Facendo seguito al post precedente, pubblichiamo anche l'intervento del prof.Antonio Maria Rinaldi, preparato in vista del medesimo convegno.
Sia l'intervento riportato in precedenza, sia quello oggetto del post di oggi, sono contestualmente rinvenibili sul sito di Riscossa Italiana.
Insieme ad essi, sul sito stesso, potete trovare lo studio di Luciano Barra Caracciolo "Proposte emendative per il ripristino della piena legalita' costituzionale".
Si tratta di una monografia che consente di riassumere tutte le principali problematiche relative alla illecita "sospensione" dei principi fondamentali della Costituzione, ad opera dell'interferenza, contraria agli art.11 e 139 Cost, operata dai trattati europei e dall'adozione della moneta unica.
Lo studio è corredato dalla formulazione di ipotesi emendative della Costituzione stessa che consentono di riaffermarne la piena vigenza e di riprendere il cammino di attuazione della democrazia partecipata da essa prevista.
Si tratta, insomma, di avere il quadro chiaro e operativo della "Costituzione di cui l'Italia ha bisogno"
INTERVENTO CONVEGNO DI NAPOLI 11.7.14
Antonio Maria Rinaldi
Da molto tempo ormai è stato issato un “muro di gomma” e di complice
omertà a difesa dell’attuale costruzione monetaria europea, considerata come
unica panacea per risolvere ogni problema che affligge il nostro Paese e in più
in generale la profonda crisi d’identità del Vecchio continente. Si cerca di
sovrapporre l’Europa e l’aggregazione monetaria come un tutt’uno, mentre sono
due concetti in questo momento in contrasto, in quanto, se problemi sussistono,
sono proprio esclusivamente a carico della moneta unica. Nel nostro Paese è
totalmente mancato un dibattito costruttivo sulla tematica a differenza degli
altri in cui tutte le forze si sono confrontate da tempo.
Il vincolo esterno, che nelle intenzioni dei costruttori di Maastricht
avrebbe dovuto rappresentare la massima garanzia per la crescita delle economie
europee, si è ben presto rivelato un cappio al collo per gran parte di esse,
avendo introdotto regole anacronistiche a beneficio di pochi e a discapito di
molti. Il modello economico di riferimento su cui è stato costruito l’euro,
ponendo come unico dogma la stabilità dei prezzi e il rigore dei conti come
presupposto per la crescita stessa, si è ben presto rivelato di fatto un metodo
esclusivo di governo sovranazionale, travalicando e surrogando quelli
democraticamente previsti e legittimati dal suffragio universale. E’ stato
violato lo stesso concetto di democrazia, estraniando non solo i rispettivi
Parlamenti e Governi nazionali da qualsiasi potere decisionale, ma
interrompendo quell’essenziale legame imprescindibile e non negoziabile che
lega i cittadini alle Istituzioni democraticamente elette. In questo momento,
per come si sta utilizzando la democrazia, siamo subendo la più subdola delle
dittature! Si, siamo in piena dittatura economica.
Le rispettive economie nazionali non hanno più potuto mettere in atto
politiche economiche perfettamente tarate per le proprie caratteristiche ed
esigenze di crescita e tutto è stato demandato ad un sistema oligarchico
autoreferenziale che ha utilizzato i propri poteri a scapito del bene
comune. Sono stati attivati dei “piloti
automatici” per il sostentamento della costruzione monetaria esclusivamente al
fine di salvaguardare il sistema finanziario e non certo a vantaggio del
sistema delle imprese e delle famiglie.
L’attuale dissennata conduzione per il sostentamento e la sopravvivenza
stessa dell’area valutaria comune, porterà inevitabilmente al disastro e
l’unica via d’uscita possibile è nel ridisegnare profondamente questa
impostazione poiché in palese contrasto con qualsiasi elementare principio
economico di crescita nella stragrande maggioranza dei paesi membri, anche a
costo di ritornare ciascuno sui propri passi verso l’autonoma Sovranità
monetaria perduta.
Il ricorso esasperato all’austerity ha determinato un continuo e
devastante effetto moltiplicatore della crisi non percepito né dai suoi più
accaniti sostenitori né paradossalmente dagli ormai tanti critici, in quanto
l’austerity stessa è semplicemente l’applicazione tecnica del modello economico
posto a sostegno della moneta unica. Il rigore dei conti non è altro che
l’unico modo per supportare l’euro, avendo i Trattati e regolamenti comunitari
privato i propri membri degli strumenti base per la gestione dei fabbisogni
finanziari degli Stati. In ultima analisi gli ideatori di Maastricht hanno
considerato a tutti gli effetti, per mezzo del ricorso fiscale, i cittadini e
il sistema delle imprese i veri ed unici prestatori di ultima istanza, non
contemplando una Banca Centrale con tale funzione. Pertanto l’euro non è
sostenibile senza il ricorso all’austerità e qualsiasi modifica ai Trattati non
porterebbe a nessun miglioramento.
La domanda d’obbligo pertanto è la seguente: che vantaggio può avere la
possibilità di ottenere più flessibilità dalle rigidissime regole di bilancio,
se “sforare” di qualche decimo di percentuale il 3% significherebbe solamente
procrastinare i problemi, in quanto tale possibilità si trasferirebbe in un immancabile
aumento del debito pubblico rimanendo tuttavia privi di qualsiasi strumento
idoneo alla sua gestione? E poi che senso avrebbe chiedere tale sforamento dal
3% quando la stessa classe politica ha già firmato il Fiscal Compact che
prevede l’introduzione nel dettame costituzionale del principio del pareggio di
bilancio? Ricordo inoltre che dei 25 Stati firmatari il Fiscal Compact
solamente l’Italia ha già modificato la propria Costituzione (art.81) per
recepirne gli obblighi.
Nel nostro futuro pertanto rimangono solamente, oltre al sempre più
oneroso ricorso al drenaggio fiscale, il taglio della spesa e le dismissioni
del patrimonio pubblico. Sappiamo però che la spesa primaria italiana, cioè al
netto degli interessi sul debito, è già inferiore alla media UE (dati ufficiali
AMECO) e che ulteriori tagli andranno inevitabilmente ad influire sulla spesa
sociale e che le dismissioni di patrimonio pubblico rischiano di trasformarsi
in vere e proprie svendite di Stato. Risulta conveniente alienare
partecipazioni come ENI, ENEL ecc. i cui dividenti percentuali sono superiori
al costo del mantenimento del debito che andrebbero a ridurre? Gli immobili da
cedere sono spesso occupati da Amministrazioni centrali o periferiche e
quest’ultimi si troverebbero nelle condizioni di pagare affitti più onerosi di
mercato, annullando qualsiasi effetto di convenienza economica portando a saldo
negativo le operazioni di vendita.
A distanza di quindici anni dalla nascita dell’euro, ciò che doveva
essere lo strumento per mettere sotto tutela l’esuberanza tedesca dopo la
riunificazione, si è rivelato invece il migliore dei mezzi per mettere sotto
controllo e tutela l’Europa dalla Germania stessa. L’Italia è stata poi la
nazione che ha sofferto di più: seppur adottando in passato un modello
economico imperfetto era riuscita a risorgere dopo il disastro della guerra,
raggiungendo l’impensabile traguardo della quarta potenza economica mondiale,
sfruttando sapientemente il formidabile connubio fra proprie politiche
economiche e il suo innato estro creativo, mentre ora è costretta ad annaspare
in una crisi che ha precedenti solo se raffrontata con quella del ’29. Basta
analizzare i dati macroeconomici relativi all’andamento della produzione
industriale comparata Italia-Germania: man mano che venivano adottate politiche
economiche per realizzare la convergenza monetaria, il vantaggio del nostro
Paese diminuiva progressivamente fino a raggiungere lo spaventoso divario di
meno 41 per cento dei nostri giorni.
E’ possibile che nessuno, ad iniziare dalla nostra classe politica e
industriale dirigente, non è mai riuscita ad intuire e comprendere che i
vincoli esterni dei Trattati, che dovevano ingenuamente rappresentare nelle
loro menti lo stimolo per poter compiere il rinnovamento che in modo autonomo
non si sarebbe mai riuscito a realizzare, era nella realtà il modo più subdolo
per poter “disinnescare” l’immenso potenziale della nostra industria, ridotta
ormai alla deindustrializzazione e alla desertificazione a causa della spietata
logica delle aree valutarie? Le dissennate privatizzazioni compiute per far
fronte inutilmente agli impegni imposti dai parametri e la globalizzazione
dilagante senza regole hanno inesorabilmente fatto il resto.
L’euro ha permesso che i problemi nazionali diventassero definitivamente
cronici e che nessuna terapia fosse ormai più idonea, ad iniziare
dall’esplosione dei debiti pubblici e privati, ormai monchi dei mezzi di
gestione classici di politica economica a disposizione di qualsiasi Stato
Sovrano. Come è possibile qualsiasi forma di crescita economica se si è
adottata una moneta anomala la cui rigidità delle regole condizionano a senso
unico l’economia reale e non viceversa, così come avviene in tutti i sistemi
economici del resto del mondo?
La moneta comune ha dimostrato inequivocabilmente di aver amplificato le
crisi economico-finanziarie esogene, trasferendo oltremodo alle economie reali
domestiche gli oneri e i costi, sottraendo risorse vitali alla crescita per
destinarle alla mutualizzazione degli errori compiuti altrove e nell’interesse
di pochi, tradendo l’iniziale visione dei Padri Fondatori che avevano posto il
cittadino al centro del disegno d’Europa.
Non a caso dei 28 paesi membri dell’UE quelli che vantano saggi di
crescita positivi e che hanno meglio resistito alla crisi, sono proprio quelli
che non adottano l’euro, a testimonianza che le autonomie nella gestione delle
proprie politiche economiche hanno protetto quei paesi dagli shock esterni non
prevedibili e ne tantomeno gestibili. Da evidenziare che lo stesso Trattato di
Lisbona prevede, agli artt.139 e 140, la convivenza all’interno della UE di
Paesi “con deroga” e “senza deroga”, cioè con la possibilità di rimanere con la
propria valuta adottando l’euro.
Alla luce di quanto esposto, è giunto pertanto il tempo di verificare se
i vantaggi tanto declamati negli anni passati per l’adozione della moneta
comune sussistono ancora e se i disagi ormai non siano superiori. E’ necessario
però considerare sui piatti della bilancia non più solamente gli sterili dati e
parametri macroeconomici, come i rapporti fra deficit e PIL e quest’ultimo con
l’entità dei debiti pubblici, ma inserire ben più significativi elementi che
identificano l’economia reale e la dignità stessa dell’individuo. Cosa ce ne
facciamo nell’avere la “virtuosità” del tasso dell’inflazione al 0,3% se per
poi perseguirla ci ritroviamo al 13 e passa per cento di disoccupazione con
vergognose punte percentuali per i giovani? Cosa ci interessa ossessivamente
rincorrere parametri e numeretti per soddisfare esclusivamente le regole dei
Trattati e dei regolamenti comunitari se poi il prezzo da pagare come
contropartita è la dissoluzione di una Nazione, dello Stato sociale, la
disperazione di famiglie e di piccole imprese, che ricordo essere il 90 per
cento del nostro tessuto industriale? E’ anche possibile che nessuno faccia gli
interessi veri del suo Paese per il bene comune della sua gente?
Il post, assai chiaro, suggerisce l'idea che la funzione più importante (la gestione della leva monetaria) sia stata devoluta ad una struttura esogena e non politicamente responsabile, assecondando obiettivi apparentemente virtuosi (contenimento dei costi e dell'inflazione), ma assiomatici. Credo che con la stessa logica non avremmo avuto gli USA divenire grande potenza mondiale, nè l'Europa realizzare in meno di vent'anni, i miracoli della ricostruzione.
RispondiElimina