venerdì 25 luglio 2014

REFERENDUM, RIFORME, DEMOCRAZIA COME METODO E DISSOLVIMENTO DELLA SOSTANZA

 Immagine 3

Insomma, la risposta all'ostruzionismo immaginata in queste ore da Renzi sarebbe la sottoposizione del d.d.l. costituzionale a referendum (cioè in ogni caso, anche laddove le votazioni favorevoli raggiungessero il quorum dei 2/3)
Ovviamente nella certezza di vincerlo.
L'opposizione sarebbe stroncata sul suo stesso campo. E, a rigore, avrebbe ragione.
Ma questo non sanerebbe la situazione. Certo, l'operatività della riforma costituzionale, asseverata da referendum,  "supererebbe" la situazione: ma non è la stessa cosa. 
Una riforma costituzionale tesa a incidere sui meccanismi della forma di governo ma che, nella sostanza, trasforma la forma di Stato da Repubblica fondata sul lavoro e a sovranità nazionale, in Repubblica fondata sulla normativa €uropea - e quindi sulla stabilità dei prezzi, sulla valuta unica e sulla trasformazione perenne del mercato del lavoro in campo di azione correttiva per il mantenimento dei primi due "valori supremi"- esigerebbe ben altro che un referendum. 
Esigerebbe l'integrale ed inequivoca manifestazione dei suoi riflessi nei precisi termini ora esposti e la conseguente accettazione dei suddetti neo-valori supremi con la contemporanea espressa rinuncia ai valori fondamentali dell'attuale Costituzione, in base ad un consapevole momento di scelta di ciascun elettore. 
Sarebbe cioè realizzabile solo in base ad un processo Costituente che riscriva esplicitamente i principi fondamentali (quantomeno gli artt.1-12) della stessa Costituzione, adeguandoli a tali nuovi valori, in modo che non ci siano più ipocrisie e verità mediaticamente nascoste e i cittadini italiani non coltivassero più illusioni sulla titolarità nazionale, cioè del popolo italiano, della sovranità, abolita così anche nella forma.


Intendiamoci, il referendum concepito dal vertice dell'attuale governo potrebbe benissimo passare: basterebbe rammentare che i "nuovi valori", in questo contesto politico-mediatico così saldamente omogeneo, sarebbero nell'immediato ancora celati e, piuttosto, si tratterebbe di un referendum brutalmente proposto sugli antecedenti propagandistici di quegli stessi valori, cioè quelle parole d'ordine che li hanno resi finora accettabili nei loro effetti applicativi, e che li hanno dissimulati garantendo un diffuso consenso. 
Ci riferiamo agli slogan che identificano le riforme, - per quanto in modo irrazionale e non certo dimostrabile- con i seguenti obiettivi "contro":
- il debito pubblico (riflesso della spesa pubblica "brutta" e curabile, in tesi, col pareggio di bilancio, che solo le riforme consentirebbero di raggiungere senza resistenze della...casta).

Dunque, un referendum del genere potrebbe pure essere agevolmente vinto.
Ma qui ritorniamo al punto di partenza: basterebbe questo a sanare l'abrogazione dei principi fondamentali della Costituzione che, per giurisprudenza della Corte costituzionale, non possono essere oggetto di revisione, neanche cioè rispettando la procedura dell'art.138 Cost., in quanto incorporati nel caratterizzare la "forma repubblicana" che costituisce il limite invalicabile delle stesse lecite modifiche costituzionali?

Insomma, per dire, se la grancassa mediatica, - che appoggia istericamente, e senza più neppure badare alla minima attendibilità dei ragionamenti che in questi giorni svolge a sostegno della riforma "ad ogni costo"-,  riuscisse a condizionare l'esito del referendum, il M5S sarebbe realmente sconfitto
Non sarebbero piuttosto sconfitte la democrazia costituzionale e la sovranità democratica, avendosi cioè un risultato che, rispettando la stessa Costituzione, non sarebbe per definizione possibile, ovvero "lecito" (cioè conforme alla legalità suprema dell'ordinamento giuridico)?

Ebbene questa serie di interrogativi paradossali (ma non troppo), dovrebbe essere ben chiara alle opposizioni. 
Perchè dal saper rispondere correttamente dipende la stessa loro sopravvivenza come soggetti politici che possano in qualche modo svolgere ancora una funzione all'interno del quadro democratico che, in Italia, è bene rammentarlo, E' SOLO QUELLO GARANTITO DALL'ATTUALE COSTITUZIONE.
Finita la vigenza-effettività di questo quadro, nessun ostacolo verrebbe più frapposto a considerare le stesse opposizioni attuali come contrarie "al bene supremo dello Stato", qualunque esso sia, poichè, venuti meno i valori fondanti della democrazia necessitata del lavoro e dei diritti sociali, l'identificazione di ciò che è legittimo e lecito sarebbe compiuta solo sul piano ideologico dei valori divenuti prevalenti.

E questi "neo-valori", cioè la moneta unica, la stabilità dei prezzi, il lavoro-merce, la forte competizione (tra Stati, denominata "competitività" sui mercati, cioè mercantilismo), sono direttamente quelli imposti dall'Unione europea. Quindi da un super diritto che esplicitamente richiama la sua assoluta superiorità "tecnocratica", giustificando con ciò la immediata attuazione delle sue decisioni istituzionalizzate, al di fuori di qualsiasi discussione e vaglio dei parlamenti nazionali, assunti come appendici esitanti e inefficienti di una obsoleta e disfunzionale politica del "consenso".

Senonchè questa, in definitiva, è la logica irreversibile del referendum giocato sulle note dell'ordoliberismo, cioè del liberismo che progressivamente svuota le istituzioni democratiche fino a sostituirle , grazie ad una macchina mediatica inarrestabile, con gli slogan di cui sopra, autosufficienti e onnipossenti nel plasmare ogni possibile visione del mondo dei "governati" (dalla tecnocrazia).

Ma se questa è la logica, - ad esiti predeterminati dal presupposto ed innegabile controllo mediatico-, del refendum sulle riforme costituzionali, questa stessa logica, non potendosene negare l'attualità e la inesorabilità, si applica AD OGNI POSSIBILE REFERENDUM: il che naturalmente include anche quello, propositivo, consultivo e in qualunque altra forma sia possibile escogitare, sullo stesso euro.
Se il suo esito (non certo sorprendente) fosse di rinnovata accettazione da parte del corpo elettorale, chiedo agli amici del M5S, ciò sanerebbe la contrarietà della moneta unica ai principi fondamentali della Costituzione (artt. 1, 3, 4, 47 Cost. solo per citarne i principali)?
Se si è compreso cosa significhi nella sostanza dell'assetto socio-economico la valuta unica, la risposta non potrebbe essere che: NO, NO, MILLE VOLTE NO.

Il che dovrebbe rammentarci un'altra cosa, terribilmente importante: il referendum è un mero strumento, come lo stesso sistema elettorale. Svincolato dai valori inderogabili che tante lotte, morti e sofferenze costarono ai nostri padri (e nonni) per poter essere affermati in Costituzione,  indica precisamente il limite della DEMOCRAZIA COME METODO

 

Vale a dire ciò che la tecnocrazia mediatizzata sovranazionale, ha capito benissimo essere un ben debole ostacolo alle proprie mire restauratrici dell'assetto capitalistico oligarchico, di cui la "costruzione europea" costituisce la cronistoria di una lunga marcia vincente. 
Fino ad oggi (per default della resistenza che poteva opporre la coscienza democratica).

Ma se questa riforma costituzionale sarà approvata, aprendo la via al monocameralismo a rappresentanza supermaggioritaria, quei principi così fondamentali da costituire l'ESSENZA DELLA DEMOCRAZIA SOSTANZIALE, non saranno più "immodificabili" e "tutto sarà possibile".
O meglio, già oggi "tutto è possibile": tutto, piuttosto, sarà "lecito", in nome dell'€uropa.

Il che dovrebbe portare a riflettere sul fatto che, invece di proporre referendum, bisognerebbe denunciare i trattati, portare alla Corte costituzionale, finchè sarà riconoscibile come l'organo di garanzia concepito nel 1948, la loro contrarietà ai principi fondamentali.
Insomma, questa vicenda dovrebbe aprire gli occhi, prima che sia troppo tardi, sul fatto che la cosmesi della democrazia come metodo, e quindi la fiducia nei referendum, è un autorete segnata nella porta della democrazia come forma vitale e preziosa della vita nazionale.
Se a questa ancora si attribuisce un qualche valore. 
E se ci si rende conto che contro lo strapotere mediatico e i suoi effetti devastanti sulla consapevolezza dei cittadini, orchestrati attentamente da decenni, non ci si può irresponsabilmente inoltrare sullo stesso terreno che ESSI hanno preparato e sul quale non potranno che prevalere.

In attesa di abolire anche la democrazia come metodo, che, a quel punto, non avrebbe neanche più ragione di esistere, dato che, accettati valori supremi che non hanno nulla a che vedere con la democrazia come modello socio-economico di armonizzazione pluriclasse, l'efficienza nel loro perseguimento sarebbe certamente meglio realizzabile con la (€uro)tecnocrazia apertamente teorizzata da Barroso.

9 commenti:

  1. Il rischio che il referendum Renzi lo vinca a mani basse c'è. Ma prima bisogna approvare 4 volte la riforma e ci vuol tempo e deve passare l'autunno e le sue 'manovre'... Sicuri che il consenso intorno al pupazzo fiorentino reggerà? Sono deboli speranze ma cos'altro ci resta? Nel frattempo scatenare l'inferno. Provarci almeno....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. UN FREDDO INFERNO

      Il MinCulPop - troppo pop - è attivato da tempo su tutti i fronti "referendari" con tutte le "testate" neuriniche disponibili già attivate nella "spirale del silenzio".

      L'inferno" è già programmato con le manovre finanziarie d'autunno ma il generale "Inverno del Nostro Scontento" è sempre stato, nella Storia, un importante stratega alleato.

      Tirem innaz ad accendere "luci" nelle vie e strade della città e della periferie ...
      Dei botti di santa/barbara - come la Storia insegna - lascionoli nelle mani di in/barba/papà e confratelli del "drago".

      Elimina
  2. dal mio piccolo punto di vista, la colpa maggiore, principe, numero 1!, ce l'ha l'informazione, i giornalisti, nella loro supponenza, superficialità, ignoranza.
    per esempio: renzi spara questa storia del referendum. bene: avessi sentito uno solo dei commentatori, segnalare il semplice fatto (da lei, ovviamente indicato, perché è cosa OVVIA!), che arrivare al referendum non è una grazia, una concessione, una decisione legata a una idea di democrazia e sovranità del popolo, ma una normale procedura nel momento in cui la riforma non venga approvata dal parlamento con le maggioranze stabilite dalla Carta.
    E come questo si potrebbero fare altri mille esempi. quotidiani.
    i giornalisti, è vero che il loro compito è raccontare "il mondo", ma ogni tanto fermarsi e porsi una domanda, farsi venire un dubbio, non sarebbe male, anzi farebbe parte del loro compito.
    bah... lasciamo perdere...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non si può..."lasciar perdere".
      Il problema è centrale: ma i giornalisti, essenzialmente, rispondono in automatico al riduzionismo pop che, di volta in volta, è avvertito come la esigenza prioritaria degli interessi dominanti. Come ciò avvenga, con dirette indicazioni o, piuttosto, con la captazione della "corrente" opportunamente rilevata dal pensiero espresso nelle sedi di formazione del mainstream, non è in fondo importante.
      Rimane il fatto che è compattamente manifesto e corrisponde a un disegno di "sincronicità" praticamente mondiale
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/01/lautoinganno-del-tecnicismo-pop.html

      Elimina
    2. perdoni, ma mi diverte vedere che "comincio a conoscerla"... un po' come dopo un po' uno comincia a 'sentire' il 'caratteraccio' di bagnai :-)
      lasciar perdere è solo un modo di dire... ma chissà perché sapevo che non lo avrebbe lasciato passare.
      la verità che invece di lasciar perdere anche io non le faccio passare... i miei amici e la mia compagna quasi, ormai, non mi sopportano più :-)
      sempre grazie di tutte le sue riflessioni e del suo lavoro. ci sono davvero di grandissima utilità. non solo per capire, ma anche per rispondere per le rime al piddino di turno.

      Elimina
  3. Non credo che la stampa sia un problema: né tantomeno "Il problema".

    Il lavoro che stiamo instancabilmente facendo insieme è risalire all'incipit, all'arché di quel processo culturale per cui, in un circolo vizioso, qualsiasi sociopatico che abbia il suo tiramento possa imporre la propria personale distopia come ordinamento globale.

    Da umanista ed eternamente grato ad Heisenberg per averci dialetticamente salvato dai "deterministi antiumani", non posso accettare quel fatalismo "a-karmico" percui la Storia proceda indipendentemente dai suoi attori. (Caro Mattia, su questo punto non mi trovi proprio d'accordo).

    Chi crede nell'Uomo crede nel libero arbitrio ma anche nella potenza del suo pensiero.

    La cultura è un fattore squisitamente esogeno solo per chi non la influenza: un potente impianto valoriale ed ideologico trova la sua diffusione indipendentemente dalla struttura del sistema di potere dominante.

    Se le crisi economiche sono conseguenza di crisi politiche e queste sono l'effetto di crisi culturali, è dirimente produrre cultura, cominciando a fare "ecologia epistemologica" di quella già prodotta prima che gli inetti, falliti
    indegni intellettuali "conformati al nostro secolo" inquini irrimediabilmente i pozzi.

    (un caro ricordo a Preve)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Se le crisi economiche sono conseguenza di crisi politiche e queste sono l'effetto di crisi culturali,": già questa premessa sillogica è un pochino...determinista. Ma poi "produrre cultura" orientata a correggere quella (a livello di fondamenti, cioè epistemologica), prodotta dagli intellettuali "conformati del nostro secolo", è aspirazione certamente degna ma, messa n questi termini intenzionali di autolegittimazione, soffre di "titanismo".
      Sul piano intellettuale-culturale si può arrivare a grandi formulazioni critiche, lampanti e decisive, eppure rimanere insignificanti in termini di "conformità", cioè di cultura connessa (se non coincidente) con la opinione pubblica, che è poi il livello politico della cultura.

      Il problema allora diventa: come combatti il riduzionismo pop, che è il vettore e l'essenza dell'effetto culturale che si vuole correggere?

      Gli intellettuali "conformati" forse sono criticamente "inetti", ma sicuramente non lo sono coloro che, a monte, ne decidono rilevanza e fnanziamento.
      E questi "coloro", ancorchè identificati, non possono essere scalzati "criticamente", semplicemente perchè hanno il controllo economico (finanziario) dei meccanismi di trasmissione di massa della stessa cultura. Cioè riduzionistica pop. Che è poi quella neo-liberista e, in sintesi fenomenologica, antidemocratica.

      Ma un'informazione democratica, capace di resistere al pop, nasce da un fattore di decisivo controllo politico: lo stesso di cui parla Kalecky (rispetto all'intervento economico dello Stato fuori dal diretto impegno industriale-produttivo), proiettato sull'azione statale di istruzione
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/01/lautoinganno-del-tecnicismo-pop.html
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/06/istruzione-opinione-pubblica-e.html

      In estrema sintesi: le "risorse culturali" vivono su una massa critica - in un senso o nell'altro- e questa è direttamente proporzionale al consolidamento di un assetto di potere dotato di effettività prima culturale e poi giuridica. E l'effettività è controllo dei mezzi di formazione-informazione di "massa".

      Elimina
    2. "Non credo che la stampa sia un problema: né tantomeno "Il problema"."

      Non è solo la stampa il problema , ma tutto l'aggregato produttivo di linguaggio "il problema"
      Televisione , radio , istruzione , cinema

      Per quanto riguarda le origini non potrebbe in parte esserci una responsabilità attribuibile , se anche in "buonafede" , all'anti-nazionalismo post-bellico , da cui derivano l'autorazzismo ed il provincialismo ?
      Sembrerà un'inezia , forse paranoico , ma questo secondo me è un ottimo esempio

      in lingua inglese vengono menzionati "leadership and tradition"
      in lingua italiana invece compaiono "gerarchia e nazionalismo" (in inglese hierarchy e nationalism)

      Non discuto il contesto caricaturale , tantomeno credo vi sia una volontà manipolatoria , o almeno non intenzionale e subdola , ma quanto piuttosto un processo che si può assimilare a quella "aria che cammina" di cui spesso vi siete occupati su questo blog illuminante

      Scusate se ho detto cose risapute , oppure scempiaggini inconcludenti , mi sono imbattuto in questa discrepanza lessicale qualche giorno fa , e l'ho trovata curiosa
      Cordialità

      ps: per quanto riguarda l'informazione secondo me sarebbe opportuno fornire ad ogni testata giornalistica fondi necessari a produrre informazione , vietando la pubblicità

      Elimina
  4. La crisi culturale purtroppo la vedo più grave e irrimediabile di quanto mi apparisse qualche anno fa. Il fatto che un Renzi con le sue slide e i suoi frame riesce a convincere mio fratello laureato come non avrebbe mai convinto mio nonno con la 2 elementare mi porta a pensare che, al di la del bagaglio culturale individuale la differenza è tra chi ha imparato a maneggiare una cultura (limitata quanto si vuole) ma di prima mano e chi invece ha ed ha avuto sempre e solo a che fare con idee e concetti precotti, confezionati e pronti all'uso. Può tenerli in bella mostra, scambiarli con gli altri (come si fa con le figurine) ma, all'occorrenza, non è in grado di maneggiarli e, poiché non potrebbe ammettere mai tale lacuna, si trova costretto ad accettare quello che gli viene propinato e che non ha la voglia o la capacità di analizzare criticamente. Il risultato è una nuova forma di conformismo 'illuminato' che si rifugia nel sarcasmo per difendersi dalle critiche che non ha strumenti per controbattere. Non è pensiero unico perché non è pensiero. È desolante e irrimediabile

    RispondiElimina