venerdì 8 novembre 2013

I GATTINI CIECHI DEL FISCAL COMPACT: VERSO IL PAREGGIO DI BILANCIO- 2

Nel precedente post dei "gattini ciechi", abbiamo visto, in base ai dati della contabilità pubblica per settori, come quasi tutto il deficit annuale si converta, mediante trasferimenti (= interessi sul debito) o, necessariamente (trattandosi di un valore originato dal deficit pubblico) per via di altre erogazioni pubbliche (ad es; la gigantesca intermediazione bancaria effettuata in sede di pagamento dei tributi), in risparmio del settore bancario-finanziario.
E ciò in modo tale che, del valore aggiunto di tale deficit, non giunga praticamente nulla al settore delle famiglie e delle imprese non finanziarie.
Essendo dunque questa la destinazione finale del deficit pubblico, nell'attuale situazione legata all'esistenza di una moneta sopravvalutata e che ha indotto una posizione cumulativa netta sull'estero crescentemente negativa (-24% del PIL) - al di là del transitorio sollievo di una correzione "gold standard", repressiva dei consumi interni- il risparmio finisce in una rigida trappola della liquidità; e non si trasforma ormai in alcuna forma di investimento, quanto piuttosto si collega puntualmente al credit crunch.
In passato, non solo a partire dall'introduzione della moneta unica, ma già per effetto delle manovre finanziarie di "convergenza", imposte da Maastricht, questa stessa pratica mutazione "genetica" della funzione del deficit pubblico aveva indotto comunque una riduzione della crescita del PIL, (output-gap) attraverso una riduzione (della crescita) degli investimenti privati ed una compressione salariale ravvisabile nella stessa incidenza sul PIL della quota salari, tutti fenomeni dovuti al venir meno del sostegno pubblico ad un'economia privata ove il punto di riferimento è divenuto il settore bancario-finanziario.

La realtà "operativa" del deficit è che è ora, e da almeno 20 anni, ridotto ad indicatore del trasferimento di interessi sul debito pubblico verso tale settore bancario-finanziario.
Si è visto anche come nell'intero ammontare degli stessi interessi sono incorporati gli aumenti di pressione fiscale (saldo primario) imposti per pagare gli stessi interessi alle banche estere. L'ammontare totale, cumulativo, di questo output-gap, erogazione a favore di soggetti finanziari essenzialmente esteri, è pari a 740 miliardi di euro nell'ultimo ventennio (47% del PIL).

Dunque, assistiamo, praticamente a partire dall'applicazione di Maastricht, alla eliminazione sostanziale del deficit come strumento diretto di sostegno pubblico alla liquidità-ricchezza di sistema, in forma di relativo risparmio del settore privato non finanziario, cioè dell'economia reale.
Il deficit, sottoposto a un tetto rigidamente avulso da ogni esigenza ciclica della stessa economia reale - cioè dell'andamento degli investimenti, dei consumi e, necessariamente, dell'occupazione- diviene piuttosto essenzialmente uno strumento redistributivo, a favore del settore finanziario, di ricchezza collettiva acquisita tramite una politica fiscale che risponde solo alla logica dello Stato come debitore di diritto comune.

Ciò significa che la Nazione intera è privata del ruolo costituzionale, che rimane solo sulla Carta, del suo Ente politico di massimo livello, teoricamente portatore dell'interesse primario a sostenere la piena occupazione e il pieno sviluppo del potenziale economico del popolo sovrano: tale Ente si piega alla logica dei mercati privati che ne detengono il debito.
E' del tutto naturale, in questa logica, che il debito stesso sia visto esclusivamente come un vincolo alle politiche generali dello Stato, anzichè come stock che riflette la capitalizzazione patrimoniale consentita dal flusso del sostegno pubblico all'economia reale delle famiglie; le politiche fiscali, in ultima analisi, nella logica di Maastricht e dei trattati successivi, devono servire esclusivamente a ripagare il debito e lo Stato si mette al servizio dei "mercati" privati finanziari internazionali.
Il passaggio successivo, che ormai accettiamo come fatto scontato a radice propagandistico-mediatica, è che il debito sia un ostacolo alla crescita, considerando, appunto, la comunità nazionale e il suo insieme di istituzioni esponenziali, come un qualsiasi operatore economico privato. Solo molto più grande.

Lo strumento presupposto di ciò, come abbiamo visto, è la teoria della banca centrale indipendente dal governo democratico, nella sua forma pura che impedisce l'acquisto diretto di titoli del debito pubblico, puntualmente prevista nei trattati fondanti l'unione europea come un dogma incontestabile.
Gli effetti di questa impostazione generale - e incompatibile coi principi fondamentali della Costituzione- del ruolo dello Stato democratico, si avvertono ab origine in modo più accentuato in Italia.
Questo perchè il limite dell'indebitamento pubblico al 3% non ha comportato per i paesi aderenti a Maastricht demograficamente ed economicamente comparabili all'Italia, lo stesso vincolo sulla politica fiscale: fin dall'inizio, e continuativamente fino ai giorni della crisi attuale, l'onere per interesssi sul debito pubblico di Francia e Germania non ha mai superato il 3% del rispettivo PIL.

E dunque il Trattato di Maastricht, col suo vincolo all'indebitamento dello Stato, IN QUALUNQUE MISURA STABILITO E COMUNQUE DA ESSO INDEROGABILMENTE PREVISTO, già nasce al di fuori delle "condizioni di parità con gli altri Stati" che l'art.11 Cost. impone come precondizione di legittimità per l'adesione a trattati che implichino delle "limitazioni di sovranità".
E' importante sottolineare questo aspetto di illegittimità genetica del trattato di Maastricht, poichè averlo trascurato porta oggi a quelle conseguenze distruttive della nostra sovranità fiscale le cui origini sfuggono del tutto al pubblico dibattito politico-mediatico.

Di conseguenza, mentre in questi altri paesi (comparabili) si può parlare, a seguito di Maastricht, di una mera "cristallizzazione" dell'intervento pubblico a favore della crescita dell'economia, - tranne la mnifestazione di questo intervento in termini redistributivi, attraverso le riforme sul costo del lavoro, su cui torneremo-, per l'Italia l'effetto complessivo è stato di una vera e propria "sterilizzazione": cioè quello non solo di una massiccia redistribuzione, verso il settore finanziario nazionale ed estero, ma anche quello della pratica riduzione di ogni forma di prestazione sociale, cioè del salario c.d. "indiretto" che, in base alla norme costituzionali, costituisce uno dei compiti fondamentali delle istituzioni democratiche ai sensi degli artt.1, 4 e 3, comma secondo, della Costituzione.
Questa drastica riduzione della ricchezza sia prodotta che distribuita in senso "equo" ed allargato, ci ha portato, ad es; a primeggiare in Europa nel regime di sostenibilità del sistema pensionistico-previdenziale, sostenibilità tutta raggiunta attraverso una drastica riduzione delle prestazioni accoppiata ad un costante aumento della pressione contributiva, il cui gettito è utilizzato, in realtà, per coprire gli oneri dello Stato debitore di diritto comune!
Sta di fatto che l'ammontare delle prestazioni erogate, oggi più che mai, al netto di ciò che lo Stato riprende in forma di imposta, unitamente al prelievo contributivo totale, dà luogo a un flusso positivo di entrate attualmente superiore a 1 punto di PIL
.
E' chiaro poi che ogni riforma pensionistica che, inevitabilmente, si basi sul sistema a ripartizione (per lo sfasamento demografico e l'allungamento dell'aspettativa di vita) vede, nel tempo, peggiorare la sua sostenibilità allorchè la sua base contributiva sia diminuita dal perseguimento della stessa disoccupazione come presupposto, occultato, ma non per questo non programmatico nelle teorie neo-liberiste applicate in forza dell'euro, di deflazione salariale. Una forma di svalutazione del tasso di cambio reale che è l'unica via correttiva degli inevitabili squilibri commerciali interni all'area della moneta unica che, fin dall'origine, era stata programmata. Per ammissione, ormai, degli stessi "padri" dell'euro.
Questo perchè si guarda, nelle versioni mediatiche della faccenda e nelle enunciazioni dei "nuovi poltiici" a la page, all'incidenza della spesa previdenziale sul PIL, naturalmente alta in considerazione del fattore demografico e dell'allungamento della vita media, ma non al prelievo contributivo e fiscale che porta invece nelle casse pubbliche fondi di gran lunga eccedenti le prestazioni erogate.

Se poi si dovrà raggiungere il pareggio di bilancio, a partire dall'esercizio 2015, anche la forma di pagamento parziale dell'onere degli interessi mediante indebitamento pubblico (sui mercati, beninteso) sarà preclusa: tutto o quasi (al di là dei limiti di un ridicolo 0,5%) dovrà essere addossato alla realizzazione dell'avanzo primario, con conseguente scomparsa del risparmio collettivo della famiglie, anzi, in pratica con la sua costante negativizzazione.

Il che, stante la incomprimibilità dell'ammontare degli interessi passivi oltre un certo livello (nelle stesse proiezioni del governo), e atteso anche che i famosi spread, a loro volta, dipendono essenzialmente dalla posizione (negativa) netta sull'estero, prelude ad una ulteriore drastica riduzione, mediante tagli o innalzamento del prelievo fiscale, di tutte le prestazioni sociali, cioè previdenziali, sanitarie e in genere del livello dei servizi pubblici indivisibili.
Quelli divisibili, d'altra parte in omaggio a norme dei trattati di dubbia compatibilità con i principi fondamentali della Costituzione, sono già in larga parte privatizzati e danno luogo a rendite private, a danno degli utenti e dell'efficienza economico-tecnologica e altresì occupazionale; efficienza certamente non propria del monopolista privato che si sostituisce allo Stato che operava nell'interesse generale (v. punto 5), ai sensi dell'art.43 Cost.

E veniamo al contraddittorio dibattito tra "esperti" che si sta accendendo sui media, dopo un ventennio abbondante altrimenti passato ad addossare, in ogni possibile forma, tutta la responsabilità di stagnazione e crisi italiane ad un vizio di popolo, il nostro; un paradosso culturale che inscena, quantomeno mediaticamente, il più grande fenomeno di "autorazzismo" mai registrato nella storia delle...colonizzazioni.

Particolarmente "attivo" è il giornale "Libero" che si accorge, dopo alcuni anni di questo andazzo (che risale almeno al 2010) che l'Italia, tra i paesi dell'area euro, e anche in relazione a tutti quelli UE, è la più virtuosa nel rispettare il limite del deficit. Dopo la Germania, naturalmente; che, però, ha il piccolo dettagliuccio di realizzare un crescendo di surplus sull'estero che, come SOLO ADESSO REALIZZANO ALLA COMMISSIONE UE, violerebbe gli stessi trattati.
Ma si tratta della conseguenza settoriale di ben altre e preparatorie violazioni dei trattati, di cui vi abbiamo molto parlato.

Di questo stesso aspetto, ci parla anche Mauro Bottarelli, con la consueta schietta acutezza, che ci segnala un fatto eclatante.
E cioè che di questa faccenduola della violazione tedesca del tetto al surplus estero , il nostro governo, pure sostenuto da forze che ostentano illimitata fiducia nella possibilità di rinegoziare i "limiti di Maastricht", non pare accorgersi, occupato a discutere di dettagli dell'IMU, di correzioni dello 0,1% del deficit e di decadenze e dimissioni di questo o quell'esponente politico.
Una bella dimostrazione di prontezza e credibilità nell'esprimere la propria capacità di negoziare.

Bottarelli denuncia pure la illusorietà delle prospettive di risolvere la crisi della moneta unica, ormai giunta a livelli distruttivi delle economie dei paesi aderenti (tranne la Germania), evidenziando come la BCE, spesso invocata a sproposito come fornitore di liquidità salvifica (opera in realtà solo a favore del sistema bancario) stia inottemperando persino al suo ristretto mandato, non facendo nulla di nulla per riportare l'inflazione al target del 2% di fronte ad un dilagante pericolo di deflazione dell'area UEM, che tutto il mondo denunzia come evidente.
Che poi abbandoni ogni tentativo di portare la massa monetaria M3 al 4,5% annuo, è solo una conferma che neppure all'interno della cornice monetarista in cui, anacronisticamente (rispetto al resto del mondo), si muove, si preoccupa di contrastare anche solo labilmente le mire deflazioniste del paradigma correttivo degli squilibri commerciali imposto dalla Germania (a carico nostro, di "porcellini-MED", non loro che sono, però, in violazione dei limiti di surplus stabilito dai trattati).

Ma tralascianmo la fiducia "fuori tempo massimo" sull'efficacia delle politiche puramente monetaristiche, che può essere solo molto poca, rispetto alle vere cause di una crisi da domanda aggregata .
Quasi nulla può fare una BCE indipendente "pura", mai in grado di acquistare il debito sovrano in euro all'emissione, come invece fanno la FED e la BOE - in paesi dove, oltretutto, il deficit è ben oltre il 6%...e infatti, nonostante liberismo di facciata e inflazione stabilmente bassa (negli USA drammaticamente bassa), il loro PIL cresce: con buona pace di quelli che credono alla favola del pareggio di bilancio come strumento di promozione dedella crescita nonchè dei tetti fissi, prociclici, allo stesso indebitamento come intelligenti esempi di utile virtù fiscale.
Tetti capaci solo di deprimere la crescita, in fase congiunturale, e di far aumentare il rapporto debito/PIL.

Forse è vedendo questa realtà degli amati modelli anglosassoni, riformisti-deflazionisti del lavoro, ma ben decisi sulla riduzione, (per mano della banca centrale pubblica, coordinata col governo), dell'onere degli interessi sul debito - seguendo la golden rule che non debbano superare il 2% del PIL, oltre il quale si scatenano in acquisti diretti del debito-, che persino il presidente di Confindustria, Squinzi, dichiara con decisione che il tetto del debito al 3% "congela la crescita"?
Questo nuovo aperto dissenso confindustriale risulta alquanto tardivo, dato che questa situazione si protrae, appunto, dai tempi della convergenza sui parametri di Maastricht. Che parevano così belli per paralizzare l'odiato intervento pubblico nell'economia e "disciplinare" il lavoro.
Ma che giungono poi a presentare il conto di una inarrestabile flessione della domanda interna che, senza l'effettivo sostegno della ricchezza aggiuntiva immessa dallo Stato, distrugge un'economia industriale già ben "incartata" dal vincolo dell'adozione del...marco.

Ma la presa di posizione di Squinzi, oltre ad essere tardiva, appare anche inconsapevole del peggioramento futuro di ciò che, adesso, lamenta.
E il solito "Libero" che ci dà la misura del baratro cui stiamo andando incontro, festanti e con tanto di voci allegrone sulla rinegoziazione dei vincoli €uropei, ripetute a ogni piè sospinto (da parte di quelli che, fino a un anno fa, sostenevano esattamente il contrario, inchinandosi acriticamente di fronte della "serietà" di Monti e votando senza battere ciglio la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio!):

...anche se solo qualche mese fa - alla fine del primo semestre 2013- l'Italia è uscita dalla procedura di deficit eccessivo, il periodo di tre anni di moratoria terminerà a fine 2014, perché nel triennio si conta anche il 2012, anno in cui l'Italia è riuscita a restare con un deficit al 3% del PIL. Conseguenza: nel 2015 già il governo italiano dovrà attenersi ai vincoli del fiscal compact. Quindi dovrà tentare di ridurre di 1/20 già quell'anno lo scostamento del suo debito pubblico dal rapporto corretto del 60% del Pil.

...E cercare di tenere il deficit strutturale corrente allo 0,5% del Pil.
Proviamo a tradurre in pratica, prendendo a riferimento i conti pubblici attuali. Lo scatto di quella tagliola comporterebbe una manovra di 40 miliardi di euro per la riduzione del debito e di quasi due punti e mezzo di Pil per la riduzione del deficit: 35 miliardi di euro. In tutto fanno 75 miliardi di euro nell'ipotesi peggiore. Poi possono scattare dei correttivi previsti dal trattato su entrambi i dati (deficit e debito) in grado di alleggerire la manovra, anche se con tutta probabilità non si potrà fare leva sull'indicatore più favorevole: la correzione per il ciclo economico generale.

È il ciclo italiano quello negativo, ma quello europeo e mondiale è già in ripresa, per cui il correttivo non si potrà invocare per colpe esclusivamente proprie: le manovre degli ultimi due anni hanno depresso l'economia italiana invece di aiutarla. È accaduto in modo pesante con il governo di Mario Monti, non è riuscito ad invertire quella tendenza suicida Enrico Letta. Il 2015 è davvero domani, e quel fantasma dei 75 miliardi di euro fa ben comprendere la semina di nomine di salvaguardia sia su quell'anno che su quello successivo fatta ad ampie mani dal ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni

Che l'Italia non possa invocare il "correttivo del ciclo" per colpe "esclusivamente proprie" è un'affermazione il cui commento sta in tutto quanto detto in questi 2 post dei "gattini ciechi". E naturalmente Bechis non si accorge che, nel dire questo, finisce persino per contrastare ciò di cui si è accorto persino Squinzi.
Ma la questione, in fondo, è un'altra: da qui alla fine del 2014, la recessione non sarà cessata, al massimo attenuata.
E non ci sarà bisogno di una manovra "uno actu" di 75 miliardi per uccidere definitivamente la nostra economia e, più ancora, la residua stabilità sociale. Basterebbe proseguire nelle dimensioni del consolidamento suicida già oggi programmato; irrealisticamente, basandosi su una crescita prevista in misura a dir poco "fantasiosa".

Ma per trovare un rimedio, il tempo stringe. E le trattative e rinegoziazioni dovranno essere veramente efficaci e condotte da gente, "improvvisamente", divenuta molto abile.
Eh no. Manca ogni credibilità; anche perchè il pericolo maggiore è che sì, i trattati vengano cambiati, ma senza aver voluto capire perchè non funzionavano. E quindi facendo un cambiamento che cambierà molto poco. Troppo poco: giusto per prendere tempo fino alla speranza, mal riposta, dell'accordo transatlantico di "colonizzazione", pardon... di libero scambio.

18 commenti:

  1. Sul "peso delle pensioni" che sarebbe il piu' alto d' Europa e del mondo sul pil e sulla spesa pubblica...
    Un momento!
    IO HO LA NETTA SENSAZIONE CHE NIN SIA ASSOLUTAMENTE COSI.

    Potremo fare contenti quelli che "tagliamo le tasse/pressione fiscale tagliando la spesa pubblica":
    Paghiamo e SCRIVIAMO A BILANCIO le pensioni e gli stipendi pubblici al netto e esentiamo dal pagamento delle imposte pensionati e dip. Pubblici.
    In altri paesi credo che in parte accada cosi e comunque, quelle categorie sono soggette a tasse dirette enormemente inferiori.
    Scommettiamo che l' anno dopo ci ritroveremo con una spesa pubblica molto inferiore e con molte meno tasse riscosse? Scommettiamo che la pressione fiscale diminuirebbe e di molto e la spesa pubblica risulterebbe molto piu' bassa? E scopriremmo che i pensionati "pesano" su pil e spesa pubblica meno di altri "virtuosi" paesi "che non spendono tutto per le vecchie generazioni"?
    E le prestazioni di pura assistenza sociale che noi ascriviamo a bilancio come prstaziomi inps, quindi pensionistiche DIVERSAMENTE DA ALTRI PAESI? E quanto pesa in Italia rispetto ad altri paesi la previdenza privata? Questa invece e' una domanda: Il tfr, che all' estero non se e come esista, in che misura e dove si riverbera nel bilancio pubblico? E dove e come nei saldi settoriali?

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    1. Hai fatto bene a ricordarmi il tema: ho fatto un'aggiunta con tanto di link che dice la verità sul punto. e che avevo dimenticato di inserire.

      Cioè che sommando contributi pagati e tasse prelevate sulle erogazioni, già oggi il settore previdenza è una voce attiva per le entrate dello Stato; per oltre 1 punto di PIL

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    2. Interessante...la cosa ha una incredibile somiglianza con i crediti incagliati/dubbi che le banche italiane sono obbligate (grazie Banca d'Italia) a riportare con criteri molto rigidi DIVERSAMENTE dalle altre banche Ue, e che quindi penalizzano i rating delle ns banche, l'erogazione del credito alle ns aziende ecc. . Insomma la solita applicazione del Von hayek per diversamente furbi.

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  2. Oggi Bloomberg riporta un articolo di Saleha Mohsin che illustra, a beneficio di "fognatori" et similia, ciò che una vera Banca Centrale dovrebbe fare; il Primo Ministro norvegese Erna Solberg ha dichiarato: " If the Norwegian krone starts to appreciate more, we have to cut back on our budget. One of the long-term goals of this government is to make sure there is competitiveness for our non-oil businesses so they become better. And one of the areas for competitiveness is investments and the exchange rate".
    Lo stesso Governatore della Banca Centrale norvegese, Oeystein Olsen, in una recente intervista ha illustrato la politica per "addomesticare" la corona norvegese nei confronti dell'Euro ipervalutato, attuando misure che hanno portato la divisa nazionale a un deprezzamento dell'11% rispetto a Eurolandia.
    I nipotini di Ibsen, a differenza di quelli Von Hayek, hanno ben chiare le priorità che un governo democratico, teso al benessere comune, deve avere.
    Innanzitutto una Banca Centrale statale che risponde e agisce di concerto con il Governo democraticamente eletto, in cui entrambi decidono l'uso degli strumenti monetari più consoni che consentano politiche espansive senza incaprettarsi agli umori dei famosi mercati, "usando" il tasso di cambio a seconda delle contingenze, quella flessibilità che noi ci siamo negati perché "svalutare è immorale"; comprendere che le aziende strategiche sono ricchezza comune e non un boccone per qualche panciuto rentier: in Norvegia non hanno privatizzato le aziende strategiche nazionali: Statoil (petrolio), Statkraft (energia idroelettrica), Norsk Hidro (alluminio), DnB NOR (la banca principale del paese) e Telenor (telecomunicazioni) sono tutte di proprietà dello Stato e gestite nell'interesse della collettività.
    E' interessante conoscere come il governo di Oslo faccia fruttare i proventi derivati dal petrolio e gas naturali; negli anni '90 si pensò di creare il Governament Pension Fund Global che raddoppiato in valore assoluto dal 2010 ad oggi, arriverà fino a 870 miliardi di dollari entro il dicembre del prossimo anno.
    Ma che fessi questi norvegesi, non lo sanno che fuori dall'Euro c'è il Nulla?

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  3. L’EURO: FALLIMENTO o TRIONFO? - I
    (s/membro in d'oppio perché > 4.086 di prolisso prolasso :-) )

    Anche se per la tavola di ’48 non è nulla di nuovo, anzi superfluo – ma come i peli ricrescono e chissà mai che una buona pratica a luce pulsata induca all’eradicazione definitiva – per riprendere analisi e concetti consumati da devastanti evidenze, ripropongo dai quaderni di S Cesaratto singolari similitudini della visioni politiche e sociali di “fanatici” ultra-liberisti e degli “uomini santi” della “sinistra radicale .

    i.) “ L’arrivo della grande recessione del 2008 ha persino ulteriormente rivelato a ciascuno la natura disciplinante dell’euro: per la prima volta, i paesi dell’unione monetaria hanno dovuto fronteggiare una profonda recessione economica senza l’autonomia della politica monetaria. Sino all’avvento dell’euro, quando una crisi colpiva, governi e banche centrali agivano invariabilmente nella stessa maniera: esse iniettavano la liquidità necessaria, consentivano alle monete locali di fluttuare verso il basso e di deprezzarsi, e rimandavano indefinitamente le dolorose riforme strutturali che erano necessarie e che riguardavano liberalizzazioni economiche, deregolamentazione, maggiore flessibilità dei prezzi e dei mercati (specialmente del mercato del lavoro), una riduzione della spesa pubblica, e il ritiro e smantellamento del potere sindacale e dello stato sociale. Con l’euro, nonostante tutti gli errori, debolezze, e concessioni … questo tipo di comportamento irresponsabile e di fughe in avanti non è più a lungo possibile .. è divertente (e anche patetico) notare che la legione di ingegneri sociali e di politici interventisti che, guidati allora da Jacques Delors, disegnarono la moneta unica come uno strumento ora guardino con disperazione a qualcosa che loro non sembrano mai essere stati in grado di predire: che l’euro ha finito per funzionare di fatto come il gold standard, disciplinando i cittadini, i politici e le autorità, legando le mani dei demagoghi ed esponendo i gruppi di pressione (capeggiati dagli indefettibilmente privilegiati sindacati), e persino mettendo in dubbio la sostenibilità e i veri e propri fondamenti dello stato sociale.”

    ii.) “Nell'Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma deve essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l'individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l'apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell'uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l'individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato.”

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    1. Di questo passo le uniche "riforme strutturali" che partorira' l' euro saranno le "riforme (EFFETTIVAMENTE) strutturali" adottate sul modello Francia 1789, Russia 1917 o Germania 1933, tre tipi di "riforme strutturali" che si somigliano tra loro molto piu' di quanto non si creda, di sicuro, scaturite dalla medesima necessita' di "ristrutturare" i debiti e abbattere la pressione fiscale.

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    2. Sì ma mentre elaboriamo queste cose, approfondendo una "consapevolezza", ci dobbiamo pure sorbire le "lezioni" socratiche dei sostenitori delle oligarchie bancarie a caccia del colpo definitivo
      http://orizzonte48.blogspot.com/2013/11/i-gattini-ciechi-figli-del-fiscal.html?showComment=1383943298823#c2897594239100817454

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    3. A legger bene più sofisti che socratici :-)

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    4. Parrebbe che ci siamo chiariti...

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  4. L’EURO: FALLIMENTO o TRIONFO? - II

    Riconosco che è difficile attribuirne l’autentica paternità dei due scritti ma occorre, ancora una volta, sottolineare per chiarire l’EQUIVOCO che dilaga TRA FALLIMENTO e TRIONFANTE RISULTATO , che ha avuto l’immaginifico ruolo dell’unione monetaria europea (UEM) nel governo degli Stati democrativi europei al progetto della “grande società” liberista.
    Una volta ancora senza complottismi e populismi ma con le verità storiche, economiche, sociali e giuridiche evidenti e diffuse, occorre essere consapevoli che l’adesione all’UEM è stata un azione volontaria di oligarchie europee e nel Belpaese con la deliberata secretazione di ogni documento governativo in materia monetaria a partire dal 1995 .
    Non fu “lancio dei cuori oltre la barricata” o le “speranze disattese” con i quali i responsabili stanno ora giustificando le macerie della democrazia europea.

    Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta e invece è la fine del mondo! Noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta! Abbiamo un mandato noi, un mandato divino! Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch'io.

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  5. Gli americani devono avere una gran fretta di chiudere "l'accordo transatlantico" dato lo stato attuale delle istituzioni ue-uem e dell'eurozona.
    Eppoi il club di quelli che incominciano a voler discutere di cose serie si va allargando ...

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    1. Mi hai anticipato: questa ed altre analisi di Stiglitz le vorrei trattare nel tornare sull'accordo di libero scambio USA-UE. Il prossimo "rilancio" suicida
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/11/il-rilancioliberoscambista-ue-usa.html

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    2. Qui, nel Belpaese, è stanziale l'ambasciatore Luttwak che, tra l'esposizione di pubbliche verità, nasconde nella fondina la "pistola fumante".
      In fondo, ma non troppo, esso, cioè esso - in my and our .. ehmm sorry .. in PUBLIC OPINIONS - è un nipotino di W Lippman
      :-)

      ps: grazie Neri
      :-)

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    3. Caro Poggio, per così poco. Anzi sono io che devo ringraziare. Che ciò sia d'interesse, mi dà conferma che la posizione raggiunta mi fornisce una vista d'insieme. Da un pezzo la cercavo.
      Mi dispiace solo che gli argomenti di questo blog (e Quarantotto non sarà mai ringraziato abbastanza) rimangano tuttora defilati. Ma questo è ovvio: il rumore di fondo confonde e la scalata alla vetta sempre aspra. Resto tuttavia fiducioso.
      Se finalmente vengono discussi ormai pubblicamente argomenti ovvi, ma tabù fino a poco tempo fa (come i rimedi macroeconomici contro una depressione, indotta da shock, che produce deflazione e disoccupazione), confido che verrà il tempo del piatto forte.
      Immagino che il libro farà da traino pubblico (me lo auguro) per dare agli innumerevoli antipasti irrilevanti (detto con grande affetto e riconoscenza per tutti coloro che faticosamente e con determinazione li confezionano) o immangiabili (la stragrande maggioranza), il ruolo che gli compete: quello di entrée (oltre che distrarre la tensione al main course).
      Che personaggi come Stiglitz comincino a parlare chiaro di un argomento così centrale è confortante. Senza nascondersi che le armi della mistificazione sono potenti: la questione ha visto altre denunce (anche assai autorevoli) negli ultimi trenta anni restare senza seguito. Ma ora forse ... è differente.

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    4. Neri hai ragione (e non perchè...mi dai atto di un percorso: in fondo precisi che sono "defilato").
      Gli argomenti di questo blog, dal controllo dell'informazione e del paradigma culturale (rammento due post di Sofia) a Oil and finance-
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/oltre-il-pud-2-oil-and-finance-thats-all.html- "anticipano" di mesi e forse di anni quello che diverrà il clou delle discussioni "a babbo morto" che affaticheranno l'opinione mediatica e la rincorsa politica.
      Sottolineo in "Oil and finance" la risposta data a Poggio (unico commento) a distanza di mesi.
      Ora la frontiera Stiglitz sul liberoscambismo e sul potere transnazionale formalmente (è da sottolineare) e non più de facto limitatore della sovranità democratica, è in fondo il tema dei temi.

      Nel libro peraltro, dammene atto, ciò è ampiamente trattato. Speravo che se ne potesse parlare a Pescara, se non altro in sede di presentazione del libro. Ma occorreva che fosse stato letto :-)
      Ora sta a "noi" coltivare questa visione anticipatrice e "salvifica" (nulla di profetico: solo uso della capacità previsionale della ragion critica).
      Ma veramente sta a "noi", includendo chi oggi si allinea in questa visione. Che peraltro si riallaccia ai temi oggi scottanti (sempre a "babbo praticamente morto").
      "Ora forse è differente" rispetto agli ultimi 30 anni, in questa denuncia? Me lo auguro: ma se lo è (sarà) ciò deve necessariamente passare per il recupero del senso valoriale e non "procedurale" della democrazia COSTITUZIONALE. Senza il quale non ci sarebbe nulla da contrapporre alla deriva che si denunzia.
      Qunati siamo nella consapevolezza di questo aspetto?
      ESSO IMPLICA DI CREDERE IN UN "DIVERSO" CAPITALISMO, già fiorente alle metà del secolo scorso; ma AGGIORNANDOLO al diverso scenario ambientale e tecnologico. Nulla a che fare con la globalizzazione che non è un evento atmosferico, ma l'epifenomeno del capitalismo sfrenato neo-liberista e con esso cade nella sua dimensione di oltraggio alla democrazia.
      Checchè tutt'ora ne dicano i soloni del PUD€

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  6. Un post per tirare su il morale week-endero , da GPG
    http://www.rischiocalcolato.it/2013/11/la-francia-economicamente-umiliata-e-vittima-della-macchina-del-tempo-delleurozona-alla-fine-usera-latomica.html

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    1. Certo, ci si sente meno soli, ma quanta fatica!
      Non concordo però sul fatto che in Italia di filoteutonici ne siano rimasti pochini: qui bisogna intendersi sul modello monetarista-von Hayek così acriticamente diffuso ormai "in automatico", dalle nostre parti.
      Dove, ancora si considera una giusta punizione, in prevalenza, essere staati degradati a paese di serie B e, ancor peggio, abbiamo una intera classe politica (col relativo consenso complessivo) CHE CREDE CHE COMUNQUE LA SOLUZIONE SIA TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA..

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  7. Ci vorrebbe un nuovo criterio di eleggibilità dei parlamentari: perfetta conoscenza e rispetto dei contenuti del libro di Quarantotto! :D

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