Pubblichiamo il testo dell'intervento preparato per il Convegno dell'11 luglio 2014 - "La Costituzione di cui l'Italia ha bisogno"- cui ha partecipato Riscossa Italiana, con il suo Presidente, Antonio Maria Rinaldi, il suo segretario generale, Luciano Barra Caracciolo, il suo Garante del Comitato scientifico, pres.Paolo Maddalena, e suoi esponenti quali Francesca Donato, Francesco Amodeo, Luca Cestaro e lo stesso Angelo della Cave, che ha moderato e curato l'organizzazione.
Questo intervento di Luciano Barra Caracciolo potrà essere seguito dalla pubblicazione degli interventi di altri relatori, che siano resi disponibili per iscritto.
La pubblicazione stessa potrà essere effettuata anche sul sito di Riscossa Italiana, dove verranno presto attivati gli spazi relativi agli studi ed alle pubblicazioni scientifiche.
INTERVENTO SVOLTO AL CONVEGNO DI NAPOLI DELL’11
LUGLIO 2014
1- Nel pubblico dibattito odierno
la più comune e scontata giustificazione offerta per introdurre ampie e
radicali proposte di intervento sulla Costituzione del 1948, è che essa sia
vecchia e superata.
A malapena si esplicita la ovvia
e drammatica conseguenza che questo giudizio debba essere in realtà esteso al
modello sociale ed economico che essa stabiliva. Cioè il modello di quella che
Mortati definì la “democrazia necessitata” fondata sui diritti sociali, primo
quello al lavoro, e sull’eguaglianza sostanziale come prioritarie guide delle
politiche pubbliche. Mortati precisava che essa fosse “necessitata” perché,
dopo 150 anni di lotte sociali seguite alla rivoluzione industriale e di
tragedie conseguenti alla mancata soluzione dei problemi conseguenti, o la
democrazia vive in queste forme “o, semplicemente, non è”.
L’obiezione più forte che, sul
piano storico ed economico-sociale, si può muovere alla “vulgata” che la Costituzione sia
vecchia è che le teorie normative ed il modello sociale che ad essa si
vorrebbero sostituire sono ben più vecchi e sicuramente datati di quello
accolto nel 1948; e ciò è attestato dalla stessa sequela di effetti
fallimentari che l’economia liberista, ora prepotentemente riemergente, aveva
provocato, tra cui i grandi traumi della crisi del ’29, della Rivoluzione russa
e dello stalinismo, dello stesso avvento del fascismo e del nazismo.
Non si riflette mai abbastanza su
quanto sia pericolosa l’incapacità di ricordare la vetustà di queste riedite
teorie economiche, determinanti una vera “reazione” se non, ormai, un’aperta revanche sugli assetti democratici
predicati dal costituzionalismo contemporaneo
A onor del vero, i
modi in cui queste teorie sono state riproposte in Italia sono riassumibili
nell’ambito della c.d. “costruzione europea”: e questo imponendo la
suggestione salvifica di un’utopistica cooperazione economica che, nella realtà
storica, non è mai propria dell’internazionalizzazione liberoscambista in cui
si concreta l’Unione e, specialmente, la sua moneta unica.
Ma queste suggestioni sono
risultate enormemente efficaci.
Una combinazione di controllo
mediatico e di spinta accademico-culturale hanno portato al suddetto oblio
delle radici democratiche necessitate della nostra Costituzione. Il movimento
che si è fatto portatore di questa strategia può essere denominato
“ordoliberismo”, termine sulla cui portata mi limito a rinviare a quanto
scritto in altre occasioni.
2- Sta di fatto che il fulcro
attivo dell’ordoliberismo, cioè la teoria del “vincolo
esterno”,
ha avuto una pretesa addirittura etica, in realtà, basata sulla manipolatoria sovra-enfatizzazione
dei difetti fisiologici della democrazia: la spesa pubblica sociale,
l’acritica demonizzazione del deficit di bilancio come mezzo di redistribuzione
del reddito e di creazione del risparmio diffuso delle famiglie, si sono
accoppiate alla stessa falsificazione mediatica dei dati reali sulla crescita
del reddito nazionale legata al modello interventista industriale prescelto
nella Costituzione.
Abbiamo assistito impotenti, come
comuni cittadini, a questa operazione di oblio frammista ad un’accesa
manipolazione dei dati: sul livello della spesa e del debito pubblico anteriori
alla entrata nello SME ed al divorzio Tesoro-Bankitalia, sui reali (e ben
minori) livelli di disoccupazione ad essi precedenti, sui livelli di crescita
dei decenni anteriori agli anni ’80, e sull’alterazione della distribuzione
delle quote del reddito nazionale, tra lavoro e profitti specialmente
finanziari. Questi fatti traumaticamente modificativi delle aspettative
collettive di crescita e di mobilità sociale sono poi culminati
nell’accelerazione del trattato di Maastricht e dell’applicazione a tappe
forzate dei suoi criteri di convergenza verso la moneta unica.
La giustificazione “etica” di
tale negativizzazione di tutto ciò su cui si era basata, per usare le parole
dello stesso Guido Carli, la crescita e il benessere di cui avevano potuto
godere l’Italia nei primi tre del dopoguerra, si è quindi concretizzata nella
generalizzata accusa di “corruzione e clientelismo”, additati come i presunti mali
economici e sociali da risolvere; ciò ha preteso, riuscendovi, di legittimare
la necessità di disattivare la precedente “politica” e gli strumenti
costituzionali in cui si era espressa, senza alcuna seria dimostrazione e alcun
oggettivo riscontro di ciò nei dati reali.
E,
specialmente, senza mai considerare l’ipotesi che ben altri rimedi si potevano,
e tutt’ora si possono proporre, per correggere questi inconvenienti.
3- Questa vicenda
politico-culturale, o meglio propagandistica, restauratrice dell’economia
neo-classica anteriore alla crisi del ’29, ha prodotto prima
la diretta disattivazione, da parte dei trattati “europei”, della Costituzione
c.d. economica, e poi, come sua inevitabile conseguenza, la successiva
destrutturazione dei diritti fondamentali, segnatamente della grande
conquista del valore fondativo dei diritti “sociali”, quelli di c.d. terza
generazione.
L’operazione è riuscita a livello
di imposizione di politiche economico-fiscali per la preponderante capacità di
pianificazione e di finanziamento che il capitalismo finanziario ha potuto
mobilitare sul piano accademico e mediatico: ma questa è vicenda assai nota,
sulla quale le testimonianze, - anche dei maggiori premi Nobel, come Stiglitz,
Krugman, Galbraith, o di altri grandi economisti, come De Grauwe e Chang-, rimangono tuttavia
voci praticamente inascoltate; sicuramente in Italia, tetragona ed aggrappata
alla dogmatica ordoliberista del “vincolo esterno”.
Sul piano
giuridico-costituzionale la prevalenza del pensiero registrabile, l’equivalente
del mainstream economico, si è
incentrata sulla “illusione” della
sostituibilità al modello della Costituzione economica del principio della
concorrenza.
La invasività di tale illusione,
puramente ideologica e derivante dalla presunta superiorità etico-culturale del
modello europeo, in una irresistibile esterofilia che affligge periodicamente
la comunità italiana, ha condotto, sul piano della riflessione costituzionale,
a quello che si può definire l’eurostrabismo.
4- Esso è stato tanto più forte
quanto più l’internazionalizzazione economica, liberoscambista, offerta da
Maastricht si è saldata con l’ulteriore vulgata della inevitabile “globalizzazione”, dimenticando di spiegare agli
italiani che quest’ultima, come la stessa UE, è null’altro che una
creazione istituzionale, umana e fallace, e per di più condotta sul
terreno di organizzazioni internazionali, come il FMI, il WTO, l’OCSE, la World Bank.
Questi
organismi hanno agito sotto la crescente influenza del
capitalismo finanziario prevalente, imponendo non solo la
prevalenza de facto del diritto
internazionale sulle Costituzioni democratiche, ma la
stessa privatizzazione del diritto internazionale così elaborato. Privatizzazione degli interessi
sottostanti, ovviamente, per quanto corrispondenti a enormi
organizzazioni economiche sempre più decise a impadronirsi di una influenza
dominante nel determinare le politiche degli Stati costituzionali democratici.
In questo scenario, l'EUROSTRABISMO,
cioè l'indifferenza etico-ideologica dei giuristi a oltre 20 anni di crescente
disapplicazione della Costituzione, si rivela dunque il frutto di un "fattoide" giuridico: e cioè che il principio di (libera) concorrenza,
unito a quello della “neutralità della
moneta” siano anzitutto corrispondenti, come potenzialità realizzabili,
alla realtà del capitalismo "reale.
Ed
invece, alla prova dei fatti storici, già con la crisi del '29 si evidenziò
l'inadeguatezza della teoria economica liberista, di fronte alla schiacciante
prevalenza di oligopoli e monopoli nella struttura della produzione. Si è cioè
dato per scontato che tali principi potessero assurgere a pari dignità rispetto
a quelli dell'intervento pubblico disegnato nella Costituzione economica,
mitigatore dei fallimenti del mercato e degli equilibri distruttivi della
“sottoccupazione” derivanti dai primi.
Come
conseguenza di tale diffusa supposizione dei giuspubblicisti, svincolata da
dati e adeguate conoscenze economiche, si ritiene che la disattivazione della
Costituzione economica, e con essa le privatizzazioni e liberalizzazioni, siano
uno strumento neutrale, ininfluente sui principi fondamentali della
Costituzione, e come tale, "equivalente e moderno" nel perseguimento
del benessere e della piena occupazione.
5- Colpevolmente
o meno che sia, questa concezione porta ad un enorme e inavvertito
inconveniente: il riduzionismo della
democrazia a "metodo" (idraulico-sanitario),
che è un portato del neo-liberismo, esplicitamente teorizzato dal suo esponente
più influente sulla costruzione europea, cioè von Hayek.
Per Hayek la democrazia come metodo è la pura
espressione elettorale svincolata da un quadro di valori sociali irrinunciabili,
quindi una sorta di sondaggismo
permanente e corrispondente all’agenda degli interessi economici prevalenti;
egli intuì che in chiave di struttura economica sovranazionale, la democrazia
come “metodo” produceva l’auspicato effetto della definitiva ed irreversibile “dispersione della sovranità” (di cui ha
anche parlato Giuliano Amato). Questa dispersione restituirebbe l’efficiente
struttura del capitale contro la presunta ingiustizia dei diritti sociali
pluriclasse, visti come ingiustificabili privilegi limitativi della “libertà”
sancita da una Legge allo stato naturale, superiore alla stessa legislazione
costituzionale.
Abbracciare
questo approccio, senza saperne stimare le conseguenze economiche prima ancora
che sociali, indebolisce perciò i presupposti di qualsiasi contrasto al
riduzionismo della democrazia a puro “metodo” e al sondaggismo: rimane infatti
insoluto il problema dell’effettiva conservabilità dei valori fondamentali di
una democrazia del lavoro come quella disegnata dalla Costituzione primigenia. E
da ciò deriva l’incapacità di comprendere che
la vera grund-norm della costruzione
europea incentrata sulla moneta unica non è la libera concorrenza (puro mito
astratto e deduttivistico) quanto la "forte concorrenza" tra
Stati-sistema (non tra imprese!), la stabilità dei prezzi e il concetto di
piena occupazione neo-classico (cioè di sottoccupazione del lavoro
deflazionato).
Da
qui anche la sopravvalutazione del sistema antitrust e delle autorità
indipendenti, che sono il rafforzamento e non il bilanciamento sociale della
prevalenza del neo-liberismo istituzionalizzato (cioè dell’ordoliberismo
sovranazionale).
6- Ed
infatti, la piena concorrenza, vista
come libero gioco e incontro della domanda e dell’offerta, nella struttura
attuale, comune a tutto il capitalismo avanzato, caratterizzato
dall’oligopolio, dai poteri di mercato e dalla relativa prevalente
finanziarizzazione, finisce con sempre
più drammatica evidenza per
applicarsi solo al mercato del lavoro, ripristinandosi così il lavoro-merce,
cioè la negazione del suo legame costituzionale con la dignità e lo sviluppo
della persona. Questa rimercificazione è particolarmente connessa al sistema
della moneta unica, incentrato sui capisaldi della banca centrale indipendente
e proprietaria di una moneta che non appartiene più né a uno Stato nazionale né
a un governo federale capace di sviluppare politiche economiche autonome di
correzione degli inevitabili squilibri interni all’unione monetaria; un’unione che risulta così
affrettatamente e autoritariamente imposta
sull’assenza, anzi sull’esplicito
divieto, di ogni solidarietà fiscale tra gli Stati coinvolti (artt.123-125
TFUE).
7- Le
stesse problematiche dal capitalismo oligopolistico e finanziario, con le sue
logiche basate sulla repressione dell’inflazione, e quindi dei livelli
salariali, e sulle aspettative speculative ad alta instabilità finanziaria, si
erano già viste all’opera nella crisi del ’29.
In
quella occasione, l’ortodossia economica, esattamente come oggi, si era
rivelata incapace di offrire rimedi alla crisi, ostinandosi nell’idea che il
mercato si correggesse per sua forza spontanea, ritrovando la piena
occupazione. E ottenendo, in questa ostinazione “politica”, null’altro che i
risultati opposti.
Ciò
che tutt’ora si nega è che esista una crisi da domanda e le proposizioni delle
autorità monetarie ed economiche, europee e degli Stati membri, ripercorrono la stessa apparente fiducia
che valga ancora la Legge
di Say, per cui la produzione genera sempre il flusso di reddito che ne
consente il consumo e il necessario investimento. La scarsità di domanda era
ammessa come possibile solo come fenomeno transitorio, inevitabilmente
correggibile con l’abbassamento delle pretese salariali, considerate rigide e
illegittimamente gonfiate dalla presenza anticoncorrenziale dei sindacati.
Se non poteva esistere una scarsità di
domanda, ma solo squilibri del mercato del lavoro, non potevano esserci, ieri
come oggi, argomenti a favore di un’azione pubblica di sostegno alla domanda.
Oltre a non essere necessaria, una tale azione violava i canoni di una finanza
pubblica “sana”.
Il
governo, si diceva e si dice, come una famiglia privata, deve vivere dei suoi
mezzi e senza contrarre debito: da qui la
neo-mitologia del pareggio di bilancio e di quella autentica via per
l’infelicità collettiva dei tanti, sacrificati all’avidità dei pochi creditori
che concentrano la ricchezza, che Keynes definì “l’incubo del contabile”.
8-
Dunque la Costituzione
del 1948, ed in un modo che si rivelò egregio, almeno nelle soluzioni adottate
dall’Assemblea costituente, ieri come oggi, interviene a regolare tutti questi
problemi posti dai fallimenti dei mercati e dalla inevitabile tendenza di
questi alla instabilità finanziaria. Essa prese atto di 150 anni di impotenza
delle teorie liberiste a risolvere problemi causati dagli stessi fenomeni che
si manifestano oggi e agì di conseguenza. Stabilì perciò dei valori
fondamentali non negoziabili in sede internazionale e una Costituzione
economica che ne costituisse l’imprescindibile presidio, mediante l’intervento
macroeconomico dello Stato, salvando però la libertà dell’iniziativa d’impresa
nell’ambito delle immutate regole microeconomiche. L’innovazione tecnologica e
la dimensione industriale crescente, non governate dalla mano pubblica, e latitando
il funzionamento effettivo della famosa “mano invisibile del mercato”, che
Smith derivò da S.Tommaso D’Aquino, aggravano i problemi del capitalismo
contemporaneo nella stessa internazionalizzazione degli scambi.
Siamo
di fronte, quindi, a un fallimento che ci si ostina a replicare, ignorando dati
economici evidenti e dinamiche ed effetti che in un recente passato erano visti
come scontati, perché già consegnati alla Storia come esempi dei più insidiosi
pericoli che alla democrazia “necessitata” potesse portare lo strapotere dei
pochi sui molti; alla democrazia “necessitata”,
cioè all’unica possibile ed effettivamente vissuta nella Storia degli
Stati moderni.
9- In
sintesi, occorre aprire gli occhi sul fatto che, oggi l’euro, accompagnato dal complemento inevitabile dei suoi
vincoli fiscali, è antitetico alla funzione statale di garanzia dei veri
diritti fondamentali. La sua pretesa neutralità, smentita dai drammatici
squilibri commerciali e dalle relative posizioni debitorie che si sono drammaticamente
accumulate nell’Unione monetaria, non può essere legittimamente accettata
come strumento di messa in sospensione della Costituzione italiana: e ciò,
né alla luce dei limiti posti dall’art.11 Cost. per l’adesione a trattati
istitutivi di organizzazioni internazionali, né di quelli posti dall’art.139
per la stessa revisione costituzionale. Questi ultimi, ovviamente, per il modo
in cui va intesa la immutabilità della forma repubblicana, vanno compresi
tenendo conto delle risultanze dei lavori della Costituente e delle
precisazioni della Corte costituzionale sui c.d contro-limiti (cioè dei limiti
che l’ordinamento costituzionale sovrano deve poter opporre ad ogni forma di
diritto internazionale).
Su
questi aspetti tentano di trovare delle soluzioni le proposte di emendamento
costituzionale che seguono e che, spero, dopo questa introduzione, e quanto
hanno detto e diranno anche gli altri relatori, vi parranno più comprensibili e
necessarie.
Quella
che è in gioco, ormai, è la stessa sopravvivenza della democrazia, intesa come
tutela di un sistema valori sociali fondamentali: il vallo costituzionale verso
la barbarie di uno spietato liberismo, camuffato cosmeticamente in forme nuove,
mostra ormai troppe crepe e “desuetudini” e si sente un’atmosfera di attacco finale
che spinge verso un’inammissibile e definitiva rottura dell’ordinamento.
Credo comunque sia cruciale avviare la riflessione su un punto: l'attacco alla Costituzione, così ben descritto in questo post e che rischia di rivelarsi fatale poteva essere respinto?
RispondiEliminaIn altri termini il mio dilemma è questo: le costituzioni, intese nel loro ruolo di tutela dei diritti delle maggioranze, sono uno strumento giuridico che in definitiva, se manca un adeguato sostegno popolare, può limitarsi unicamente a "rallentare" l'attacco coordinato delle minoranze organizzate; oppure devono essere congegniate in modo da auto-difendersi, denotando immediatamente qualsiasi intervento teso a ridurne l'influenza non solo, genericamente, come contrario allo spirito, ma inequivocabilmente come illegale ed eversivo? Nel primo caso, infatti, bisognerebbe ammettere che la nostra Costituzione ha resistito egregiamente, e di conseguenza che non sarebbe necessario studiare nuove difese; mentre nel secondo caso sarebbe evidente che qualcosa è mancato: e dunque bisognerebbe pensare, già in questa fase, a tutele più stringenti. Penso in particolare a due punti che mi sono sembrati rilevanti nel concreto: il ruolo dell'informazione e quello della cultura accademica.
Con questo intendo che la passività tipica del mezzo televisivo, la realizzazione di oligopoli mediatici, la "scalata" all'egemonia culturale negli ambienti accademici, l'attacco alla scuola pubblica e al sapere umanistico attraverso un modello pseudo-concorrenziale e pseudo-specialistico sono tutte cose che hanno preparato il terreno, predisponendo le persone ad accettare l'attacco alla sovranità nazionale (intesa non più come luogo di composizione dei conflitti sociali, a cui si è pervenuti attraverso un sanguinoso processo storico, ma come mero "nazionalismo", foriero di inutili conflitti di civiltà). Così l'Unione Europea è diventata il bene e la globalizzazione la modernità: e chi si oppone va confinato nell'anti-scientifico, nel retrogrado e nell'oscurantista.
Forse in questo contesto la magistratura non può arrivare neppure a ravvedere quanto eversivo sia l'intero disegno. E se anche fosse in grado, sarebbe probabilmente difficile individuare responsabilità specifiche; né sarebbe onesto pretendere che il singolo magistrato si mettesse di traverso con l'iniziativa inquirente a questa gigantesca operazione culturale (cosa che, probabilmente, lo consegnerebbe unicamente all'isolamento).
E' evidente, dunque, che, se tutto questo poteva essere evitato, doveva essere evitato prima: e dunque occorrerebbe avviare un serio dibattito, da un lato, sui meccanismi di informazione/formazione del consenso, per capire se sia sufficiente – per dirla con le loro parole – “liberalizzare il mercato dell'informazione”; dall'altro sul ruolo e il senso del “progresso”, per evitare che nuovi disegni eversivi passino per “conquiste” scientifiche.
Già sento la vostra mancanza! Avrei voluto parlare parecchio con il vicepres. Maddalena sulle problematiche dei territori campani (quello che accennai a te, sembrerà strano, ma è un niente rispetto al resto).
RispondiEliminaBuona Riscossa!