domenica 30 giugno 2013

ORIZZONTE48: THE BOOK- 1

Carissimi fratelli Santarellino,
posso annunciare che il libro che riorganizzi e dia una esposizione sistematica all'ormai vasto materiale pubblicato su orizzonte48, si farà.
O meglio "lo farò". Lo sto già scrivendo!
L'editore, in linea di massima, l'avrei già trovato e la settimana prossima avrò dei contatti anche con altri.
Non vi nascondo che, avendo seguito da vicino la vicenda de "Il tramonto dell'euro" sono cosciente che il problema principale, per una buona e, prima di tutto, tempestiva diffusione, può essere quello della DISTRIBUZIONE (nonchè della eventuale "ristampa" per un'ulteriore distribuzione).
Una delle opzioni pratiche sarebbe quella di rendere il libro disponibile essenzialmente nelle librerie cosiddette "forensi" o giuridiche.
Mi pongo il problema di costi/benefici di questa soluzione.
In altri termini: da un lato, si sarebbe sicuri di disporre del libro in sedi di vendita ben individuabili, e quindi almeno si raggiunge una certezza.
Dall'altro, al fine di diffondere il libro fuori dell'area del web, (colmando il digital divide di molti che vivono ancora "alll'oscuro") cioè raggiungendo non solo quelli che, in un certo senso sarebbero comunque informati della sua esistenza da questo o da altri blog, mi chiedo se questa soluzione di nicchia non sia troppo "specialistica".
Ovviamente cercherò di vedere se sia praticabile una soluzione intermedia che dia comunque delle ragionevoli certezze su entrambi i canali: ad es; distribuire il libro oltre che nelle librerie giuridico-forensi, anche in quelle di alcune maggiori catene di vendita "ordinarie", da concordare con l'editore.

La cosa che riguarda i lettori attuali del blog -non siate timidi nel farmelo sapere-, cioè il pubblico web (che potrebbe sempre ordinare "on line" com'è frequente) è cercare di capire se, comunque, è mediamente a vostra conoscenza l'ubicazione di una libreria forense e se questa sia una soluzione comunque sufficientemente agevole di acquisto.
Più informazioni logistiche di questo tipo avrò meglio sarà per decidere come organizzare questo aspetto.

Naturalmente, per completare l'opera mi ci vorrà qualche mese.
L'ideale sarebbe farlo uscire nelle librerie (di qualunque genere) l'8 settembre :-).
Chissà se, facendo un'estate alquanto faticosetta, non ci si riesca. 

sabato 29 giugno 2013

SACCOMANNI, GLI SWAP, E LA SPENDING REVIEW-2 (o 3 o 4)

Il PIL nominale 2012 diminuirà nel 2013, visto che l'inflazione, sull'1,2% in base alla ultime stime annue tendenziali, sarà inferiore alla recessione, ormai data persino sopra l'1,8%...dalla stessa Confindustria (che però continua a invocare i tagli della spesa).
Un bel risultato, non c'è che dire: deflazione e recessione insieme. Una situazione "classica" che consiglierebbe lo stimolo fiscale mediante spesa pubblica che, nonostante i luogomunisti, è tutta incidente in termini di sostegno all'occupazione (i deneuronati tendono a far coincidere la spesa pubblica che sostiene l'occupazione con quella per il pubblico impiego dei "carrozzoni" e con quella delle imprese che "dipendono" dagli appalti pubblici).
Che sarebbe il 10% , come noi ben sappiamo, della spesa per "consumi", una volta detratte le voci di bilancio su cui non sarebbe possibile incidere. Avendovi in precedenza già inciso eccome (investimenti scomparsi, personale diminuito di centinaia di migliaia di unità, grazie al regime di blocchi delle assunzioni e pensioni che stanno evaporando, specialmente per le generazioni future).
Cioè il taglio "doloroso" ma "indispensabile" sarebbe per 1,3 punti di PIL; per dare copertura, più o meno alle cose già fatte e per coprire i tagli IMU e IVA definitivamente.
Incidentalmente: una spesa corrente, al netto degli interessi, di 725 miliardi, rispetto al PIL nominale del 2012, di 1566 miliardi, è pari al 46,2% del PIL. E risulta in tale percentuale perchè veniamo da un perioduccio di recessione, e quindi il denominatore PIL è calato alquanto.
Senza contare che il dato è inferiore alla media UEM, in cui solo la Germania (non affetta dalla recessione) ci precede in virtuosità della spesa corrente in rapporto al PIL. Altri sono grosso modo alla pari nostra o con spesa corrente superiore; ma il loro deficit è sopra il 3% e devono quindi ancora correggerlo e...andare incontro alla recessione conseguente, con tutte le belle difficoltà che, "chiagni e fotti", la Commissione prenderà in esame, consentendogli una moratoria nel rientro del deficit al 3%. Ma a noi no. Noi no. Perchè sappiamo negoziare con fermezza. In Europa. Tanta Europa.

By the way, Saccommani ammette che la spesa corrente, rispetto allo scorso anno è calata di 0,5 punti, e dell'8,5% dal 2009!
Ma il calo complessivo della spesa corrente in rapporto al PIL, al netto degli stabilizzatori automatici da disoccupazione incentivata" (la parte seccante della curva di Philips "occulta" che li guida), sarebbe stato ancora più ampio in assenza della recessione 2011-2013 (ci limitiamo a quella provocata dal "più europa", escludendo la recessione da "subprime" e tralasciando l'output-gap, dovuto alla stessa UEM, precedente a tale ultima crisi, perchè comunque, costringendoci Maastricht a saldi primari strutturali, per comprimere deficit innnervati da deficit della bilancia dei pagamenti, un certo qual effetto negativo sul PIL ce l'aveva già avuto). 
Comunque, a rigore (il)logico, il ragionamento espanso di Saccomanni è il seguente:
- per coprire circa 8 miliardi di costo del taglio IMU e IVA " a regime" (costo pieno per la prima, ma solo circa due miliardi previsti per il 2013 residuo),
- per pagare magari "qualcosa" sui famosi Swap sul debito pubblico,(qui credo che la spinta ai tagli sia stata alquanto decisiva, ndr.) 
- per rifinanziare gli ammortizzatori sociali, magari per sistemare gli esodati,
siccome abbiamo il pareggio di bilancio e la Commissione UE, che solo a noi italiani non consente di sforare il 3% di deficit, ESSENDO IN SITUAZIONE DI RECESSIONE, tagliamo la spesa pubblica per circa 1,3 punti di PIL".
Non fa una grinza.
Ora noi sappiamo che per il solito FMI, "nipotino di Stalin", il moltiplicatore della spesa pubblica è di circa 1,8. E stiamo parlando di spesa per consumi, cioè per acquisti di beni e servizi, nonchè per lavori pubblici vari, - avete presente le buche nelle strade e la fogna non a norma che fa tanta puzza, insieme alla monnezza che strabocca dai cassonetti sfracellati, mentre i vigili non passano mai con la Punto senza benzina?
Dunque 1,3x1,8=2,34 punti di PIL in meno: ma non sappiamo ancora come li distribuirebbero tra il 2013 e il 2014.
Saccomanni (consapevole? Vogliamo dire che all'Economia stanno iniziando a capire quella nuova metodologia "tutta da studiare" che è il moltiplicatore?) mette le mani avanti e dice che occorre ponderare bene i nuovi tagli e magari non procedere tutto in una volta.
Intanto 8 miliardi per il 2013, così tanto ripetuti, gli servirebbero come il pane, meglio ancora 10: l'impressione è che abbiano chiarissime le idee su come effettuare i tagli lineari (che ve lo dico a fa'?) e che mettano su il "commissario straordinario" per legittimare ciò che faranno con la legge di stabilità molto prima che, "mumble, mumble", questi con qualche mitico pool di "esperti del tesoro" arrivino a qualche mirabolante conclusione.
Teniamoci bassi e limitiamoci a 8 miliardi di tagli di spesa, incidenti sul 2013; il resto, magari, verrà scaglionato sull'anno prossimo. Tanto qualunque sarà la cifra tagliata sull'anno in corso, i criteri di calcolo rimangono questi.

Ora, se ricorreranno a un bel decreto-legge di "spending review-2" ("la vendetta"...dei nipotini di Von Hayek-lovuolel'europa), magari in agosto, quando tutto riesce meglio, specie mandare "segnali di credibilità" all'UEM, avremmo 4 mesi di incidenza sul 2013.
Quindi 8 miliardi x1,8x1/3 di periodo fiscale. Risultato: recessione aggiuntiva per miliarducci 4,8. Un aggravamento "leggero, leggero" della recessione di 0,30 punti circa.
Portando la recessione annuale sicuramente oltre il 2%, anzi a sentire Confidustria, al 2,2%. Ma loro saranno lo stesso contenti: la recessione c'è perchè la spesa pubblica è "improduttiva" e non consente supply side. Il problema "a chi vendo?" non se lo pongono. Tanto "sai", vale la legge di Say, per cui l'offerta crea sempre la propria domanda. Ammesso che lo spiazzamento si verifichi mai (in UK stanno ancora aspettando e Cameron per non sbagliarsi insiste).
Credono probabilmente, a Confindustria, che l'incidenza dei restanti 12 miliardi tagliati sul 2014 sarà tutta assorbita dallo spiazzamento di risorse sull'investimento privato che il taglio della spesa pubblica consentirà grazie ai tagli delle tasse...a moltiplicatore 0,8-0,9.
Cioè, applicando Haveelmo, per cui il moltiplicatore di tagli della spesa accompagnati a corrispondenti sgravi fiscali è pari a 1, si arriva 12 miliardi secchi di perdita di PIL che già avremo sul groppone nel 2014 (ammesso che gli sgravi fiscali siano in quella esatta e pari misura!). Il che è inquietante, perchè sarebbe un effetto differenziale negativo di almeno 0,75 punti di PIL (attuale, ante recessione 2013).
In pratica, calcolando l'incidenza sul 2014 di ulteriori tagli di spesa già introdotti con le precedenti manovre, il nuovo aumento IVA previsto a gennaio 2014 (anch'esso già "svenduto" in europa), la prevista crescita del PIL 2014 per 0,5, è una bella utopia.
E sempre perchè si rifiutano di tenere conto del moltiplicatore. Ma l'UE sarà contenta, avremo fatto altre riforme (magari la revisione delle rendite catastali per uccidere definitivamente i valori di scambio sul mercato immobiliare). Solo che i calcoli dei conti pubblici, come al solito, non torneranno e ci "bacchetteranno" con una bella procedura di deficit.
In attesa del prelievo forzoso sui depositi bancari. Quello sì che servirà a moralizzare i porcellini spreconi. 

venerdì 28 giugno 2013

PUD€ ESTEROFILO E PUD€ DISSIDENTE? THE CLASH

Questo articolo del Corsera, specie nel gran finale, prende atto dell'innegabile esistenza materiale del PUD€, piuttosto evidente nella valutazione di Verdini.  Che ci fornisce la (sua) prospettiva della possibile imminente formalizzazione soggettiva dello stesso PUD€: ma chiarisce, dissentendo, che il tutto presuppone un B. in ritirata ai giardinetti (magari privati e tropicali).
E allora torniamo al "clash" di linee politico-economiche che, in realtà, trattandosi pur sempre di PUD€,  oscilla tra tagli alla spesa+nuove tasse e tagli alle tasse con intensi tagli alla spesa: questo dissidio è ormai sempre più evidente.
Come spesso capita, al momento della sua apparente massima espansione, un fenomeno potrebbe denunciare la sua prossimità a un repentino turning point verso la dissoluzione (che poi sarebbe il 25 luglio frattalico).

Per capirlo, basta aggiornare il report USA sui pregi e difetti dello stesso B. (lettura interessantissima in chiave storiografica di uno "ieri" che, ormai, pare quasi lontano): "mutatis mutandis" la situazione è paradossalmente ancor più negoziabile a favore di un'Italia "autonoma", meno ostile della Germania e divenuta meno spericolata nella politica energetica, rispetto agli interessi americani , che ci vedono ben piazzati negli equilibri mediterranei (4 anni non sono passati invano per chiarire come l'Italia non avesse un sistema bancario compromesso dalla crisi sub-prime, arrivato piuttosto alle sofferenze e ricapitalizzazioni attuali, in modo del tutto differente dai inglesi, francesi e soprattutto tedeschi: cioè esclusivamente a causa dell'euro-asimmetria (superprevedibile).
Ora, perchè dovremmo pagare, con il nostro sistema finanziario e, di riflesso, industriale, il costo di una situazione in cui solo l'euro-OCA ci schiaccia coi limiti di Maastricht e altre diavolerie procicliche che sottendono colpe che non abbiamo? Solo perchè il PUD€ ci racconta che siamo colpevoli "a prescindere", in preda all'esterofilia-necrofilia sul "modello Germania, drago-trainata?
Tutto sommato, dunque, i difetti rilevati nel 2009 sono superabili con flessibilità, resa più probabile in una situazione difficile sia per il medesimo B. che per gli USA, impegnati nel redde rationem finanziario col sistema bancario tedesco. E quindi rispetto ad uno scontro che, riportato alle ragioni effettive dell'austerity e delle svendite PIGS caldeggiate da Deutschebank, si profila come "finale" sul punto: gli investitori sono solo quelli che agiscono speculando sui "mercati" del debito sovrano? oppure sono anche e specialmente quelli che credono nella redditività delle imprese e nella capacità della domanda di sostenere l'offerta, senza scadere in una trappola della liquidità senza via d'uscita (cosa abbastanza singolare che la Germania, unica esente, sta imponendo al resto del mondo)?

Per chi poi volesse verificare la praticabilità del modello tedesco, e della correzione "solo" da deflazione salariale dei tassi di cambio reale ...via austerity, c'è il dato dell'inflazione; per la prima volta nell'era euro, abbiamo un'inflazione più bassa dei crucchi, a maggio o a giugno (a seconda dei dati e della base annua considerati), più o meno e a seconda di come si vogliano scontare piccole fiammate da costi dell'energia e le incombenti ripercussioni delle concessioni salariali fatte ai lavoratori del super-manifatturiero tedesco.
Ma si tratta di una crescita dello 0,6% al netto dell'inflazione (dopo l'1% del 2011!); quindi quisquilie e pinzillacchere, elettorali e interne, senza alcuna vicinanza alla misura "cooperativa" delle concessioni salariali che sarebbe necessaria al rilancio della domanda UEM. Tanto più che sono aumenti delimitati, solo sul settore "pesante" e non generalizzati e di sistema (gli aumenti Hartz dei mini e midi-jobbers sono risalenti alla scorsa estate e in misura largamente inferiore all'inflazione del periodo).
Notare che la Grecia è in deflazione: -0,6. Grande vittoria, no? In fondo, l'importante è la stabilità dei prezzi, mica la crescita della domanda (C+I, ma pure G-T, questi fattori misteriosi che, pensate, garantiscono persino  la tenuta dell'occupazione...pare...dicono...ma all'Economia ancora stanno verificando: "è una metodologia tutta da studiare").

Per finire: la disciplina UEM di salvezza bancaria a carico dei depositanti (sì ci sono anche altri liable, ma il modello Cipro insegna che "ne rimarrà soltanto uno": il depositante), partirebbe dal 2018, salvo anticipazioni per shock sopravvenuto (un vecchio amico), una volta aperta la via: peccato che le presunte ricapitalizzazioni bancarie siano dovute entro il 2019.
Vedi il "caso" a volte come ti incastra le cose?



giovedì 27 giugno 2013

VON-RENZYEK-NOMICS

In questa sede non interessa quali siano le strategie di questo o quel leader comunque ascrivibile al PUD€. Ci interessa di più avere la conferma clamorosa che l'ignoranza, sicuramente in area mediatica, che con ostentata fierezza, contraddistingue le varie voci del PUD€ stesso, fa sì che solo pochi, ben informati, "padrini" o espertoni, siano consapevoli dell'unità di intenti del partitone unico.
Il che è perfettamente compatibile con la continua, inutile (per il benessere del paese) e, ora, addirittura anacronistica sceneggiata degli scontri interni alle varie fazioni.
Cioè l'ammujna "scientifica" (per come è studiata in termini di comunicazione, mica per l'attendibilità dei contenuti) che intrattiene gli italioti, appassionandoli nella ricerca della propria presunta identità politica: perduta, "all'insaputa" dei contendenti, in un'oscillazione del consenso tra "destra-e-sinistra" che costituisce un "falso movimento".

Senza particolari commenti vi riporto questa notizia da Il Foglio, così "antitolata" da Dagospia "RENZI PUNTA A SCALARE IL PD ( E A ROTTAMARE IL LETTINO) CON UNA PIATTAFORMA ECONOMICA “LABURISTA”.
Udite, udite, quale sarebbe la conversione a sinistra (!!!...ma anche: QED) della "Matteonomics" (adesso le varie sfumature di grigio del mainstream, tutte PUD€nomics, amano proporsi così, che ci volete fare?):
" Renzi ha capito che uno degli errori commessi durante la sua campagna elettorale (quella per le primarie) è stato (a) aver puntato troppo sulla famosa teoria giavazziana del "liberismo è di sinistra" e (b) aver insistito troppo su alcuni concetti indigeribili per la gauche italiana (come l'abolizione dell'articolo 18).
E così, per uscire dall'"equivoco" di essere considerato lontano dal popolo di sinistra sulle policy di natura economica, il sindaco di Firenze ha accolto con favore alcuni suggerimenti di Gutgeld (che ha un profilo più laburista rispetto al liberista Pietro Ichino, che aveva scritto buona parte del programma economico di Renzi alle primarie) e ha deciso di costruire il suo nuovo profilo con questa idea: dimostrare ai suoi compagni di partito di essere diverso rispetto al liberista sfegatato delle primarie e costruire una grande coalizione attorno alla sua candidatura partendo proprio dalla Matteonomics.
La lieve svolta a sinistra del sindaco di Firenze, se così si può dire, è ben testimoniata dalle cinquantuno pagine di Gutgeld. E allo stesso tempo, attraverso il dossier del deputato renziano, di cui pubblichiamo in questa pagina alcune slide, si indovinano anche quali sono i veri temi scelti dal Rottamatore per dettare l'agenda al governo e imprimere alla rotta del Pd una rupture rispetto alla vecchia direzione imboccata nel passato. Tre temi su tutti:
1) riduzione della pressione fiscale,(di cui reperire, però, la corrispondente copertura per rispettare il pareggio di bilancio),
..."
Qui mi fermo, il pezzo è lungo e tragicamente divertente, ma nun je la posso fa'. Tanto più che sono 51 fogli con slide. E qualcuno di voi potrà persino sbizzarrirsi a cercare le "migliori perle della nostra vita".
Alla faccia della "svolta a sinistra"!
E se voleva "hayekkare" veramente cosa faceva? Ci mandava a casa l'esercito (privato possibilmente), stile Cile?



mercoledì 26 giugno 2013

FURTHER CONVERSATIONS WITH FLAVIO: WELFARE BANCARIO...A CARICO NOSTRO

Stamane mando una mail a Flavio:
"Guarda queste 2 "notizie" che paiono venire da pianeti diversi: "La Corte dei conti accende un faro sul "tesoro", riportando nuovamente d'attualità la questione dei derivati swap sul debito pubblico, chissà perchè proprio ora, mentre un economista di area, grosso modo, di centro destra, moderatamente "anti"austerità, di quelli che sull'euro si esprime ambiguamente, paventando la famosa inflazione praticamente coincidente con la svalutazione, stigmatizza il"troppo Europa" di una parte ben connotata delle forze di governo:
La famosa Storia dei derivati di Draghi non è stata mai ben chiarita. E forse non lo sarà mai. A meno che la Corte dei conti non decida di andare fino in fondo, partendo dalle origini; cosa che porrebbe in luce la stessa filosofia e praticabilità di Maastricht, in quel momento storico (certo se la si accoppiasse alle svendite del settore delle partecipazioni statali e a come, privando lo Stato di utili e patrimonio, si sia provocato un danno erariale colossale, "solo" per la strana fretta di arrivare a tappe forzate nella moneta unica, con ben effimeri miglioramenti della situazione di bilancio...). 
 Ma insomma, le due voci così radicalmente dissonanti tra loro portano a una strana equazione numerica:
1-1= 25 LUGLIO?"
Risposta di Flavio:
"Beh la prima non mi era sfuggita!! Sull'Ansa è la notizia di apertura...
La seconda invece mi è nuova... ma nemmeno troppo... Sapelli sa bene che, per realizzare tutto quello che lui dice, ci vuole ben altro...
Ci vuole il piano B... Che di sicuro non verrà da Draghi o dai suoi referenti in Italia: Letta e PD.
Se hai letto le testuali parole di ieri del drago, affermava "Il nostro modello è quello tedesco... non si agirà per comprimere gli spread artificialmente... l'OMT verrà concesso solo in cambio delle riforme...". Che poi: sono affermazioni dettate dalla BuBa, oppure dalla FED (nell'ottica: lascia pure andare i corsi, vediamo poi la Germania che fine fa'...).
Pure secondo me sembra che qualcosa stia per accadere... questi 8 miliardi di buco ora come li finanziano? Se aggiungi, ad esempio, un altro punto di IVA ammazzi l'economia definitivamente. Sono in un cul de sac e non riescono ad uscirne con le loro ricette..."

Al che replico:
"Sulla Fed ottima deduzione strategica.
Quello che impressiona è il non nascosto clash totale di linee che si sta profilando: uno dice di segare il pd-eurodraghizzato, l'altra risponde con una notizia "a orologeria" fatta apposta per stroncare questa tendenza. Il tutto porta a una drastica incompatibilità di linea sul deficit imposta da UE-Buba, denunziando le prossime probabili mosse del centrodestra...almeno quello fedele al leader "indiscusso" in difficoltà. Mosse necessariamente imminenti perchè per NON pagare gli 8 miliardi con tasse e tagli sarebbero indotti a stressare la situazione prima di settembre..."

Controreplica di Flavio:
"Per dire.... e questi 92 milioni di dollari ? (un giallo che si innesta nella super-circolazione di dollari in contanti tra USA e Europa, più o meno controllata dalla Fed)
Draghi sappiamo quanto sia vicino agli (ex)Fed, quindi potrebbe essere che segua quella linea... Sono tutti
scuola Chicago, ma la lotta è fra quella pseudo-americana e quella pseudo-tedesca, ed ognuno copre i suoi
interessi... almeno a me pare così... Mettendomi in Bernanke's shoes, direi che me sarei già pure stufato di
tenere su i corsi degli Euro-Med mentre BCE non muove un dito (OMT) e la BuBa via Merkel richiama alle riforme strutturali... tapering (cioè atterraggio, più o meno morbido, dalle vette del Quantitative easing USA) quindi sembra veramente essere l'ultima ratio USA per non veder sprofondare il mercato dei loro prodotti Apple, auto Ford ecc... proprio mentre stanno rilocalizzando (riaprendo gli stabilimenti a casa propria per sostenere domanda interna ed esterna, nonchè occupazione)!! Cioè: o fate come diciamo noi, oppure ciao...
Quindi boh... noi nei fatti, purtroppo, siamo il piatto principale in mezzo al tavolo dei contendenti... e ci hanno messo in questa situazione gli insulsi trattati UEM... che nessuno in Italia, mio Dio paese guidato da "filoesteri", osa mettere in discussione!!
Per dirne una: anche se Letta poi facesse quanto di più vantaggioso per gli italiani (spesa in deficit ecc. come ipotizzato da Sapelli), poi dove va a finire il CAB se non hai cambio flessibile o prestatore ultima istanza?
Sprofonda... e giù altra mazzata... quindi veramente siamo nella melma perchè:
a) nostra leadership è supina ad interessi stranieri;
b) comunque vada nostro risparmio e sistema produttivo si stanno inaridendo con il passare del tempo (sprecato).

Ulteriore mia risposta:
"Non c'è dubbio che il livello del cambio è il problema e che il resto sono corollari.
In realtà, se non fosse così "stranamente dogmatica", la nostra classe dirigente, un modo per prendere tempo e salvarsi ce lo avrebbe: fare, tralasciando la mentalità "contabile-negazionista-del-moltiplicatore-UEM", interventi di sgravio fiscale e spesa pubblica per circa 2 punti del PIL (con entrate IVA che, in tal caso, riprendono a crescere, ed anche aumentando l'aliquota persino di 2 punti, dato che sarebbe una barriera all'import) e attivare il moltiplicatore il prima possibile, anticipando le erogazioni (es; defiscalizzazioni su nuove assunzioni /investimentiper un punto di PIL e un punto di PIL di sgravi IRE). Probabilmente a fine anno il deficit sarebbe più o meno rispettato e con in più una recessione in netta flessione su base annuale e non registrata negli ultimi due trimestri. Ma essendoci gli europiddini e Draghi, ciò non è possibile.
Quindi, siccome ormai i berlusconidi si rendono conto, più o meno rozzamente (non hanno capito la spesa pubblica e come influisca, e tanto, sul PIL e sui conti pubblici), si arriverà al 25 luglio (cioè crisi subito prima dell'estate agostana o subito dopo) e poi, di fronte all'inutile esito delle elezioni tedesche (che non cambieranno nulla, anzi, sono monetaristi e v. il post di Vocidall'estero di oggi) all'8 settembre.

MA C'E' UNO SCENARIO PERSINO PEGGIORE PER NOI ITALIANI.
"Potrebbe piovere?"(Oddio, per come a causa di 20 anni di tagli degli investimenti infrastrutturali sono ridotte le nostre amate terre, potrebbe senz'altro essere una diffusa tragedia)
No: c'è il fatto che l'euro e le sue asimmetrie e i conseguenti debiti, privati e sovrani, accumulatisi sotto il suo "sistema", hanno portato a livelli di depatrimonializzazione vertiginosi sia i sistemi bancari "porcellini", sia, per irresistibile vocazione "casinò", quelli dei paesi creditori (non c'è niente di peggio di avere buchi in bilancio e fretta di rastrellare dai propri debitori la provvista per tappare i primi, specie se gli USA sono, a loro volta, i tuoi creditori e gli stai facendo, di fatto, una guerra economica).
Soluzione?

O meglio forse gli USA, che hanno accumulato, a livello di sistema privato, i loro bei 900 miliardi di dollari, fermi come liquidità "in trappola": ma, se finissero per prendere il controllo dei sistemi bancari PIGS, probabilmente potrebbero intervenire solo se fossero sicuri che ci possa essere una ripresa dell'economia reale che, invece, la Germania, fa di tutto per affossare, tenendo il corso dell'euro in un bel combinato di sopravvalutazione e spinte deflattive irrinunciabili e procicliche...per gli altri.
Perchè per loro crucchi, l'euro rimane sottovalutato (pare almeno fino a 1,80 $, secondo la loro alta autostima), rispetto a un neo-marco che si meriterebbero..."con tutte le scarpe", mentre seppure cala l'attivo CAB, potrebbero passare loro stessi all'attacco finale per il controllo di sistemi bancari e pezzi industriali pregiati dei PIGS.
E allora?
Potrebbero ricordarsi, tutti insieme hayekkianamente, "puddini nazionali e euristici", che la, ben nota correlazione S-I, descrive la parte del risparmio che non convertendosi in investimento (e non essendo per definizione consumata) non figura nel PIL: e allora giù con il prelievo forzoso modello cipriota sui conti dei depositanti privati delle banche PIGS.
Tra le quali, l'intero sistema "bancario" italiano assomiglia proprio a un gigantesco porcellino di quelli "salvadanaio". Da rompere per ripagare, coi soldi dei cittadini, il debito...creato dall'euro-follia (compreso quello legato ai fatidici swap).
Tanto, pensano, non acuirebbe (nell'immediato) la recessione: ovviamente, non si rammentano che se il risparmio viene "assottigliato", poi i consumi e gli investimenti crollano. E questo per i "gonzi" da spolpare. I "fuuuurbi" il conto corrente l'hanno già svuotato per l'estero.

Ma mi sa che gli elettori di "qualcuno" non sarebbero molto contenti di veder ripetere, in grande, moooolto grande, le gesta di Amato del 1992. E questo il leader indiscusso non se lo può certo permettere...

martedì 25 giugno 2013

IL 25 LUGLIO, I TAGLI SALVIFICI ALLA SPESA PUBBLICA E IL "MERAVIGLIOSO MONDO DI VON HAYEK"

(Nota preliminare: questo post sarà "lungo e doloroso", ma, se vi va, almeno avrete saputo fino in fondo cosa e come pensano "ufficialmente" nonchè come si formano le distorsioni dell'informazione PUD€.
Mettetevi comodi e indugiate pure leggendo, o "rileggendo", i vari links)

1. Il 25 luglio si avvicina ma l'Italia non riesce, proprio come in quella circostanza, a esprimere nulla che non sia una miope incomprensione delle cause che l'hanno portata all'attuale disastro.
Il quadro davanti a noi è sconfortante e c'è solo da scegliere sulle voci che testimoniano la più totale incomprensione delle radici della congiuntura; se dovessimo inseguirle tutte nel loro complesso, allo sconforto si aggiungerebbe un'opera di raccolta di "prove a carico" che francamente dovrebbe essere lasciata ad altre sedi. Ci limitiamo a tratteggiare un percorso esemplificativo ma non meno eloquente.
La crisi italiana è una crisi da domanda, innescata da un vincolo monetario che tra tassi di cambio reale e dottrina della banca centrale indipendente, ha cumulato i suoi effetti per anni, portando alla attuale incapacità italiana di reggere qualsiasi crisi esterna tra quelle che un mondo, complessivamente in mano al capitalismo finanziario, avrebbe inevitabilmente prodotto. Coinvolge tutta l'UEM, e con essa il mondo, perchè l'Italia non è il paesello che il PUD€ ci propina a reti unificate, terrorizzandoci con la storiella della "liretta" e altre oscene inesattezze.
Dobbiamo ancora dimostrare che è una crisi da domanda, che deriva dall'applicazione delle teorie monetariste e neo-classiche che sulla repressione della domanda, in termini di deflazione salariale e di banca centrale volta esclusivamente al controllo della stabilità dei prezzi, impera incontrastata (ormai solo) in Europa?
Fate voi, a me parrebbe persino eccessivo ritornarci sopra.
Abbiamo più volte analizzato come della domanda aggregata non solo la spesa pubblica sia una componente fondamentale, ma addirittura "centrale", per la sua capacità, unica, di attivare il moltiplicatore in funzione anti-ciclica. Molto più dei pretesi sgravi tributari che ci riportano..ad Haveelmo.
Ma sgolarci su questi elementari principi macroeconomici non servirà a molto se non si individuano le responsabilità di chi ha sbagliato marchianamente a non tenerne conto, e non li si estromette dalla gestione della politica economica e fiscale del Paese. Avendo tra l'altro, violato la Costituzione e l'obbligo di tutelarne i principi operativi che avevano assunto nell'assumere incarichi istituzionali di governo. 
Ma tutto questo, in uno "stato di alterazione" che ha ormai del paradossale, continua a sfuggire ai protagonisti della vita politica e mediatica italiana.
2. Partiamo da questo articolo della Stampa. Dove, in variegata (nelle sue possibili motivazioni ufficiali) ottica 25 luglio, ci si interroga. "E l'intero stato maggiore berlusconiano manifesta sorpresa che un fior di tecnico come Saccomanni non sia ancora riuscito a raschiare dal fondo del barile le coperture necessarie per scongiurare l'aumento Iva (2 miliardi nel 2013, 4 miliardi a regime). Quasi una briciola, protestano scandalizzati, a fronte di una spesa pubblica monstre: possibile che non se ne venga a capo?" Aggiungendo "«Saccomanni prenda personalmente in mano le leve», lo incalzano nel Pdl, «e soprattutto punti con decisione i piedi in Europa».
Dove il cerbero occhiuto da combattere, quello che ci vieta di sforare i conti o anche solo di provarci, viene additato nel direttore generale degli Affari Economici e Finanziari della Commissione europea, l'uomo che materialmente stila le raccomandazioni ai vari Paesi, dà o leva le patenti di affidabilità finanziaria. Germanico come Frau Merkel? Niente affatto.
È Marco Buti, italianissimo. Ma, se possibile, ancora più inflessibile di un tedesco. Gli viene rimproverato da destra (e anche un po' da sinistra) di essere troppo «europeo», insomma di non muovere un dito per la Patria in pericolo, diversamente dai super-funzionari francofoni e anglofoni.
Anzi, nel timore di non apparire equanime, di trattarci con una severità che sconfinerebbe nel sadismo... Per cui Saccomanni, sempre nella visione barricadera del Pdl, dovrebbe affrettarsi a mettere in riga Buti e tutti quelli che un profetico Giorgio Gaber, nel '73, già bollava come «i tecnocrati italiani».

3. Parrebbe scontato che si debba approfondire la figura di questo Buti. Ma in realtà, dando per acquisito che il "più Europa" e l'eurotecnocrazia non possono che agire in un modo, per evidenti limiti culturali e esigenze di autodifesa irreversibili, non entreremo, per ora, salvo qualche divertente precisazione in un altro post, nel bunker dell'euro-follia.
L'idea che invece è fonte di una incomprensione profonda del quadro cognitivo scientifico, e quindi l'ostacolo pratico politico-culturale di maggior rilievo, è riassunta in questo passaggio: "Quasi una briciola, protestano scandalizzati, a fronte di una spesa pubblica monstre".
Dal fronte "non piddino" del PUD€ questa idea approssimativa è reiterata ossessivamente di questi tempi.
E' l'idea, da noi più volte denunciata come inesatta, che si possa rilanciare la crescita finanziando sgravi fiscali attraverso il taglio della spesa pubblica. E Saccomani, ennesimo paradosso, mostrandosi cauto sul punto, finisce per essere, per ora beninteso, in una posizione più attendibile e razionale di quella sostenuta da coloro i quali non hanno proprio capito, con questi ennesimi accanimenti anti-spesa, la realtà della situazione e, più che altro, il bene dell'Italia.
4. Di questo diffuso e imprudente atteggiamento abbiamo testimonianza in questo altro articolo, dove tra le altre cose si afferma, rifacendosi a un noto studio di Giarda, abbondantemente qui citato, che dei 600 miliardi di spesa pubblica, il 45,3% è costituito dai costi di produzione dei servizi pubblici...
E qui già mi "casca l'asino" perchè lo studio, con grave inesattezza giuridica, e rifacendosi a criteri contabili che questi presupposti giuridici non possono nè ignorare nè scavalcare (esiste pur sempre il principio di riserva di legge e la distinzione sostanziale delle materie regolate dalla Costituzione), accomuna i servizi pubblici all'esercizio di pubbliche funzioni (pubblica sicurezza, istruzione, vigilanza sulla tutela del lavoro, potere repressivo fiscale, programmi e controlli sull'attività economica in funzione della dignità e della sicurezza umana, tutela ambientale, paesaggistica, archeologica), costituzionalmente obbligatorie   e che, per di più - anche in uno Stato minimo di tipo hayekkiano- già in sè, sfuggono alla possibilità di comparazione con non ipotizzabili servizi "privati".
Si prosegue asserendo poi, sempre nell'articolo linkato, "l'Istat ha elaborato anche una stima: se la dinamica dei costi pubblici e privati fosse stata la stessa, lo Stato avrebbe risparmiato ben 73 miliardi di euro...Questo è il formaggio nel quale si annidano i topi grandi e piccoli". Ora questa è una solenne "imprecisione"...
Ovviamente mi attendo che, come spesso capita, esca fuori qualche "livoroso" che si aggira pieno di iperconvinzioni a origine mediatica, senza mai in interrogarsi come certe idee siano finite nella sua testolina, per dire "voi dite e cercate di dimostrare che non è vero che la spesa pubblica non è tagliabile in questa misura, (premessa in genere implicita), ma (frase fatidica) non sono d'accordo...".
Ecco, quello che segue non è scritto per codesti soggetti: anzi vi annuncio che i "non sono d'accordo", che dopo aver letto un post si trincerano dietro il luogocomunismo presuntuoso e arrogante di chi crede che, a prescindere (da dati, leggi economiche la cui validazione è tragicamente sotto gli occhi di tutti, e, come vedremo, persino dalle stesse fonti utilizzate per accreditare il "luogo comune"), continuano a ignorare le effettive dinamiche della crisi italiana, saranno bannati...perchè non abbiamo più tempo da perdere e la situazione, putroppo, è troppo seria per stare dietro a loro.

5. Dunque Giarda.
Vediamo cosa ha veramente detto il suo studio sulla presunta possibilità di tagliare la spesa pubblica per "ben 73 miliardi", messi lì un pò genericamente senza riferimenti al periodo in cui ciò si è prodotto e senza attenzione alle parole utilizzate nello studio stesso:

"I tassi di crescita della spesa reale al netto degli interessi si presentano, nei sei decenni a partire dal 1951, su un trend fortemente decrescente. Il tasso di crescita medio di decennio è stato dell’8% negli anni Cinquanta e si gradatamente ridotto a poco più dell’1% all’anno negli ultimi venti anni.
La regolarità della correlazione tra crescita della spesa e crescita del PIL rilevata sui tassi di crescita decennali non ha immediato riscontro negli andamenti della crescita di breve periodo, anno su anno. Gli andamenti annuali nella crescita della spesa in termini reali sono influenzati da una serie di fattori, tra i quali i rinnovi dei contratti del pubblico impiego, il quadro economico internazionale, le calamità naturali, il ruolo della politica anti-ciclica e degli stabilizzatori automatici e, forse, anche i cicli elettorali
Per una prima verifica sulla questione se la relazione tra crescita della spesa e crescita del reddito possa considerarsi una relazione stabile nel tempo, sono costruite le figure 2 e 3 che mettono in relazione il tasso di crescita medio triennale della spesa pubblica in termini reali con l’analogo tasso di crescita del reddito, separatamente per i due periodi dal 1954 al 1989 e dal 1990 al 2010.
Dall’ispezione delle due figure e da semplici indicatori statistici si rileva che nel primo periodo la relazione tra crescita della spesa e crescita del reddito è più precisa e più forte dell’analoga relazione per il secondo periodo. Nel primo periodo prevale un trend autonomo, non spiegato, di crescita della spesa pari al 3,14% all’anno che prescinde dall’andamento del reddito, mentre nel secondo periodo tale trend autonomo è pari solo all’1,16% all’anno
."


6. In realtà ciò che viene descritto è che, proprio perchè c'è il moltiplicatore, il taglio dei volumi assoluti della spesa, registrato nella seconda fase (era post divorzio&Maastricht)  determina una crescita minore del PIL: si entra nell'era degli avanzi primari e dell'output-gap, la crescita si indebolisce e diviene sempre più difficile che la sua percentuale in relazione al PIL sia decrescente nonostante i tagli, dato che, come per il debito, il denominatore del rapporto cala nella sua tendenza o cala in termini assoluti, cioè si ha recessione.
Ciò che è confermato, anche se Giarda tralascia del tutto questa analisi (e c'era da aspettarselo!), dai passaggi successivi:

"Inoltre, nel primo periodo è più forte il collegamento tra crescita del reddito e crescita della spesa rispetto al secondo: il coefficiente che lega le due variabili nel primo periodo indica che per ogni punto percentuale di crescita del reddito reale si ha una crescita della spesa pari allo 0,75%; nel secondo periodo tale risposta è pari solo allo 0,34%. In entrambi i periodi la spesa pubblica cresce più rapidamente del reddito, sia per la componente autonoma che per la componente di dipendenza funzionale.
L’evidente correlazione tra i tassi di crescita della spesa pubblica e del PIL, pone la grande questione se si possa definire un rapporto di causalità o di dipendenza funzionale del primo rispetto al secondo e se, e in che misura, l’andamento dei due tassi di crescita possa essere analizzato in congiunzione con i fatti e le idee che hanno caratterizzato la storia del nostro paese...
I tentativi di definire i fattori che influenzano la crescita della spesa pubblica nel tempo – e quindi spiegarne le ragioni – non hanno mai avuto troppo successo. Le spiegazioni originarie – riconducibili alle proposizioni di un famoso economista della scuola storica tedesca del 19° secolo (A. Wagner, 1882) – fanno riferimento alla relazione spesa pubblica-reddito, argomentando le ragioni per le quali la spesa pubblica sarebbe destinata, per sua natura, a crescere più rapidamente del reddito prodotto.
Le ragioni per questo esito si ritrovano nelle due ipotesi di un’elasticità della domanda di beni pubblici superiore all’unità e di una crescente costosità relativa dei beni destinati a costituire i consumi collettivi rispetto ai beni di consumo privato.

Sul primo aspetto, si osserva che la spesa complessiva, variamente classificata nelle sue componenti, può dipendere dall’andamento di variabili economiche, demografiche e sociali (e quindi da variabili che coinvolgono la diminuzione della domanda stessa, vincolata sotto il profilo valutario e...della spesa pubblica, e conseguentemente aumento della disoccupazione-sottoccupazione, ma anche di invecchiamento della popolazione e introduzione di diversi standards ambientali, dovuta al congestionamento e alla pressione antropica-produttiva, ndr.) che possono presentare, in determinati periodi storici, dinamiche più accelerate della dinamica del reddito reale.
A ciò si aggiunga che la crescita della spesa è strettamente legata all’andamento del gettito: la struttura del sistema tributario può generare, per esempio via di progressività, una dinamica di gettito pure superiore alla crescita dell’economia. Un’elasticità della spesa pubblica rispetto al reddito superiore all’unità non è sempre necessariamente il risultato di preferenze orientate a favorire i consumi collettivi"
Ma guarda un pò! E dire che dopo parlano pure degli stabilizzatori automatici e della crescita della durata della vita, correlata al sistema pensionistico e alla "sanità"...a tutto detrimento dell'istruzione, ma non per un motivo ineluttabile, no certo, quanto per l'irrompere dei vincoli di bilancio, all'indebitamento e al debito complessivo, affidati alla efficiente solerzia dei mercati alla ricerca di rendimenti, niente meno!NDR.

"Sul secondo aspetto, sono note le proposizioni di W.Baumol (1965), che sottolineano il carattere peculiare dei processi di produzione pubblica, la loro forte dipendenza dal fattore lavoro e l’associato basso grado di progresso tecnico; in unione con politiche retributive nel pubblico impiego che legano le retribuzioni pubbliche all’andamento delle retribuzioni del settore privato, ne deriva un bias strutturale per costi di produzione nel settore pubblico che crescono strutturalmente più rapidamente dei costi di produzione dei beni privati..."
Qui si travalica in una affermazione un pò paradossale, dato che la presunta "innovazione tecnologica" e gli investimenti sull'organizzazione pubblica risultano piuttosto...azzerati - come viene ammesso in altra parte dello studio stesso-, e non esiste alcuna riprova empirica di quanto potesse essere ancora attuale la tesi di Baumol formulata in era pre-digitale e, certamente, senza considerare che uno Stao potesse per decenni bloccare le assunzioni di nuove professionalità necessarie!

7. "Nei tempi più recenti si è evidenziato il condizionamento della dinamica dei tassi d’interesse sulla spesa per interessi, legato all’accumularsi dei disavanzi nel tempo e alla separazione della sovranità monetaria dalla sovranità fiscale. Si è anche sottolineato il ruolo principale-agente, ovvero il peso che nelle decisioni politiche sulla spesa pubblica è venuta ad assumere la lettura che gli organi politici danno delle preferenze dei loro elettori. Si aggiunga infine il peso crescente che gli obiettivi redistributivi – spesso mal posti – sono venuti ad assumere nella coscienza collettiva e nella lettura che di essi viene data dal sistema politico.
In altre parole, le spiegazioni della crescita della spesa pubblica sono una sorta di
nightmare
dal punto di vista teorico e, forse peggio ancora, dal punto di vista della verifica empirica....La struttura demografica, economica e sociale dell’Italia è profondamente mutata nel corso degli ultimi 60 anni.
Ci si può interrogare se i mutamenti intercorsi nel periodo siano sufficienti per giustificare la triplicazione della quota della spesa pensionistica nella spesa complessiva. La dinamica dei numeri indurrebbe a qualche riflessione da farsi in altra sede. La spesa per le pensioni è stata ripetutamente influenzata da decisioni politiche nel corso dei sessant’anni che consideriamo: in una prima fase con l’estensione dei benefici a categorie che non avevano mai contribuito al prelievo previdenziale, con età di pensionamento molto basse e con la definizione di regole molto generose di crescita delle prestazioni; in una fase successiva, con interventi diretti a rimuovere gli istituti più aggressivi e anomali che determinavano la crescita della spesa, infine con la riforma del 1995 e le successive sue integrazioni. Nel corso degli anni Ottanta l’incidenza della spesa per consumi pubblici sul totale della spesa – che era stata in progressiva riduzione nel periodo dal 1951 al 1980 – è rimasta sostanzialmente invariata. Nello stesso periodo, si sono però verificati importanti cambiamenti nella sua struttura interna: alcune delle funzioni di spesa hanno visto aumentare in modo significativo il loro peso e altre lo hanno visto ridursi in misura corrispondente.
La Tabella 4 evidenzia i principali cambiamenti occorsi nel periodo: Spiccano per l’entità delle variazioni l’aumento della quota della spesa sanitaria e delle spese per servizi generali, che passano dal 42,0% nel 1980 al 44,8% nel 2000, al 47,6% del totale nel 2009 e, d’altro lato, la riduzione della quota della spesa per l’istruzione che scende dal 25,7% nel 1980 al 22,5% nel 2000, al 20,0% del totale nel 2009.
Per le altre funzioni, si osserva un aumento della quota delle spese per la protezione dell’ambiente che accompagna la riduzione delle quote delle spese per la difesa (dal 7,1% al 6,9%, peraltro in ripresa dal 2000 anno nel quale era scesa fino al 5,9% del totale), per l’ordine pubblico, sicurezza e giustizia (che mostrano un andamento in crescita passando dal 9,0% al 10,3% nel 2000, per poi scendere all’8,7% nel 2009) e per gli affari economici (in lenta e graduale discesa dal 7,3% nel 1980 al 6,7% nel 2009). Il cambiamento nella struttura della spesa per consumi collettivi, con la crescita della quota della spesa sanitaria e la corrispondente riduzione della quota della spesa per l’istruzione, è stato molto significativo
."
8. MA ECCO IL PASSAGIO CRUCIALE CHE GLI "ITALIAN TEA PARTY" NON HANNO BEN "INTERIORIZZATO":
"C’è qualche evidenza di questi fenomeni nella storia della spesa pubblica italiana? Misurare la costosità relativa dei consumi collettivi rispetto ai consumi privati è ambizione di tutti i sistemi statistici, anche se si tratta di una ambizione non facile da realizzare perché dei servizi collettivi si conoscono le spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche, ma si hanno solo informazioni limitate sul volume fisico dei beni prodotti con quelle spese: nell’istruzione si conosce il numero degli studenti, ma non quanto è aumentato il valore del capitale umano; nella sanità si conosce il numero degli assistiti, ma non il valore della vita salvata; nella giustizia e nella sicurezza si conosce il numero dei giudicati o dei tutelati, ma poco di più.
Difficoltà di computo a parte, l’ISTAT annualmente rileva l’importo dei consumi collettivi a prezzi correnti e stima i loro valori a prezzi costanti; il rapporto tra le due serie definisce il deflatore, ovvero l’indice di prezzo dei beni di consumo collettivo, che trasforma i valori di spesa monetaria in valori di produzione. Tale indice di prezzo può essere messo a confronto, nella sua dinamica, con l’indice dei prezzi dei beni di consumo privati. Il rapporto tra le due grandezze definisce l’indice di costosità relativa
.
E POI,  ECCO CHE ARRIVA LA PRECISAZIONE DEL VALORE OPERATIVO, CONSEQUENZIALE A QUANTO EVIDENZIATO DALLO STESSO STUDIO NEL PASSO APPENA RIPORTATO, DEL FAMOSO CALCOLO ISTAT DI COMPARAZIONE:
"Ponendoci una domanda che non ha un grande contenuto operativo, ma che stimola qualche riflessione per la Parte II di questo lavoro, ci si può interrogare: "se i prezzi dei beni di consumo collettivo (i deflatori costruiti dall’ISTAT ai fini della costruzione dei quadri di contabilità nazionale a prezzi costanti) fossero cresciuti negli ultimi 40 anni con la stessa velocità dei prezzi dei beni di consumo privati (come rilevati dall’ISTAT), quale sarebbe stata la spesa per i beni di consumo collettivo prodotti nel 2010 ?" La risposta a questa domanda è molto agevole dal punto di vista numerico ed è la seguente: "la spesa per consumi collettivi nel 2010 sarebbe risultata pari a 236,5 miliardi di euro, contro l’importo di 328,6 miliardi rilevato per le spese effettivamente sostenute, con una differenza in meno di 92,1 miliardi di euro". L’esercizio ha natura forse paradossale, però aiuta a riflettere sulle condizioni di offerta dei beni di consumo collettivo che il settore pubblico produce o acquista per metterli a disposizione del cittadino.
I processi produttivi di oggi sono non radicalmente dissimili da quelli di 60 anni fa: si caratterizzano per assenza di innovazione, per essere regolati, nel bene e nel male, soprattutto dal diritto amministrativo e per la presenza di politiche retributive che, in quanto legate soprattutto, se non esclusivamente, alla dinamica dei salari nel settore privato, sono svincolate da ogni considerazione dei risultati ottenuti e dei guadagni di efficienza e produttività."

venerdì 21 giugno 2013

LO SCENARIO BANCARIO (FRATTALICO) INTERNAZIONALE, LA FED E L' "AMICIZIA" DELLA GERMANIA: LA MORAL "HAZARDED" GEOPOLITICA

Questo contributo nasce dalla mitica collaborazione di Flavio e si è trasformato in una sorta di post "a quattro mani". Probabilmente non è che la cronaca delle avvisaglie della crisi USA-Germania che si svilupperà nei prossimi mesi.
Lo "spirito" di questa congiutura internazionale, senz'altro "eccezionale", che stiamo vivendo può essere già racchiuso, come chiave di lettura del post, in queste parole di Bibow (più sotto linkato):
From a global perspective, not only is Euroland shamelessly freeloading on external growth to offset suffocation of domestic demand through mindless area-wide austerity (see Figure 19), but adding insult to injury, Euroland is also hijacking the IMF as global sponsor in backstopping the EFSF/ESM (European Stability Mechanism) “firewall” for its purely homemade internal crisis. German mercantilism had given rise to regional imbalances and global tensions in the pre-EMU past.
The euro has multiplied Germany’s weight—and the gravity of German policy views—in the global economy. Effectively, Germany, the world champion of moral hazard talk, is holding the world community hostage to a “too big to fail” global risk “made in Germany” today: arising as the potentially lethal mix of a dysfunctional monetary union paired with the economic consequences of Germany’s denial of her euro trilemma. It is one thing that, by freeloading on external growth, Euroland is reneging on its commitments to the G-20 process of global rebalancing. It is quite another for Euroland to create the world’s foremost threat to stability by self-inflicted folly and to not even be ashamed of “marshalling support from countries that are either more fiscally challenged or a lot poorer than the eurozone itself” to bail it out (Bibow 2012b).”.

Persino La Repubblica inizia ad accorgersene (registrando il tutto con una algida equidistanza, senza capire i risvolti potenzialmente favorevoli alla nostra dignità di democrazia, una volta, almeno formalmente indipendente di gestire i propri interessi sociali ed economici; anche se c'è chi ancora crede che la Nato sia un problema di sovranità limitata più urgente del fiscal compact o dell'ESM, ancora ignorando il significato del pareggio di bilancio imposto "esogenamente" nella nostra Costituzione). E così commentava la visita di Obama a Berlino:
"Il clima resta amichevole, ma la freddezza lo rende sempre più irriconoscibile, ogni anno che passa. Quando ieri il capo della Casa Bianca ha affermato che «per l'eurozona non c'è una soluzione unica», ha trovato in Merkel orecchie fredde, quasi ostili: quel giardino di casa è tedesco, non americano. Il pretesto per la loro svolta a 180 gradi, i leader tedeschi lo usano sfacciati: l'America comunque guarda più verso l'Asia, affermano.
È con la Cina che Volkswagen, Siemens, i responsabili di Istruzione e ricerca scientifica firmano le intese più importanti a raffica. La conclusione del settimanale di Amburgo (Sueddeutsche Zeitung, ndr.) non lascia dubbi: «I tempi in cui Usa e Germania si sentivano legati da una comunità di destino e sorpassavano piccoli disaccordi appartengono ormai al passato»."
Qualche mese fa, nell'ambito di questa analisi, avevamo ricordato:
"...la Germania ha radicalmente riconsiderato il proprio posizionamento strategico, avvicinandosi ai nuovi centri di gravità del pianeta – i BRICS – che stanno trasferendo l’asse della crescita mondiale dall’Atlantico all’Oceano Indiano e al Pacifico, aprendo prospettive nuove e profondamente rivoluzionarie per l’intero continente europeo. Qualora la Germania si cimentasse seriamente nel tentativo di trainare l’Europa sul solco tracciato da Berlino, potrebbe ipoteticamente prendere forma uno dei pericoli contro cui Zbigniew Brzezinski ha ostinatamente messo in guardia gli Stati Uniti. «Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi – scrive Brzezinski – , i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale statunitense sono impedire la collusione e mantenere la dipendenza della sicurezza tra i vassalli, tenere i tributari deboli e protetti, e impedire ai barbari di unirsi». Una “unione dei barbari” che potrebbe comportare significative “discontinuità” negli scenari futuri."

Ora, in questo quadro molto attuale, che si proietta anche sullo scenario cooperativo con i partners europei che gli USA vorrebbero mantenere rispetto alla crisi in Medio-oriente, (dove rischia fortemente di acuirsi una riedizione della contrapposizione con la Russia), le mosse geopolitiche della Germania si sommano ad un atteggiamento conflittuale del suo sistema bancario con le autorità finanziarie USA.
La cosa è aggravata dal fatto che, dell'istituto principale protagonista di questa frizione ormai esasperata, cioè la "solita" Deutschebank, lo Stato federale è ormai un azionista non di secondo piano (nell'ambito di una sostanziale compartecipazione su Deutsche-Postbank, operazione che ha dato vita all'acquisizione statale della partecipazione). Così come, anche a seguito del noto salvataggio di Hypo Real Estate, lo Stato tedesco è il crescente azionista di sistema dell'intero sistema bancario (v. Commerzbank, KFW, equivalente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, e centinaia di altri istituti bancari di livello locale).
La conflittualità, ormai chiaramente intrecciata, tra USA-Germania-membri UEM (specie PIGS) non è estranea a questo ruolo dello Stato federale, interessato alla copertura delle relative "colossali" magagne di bilancio, e conferma come il terreno finanziario sia quello dove oggi si esplicano i conflitti tra "aree economiche", pur sempre nazionali, anche se dissimulate, nel caso dell'UEM, sotto le vesti dell'ipocrita sogno internazionalista europeo.
Le "torsioni" geopolitiche tedesche sono quindi l'altra faccia della medaglia dello scontro bancario mondiale: la Germania "esporta" l'instabilità finanziaria mediante una condotta bancaria spregiudicata e spesso poco accorta, ma finchè si rimane in UEM, la fa pagare ai partners commerciali, su cui esercita ormai una ferrea "presa" (col "tallone"), ma poi negli USA il discorso cambia e si assomma alla strategia del Drang Nach Ost commercial-finanziaria.
Ed è qui, col suo eloquente significato di contrapposizione accelerata praticamente su...tutto, che si colloca la questione Fed-Deutschebank, su cui ci dà lumi l'analisi di Flavio.

Prendiamo spunto dai due commenti di Paolo Giusti  e Matteo Di Felice per porci due ottimi quesiti in chiave “frattalica”. Paolo si chiede: c’è già stata, a livello globale, una Casablanca come nella Seconda Guerra Mondiale? Marco invece sottolinea: oh, Deutsche Bank è “orribilmente sottocapitalizzata” ?
Cercheremo di essere veloci, chiari e concisi e tenteremo di saldare insieme le due cose. Perdonate le sbrigatività ma, di questi tempi, alle volte essa sembra essere davvero tutto. Innanzitutto partiamo dall'interessante articolo di Mauro Bottarelli, che utilizza la fonte Zerohedge  per inquadrare bene come e dove “stiamo andando”. Il suo ottimo articolo dà un quadro generale della situazione che si sta delineando nell’attuale contesto economico mondiale, soprattutto nella parte finale dove si dice chiaro e tondo una cosa: come durante il primo dopoguerra, dove sussidiando la macchina bellica nazista diede il via all’escalation che portò al secondo conflitto mondiale, anche al giorno d’oggi il modello finanziario tedesco è messo sotto accusa, per la sua spregiudicatezza e per l’idiosincrasia recondita a qualsivoglia forma di controllo, sia da parte dell’amministrazione americana che, soprattutto, dagli organi di controllo federali statunitensi: v. http://dealbook.nytimes.com/2013/01/31/deutsche-banks-lonely-fight-with-the-fed/ . Perché? Cosa c’è dietro questa amicizia di facciata, dimostrata all’ultimo G8 nonostante le frecciatine di Obama alla Merkel sulla fine dell’austerità, che sotto le ceneri nasconde invece un crescente nervosismo fra la classe dirigente americana e la cancelleria tedesca?

Il soggetto della nostra discussione è, come già accaduto, Deutsche Bank. Dobbiamo quindi aver ben presente cosa abbiamo già riportato su questo blog in merito a tale argomento  e come essa si muova nel contesto europeo e mondiale. Sappiamo bene d’essere di fronte ad un colosso finanziario globale. Ma, per illustrare al meglio la situazione paradossale in cui ci troviamo, cerchiamo di partire dal principio. Tutto, o quasi, ha inizio all’indomani del collasso della Lehman Brothers del 2008.
Negli USA il debito privato esplode dopo decenni di redditi in caduta libera, cioè un frutto liberista che oggi essi stessi trovano sempre più avvelenato, i mutuatari subprime non riescono più a far fronte alle rate dei loro mutui, le banche si ritrovano con crediti inesigibili e case invendibili, il sistema finanziario americano (e non) collassa.
La FED si vede costretta ad intervenire e mette sul piatto tutte le risorse disponibili per evitare il peggio, cercando di salvare tutti, o quasi, gli istituti più importanti, nazionali e stranieri. Diviene quello che potremmo definire  the global lender of last resort” . Come avviene ciò? La Fed seleziona quattordici banche centrali straniere e garantisce loro linee di swap in dollari con lo scopo di fornire liquidità (in dollari) alle banche con controllate sotto giurisdizione estera (statunitense), inoltre presta soldi direttamente alle filiali americane delle banche europee facenti parte della Federal Reserve System per garantire loro tutta la liquidità necessaria ad evitare il peggio.
La BCE riceve fondi nella misura dell’80% elargito alle 14 BC estere selezionate dalla FED mentre le banche inglesi e tedesche assorbono rispettivamente il 27% ed il 24% dei fondi prestati alle sussidiarie straniere.

Perché la FED ha agito in tal modo? Per preservare l’integrità finanziaria statunitense (e globale) all’indomani del collasso Lehman “salvando” le banche estere su cui le banche americane stesse erano più esposte (cfr. pag. 14 primo .pdf). La Fed ha concesso prestiti di ultima istanza alle banche straniere poichè hanno sperimentato gravi carenze di fondi in dollari dopo che i mercati interbancari a breve termine si erano di fatto congelati nell’ottobre 2008. Queste carenze di dollari sono state una conseguenza diretta della crescita esplosiva delle attività bancarie transfrontaliere dopo il 1999.
Le banche estere, in particolare quelle europee, hanno cominciato ad accumulare grandi quantità di attività denominate in dollari, tra cui titoli garantiti da ipoteca (MBS), tramite il sistema bancario “ombra”, raggiungendo il picco di oltre 10.000 miliardi dollari poco prima della crisi, un importo pari al totale degli attivi del settore bancario commerciale degli Stati Uniti. Le banche estere finanziavano i loro subprime assets, tutti di lungo periodo, con sul breve via swap, sul mercato monetario o acquistando valuta nazionale americana. Nell’ottobre 2008, con l’interbancario congelato, non avevano di fatto più fondi per poter rinnovare le loro posizioni.
E’ qui che la Fed ha agito da prestatore di ultima istanza globale, garantendo attraverso le linee di swap dollari alle banche centrali selezionate, girati poi agli istituti richiedenti, oppure garantendo accesso diretto ai prestiti alle sussidiarie straniere operanti sul suolo americano secondo quanto affermato nel Federal Reserve Act del 1913, secondo cui la FED ha la responsabilità di impostare la politica monetaria e garantire la stabilità dei mercati finanziari.

Parliamo di una cifra vicina ai 30mila miliardi di dollari di cui le banche straniere (e loro controllate) furono le maggiori beneficiarie. Diamo un po’ di numeri: 77,5 i miliardi sul totale dei 110,5 totali prestati al picco delle richieste nell’ottobre 2008 agli istituti “stranieri”; 290 e 287 i miliardi, con acquisto di MBS, elargiti rispettivamente a Deutsche Bank e Credit Suisse; il picco di debiti, come paese, nei confronti della FED da parte di UK e Germania, rispettivamente di 355 e 325 miliardi di dollari. Non male!!!

A tali cifre aggiungiamoci l’oramai tristemente famoso affare Taunus Corp., controllata americana della Deutsche Bank, che a fronte di assets pari a 396 miliardi di dollari aveva un patrimonio netto passivo di 1400 miliardi (cioè le sue passività erano maggiori delle sue attività), salvata con ben 66 miliardi di dollari dalla FEDNY nel 2008. Oltre a ciò aggiungiamoci pure gli 11,8 miliardi per il salvataggio della AIG, che direttamente ha beneficiato sia la Deutsche Bank che la Taunus. Leggendo quanto affermano Simon Johnson e Mark Jarsulic sul blog del New York Times la questione diventa più chiara:
“Gran parte delle sue (della Taunus Corp.) passività, all’incirca 294mld di dollari, consisteva in indebitamento a breve in dollari… attraverso depositi non assicurati, repo, ecc… Non è chiaro di quanto aiuto la controllante (Deutsche Bank ndr.) avrebbe dovuto o voluto fornire alla sottocapitalizzata Taunus. Ma il governo degli Stati Uniti non ha scelto di scoprirlo, perché il fallimento accompagnato da vendite forzate di centinaia di miliardi di dollari in attività denominate in dollari avrebbe potuto produrre un altro scivolone in stile Lehman… la Federal Reserve è intervenuta per sostituire i creditori a breve termine che hanno scelto di mollare Taunus. L’Indebitamento della Taunus - attraverso la finestra di sconto, la Term Auction Facility, la Primary Dealer Credit Facility, la Term Securities Lending Facility, Single-Tranche Open Market Operations raggiunse i 66 miliardi dollari nel mese di ottobre 2008. La Federal Reserve ha anche iniziato enormi currency swap con la Banca centrale europea, rendendo possibile per la Deutsche Bank scambiare euro per dollari e soddisfare le esigenze di finanziamento in dollari di Taunus ... Deutsche Bank (e indirettamente Taunus) è stata fortemente favorita dalla decisione da parte della Fed e del Tesoro di attuare il salvataggio del gigante assicurativo AIG per cui Deutsche Bank ha ricevuto 11,8 miliardi dollari (quali pagamenti relativi ai CDS AIG e a prestiti che altrimenti non sarebbero stati saldati). Taunus ha ricevuto questo aiuto da parte del governo degli Stati Uniti perché il suo fallimento avrebbe intensificato una situazione finanziaria già caoticala Federal Reserve sapeva che, una volta passata la tempesta, le attività del Taunus sarebbero state sufficienti a ripagare i suoi creditori. Ma i dati contabili dicevano ben altro, e non è stato possibile per la Fed o chiunque altro poter stimare i valori fondamentali delle attività situate nelle 180 e più filiali Taunus. Taunus ha ottenuto il sostegno del governo Stati Uniti perché era semplicemente troppo grande e troppo intrecciata con il sistema finanziario americano per poter fallire.”.
Detto in parole povere, la FED ha praticamente salvato la Taunus Corp., la Deutsche Bank e la Germania stessa. Pazzia? Vogliamo dare uno sguardo all’esposizione sui derivati della DB  o ai suoi “fondamentali” ? Praticamente la DB sembra avere i tratti “somatici” di una dead bank walking. Vogliamo immaginare cosa succerebbe se passasse una nuova legislazione che ricalcasse ed implementasse il Glass Steagall Act  entrato in vigore negli anni ’30 ed abolito dall’amministrazione Clinton? Possiamo dire che DB si troverebbe tutto a un tratto fallita? Non siamo molto lontani dalla realtà.

Eppure, nonostante tutto ciò ed i grossi rischi corsi in passato, lontano dai nostri sguardi, Deutsche Bank non ha perso la sua voglia di business, dimenticandosi alla grande dei “piccoli” problemi causati a livello globale (http://www.bloomberg.com/news/2013-05-21/deutsche-bank-seeks-to-avoid-law-suits-with-board-changes.html). Lasciando da parte i presunti scandali di sessismo, dalle parti di Francoforte ci sono problemi con:
- cause intentate dall’amministrazione metropolitana di L.A. per l’acquisto di oltre 2.200 case lasciate poi andare in rovina nei bassifondi della città http://www.bloomberg.com/news/2013-06-18/deutsche-bank-settles-los-angeles-slumlord-lawsuit.htm;
- Le autorità di regolamentazione bancaria americana: Deutsche Bank e altre banche estere con importanti controllate negli Stati Uniti sono sotto la lente della FED, che tenta di costringerle a soddisfare gli standard di capitale locali causando, a detta loro, maggior propensione al fallimento.La Fed richiede infatti che tali banche stabiliscano delle holding intermedie a capo delle loro filiali statunitensi, come indicato dal Dodd-Frank Act del 2010.
Alla pari delle banche degli Stati Uniti, tali holding dovrebbero soddisfare gli standard di capitale e sottostare agli stress test a cui verrebbero sottoposte. La regola entrerebbe in vigore 1 luglio 2015 e, viste le esposizioni e le scarne capitalizzazioni degli istituti tedeschi, danno il mal di testa a DB e soci visto che per la sola Taunus mancherebbero ben 12 miliardi di euro; 
- la rabbia degli azionisti a cui è stato chiesto di partecipare ad un aumento di capitale di 2,8 miliardi tre mesi dopo che l’attuale amministratore delegato Anshu Jain aveva detto che tale operazione non era nel loro interesse: http://www.bloomberg.com/news/2013-05-23/jain-halts-speech-as-deutsche-bank-protestors-vent-anger.html;
- i problemi per soddisfare i parametri di Basilea III http://www.bloomberg.com/news/2013-05-21/deutsche-bank-cut-by-jpmorgan-on-concern-over-capital.html e la relativa sottocapitalizzazione.
Bottarelli al termine del suo articolo si chiede quali siano le cause di questo attacco a Deutsche Bank e, di conseguenza, al sistema finanziario tedesco. Difficile capirlo. Ma i fatti parlano chiaro. Vista l’abnorme esposizione di Deutsche Bank e delle sue controllate, gli Stati Uniti stanno chiedendo una massiccia ricapitalizzazione e controlli sugli operati delle banche. Un po’ come accade in UE dove si vorrebbe l’Unione bancaria che è vista dalla BuBa di Weidmann come fumo negli occhi. Dare il via a tali controlli significherebbe aprire il vaso di pandora delle omissioni dell’istituto di Francoforte proprio mentre i tedeschi impongono manovre lacrime e sangue per rientrare dai loro crediti al consumo sparsi in tutta Europa.
Gli Usa hanno praticamente salvato le terga della Germania all’indomani dello scoppio del bubbone Lehman, ed ora pretendono, a ragione o torto non sta a noi dirlo, di poter in qualche modo avere voce in capitolo anche nelle questioni dell’Eurozona.
Se non altro assistiamo a una pressione  USA anti-austerity, che non passa certo, come da certi commentatori italiani si vorrebbe indurre, per la richiesta all'Italia di riforme strutturali che involgano, in questa fase, drastici tagli della spesa pubblica (si invocano 73 miliardi di tagli, senza sapere bene quale sia l'attendibilità del calcolo effettuato dall'Istat rispetto alla variazione comparata dei costi e senza sapere bene quali siano i volumi del bilancio statale su cui operare la comparazione: ma sul punto torneremo prossimamente). Gli USA, col fiscal cliff, stanno sperimentando senza obre di dubbio, da parte loro, quali siano gli effetti di tagli alla spesa come più "violenta" misura PRO-ciclica e non vogliono certo contrraddirsi chiedendo a noi di peggiorare le cose (a parte la fattibilità contabile-finanziaria della misura e la sua dimensione in base a criteri tecnicamente corretti).
Che lo vogliamo ammettere o no, gli studi citati, fra cui anche Bibow  (v.introduzione) indicano una cosa chiara: la crisi viene si dal settore finanziario, ma a spingere sull’acceleratore dopo la Dot.Com Bubble del 2000 (e qui un succoso risvolto reso noto da Richard Koo di Nomura: http://www.businessinsider.com/richard-koo-the-entire-crisis-in-europe-started-with-a-big-ecb-bailout-of-germany-2012-6, traetene voi le conseguenze), preludio dell’attuale recessione in corso, sono state le banche europee e le loro controllate in terra statunitense.
Ora, le suicide politiche di austerità stanno tagliando l’erba della ripresa sotto i piedi dell’amministrazione Obama, mentre in ambito finanziario le frizioni molto ampie all’interno del contesto delle regolamentazioni bruciano le relazioni fra SEC-FED e BuBa. La deindustrializzazione in atto in UEM e la contemporanea frenata della Cina, allontanano sia la speranza di una ripresa globale sia il miraggio di una possibile ripresa degli scambi proficua tra Eurozona e Stati Uniti. Il messaggio sembra essere chiaro: ragazzi, il tempo è agli sgoccioli, vi abbiamo già salvato le chiappe una volta, non ci sembra il caso che vi rimettiate nei guai. E’ da capire ora fino a quando la Germania avrà il coraggio di giocare col fuoco e quale sarà:
a)      la nuova Casablanca
b)      chi sarà il ventre molle da colpire.
La Germania ha, nei fatti, un conto in sospeso con gli USA ma le politiche di austerità e la riottosità ai controlli finanziari sembrano essere il modo migliore per tentare di non onorarlo.
Di certo il "gioco" della Germania, che mira ad accentuare la propria veste di global player, spostandosi a Oriente per allacciare rapporti privilegiati con Cina e Russia, con ciò mirando a svincolare l'intero sistema commerciale mondiale dall'influenzamento del dollaro, e tirandosi indietro rispetto agli interventi strategici USA nelle varie aree del mondo (giunti probabilmente agli sgoccioli, vista la crescente autonomia energetica che l'America sta raggiungendo), è qualcosa di più di un "moral hazard" finanziario.