No, non vi parlerò nuovamente dell'art.18: la memoria degli italiani è ormai condizionata troppo "a breve" per rammentare che si tratta di una conseguenza diretta della "estorsione", cioè di un ordine diretto, - e corredato da minacce esclusivamente dirette ad un'Italia governata da imbelli privi di qualunque senso dell'interesse nazionale-, provenienti dalla Trojka; questa va intesa come momento di saldo tra spinte liberiste USA (con annessi investitori esteri della più predatoria matrice finanziaria) e ordoliberismo mercantilista germanico (che predica bene a casa propria e razzola malissimo, altrettanto impunito, a danno degli altri).
Mi basterà dirvi che non è la disciplina dei licenziamenti con reintegra la posta in gioco, essendo stati sostanzialmente disciplinati già dalla precedente riforma Fornero ed in termini pressocchè identici, - salvo qualche dettaglio mal interpretato-, a quelli di cui oggi si discute (nella totale ignoranza del concreto stato della legislazione già vigente): no, la posta in gioco è la realizzazione del nuovo welfare che andrebbe accompagnato ai diversi "stadi" e fonti di disoccupazione che il sistema, orgogliosamente coatto nell'adempiere agli ordini sovranazionali, stabilizza ed incentiva.
Questo nuovo welfare, infatti, restringerebbe la cassa integrazione nelle sue forme attuali, allargherebbe la platea dei legittimati al sussidio di disoccupazione, includendovi lavoratori precari (in tipologie non ancora ben definite), mentre, in piena frenesia "cosmetica", riconoscerebbe sostegni economici di maternità anche alle lavoratrici "autonome" e via dicendo. Non c'è limite all'indoramento della pillola.
Comunque, fermo restando che il nuovo "sussidio universale" innesca automaticamente la corsa al ribasso accelerato dei livelli salariali sui (presunti) nuovi lavori - che semmai si collocherebbero nel settore degli oligopoli gestori della distribuzione e dei servizi nonchè nelle fabbriche cacciavite a proprietà estera cui si sta riducendo progressivamente il manifatturiero-, cerchiamo di capire quanto costerebbe.
Qui siamo nel più irresponsabile e demagogico (non sia mai ci fossero elezioni in vista) marasma: per quanto riguarda il sussidio di disoccupazione, oggi definito ASPI, "il costo della misura è tra 8 e 18 miliardi. Ma stime attendibili bisogna aspettare di sapere in cosa consiste l’estensione, per quanto tempo e in che misura sarò prevista (oggi l’Aspi è intorno all’80% e dura da 12 a 18 mesi)."
A questa improvvisazione, che certamente non può essere indifferente sul destino di milioni di lavoratori, occorre aggiungere "una sorta di piano industriale per i singoli settori»
(energie alternative, chimica verde, beni culturali…) sfruttando
l’innovazione applicata alla ricerca e le potenzialità dei distretti
tecnologici «che possono unire la capacità di investire sulle nuove
generazioni con l’esperienza, la saggezza e la bellezza dei più grandi»."
Non credo che questo programma possa essere attuato con zero risorse pubbliche: quantomeno dovrebbe essere innescato da misure di agevolazione fiscale se non crediti d'imposta e sgravi contributivi. E non sarebbe praticabile se non avesse un costo di "X" miliardi, allo stato attuale.
Vedrete che tireranno fuori il mitico piano Juncker di investimenti e i fondi UE da "confinanziare" magari al 25% anzicchè al 50% (adempiuta la riforma strutturale deflattiva del lavoro si spera in questo).
Niente paura: si tratta di somme che o saranno oggetto di pesanti condizionalità sul raggiungimento degli obiettivi di indebitamento e di riduzione del debito pubblico dettati dal Fiscal compact, o si tratta di briciole e di risorse assolutamente inadeguate. E comunque a carico pubblico nella gran parte dello sforzo effettivo per innescare il (sempre) presunto "effetto leva" tra fondi pubblici e privati che darebbe luogo al totale "ipotizzato" dall'altrettanto mitico Juncker.
Il problema è che in tale dimensione finanziaria di intervento, tra neo-welfare e piani "industriali" di rilancio- e ci aggiungiamo l'inevitabile ritorno alla carica della "riduzione del cuneo fiscale" (o estensione a regime degli 80 "euri" fate voi)-, potremmo fare un calcoluccio ad occhio ed a spanne (l'improvvisazione attuale non lascia adito ad altro criterio): diciamo una decina di miliardi per il solo "grande-ASPI", un qualche centinaio di milioni per la maternità delle lavoratrici autonome, un'altra decina di miliardi per qualche forma di taglio del cuneo fiscale, qualche miliardo per cofinanziare i "piano industriali di settore".
Facciamo, con la dovuta cautela, un 25 miliardi?
Aspettate, come nel caso del decreto "sblocca-Italia, in cui le risorse aggiuntive sono risultate alla fine di 200 milioni, essendo il resto il reimpiego di fondi già stanziati e sottratti ad altri capitoli di spesa, si provvederà mediante tagli da altre parti, nella spesa pubblica, - e scommetto su pensioni e sanità- e nel più che sicuro piano di attuazione del taglio delle deduzioni e detrazioni ai fini tributari. E magari nella vista accelerazione della revisione delle rendite catastali: con gli effetti che sappiamo.
Ma questi tagli, per essere "credibili" dovranno pure essere rispettosi degli obiettivi di medio termine nella riduzione del deficit pubblico (su cui i vari Schauble e Katainen e gerarchi eurocrati hanno già preannunziato "tolleranza zero"): cioè imporre, per il 2014, una drastica riduzione dell'indebitamento.
Non mi ripeterò su come tutto ciò sia affetto da miopia suicida nel considerare l'effetto del moltiplicatore fiscale e la insostenibilità dell'euro (guarda un po' "dove" se ne stanno accorgendo!)
Diciamo solo che qualunque minima realizzazione di questi obiettivi tra loro del tutto inconciliabili si potrà solo misurare in diverse misure percentuali di (grave) recessione (e disoccupazione acuita) che deriveranno dall'esito della "grande manovra" (preelettorale?) che ci attende.