Come primo post "tecnico"
, sperando che non risulti troppo "ostico", (ma ho enorme fiducia in
goofisty, tempestisti, vocianti dall'estero:-) ecc. di cui ho già imparato ad apprezzare il "livello"), vi propongo questo articolo di Luciano Barra Caracciolo, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, già pubblicato sulla rivista "on line", di diritto pubblico, "giustamm.it" (non inserisco il link perchè è una rivista accessibile solo su abbonamento e non sarebbe attivabile).
Nel testo troverete il riferimento all'accertamento di impatto della regolazione (AIR), accostato a un'attuale forma di "democrazia diretta", in quanto "partecipata" in funzione conoscitiva e decisionale.
Ne riparleremo in un prossimo post.
E' un punto cruciale (come dimostrano l'esperienza e le delicate problematiche riscontrate negli USA,-primi fra tutti- paese in cui la metodologia è nata).
Come vedrete, il tema trattato ho molti risvolti "europei" e trova soluzioni tanto migliori quanto più si avvicinano alla lettera e allo "Spirito" della Costituzione del '48.
Buona lettura!
I TAGLI AI COSTI DELLA POLITICA. UN APPROCCIO RADICALE DI REVISIONE COSTITUZIONALE.
SOMMARIO: 1-L’ambito della revisione costituzionale; 2 -Autonomie locali e previsioni europee; 3. Ipotesi di intervento di modificazione costituzionale; 4- Vantaggi in termini di efficienza funzionale e risparmi finanziari; 5- Risparmi diretti e “di sistema”.
PREMESSA
Nell’affrontare il problema dei costi della politica, al fine di portare il livello dei risparmi in chiave risolutiva rispetto alle esigenze di bilancio dello Stato, in un’ottica che pare essere al centro delle priorità dell’azione finanziaria del governo, occorre muovere da alcune premesse di diritto costituzionale e europeo.
1- L’ambito della revisione costituzionale.
La Costituzione, secondo l’art.139, che definisce i limiti della revisione, non può essere mutata quanto alla “forma repubblicana”. Tale locuzione può essere intesa, in una lettura sistematica, fino a includervi i principi fondamentali (artt.1-12 Cost.), cioè i principi fondanti da cui quella “forma” non è, storicamente e concettualmente, scindibile.
Nella forma repubblicana entrano altre parti della Costituzione ma in riferimento al susseguente, nella partizione della Carta, ”Ordinamento” della stessa forma repubblicana, inteso cioè come moduli organizzativi di funzioni e organi di livello costituzionale, che “devono” esserci, ma che non sono “fondativi” della forma repubblicana in modo assoluto, come per i principi fondamentali (che essendo fondanti non risultano “comprimibili” nella loro integrale espressione contenutistica).
La “revisionabilità”, cioè, non altera la “forma repubblicana” nei limiti in cui coinvolga una previsione costituzionale “ordinamentale”considerata nella parte che non rifletta direttamente i principi fondamentali e l’esistenza e l’attivazione di determinate funzioni e organi .
Tale “revisionabilità attenuata” -che è quella oggetto dei numerosi disegni di revisione susseguitisi negli ultimi decenni, senza che sia peraltro emersa una seria ponderazione dei limiti qui evidenziati- riguarda:
la Parte I, “diritti e doveri dei cittadini”:
Titolo I “rapporti civili” artt.13-28;
Titolo II “rapporti etico-sociali”, artt.29-34;
Titolo III “rapporti economici”, artt.35-47; Titolo IV, “rapporti politici”, artt.48-54;
la Parte II “ordinamento della Repubblica”:
Titolo I, “il Parlamento”artt.55-82;
Titolo II, “il Presidente della Repubblica, artt.83-91;
Titolo III, “il Governo”, artt.92-100;
Titolo IV “la Magistratura”,
artt .101-113;
Titolo V, “le Regioni, le Province, i Comuni”, artt.114-133;
Titolo VI, “Garanzie Costituzionali”, artt.134-139 (
N.B. tuttavia, a rigore, gli artt.138 e 139, sulla revisione costituzionale, rientrano tra le grund-norm, previsioni chiave che garantiscono la immutabilità della forma repubblicana e quindi non sono “logicamente” assoggettabili a revisione, integrando i principi “fondamentali” degli artt. 1-12 come fondanti la stessa “forma repubblicana”).
Insomma, a parte i principi fondamentali,
la Parte I e la Parte II, sono soggette a un certo grado di revisione, laddove la forma repubblicana corredata dei principi fondamentali non è mutabile, ma
esistono varie possibilità di organizzarne l’ordinamento legislativo e governativo, il potere giudiziario, le autonomie territoriali, e le garanzie costituzionali, purchè non siano, appunto, posti in pericolo i principi fondamentali intesi nella loro piena portata.
Valore assimilabile ai principi fondamentali (cioè livello di forza costituzionale rafforzata, non rivedibile) hanno taluni principi,
purchè recepiti in Costituzione, del
diritto internazionale generale e dei Trattati legati al fenomeno del diritto europeo,
laddove però, riflettano appunto “principi fondanti” della Costituzione italiana e non anche una delle più possibili soluzioni alternativamente compatibili con i principi fondamentali della Costituzione e dello stesso diritto internazionale ed europeo.
In tal senso, oltre a un complessa vicenda di integrazione tra giurisprudenza della Corte costituzionale e quella di giustizia europea, depone il valore “ricognitivo” dell’art.117, comma 1, Cost.:”
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali…”
2 -Autonomie locali e previsioni europee.
Tra gli obblighi cui si è da ultimo accennato assume rilievo, ai presenti fini, quello derivante dalla “
Carta europea delle autonomie locali”, ratificata dall’Italia con legge 30 dicembre 1989, n.439 (ancorabile oggi all’art. 4, par. 2, del Trattato sull’Unione europea, c.d. TUE).
Orbene tale “Carta” nel suo valore vincolante, riguarda le autonomie locali, assunte come enti esponenziali delle comunità locali.
Ma, per essa,
tali sono, con evidenza, solo quelli “preesistenti” alle vicende politiche dello Stato costituzionale, aventi cioè un valore di autonomia che prescinde dalle vicende storiche che caratterizzano la “statalità” di più ampi territori, mutevole e non coincidente con la continuità “antropologica” delle comunità locali, intese come insediamenti urbani organizzati e costanti nel tempo, cioè come “città”.
Ciò è confermato nelle specifiche disposizioni della Carta europea che tutela le “autonomie locali” da interferenze di livello superiore, statali o regionali, (art.4, par.4), e lascia chiaramente intendere che il concetto dell’autonomia locale oggetto di disciplina non coincida con quello di qualsiasi livello territoriale intermedio “superiore”, fino agli Stati.
Argomenti si possono anche ritrarre dagli articoli. 8, che limita la “supervisione” ai casi previsti dalla costituzione per le sole “autonomie” locali, e 10, che considera l’associazionismo delle “autonomie” senza menzionare enti autonomi “intermedi” che ne sarebbero la risultante.
Valore sistematico decisivo, se non di interpretazione autentica, ha poi la successiva
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” (2010/C-2010), incorporata nel Trattato, che all’art.40,
tutela soltanto il diritto di eleggibilità di ogni cittadino europeo con riferimento ai “comuni” in cui risieda, senza fare, in alcuna sua parte, riferimento a enti autonomi territoriali di più ampia dimensione.
In tal senso,
l’attuale previsione dell’art.114, comma 1, Cost. (“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”) non assume dunque valore di principio fondamentale, immutabile: né alla luce dei principi fondamentali costituzionali (come si dirà meglio) né alla luce delle previsioni comunitarie a valore costituzionale rafforzato.
Ed infatti, quanto a principi fondamentali della Costituzione,
l’art.5 Cost. è di per sé in perfetta linea con la Carta europea, perché “vincola” la Repubblica a “riconoscere e promuovere”
solo le autonomie locali preesistenti allo Stato repubblicano, ciò nel senso storico-sociologico illustrato e recepito anche nella Carta, col risultato che solo gli enti denominati Comuni sono “preesistenti”, e quindi suscettibili di essere “riconosciuti” e non creazione “politica” storicamente mutevole.
Per il resto
l’art.5 Cost., unica norma tra i principi fondamentali "nazionali" che si occupi della materia, predica il “
più ampio decentramento amministrativo” nonché l’adeguamento della legislazione “alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”, con ciò rendendo prescrittivo solo un complessivo principio di “vicinanza” dei procedimenti normativi e delle funzioni amministrative al livello territoriale, perfettamente in linea con l’ampio ed elastico principio di “sussidiarietà” di fonte europea, cioè vicinanza funzionale dell’azione dei pubblici poteri ai cittadini, non legata ad una soluzione necessitata di entificazione di autonomie territoriali più vaste dei comuni.
Ne discende che, ferma restando l’autonomia dei comuni, come espressione del concetto di “autonomia locale”, tutto il resto è assoggettabile a revisione, purchè non siano lesi i principi del decentramento e della sussidiarietà, cioè della vicinanza agli amministrati delle funzioni pubbliche anche solo statali, e sia garantito un certo grado di “autonomia”, cioè la possibilità di emanare norme giuridiche regolanti gli interessi rappresentati, che è insopprimibile solo per i comuni e, per il resto, dipende dalla legislazione dello Stato in quanto conforme alle previsioni costituzionali,
comunque, in tale parte, soggette a legittima revisione.
3. Ipotesi di intervento di modificazione costituzionale.
Alla luce di questo
excursus di premesse, si può ipotizzare una revisione costituzionale così congegnata:
a) abolizione delle regioni e delle province quali enti a governo politico, ridisegnandoli come enti di “autogoverno”, nel senso “originario”\anglosassone (GB), - mantenendone l’“esistenza” e inalterata la“funzionalità”operativa, cioè il contenuto essenziale ricavabile dalla Costituzione- cioè come enti che:
i) pur “statali”, nel senso di inserirsi nella organizzazione dello Stato-ordinamento della Repubblica (esponenziale dello Stato-comunità, nella considerazione dell’interesse pubblico e del benessere generali), siano strutturalmente vicini ai cittadini realizzando la sussidiarietà, ma non siano dotati di autonomia legislativa, cioè di partecipazione diretta alla funzione politica normativa, bensì solo di autonomia regolamentare attuativa delle leggi statali e di legittimazione partecipativa all’elaborazione della legislazione statale nelle materie “concorrenti”(conservazione del sistema di consultazione Stato-regioni, con diversa legittimazione partecipativa alle varie “conferenze”);
ii) per garantire il raccordo con le comunità territoriali corrispondenti, e l’adeguamento al principio di autonomia flessibile previsto dall’art.5 Cost e dalla Carta, l’autogoverno, che è “buona amministrazione ”territoriale, potrebbe implicare l’elezione, da parte della comunità territoriale corrispondente, del solo vertice preposto all’organo (di decentramento) che, data la sua forte vocazione tecnica dovrebbe avere una coerente disciplina della eleggibilità passiva;
iii) in sostanza, (come verrà specificato al punto seguente), il consiglio regionale verrebbe sostituito da associazioni dei comuni interessati (su base provinciale o regionale) in funzione istruttoria e deliberante; le giunte e l’organo promulgatore-controllore in ultima battuta, sarebbero incarnati dal presidente, elettivo, dell’ente “maggiore”;
b) come detto al precedente punto, per mitigare la ridotta “autonomia” politica di regioni e province e per incrementare il peso degli enti locali nella realizzazione della sussidiarietà, si prevede che questi concorrano nell’esercizio delle funzioni regolamentari sulla base di deliberazioni preparatorie costitutive (adozione di regolamenti e atti di pianificazione di respiro provinciale-regionale) promananti da “associazioni e consorzi” (art.10 Carta europea) dei comuni rientranti nell’ambito territoriale considerato;
c) il “vertice elettivo” dell’organo decentrato statale esprime l’indirizzo dell’organo-ente in autonomia rispetto all’indirizzo ministeriale, ma nel quadro della legislazione statale, del settore di volta in volta corrispondente, e può modificare le proposte in sede approvativa solo nei limiti della maggior razionalità ed efficienza, secondo il principio di proporzionalità applicato alla sussidiarietà, e, trattandosi essenzialmente di potestà tecnico-discrezionali, ciò si risolverebbe in una verifica di coerenza delle deliberazioni preparatorie con le risultanze istruttorie “partecipate” dai cittadini;
d) tale principio di “proporzionalità” è meglio realizzabile, rispetto al caotico attuale assetto politico, attraverso la sottoposizione delle regole da introdurre, ad “
Accertamento dell’impatto delle regolazione” (AIR), svolto, in fase di avvio, dagli uffici tecnici-amministrativi dell’ente “maggiore” e gestito in fase istruttoria “partecipata” dalle assemblee dei consorzi\associazioni tra comuni.
D’altra parte questa tipologia “oggettivata” di istruttoria degli atti normativi e pianificatori è conforme al criterio dettato dagli stessi trattati UE, dato che è esplicitamente enunciato nel
protocollo 2 allegato ai trattati stessi, intitolato: “
sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”.
Detto protocollo, appunto, pone il principio dell’
AIR come metodo preventivo di dislocazione e organizzazione dei “poteri locali” e dei vari livelli di governo territoriale. E introduce, come vedremo, una netta
connotazione di democrazia diretta.
A queste “assemblee” sarebbe fornita, così, la base, trasparente e oggettivata, su cui svolgere la partecipazione dei destinatari, mentre, al vertice elettivo, successivamente, il parametro del controllo in fase approvativa.
4- Vantaggi in termini di efficienza funzionale e risparmi finanziari.
I vantaggi di un tale sistema, da introdurre con la revisione costituzionale qui ipotizzata, sono enormi, evidenziando che l’aspetto preliminare comune e costante di tutti tali vantaggi è che si tratterebbe di una manovra di riduzione della spesa concretamente non depressiva, l’unica realizzabile (il “taglio” delle pensioni si traduce comunque in un più o meno ampio decremento del risparmio pubblico e privato, indicato anche in studi Bankitalia, e in un prolungamento della disoccupazione “giovanile”).
Ecco i principali vantaggi:
1) taglio integrale dei costi di consigli e giunte regionali e provinciali. Soldi però resi disponibili per migliorare il livello dei servizi, non per effettuare semplici manovre di riduzione del deficit deprimendo però la domanda interna, cioè il PIL;
2) taglio integrale dei costi delle strutture di staff, pletoriche e clientelari, legate a tali organi, nonché delle relative “consulenze” (con gli stessi vantaggi di "riallocazione" delle risorse suddetti);
3) tramite le procedure di AIR partecipate, introduzione di una maggior democrazia diretta e di una più trasparente ed efficiente gestione dell’attività normativa e pianificatoria;
4) trasferimento del personale impegnato nelle strutture di diretta collaborazione con consigli e giunte negli uffici operativi (di “line”), con incremento dell’efficienza dell’azione amministrativa decentrata e risparmi potenziali consistenti, su nuove assunzioni e trattamenti economici aggiuntivi, che spesso sono attribuiti con facilità a tale personale (risparmi generali deriverebbero pure dall’assoggettamento del personale alla contrattazione del comparto statale-ministeri, tendenzialmente meno “largheggiante” nelle retribuzioni a parità di livello);
5) concepiti come organi statali di decentramento, dialoganti con comuni e associazioni di comuni, questi enti sarebbero resi più efficienti dalla eliminazione delle difficoltà di identificazione delle materie di rispettiva competenza legislativa tra Stato e regioni, dato che la legislazione primaria sarebbe tutta di spettanza statale e su tutte le materie ora regionali sarebbe di principio e “concorrente”con norme regolamentari (gerarchicamente più forti di quelle degli enti locali minori ma solo se non varchino i limiti di loro autonomia sanciti nella revisione costituzionale).
Si pensi alla semplificazione, da uniformità e univocità legislativa, di materie come la VIA (valutazione impatto ambientale), l’incentivazione energetica e all’impresa in generale, localizzazione e realizzazione coordinata delle infrastrutture e via dicendo;
6) l’uniformità e la maggior chiarezza normativa si coniugherebbe alla uniformità e reale depoliticizzazione delle decisioni pianificatorie e provvedimentali, che divengono strutturalmente più resistenti a interessi locali “particolari” (quindi intrinsecamente più razionali ed efficienti) e meno affette da illegittimità (se non “illiceità”) dovute alla scarsa trasparenza insita nella contingente formazione di maggioranze politiche.
Le stesse decisioni sarebbero, per converso, espressione di più intensa democrazia diretta e più attente al concreto interesse della comunità, “misurato” obiettivamente e considerato in modo “imparziale”, con massimizzazione dell’efficienza (art.97 Cost.);
7) il controllo statale su tali “propri” organi decentrati “atipici e ad autonomia speciale” (controllo che è in sé misura preventiva degli sprechi e di illegittimità\illiceità gravi), sarebbe limitato, nella sua incidenza invasiva delle autonomie, dalla garanzia partecipativa dei cittadini in sede normativa e pianificatoria di livello regionale o provinciale, rafforzata e oggettivata dalle procedure di AIR e rappresentata dalle associazioni dei comuni in funzione di deliberazioni preparatoria (ogni comune conserverebbe comunque le attuali proprie competenze pianificatorie di “adozione”, non essendo toccate dalla modifica qui proposta);
8) in conformità del predetto ampliamento della democrazia diretta (ben più forte, come grado di realizzazione della sussidiarietà rispetto alla autonomia con sistema elettivo rappresentativo) si può sancire la regola generale di referendum propositivi e abrogativi (regolati con legge dello Stato in base a previsione costituzionale) rispetto alle norme emanate da tutti tali livelli territoriali (inclusi i comuni), come, d’altra parte, prescrive, in termini di direttiva, l’art.4 della Carta europea delle autonomie locali, rimasto in gran parte in attuato;
9) semplificazione tributaria-finanziaria, per riscossione e perequazione, poichè tutti i tributi ridiventerebbero statali, tranne quelli direttamente spettanti ai comuni e, in più, in relazione a esigenze di spesa strutturale snellite e più agevolmente controllabili (logistica, mezzi, personale).
5-
Risparmi diretti e “di sistema”.
Si segnala come i risparmi complessivi così ottenibili sono immediatamente di entità tale da avere un effetto di sensibile correttivo della spesa pubblica, non depressivo, atteso che, come si è dianzi precisato,
lo stesso “ammontare” di funzioni e servizi sarebbe anzi gestito con maggior personale, recuperato e meglio distribuito, e, grazie anche a "maggiori risorse" reperite (vera "spending review") maggior uniformità e snellezza.
.
Le spese degli organi istituzionali di regioni e province (indennità, forme di retribuzione diretta, logistica) sono pari a circa il 50% delle spese istituzionali nazionali della “politica elettiva”.
Il resto di tali voci complessive di spesa è suddiviso tra il Parlamento che ne rappresenta il 20,3%, nonchè i consigli e giunte comunali col 30%, somma che peraltro assorbe il 55% dell’addizionale IRPEF comunale!. L’ammontare totale dei tagli per spese di organi politico-elettivi di regioni e province porta a 1,6 miliardi di euro di risparmi immediati, (dati UPI confrontati con dati UIL, sulla base di diverse voci analizzate dal Ministero dell’interno e Corte dei conti: la cifra globale assorbe circa il 19% del gettito dell’addizionale IRPEF regionale) ottenibili senza, si ripete, tagliare servizi e funzioni, che comunque potrebbero essere più facilmente razionalizzati con ulteriori risparmi.
Ciò senza contare i risparmi da consulenze e personale di staff non appartenente ai ruoli degli enti, nonché di erogazione, al personale politico elettivo (e non), di
fringe benefits (telefonino, rimborsi spese), risparmi che dovrebbero equivalere a qualche centinaio di milioni.
E senza conteggiare, ancora, le spese di “rappresentanza”, in senso lato, dei consigli e delle giunte per viaggi, convegni, mantenimento di sedi a Roma, sedi a Bruxelles e relazioni internazionali tenute informalmente (spese che, probabilmente, se oggetto di seria indagine si scoprirebbero superiori a quella per le stesse “indennità”).
I costi di consulenze, incarichi e collaborazioni presso regioni, comuni e province (queste ultime, invero, in misura modesta) sono complessivamente di 3 miliardi annui e quelli per il personale di staff di circa 1,5 miliardi (in base alle medesima fonti sopra citate).
Su tali cifre globali di spesa, imputando una percentuale del 50%, corrispondente a quella per i costi “istituzionali” degli organi di vertice degli enti considerati (prudenziale, perché nel precedente calcolo era incluso anche il costo delle due Camere), si arriva a circa 2,2 miliardi. A cui vanno aggiunti i risparmi da riduzione del parco “auto-blu” e di future indennità pensionistiche.
Si può ipotizzare, per risparmi diretti ed immediati, un ammontare approssimativo tra i 3,5 e i 4 miliardi, a regime, cioè per ogni periodo futuro di esercizio del bilancio (a fronte, si ripete, dello stesso livello quantitativo di funzioni e servizi, con probabile miglioramento del livello, per imparzialità e speditezza). Si tratta di un risparmio di poco inferiore a quello atteso da varie ipotesi di riforma delle pensioni.
Ma i risparmi da maggior efficienza, ridislocazione e minor complicazione dei processi decisionali pubblici (tra l’altro non soggetti a crisi assembleari e soluzioni di continuità)
sarebbero ben più ampi, risolvendosi in una sostanziale misura di rilancio dello sviluppo.
D’altra parte le ricadute sarebbero tali e tante, (anche in termini di segnale all’Europa), che potranno emergere, oltre all’evidenza intuitiva, solo da un accurato esame dell’andamento della spesa regionale (principalmente), in relazione alla
“depoliticizzazione” del risultato pianificatorio, normativo e amministrativo, in un “ambiente istituzionale” in cui priorità dell’assegnazione delle risorse e esercizio della discrezionalità non siano più frutto di geometrie politico-clientelari, ma formulate secondo criteri omogenei in funzione della efficacia ed efficienza della gestione.
Quello che è veramente interessante è il "tenore" delle risposte avute all'indovinello sul terzo "significato" di 48.
Il bello è, infatti, che ne sono venuti fuori molti altri. Di cui vale la pena fare una "rassegna", visto che sul punto la cultura e l'intelligenza dei commentatori si è espressa, "ai massimi livelli". Altro che "Guerra e pace" e Flaubert e Cèline ( Alberto si fa per scherzare:-)!): qui si tratta di transavanguardia e fenomenologia, ermeneutica e semiotica avanzate.
I nostri referenti sono - in ordine di importanza- Don Juan Matus, Husserl e Gadamer...e scusate se è poco (ari-smile :-) )...
Sui primi due significati, ha provveduto "in apertura di primo tempo" Oscar Dabbagno:
Beh...l'Infinito ci piace tantissimo, come punto di riferimento della consapevolezza umana!
Avendoti visto in ottima salute escluderei l'interpretazione della smorfia napoletana "48 O muorto che pparla" (ok, puoi anche non mantenere mani sulla tastiera...); ho trovato invece una interpretazione cabalistica dei numeri - simbolismo e significato del 48: "Chi è stabile nello spirito e nel corpo non ha paura di rendere partecipi gli altri della propria ricchezza." E' perfetta nel nostro caso, visto che con il blog condividi la tua ricchezza intellettuale; e se ho indovinato ti toccherà condividere (via pizza) anche le ricchezze pecuniarie.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. " La dichiarazione dei Diritti Umani del 1948?
Ma ci arriva "pericolosamente vicino...
Eeeeeh?!?!?! Qualche settimana?!?!?! Ma tu non sai che ora io non dormirò la notte per trovare la soluzione?!?!?! Ma il terzo significato è strettamente legato al 1848 inteso come Primavera dei Popoli? Oppure riguarda qualcosa di più ancestrale o legato a popoli antichi e suoi personaggi (tipo antichi Maya Toltechi, con annesso Don Juan Matus)? Se non te ne sei accorto, sto proprio dando fondo a tutte le mie riserve ;)
Esagramma 48 I Ching - il pozzo
- Spiegazione generale: per riuscire nel vostro obiettivo (Intento, ndr), occorre scavare e cercare nel passato.
Fermarsi in superficie è rischioso, bisogna andare sino in fondo.
Indica anche la necessità di ogni individuo di attingere al pozzo della vita, alla sorgente, all'origine delle cose. In poche parole, è un segno che parla di purezza, nei rapporti, nel lavoro, nella propria esistenza.
Insomma, una grande prestazione di squadra. Anche se, a prescindere dalla soluzione "in termini", c'è un "colpo di scena" in "zona Cesarini"...(1-continua)