ragguardevole, su un'ulteriore serie di laute parcelle.

E tale attacco sarà inoltre agevolato in modo decisivo se il parametro della “colpa”, o comunque il presupposto della responsabilità da danno, sia radicato nella interpretazione delle leggi, cioè nell’operazione che, rapportata al caso concreto, cioè ai “fatti storici” della singola controversia, è per definizione la più opinabile.  
Ed infatti, va rammentato, l’interpretazione delle norme nel caso concreto, cioè la decisione del giudice, è “ontologicamente” opinabile perché se il significato della norma, rapportata a quei fatti, fosse chiaro, non ci sarebbe stata controversia (o logicamente dovrebbe essere così).

5. Non solo, ma per evidenti ragioni di concatenazione causale nel far valere il danno, (quali configurate dal regime generale del codice civile sulla responsabilità civile), e secondo quanto afferma la sentenza della corte UE cui si richiama la politica italiana- che peraltro non parla di responsabilità diretta personale dei giudici, ma di quella dello Stato che organizza la funzione giurisdizionale- la responsabilità derivante da un’interpretazione “allegata” come manifesta e grave violazione della norma applicata, sarà prospettabile essenzialmente verso i giudici di ultima istanza.

In tal modo, il disegno attualmente perseguito, avrà l'effetto di poter maggiormente condizionare tutta la magistratura
a) i giudici di vertice, che saranno i principali destinatari dell'attaccabilità mediante azione di responsabilità per grave errore interpretativo di diritto, (cui si affianca la rivalsa obbligatoria dello Stato), diverranno “più intimoribili” dalle parti più dotate di risorse economiche;
b) i giudici di merito, a loro volta, dovranno sempre più adeguarsi ai primi, altrimenti sarà prospettabile, in caso di mancata impugnazione, una loro facile responsabilità per violazione dello standard interpretativo sancito dai giudici di vertice, a loro volta sotto potenziale “attacco” continuo delle parti più ricche o "potenti", e quindi decisivamente "dissuasi" dal contrastare gli interessi di queste parti. Che, di fatto, sono le stesse che godono della visibilità e dell'appoggio dei media che porgono come "notizia" quelle che, invece, sono rudimentali semplificazioni dei fatti di causa, aizzando un'opinione pubblica deliberatamente disorientata.

6. Questo sistema di responsabilità diretta per "interpretazione delle norme", con suggestione manipolatoria (o anche per semplice incultura) viene proposto dalla "politica" come argine allo "strapotere" dei pubblici ministeri, che  sarebbero invece marginalmente coinvolti: questo perché per configurare la responsabilità occorre attendere l'esito dei vari gradi di giudizio).

Se invece, come nella sostanza avverrebbe, tale sistema di "attacco diretto" viene trasposto al sistema della giustizia amministrativa, cioè al sindacato sugli atti dei vari poteri amministrativi, governativi, regionali, locali o di autorità indipendenti (da Bankitalia alla Consob), e quindi al tipo di processo che coinvolge le più delicate decisioni del Potere amministrativo ed i maggiori interessi economici, quanto finora detto ora comporta che:
- il momento decisionale che farà maturare il nuovo regime di responsabilità è quello della sentenza definitiva di merito della controversia, concentrandosi la responsabilità proprio sui giudici che “decidono” di più (!), producendo più sentenze e rendendo giustizia più celere (profilo della base “statistica” di rischio rapportato all’interpretazione delle norme);
- il giudice “colpito” maggiormente da tale criterio estensivo dei parametri radicativi della responsabilità, sarà dunque il giudice amministrativo, il cui compito consiste inevitabilmente nel rivedere-correggere un'interpretazione delle norme, già fissata, nel provvedimento impugnato, da un organo-operatore pubblico obbligato autonomamente a farlo in modo corretto e imparziale;
- il giudice su cui si concentrerà tale responsabilità (a ben vedere “trascinata” da quella originaria dell’amministratore il cui atto dà origine alla controversia) sarà essenzialmente il Consiglio di Stato, poiché le regole della responsabilità civile- nonché le stesse affermazioni della Corte europea- ad esso fanno inevitabilmente riferimento. 

7. Va infatti considerato che, in base all’art.1227, comma 2, c.c., la parte non potrà esigere il risarcimento del danno che avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, e quindi evitabile proponendo le impugnazioni ordinarie di fronte alla sentenza sfavorevole del giudice amministrativo di primo grado;
Non solo, ma l’azione di responsabilità conseguente sarà portata di fronte al giudice ordinario e. trattandosi di un “titolo” risarcitorio legato all’interpretazione normativa, e dato l’oggetto del giudizio amministrativo sopra indicato, tale giudice sarà indotto INEVITABILMENTE a ripetere le stesse operazioni di accertamento della corretta applicazione del diritto in cui era consistita la sentenza considerata “dannosa”;
- ciò implica che ad ogni sentenza del Consiglio di Stato, essendo in pratica tutte rappresentative di complesse (e per loro essenza opinabili) interpretazioni di norme (a loro volta, nel settore specifico del diritto pubblico, di crescente se non irriducibile complessità), tenderà a corrispondere una ripetizione del giudizio di merito (in tre gradi) di fronte al giudice ordinario, proprio con le esatte operazioni “cognitive”, cioè il “merito” della causa,  da cui il riparto di giurisdizione sancito dalla Costituzione (art.111 ultimo comma) lo escluderebbe.
 
Tale profilo, in sé, rende evidente come la mancata considerazione della peculiarità “ontologica”, del tipo di tutela giurisdizionale-amministrativa, quale prefigurata in Costituzione (art103), propria del giudizio amministrativo, ponga la norma ora in discussione in aperto contrasto col principio di ragionevolezza e di pari trattamento di situazioni differenziate (art.3 Cost.);
Dunque, allargando all’interpretazione delle norme la responsabilità per di più "diretta", - in un settore ove complessità e opinabilità sono intrinseche, e ove quindi l’astratta prospettazione di “evidente gravità” dell’errore di diritto è teoricamente sempre possibile-, si finisce per “incentivare” tale DUPLICAZIONE e PROLIFERAZIONE dei giudizi, in misura proporzionale alla consistenza dell’interesse economico coinvolto (e il Consiglio di Stato è il giudice della “maggior” dimensione degli interessi economico-imprenditoriali nel panorama della giustizia italiana);

8. Va aggiunto, che - se veramente si volesse rimediare a palesi ingiustizie derivanti dalla interpretazione delle norme- risulterebbe più razionale e adeguato alla vastità del carico giurisdizionale che oggi i giudici sono chiamati a decidere, (considerando l'attività interpretativa-valutativa nella sua crescente complessità), un sistema di assicurazione realizzato dalla mano pubblica mediante una proporzionata contribuzione a carico degli stessi magistrati. 
Ciò eviterebbe che forze politiche ed economiche "preponderanti", se non, come accade in una società sempre più "liberista", alleate tra loro - si pensi a quanti esponenti di gruppi economici appoggiano apertamente le leadership di governo o fanno direttamente parte del governo- possano influenzarne l’imparzialità delle decisioni contando sullo “spettro” di fondo dell’azione di rivalsa obbligatoria da parte dello Stato.

9. Inoltre, va anche sottolineato che il sistema proposto attualmente finisce per delimitare gravemente se non addirittura “sopprimere” la responsabilità dei “funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici” per gli “atti compiuti in violazione dei diritti” (art.28 Cost.), dato che, tranne casi di violazione di leggi penali, la parte privata “dovrà” sempre impugnare l’atto lesivo (o farne accertare l’illegittimità) per non vedersi negato il risarcimento in base al citato art.1227 c.c.
In pratica, sul piano della effettività, la gran parte della responsabilità colposa per atti della pubblica amministrazione, violativi dei diritti, sempre essenzialmente determinata da errata interpretazione delle norme, viene spostata sul Consiglio di Stato, annullandosi l’operatività del principio di civiltà insito nell’art.28 Cost., “giurisdizionalizzando” tale responsabilità e deresponsabilizzando la pubblica amministrazione.

10. Ma c'è un ulteriore aspetto da considerare (che certo, in questi tempi di scomparsa della cultura costituzionale, non mi aspetto presi in considerazione).
L’annoso dilemma relativo all'introduzione di efficaci meccanismi di responsabilità del magistrato - compatibili però con i principi dell’indipendenza del giudice e della separazione delle giurisdizioni - non può essere risolto con uno sbrigativo intervento del legislatore ordinario, che è costretto dal divieto costituzionale di istituzione di nuovi giudici speciali (art.102, comma 2, Cost.) ad attribuire il delicato compito di applicare le nuove disposizioni al giudice ordinario.
Ciò porta infatti al conseguente paradosso che un giudice non specializzato (quello ordinario appunto), ad es., nel diritto amministrativo, a sua volta ormai suddivisibile in numerosi sottosettori speciali,  sarebbe chiamato a controllare l’interpretazione operata dal giudice specializzato, per giunta sotto il delicatissimo profilo di una sua possibile responsabilità civile, il che finirebbe per creare una sostanziale sottoposizione del secondo al primo, privando di senso la stessa sopravvivenza di plessi giurisdizionali separati quale disegnata dalla Costituzione.
Pensate se un cardiochirurgo dovesse essere sottoposto al giudizio di un ortopedico o di un medico di base, selezionato con criteri e esperienza  professionale del tutto diverse. 

11. La problematica, se proprio si ritenga che in Italia questa sia una priorità reale e non fittiziamente alimentata, pare allora poter essere meglio affrontata solo nell’ambito di una riforma costituzionale, che, abilitata a prevedere, più razionalmente (oltre al suggerito sistema di assicurazione pubblica) ad esempio, l’istituzione di un nuovo organismo giurisdizionale, composto da magistrati provenienti da tutte le giurisdizioni, cui affidare il nuovo giudizio di responsabilità dei magistrati, nella stessa prospettiva che caratterizza recenti progetti di riforma costituzionale per l’istituzione di un organo giurisdizionale unico in materia di procedimenti disciplinari a carico dei magistrati di tutti i plessi, come pure in materia di definizione dei rispettivi limiti reciproci della giurisdizione.
Solo in questo modo, infatti, è ipotizzabile armonizzare il principio di responsabilità con i canoni costituzionali e razionali della separazione delle giurisdizioni e del giusto processo, attribuendo ad un organo in grado di “mettere assieme tutte le professionalità giurisdizionali” una funzione che, seppure indirettamente, sarebbe di altissimo profilo nomofilattico.
E questo senza dimenticare che non solo la giurisprudenza in materia della Corte UE non predica l'azione di responsabilità diretta, ma che ciò viene addirittura considerato oggettivamente contrario ai principi minimi dell'indipendenza (che esclude ogni potenziale di ritorsione personale sui giudici) proprio all'organismo Europeo a ciò deputato, che ha delineato tale esclusione nell'ambito dello status "europeo" di garanzia del potere giurisdizionale.
E tale risoluzione è stata rishiamata dallo stesso Capo dello Stato intervenuto in occasione dell'ultima "pensata" del Parlamento che tanto sta agitando le forze politiche.

14 commenti:

  1. Caro 48, sono assolutamente d'accordo con la Tua analisi, analitica ed approfondita. I paesi civili risolvono poi il contenzioso amministrativo, spesso, prima di arrivare dal Giudice, mentre noi prospettiamo una litigiosità infinita, che sposta il focus della controversia dalla fa amministrativa a quella giurisdizionale e addirittura alta giurisdizionalepurtroppo la maggior parte della gente, politici compresi, non sa di che si parla, mentre al Premier è accreditata l'idea di abolire la giustizia amministrativa, come piacerebbe anche ad alcuni settori del foro. Bah!

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    1. Notare che sono tutte ideone in controtendenza agli altri paesi. Quando fanno i "loro" giochi i giornaloni dimenticano di essere esterofili e autorazzisti

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  2. La prima cosa che mi è venuta in mente è che in una società improntata sul diritto personale risulta controintuitivo che la responsabilità del giudizio, effettuata da una unità-persona "scarichi" la stessa sulla collettività (senza entrare nel merito del giudizio).
    Pongo accento su questa difformità metodologica per cercare di capire da quale parte andrebbe affrontata (sempre che sia possibile:-).

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    1. La società non è improntata sul "diritto personale" nella realtà contemporanea.
      Questa semmai era un formula, in teoria generale del diritto (che è poi "sociologia"), valevole agli albori della società borghese, basata su un numero ristretto di proprietari e di "aventi diritto". Per di più appartenenti alla stessa classe sociale da cui provenivano i giudici.
      Questa fenomenologia è più o meno durata fino alla mutazione determinata dall'applicazione dell'ordinamento democratico costituzionale.

      Oggi i diritti sono caratterizzati da un "serialità "simmetrica alla realtà produttiva dei beni e servizi di massa e devono fronteggiare poteri di fatto quali, in primis, gli oligopoli.

      Personalizzare sul lato del decidente la responsabilità della risoluzione di questi schemi di conflitto tra interessi asimmetrici significa esporre una persona-organo (cioè un'astrazione indispensabile per il funzionamento delle funzioni sovrane), com'è ogni decidente giurisdizionale, allo scontro personale in termini fortemente asimmetrci.
      Il che, se consideri la necessaria impersonalità dell'organizzazione della funzione giurisdizionale (cioè ci deve essere ed essere continua come fatto organizzativo a prescindere dalle persone fisiche di volta in volta titolari), mina alla base la stessa imparzialità, creando un'asimmetria di forze.
      E questo proprio perchè scindi lo Stato (più che mai arbitro), nella sua forza politica comunitaria, dalla persona che, NECESSARIAMENTE, ne deve incarnare l'operatività in tale sua funzione.

      In altri termini, ragionando nel modo ellittico che fai tu, ignori la realtà storico-politica dell'Ente rappresentativo democratico e rendi impraticabile lo stesso potenziale reclutamento di persone valide e selezionate, che, in cambio di un compenso modesto (rispetto alla forza economica dei players organizzati del potere economico), dovrebbe essere votato al martirio personale. Per di più sotto la pressione sfavorevole dei media controllati dagli stessi poteri economici!
      Sveglia!

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    2. No ok, mi son spiegato male.

      Quando dico "diritto personale" non intendo dire che dovrebbe, o è così in quanto principio, ma intendo dire che lo è nei fatti pur se non lo dovrebbe essere.
      E quando dico; (senza entrare nel merito etc), non è riferito al giudice, ma a me che non intendo disquisire su cosa sia giusto o meno.
      Volevo dire che per una mente "normale" tipo la mia (poi mi riscatto riflettendo su quanto hai scritto e comprendendone le motivazioni) questi diversi piani concettuali risultano controintuitivi, e credo sia il motivo per il quale in pochi abbiano messo la giusta importanza alla questione.
      Chiedo scusa.

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    3. Ma non c'è bisogno di scusarsi:
      Per capire perchè ti appaia "controintuitivo" quello che cerchi di criticare, pensa a come piuttosto si formi un'idea paralogica, cioè un fittizio senso condiviso, in base alla versione mediatica dei fatti.

      La definizione dei diritti, nella loro serialità contemporanea e nella connessione con la realtà dei poteri oligopolistici (politicamente preponderanti), è proprio derivante non dalla teoria ma dalla realtà (nascosta dall'informazione).

      Solo che di questa realtà, appunto, ti offrono (mediaticamente) una selezione paralogica e ti inducono ad immedesimarti in essa, fino a credere che sei informato e che disponi di premesse sufficienti per arrivare da solo (senza accorgerti di essere stato "guidato") esattamente alle stesse conclusioni che ESSI intendono propagare...

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  3. Bravo 48! É cosí che si risponde? Chi parlava non aveva neppure un'idea della delicatezza della funzione!

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    1. Credo che si riferisse a me e dato che lo ha scritto dopo il mio secondo commento credo anche che le sia sfuggito qualcosa.
      Ripeto:
      Non è mia intenzione criticare ciò che ha scritto 48, anzi, leggendo il post ho capito bene il motivo secondo il quale la responsabilità diretta del giudice è dannosa ai fini di un giudizio al di sopra delle parti.
      Io stavo osservando la questione da un punto di vista politico e sociale.
      Risulta difficile mettere al di sopra delle parti i giudici quando succedono casi "tipo", per esempio quello relativo alla casa di Scaiola a Roma, oppure l'entità della condanna assegnata a Corona in rapporto a quelle che vengono date a chi uccide per le strade, omicidi questi, che oramai non possono più essere considerati colposi e anche a fronte di una lacuna del sistema penale andrebbero quasi sempre giudicati assegnando il massimo della pena commisurabile.

      Ora; abbiamo notizia che il sistema giudiziario si sia mosso al riguardo di queste incongruenze?
      Se si, non lo sappiamo e neppure abbiamo un riscontro fattuale che si sia fatto qualcosa.
      Se consideriamo anche come si muovono i vertici del sistema giudiziario, e cioè; impiegare vent'anni per capire la gravità delle condizioni a Taranto e guarda caso proprio mentre è in atto una "guerra" economica all'industria Italiana, e purtroppo schierandosi dalla parte che non fa gli interessi della nazione, impiegarne altrettanti per intervenire nel sistema che si spartiva i soldi pubblici per poi lasciare che si insediasse una classe dirigente forse anche peggiore della prima e aspettare altri vent'anni per intervenire, guarda caso, di nuovo in un momento cruciale per la nazione. Impiegare sei anni per comprendere che una legge elettorale fosse anticostituzionale?!?!? mentre invece son bastati pochi giorni per stabilire che i loro stipendi fossero dei diritti acquisiti intoccabili, mentre si faceva macelleria sociale di quelli delle classi più deboli, e si potrebbe andare avanti ancora ma penso non ve ne sia bisogno.

      Ecco, questo delicato passaggio capita in questo quadro generale e si va ad inserire in un sentimento generale che sta cercando capri espiatori a cui far pagare tutti questi "errori".

      Non è il mio sentimento anche grazie a 48 che illustra in modo esemplare l'esatto contesto giurisdizionale nel quale va inserito.



      Non posso fare a meno di notare come vi sia un giudizio retrogrado precostituito nell'interpretazione delle diverse posizioni.

      Penavo di "essermi spiegato sufficientemente in modo chiaro: non sono io che la penso così, ma è abbastanza facile cadere nell'interpretazione che non riesce a scindere i due piani di lettura, infatti il M5S astenendosi dal voto ha dimostrato di non aver capito l'importanza della questione.

      Ripeto; non era una critica a 48, né alle posizioni che esprime.



      Stia bene.

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    2. Grazie della risposta e stia bene anche a Lei. Quanto alla Sua replica, mi permetta di osservare che ho notato, in particolare, due cose: (1) rilievi di merito su giudizi espressi in relazione a determinate tipoligie di fattispecie; (2) rilievi procedurali a proposito della durata delle indagini e dei processi e, in genere, della (scarsa) efficienza della Magistratura. Sul primo punto, che attiene al merito di giudizi, non mi sembra questa la sede per aprirae una discussione, tanto più che tutte oe sentenze possono discutersi, anche quelle di ordinamenti evoluti (v. Sentenza Cermis). Sul secondo punto, sono d'accordo: le indagini penali non possono durare anni, come del resto i processi. E lo stesso vale per il processo civile (il processo amministrativo, attualmente, pare costituire una eccezione). È questo il punto debole della Giustizia Italiana, aggravata dalla continua evoluzione degli ordinamenti, dai cui qssetti dipendono i c.d. "diritti" e la certezza delle sentenze. Spero di essermi spiegato. Buona settimana a Te e naturalmente al nostro 48!

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  4. Parlando di controintuitivo: pochi giorni fa mi è caduto l'occhio su di un titolo che parlava di un "processo del secolo" avvenuto giusto "dieci anni fa". Ovviamente si parlava di O. J. Simpson (star, ricchissimo) e poi di Alan Dershowitz (star, parcelle astronomiche).
    La Apple o la Samsung, per dire, possono prendere uno come O. J. Simpson al culmine della carriera e metterlo alla reception a scopo decorativo. E quanti dollari ha mosso la vertenza Apple - Samsung? E quali erano gli studi legali impegnati?
    "Non fa notizia", ecco, ed è bene che tutti continuino a pensare che i processi "veri", quelli "grossi", siano i processi penali.

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  5. Proposta di legge elettorale del M5S: http://issuu.com/beppegrillo/docs/testo_legge_elettorale_m5s

    Parliamone!

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    1. In questa fase la legge elettorale non è esattamente una priorità per il bene della Repubblica democratica costituzionale minacciata nelle sue fondamenta

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  6. ...anche dai progetti di legge elettorale.

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