sabato 31 maggio 2014

LE INCERTE OPZIONI DI SALVEZZA ITALIANA NELL'ERA DELLA FINANZA CHE PERDE IL SUO RAPPORTO DI STRUMENTALITA' CON L'ECONOMIA REALE. -1

 redemption : Segno di salvezza con sacerdote isolato su sfondo bianco

Cari lettori (concetto che allargo alla, più o meno omogenea, community di twitter),
sono reduce da un convegno a Rovereto (nell'ambito di una delle giornate dell'Alterfestival) che mi ha mostrato come, a livello locale, esistano forme di auto-oganizzazione associativa attive e capace di svolgere un'azione pragmatica di coinvolgimento del "pubblico" e specialmente, "aperta"; cioè non necessariamente legata alla matrice di un'unica voce critica dell'€urofollia, ammettendo un sano pluralismo di approcci.
Questo pluralismo, lungi dal provocare disorientamento e controversie autolesioniste, appare piuttosto il presupposto ideale per trovare una cornice unitaria degli sforzi comuni volti ad elaborare una linea collettivamente spendibile, che intendiamo come contrapposizione alla deprimente continuità delle soluzioni che l'attuale classe di governo ha (è il caso di dirlo) nel mirino.

In questo e in una serie di prossimi post, ci occuperemo dunque, delle prospettive e degli strumenti di politica economica (e fiscale) alternativa all'approccio €uro-continuista che pare essersi sviluppato attualmente (come mostra il precedente posta appena linkato, in relazione allo scenario acutamente delineato nel post di Francesco Lenzi).

Tratteremo dunque di come qualificare, nell'ambito delle teorie economiche, quella che il mainstream indica di voler (forse) ora adottare, di quali articolati problemi ci pone in concreto la fine della valuta unica, come pure degli alternativi scenari in cui questa potrebbe verificarsi (ipotesi in cui includiamo anche la gamma di soluzioni che vanno dalla mitizzata "modifica dei trattati", che allude alla uto-distopica "altra Euopa", alla più sensata eurodissoluzione concordata).

Vi dico subito che tratteremo anche dell'ipotesi di Cesare Pozzi che, con ragionevolezza in premessa assolutamente condivisibile, ci dice, - è meglio chiarirlo subito- che first of all, dobbiamo disporre di un modello coerente e consapevole che rilanci e valorizzi gli assets di sistema di cui ancora oggi l'Italia (non si sa ancora per quanto) dispone.
Il suo "facciamoci buttare fuori", implica la priorità di questa realizzazione politico-economica e, sopratutto di modello di sviluppo industriale. Quali siano le meditate conseguenze del fissare una tale priorità programmatica, verrà in dettaglio passato in rassegna; ma possiamo preannunciare che, in termini di Costituzione democratica e di riattivazione della fondamentale Costituzione economica, la soluzione sintetizzata da Cesare, rinvia direttamente sia alla sovranità sia alla indispensabile ed immediata "disponibilità" di una nuova e diversa classe dirigente (politica e "economica" nel senso riferibile alle istituzioni autorappresentative delle forze produttive).

In questo quadro ci occuperemo anche dell'ormai tristemente famoso European Redemption Fund, che purtroppo famoso è solo all'interno della parte più informata e consapevole dell'opinione pubblica, e non certo della nostra classe politica.
L'ERF, comunque lo si voglia realizzare, è una misura drasticamente neo-classica, liberista nelle sue necessarie premesse teoriche e pratiche. E questo ancorchè fosse inserito in un vagheggiato neo-europeismo "arcadico", cioè di preteso allentamento dei limiti del deficit pubblico attuali, - che a stretto diritto sono individuabili nel (molto probabilmente illegittimo) pareggio di bilancio "strutturale" (piuttosto che nel 3% imprudentemente speso da esponenti del governo, che non paiono coscienti dei "vincoli esterni" in cui hanno inconscientemente imbarcato la società italiana) presenta comunque un costo esiziale. L'ERF, infatti, obbliga al raggiungimento di un avanzo primario del pubblico bilancio dell'ordine di 5-7 punti di PIL all'anno (a seconda delle più o meno fantasiose ipotesi di alleggerimento del tetto del deficit da "rinegoziare", non si sa bene come e quando).
Come ciò sia compatibile con qualsiasi ipotesi di crescita, rimane un mistero.

Ci (ri)occuperemo anche del TTIP, cioè del nuovo trattato di liberoscambio transatlantico che incombe, con le sue trattative segrete e con la già constatabile incognita sulle incombenti incertezze di tenuta del modello socio-economico di entrambe le parti coinvolte (USA ed UE). E comunque, non ultimo, con la sua prospettiva di un enforcement delle sue regole affidato ai panels di giustizia arbitrale "privatizzata" che, composti da avvocati designati dai grandi gruppi multinazionali interessati, può imporre agli Stati condanne finanziariamente insostenibili e modifiche ordinamentali in contrasto stridente con le rispettive norme costituzionali fondamentali

Fatta questa essenziale precisazione, che spero di aver espresso in termini sufficientemente chiari, mi rendo conto che il tema, o il "complesso" di questi temi, si presta a svariate interpretazioni, se non altro, ove subentri la suggestione della fissazione di un paradigma "critico" che divenga a sua volta affetto da rigidità (nelle soluzioni).
Per questo nei post che seguiranno, utilizzeremo il contributo dato dai più attenti commenti per incardinare, in un dialogo "partecipato", il discorso relativo ai vari oggetti preannunziati; insomma useremo la logica (democratica) dell'accertamento dell'impatto delle varie opzioni "super-regolatorie" presenti sul tappeto, senza mai dimenticare di verificarne la compatibilità coi principi fondamentali e non soggetti a revisione della nostra Carta Fondamentale.

Cominciamo col riportare una serie di mail che Francesco Lenzi mi ha inviato un uno scambio cui, come vedrete, ha partecipato sinteticamente ma significativamente, lo stesso Cesare Pozzi (cui chiedo venia se riterrà che il suo intervento risulti suscettibile di precisazioni ulteriori, per meglio consentirgli di esprimere il suo sempre prezioso pensiero: come lui ben sa, le sue analisi sono sempre massimamente benvenute su questo blog e, anzi, aneliamo ad averne). Aggiungo che, "ad usum lectoris", ho talvolta espanso il senso di alcune mie frasi in modo da renderle meno ellittiche e più immediatamente comprensibili, ma senza tradire, spero, il "thema" del contraddittorio instaurato:

1- Il dialogo inizia da questa mail che condusse al post di Francesco sopra linkato:
"Caro Francesco (spero questa sia ancora la tua mail),
sto rimuginando da alcuni giorni sul ruolo di Blackrock; in chiave frattalica e non meramente venture-speculativa.

Mi ha colpito l'articolo di Forte oggi, se non sbaglio su "Il Giornale", che rivela che alla fine del 2011, Blackrock, nella sua proposta, ci avrebbe, in caso, "aiutato" a mobilitare 200 miliardi per acquisti di debito con sottostante cartolarizzazione di beni pubblici.

So che tu valuti il tutto come essenziale presenza venture-speculativa su un mercato a prezzi stracciati come quello italiano, ma nondimeno la frequenza e collocazione di tali investimenti "di sistema" non può non far pensare (Lutwak stesso disse che in caso di euroexit il nostro sistema bancario, quantomeno, sarebbe dovuto passare in mani straniere).

Insomma, non voglio seccarti, ma ti va di provare a fare un post con un'analisi ragionata da par tuo?
...

Spero di riuscire a tentarti :-)
Un caro saluto,
Luciano"

2- "Ciao Luciano,
Riguardo il ruolo che gli Usa hanno giocato in quel periodo tra luglio 2011-luglio 2012 mi pare che, con le ultime rivelazioni di Geithner e il resoconto di Spiegel sul FT, si sia chiarito che se l'euro è ancora tra noi è perchè l'ha voluto Obama, preoccupato che un'ondata di instabilitá finanziaria propagata dal break-up dell'eurozona verso gli Usa avrebbe creato molti problemi al loro sistema finanziario ancora convalescente. Il ruolo di Blackrock in quel periodo è stato perfettamente funzionale al disegno complessivo. 
Fosse stato per i tedeschi (così come han sempre detto in tutte le precedenti nostre crisi valutarie '63 - '74 -'92) probabilmente saremmo stati giá fuori.

Quindi cosa potrá succedere adesso? Il punto da seguire è secondo me solo gli Usa. Decideranno loro.

Io credo che abbiano sottovalutato la tirchieria dei tedeschi
Il piano Geithner prevedeva di tenere insieme i cocci con "riforme" nei periferici e politica monetaria espansiva per gonfiare o i prezzi o gli immobili in Germania e tenere il saldo estero dell'eurozona sottocontrollo. Ora si ritrovano in una situazione in cui 2 (Cina e Giappone) dei tre grandi creditori hanno fatto ciò che gli venne richiesto nel post-Lehman. L'altro invece, la Germania, ha fatto poco o niente. A questo punto io controllo due cose:
1.Eur/Usd. Se superasse la resistenza di 1,38-1,4 potrebbe volare verso 1,5 o più e a quel punto finisce tutto per il colpo di grazia  all'economia reale di Francia e Italia. Anche a 1,4, cmq, mi pare che si sia in affanno, ma magari un altro annetto si va avanti.
Se invece si dovesse svalutare, le conseguenze probabili sarebbero deflazione esportata verso Usa, aumento del surplus estero della zona euro, maggiore pressione sui valori delle attivitá finanziarie e reali soprattutto in Germania (con il DaX e il Bund che son giá oltre i massimi storici). Non proprio una situazione confortevole per Weidmann che potrebbe a questo punto "suggerire" di abbandonare la zona euro ed evitare di cadere da un punto troppo alto. Perchè anche loro dovranno cadere, in un modo o in un altro. A meno che non decidano di condividere i guadagni fatti fino ad oggi.

2. Stato di salute del mercato finanziario Usa. Ormai son ritornati gonfi come nel 2007. Il piccolo rialzo dei tassi dello scorso anno ha fermato il mercato immobiliare. Poi c'è il problema degli student loans e car loans. Un Crollo del mercato USA (Hussman ormai da 6/7 mesi mette in guardia su una possibile correzione di oltre il 50%), che si abbattesse su questo stato della zona euro, la farebbe sparire in un attimo.

Questo a grandi linee lo stato delle cose. I capitali Usa sono ritornati in eurozona per comprare assets da rivendere alla BCE con la prossima operazione straordinaria di giugno-luglio (che è molto probabile debba fare). 
E questo è stato un normale movimento speculativo, che se non ci fosse stato il Belgio :) avrebbe giá smosso gli equilibri. Ma ormai ci siamo. Interessante sará vedere da giugno in poi quale sará lo scenario prevalente. Sempre considerando che in un modo o in un altro la Germania verrá obbligata a ridurre il suo surplus.

Questo in sintesi come la vedo. 
...

Un caro saluto e a presto,

Francesco"

3- Per selezionare quanto di più immediato interesse, e non già espresso pubblicamente nel post medesimo di Francesco, perveniamo direttamente a questa mail:
"ciao Luciano,
ti mando questo post che riassume a grandi linee quale sia lo scenario che ritengo prevalente per i prossimi mesi. Non credo tanto ad una mission di interventismo da parte delle truppe finanziarie americane per stabilizzare l'economia italiana in preparazione di un ital-Exit
Come ho descritto nel post la situazione degli Stati Uniti non è solida per niente. Non è solida per reggere ad una uscita che non sia in qualche modo programmata e supportata finanziariamente. 
Non credo che in Italia avremo, almeno nei prossimi 2-3 anni, qualcuno in grado di aver il coraggio di portarci fuori da questo pantano avendo un piano sufficientemente solido per reggere il periodo del change-over
Ho fatto una serie di letture sulla crisi del sud est asiatico del 1997 e l'elemento critico per l'Italia di oggi, come l'est asia di allora, è l'entità dei debiti esteri a breve
Sono credo troppi per gestire in autonomia l'uscita. Servirebbe un grosso supporto finanziario della FED, e non credo sia ancora un loro interesse strategico. Almeno non nei prossimi mesi. Credo piuttosto che sia arrivato il momento in cui costringeranno la Germania a decidere cosa vuol fare da grande.   


Quanto a BlackRock: dalla seconda metà del 2013 vari report di Blackrock suggerivano l'intervento nei periferici della zona euro per la loro bassa valutazione e per i limitati rischi di un breakup. 
Il comportamente ha avuto quindi un chiaro effetto anticipatore: compro attivi euro sottovalutati, euro si apprezza (anche grazie ai surplus commerciali crescenti), aumentano pressioni deflattive, aumentano spinte per allentamenti monetari e di tassi di interesse, aumentano valori degli assets, realizzo plusvalenze. Le ultime indicazioni sono per una fine corsa dei valori, l'attesa è per quello che Draghi ha annunciato per Giugno. Da lì in poi vedremo la capacità dei tedeschi di reggere ai capital inflows. 

Ti chiedo, visto che l'ho scritto nel tempo libero di oggi pomeriggio, di perdonarmi se non sono sufficientemente chiari alcuni passaggi o se alcune parti non sono scritte per bene. Aggiungi pure le modifiche che credi. 

Fammi sapere.
Un caro saluto e a presto.
Francesco"
4- La mia risposta, a sua volta, ritengo possa dare alcuni punti di riferimento del grado di sviluppo della discussione, almeno per quanto riguarda la mia attenzione verso il fondamentale "riflesso istituzionale" di ogni possibile dinamica in gioco:
"Caro Francesco,
grazie.
Stasera sono stato a cena con i proff. Giacchè e Pozzi e parlando di Blackrock il primo è esattamente della tua idea. Pozzi a sua volta sostiene la stessa cosa che mi dici quanto ai crediti a breve, ed esprime dubbi quanto alla nostra forza negoziale-commerciale (come prevalenti price-taker) ed alla possibilità di reggere al c.d. "effetto sostituzione" (avendo perso il controllo di troppe filiere in cui siamo solo produttori intermedi, e/o facilmente aggredibili dai concorrenti di altre aree labor intensive o in cui la connessione tra produzione di beni strumentali e natura del prodotto sia caratterizzata, appunto, da una facile "surrogabilità" sul piano delle tecnologie già disponibili).
La situazione è tragica: rimango dell'idea che, recuperando risorse produttive (risparmio bloccato nella "trappola della liquidità") e un serio disegno industriale, nel medio periodo ce la possiamo cavare, ma a condizione di avere una banca centrale con funzioni di tesoriere e adeguate protezioni di repressione finanziaria e di "inversione" fiscale.
Ma richiede una classe politica e industriale di cui ora non c'è traccia. Vabbè, ci vorrano i CNL, perchè la Costituzione prevede e anzi imporrebbe azioni del genere..
A presto,
L. "
5- E' più chiaro ora, per chi avesse ancora dei dubbi sull'ordine generale dei problemi pratici da affrontare?
Andiamo dunque a questa ulteriore importante risposta:
"Io sono meno pessimista (forse anche per natura) sulla situazione prossima ventura.
Ha ragione Pozzi sull'interrogarsi in cosa sia rimasto delle filiere italiane e quale possa essere l'effetto sostituzione della svalutazione, ma credo, proprio perché siamo sempre più price-taker e non price-maker, la valuta ritorni ad costituire uno degli elementi essenziali
Nel senso che se la filiera funziona sul prezzo (stante la media della qualità del prodotto) è stato proprio il non potersi adattare alla competizione di prezzo delle economie emergenti che ha segnato (parte) del declino della manifattura italiana. In sostanza, se partecipi a delle filiere produttive e sei nelle parti intermedie, le pressioni sui prezzi riesci ad assorbirle meglio se puoi giocare sul cambio. Viceversa se il posizionamento è nelle parti più a valle della filiera.
Poi, certo, è molto una questione politica. E' logico che se per uscire imponi il blocco dei capitali, trattenendo all'interno dell'Italia qualcosa come 1000 miliardi di euro, è normale che vai a creare diversi problemi ai nostri partner. Ed anche gli scambi commerciali ne risentirebbero sensibilmente. 

Quanto poi al contesto finanziario/fiscale, posto che gli USA (ma anche GER e FRA) non ci faranno uscire da soli imponendo un blocco dei capitali, credo che il livello dei tassi giochi comunque a nostro favore
Quello che si dice degli USA, sulla loro ripresa, è molto esagerato. Hanno sicuramente seguito una strada migliore della nostra, ma dal punto di vista della domanda interna hanno ancora molto da fare per ristabilirsi e poi c'è l'incognita di cosa potrebbe succedere al mercato finanziario con questo livelli di valutazioni. I tassi staranno bassi per molto tempo e se son bassi in USA saranno molto bassi anche qua da noi (euro o non euro). 
La leva fiscale poi è servita in tutti questi anni per comprimere la dinamica della domanda interna cercando di tenere a bada le importazioni. Non credo che, una volta riaggiustati i cambi reali, l'interesse della nuova classe politica dirigente sia di continuare a fare lo sceriffo di Nottingham.

E poi, un'altra cosa da considerare è che l'Italia, nonostante il disastro di questi 15 anni non è uno dei Pigs
Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda hanno tutte una posizione sull'estero negativa per oltre il 100% del PIL, difficile che senza una forte ristrutturazione del debito loro possano andare avanti fuori dall'euro. L'Italia no, ha poco più del 20%PIL (in effetti attualmente sfiora il 30% ndr.) di debito, una cosa assolutamente gestibile
Inoltre il saldo commerciale con l'Unione europea, durante il periodo 1999-2012, è stato positivo per circa l'1% del PIL. 
La grossa perdita di competitività l'abbiamo avuta verso l'esterno della zona euro. Molto interessante in questo senso è il paper del 2010 del FMI http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2012/wp12236.pdf che cito spesso anche su twitter. 
Fondamentale per capire che il nostro non è stato un problema di competitività intra eurozona (siamo meno competitivi dei tedeschi, ma lo eravamo più degli spagnoli, dei portoghesi, ecc...) ma è stato soprattutto nei confronti degli emergenti e della dipendenza dalle risorse energetiche. Anche il solo riaggiustamento del cambio euro/dollaro, intorno 1,1/1,15 potrebbe darci sollievo nell'immediato. Purtroppo c'è il "piccolo" problema del surplus tedesco. 

Insomma, premesso che non abbiamo ancora molto tempo perchè il sistema economico è arrivato ormai sull'orlo del collasso, se veramente la BCE costringesse i tedeschi a levarsi di torno, potremmo avere, già nel breve termine un forte sollievo
Poi si tratta di decidere cosa vorremo fare da grandi, ma credo che così come il sistema economico si è indirizzato sul terziario e gli immobili alla fine degli anni novanta perchè c'erano margini molto più ampi che non su gran parte del manifatturiero, il recupero di redditività sul manifatturiero guiderebbe i nuovi investimenti. Questo nell'immediato.
Per il dopo, lo sappiamo.
Speriamo bene e che le cose succedano sufficientemente in fretta.
Un caro saluto,
Francesco"
6- Il "colloquio" (oggettivamente non-Lippman...) è così proseguito. 
Come vedrete coinvolge, da parte mia lo stesso problema dell'ERF e i suoi riflessi sull'azione fiscale e sulla sostenibilità in termini di crescita o, quantomeno, di ragguardevole out-put gap:
"La tua analisi è confortante: al riguardo ho sempre chiesto a Cesare se avesse dei dati per supportare la "vulnerabilità" strutturale della nostra posizione nelle famose filiere. Lui sostiene che nessuno "vuole" o, comunque, ha il coraggio di fare uno studio serio; Confindustria in primis, che si affida a statistiche rudimentali (ad es; il report Istat sul import ed export, non ci dice nulla sulla nostra capacità di resistenza settore per settore e sulla riespandibilità della produzione sull'intera filiera, quale che ne sia il modo: investimenti, know how e professionalità residue e loro accessibilità nel breve).
Su tutto quello che dici, incombe ovviamente l'ERF: con un avanzo primario "vincolato" dall'UEM a 6/7 punti di PIL (salvo triple o quadruple dip - cioè ulteriore recessione- da consolidamento, e rateo maggiore per via di denominatore in tracollo), sia S (risparmio) che I (investimenti) rischiano di diventare strutturalmente negativi (e non c'è strategia industriale che tenga).
In caso posso aprire un dibattito sul blog pubblicando questa tua mail (precedente)?
Un caro saluto,
L."
7- Questa la risposta di Francesco:
"Non ho certamente dati precisi che, salvo l'ufficio studi della confindustria, pochi altri potrebbero avere sulla capacità di reggere del nostro sistema produttivo in caso di una svalutazione one-shoot e poi un cambio maggiormente amministrabile. 
Mi baso sull'esperienza diretta del mio settore tessile e sulle analisi fatte da istituti tipo fondazione "Edison" e Symbolia. 
Il nostro problema è tutto sul mercato interno perché quando una Nazione grande come la nostra, nonostante un differenziale di competitività con i tedeschi del 20 e del 10% con i Francesi, arriva ad esportare il 30% del PIL ha a disposizione tutte le risorse per potersi pagare le importazioni
Quindi, anche vedendo il modo con cui nel tempo si è mosso il saldo estero in funzione del Reer (tasso di cambio reale, ndr.), non credo che dal punto di vista manifatturiero avremo grosse difficoltà (sempre in termini di capacità di assorbire lo shock da svalutazione che comunque nei primi mesi ci sarà) a riprendere i margini perduti e quindi la capacità produttiva e di conseguenza gli investimenti.
Il mio cruccio sul changeover riguarda la solidità del sistema finanziario
I debiti a breve sull'estero sono 580 miliardi. Circa 240 sul Target2 il resto principalmente in capo alle banche. 
La situazione è molto simile a quella della crisi dell'Est Asia, in cui, sebbene i bilanci pubblici fossero buoni, il deficit di CA non così esplosivo, la rivalutazione del dollaro sullo Yen, la successiva perdita di competitività, la fuga speculativa ed infine il deprezzamento, portarono a quello che Krugman ha chiamato Balance sheet effects
In questa tipologia di crisi, quando se ne vanno i capitali a breve e la valuta si deprezza (quindi l'entità dei debiti esteri aumenta), le banche si trovano a dover liquidare gli assets e comprimere gli impieghi, dando il colpo di grazia all'economia reale, precedentemente provata dalla perdita di competitività. 
Infatti, a seguito della svalutazione la crisi in est asia peggiorò, anche se gli Stati erano fondamentalmente sani e il sistema aveva recuperato competitività attraverso la svalutazione. Solo i prestiti internazionali del FMI e una swap line della FED stabilizzarono la situazione in Sud Corea ed Indonesia. In Tailandia invece la cosa fu risolta, con minori danni e senza un finanziamento ponte dall'estero, con il blocco dei capitali. Ma quest'ultima soluzione, come ti dicevo, credo sia poco percorribile (politicamente) per noi
Rimane l'assistenza finanziaria della Banca del Mondo, la FED, che ci permetterebbe di fare il roll-over sui debiti a breve senza provocare il Balance sheet effect. Bisogna vedere quali carte, e se ci sarà mai la volontà politica, si hanno per richiedere questo tipo di assistenza (come poi venne fatto anche nella crisi della lira del 1963).

Quanto all'ERF, ti dico la mia, così a sensazione, non credo che lo vogliano per primi i tedeschi. Se le elezioni vanno come devono andare, e poi la BCE inizia ad attivare altre misure di allentamento monetario, sarà politicamente costoso anche per il governo tedesco andare avanti sulla mutualizzazione del debito (anche se garantita da quanto di meglio potremmo avere). Magari, più probabile che potranno attivarlo al sopraggiungere di una nuova tempesta finanziaria, spacciandola per àncora di salvataggio offerta ai Paesi deboli. Rimane però quando scritto da Geithner nel suo libro, cioè che a loro non interessa tenerci dentro se questo porta ad una qualsiasi forma di trasferimento.
Riguardo la nostra conversazione puoi tranquillamente pubblicare tutto.
ciao.
Francesco"
8- Ai fini dell'argomento in trattazione, possiamo tralasciare alcuni passaggi intermedi che riguardavano aspetti monetari e di politiche delle banche centrali (sia la BCE che, in prospettiva, una "nuova" banca centrale italiana, riportata alla pubblicizzazione delle sue funzioni in termini conformi agli artt.1, 4 e 47 Cost, quantomeno).
E' interessante, a chiusura di questo dialogo a due, che in fondo parte dall'analisi di alcune considerazioni svolte da Cesare Pozzi, vedere la breve, ma "densa", chiosa che svolge egli stesso. Ovviamente questa va presa con tutte le riserve di "fretta" e esigenza di serio approfondimento che egli stesso enuncia, non di meno prefigurando dei temi che rimangono estremamente rilevanti, (qualche che ne sia la verifica nei famosi "studi" settore per settore riguardanti la capacità produttiva e le residue filiere industriali italiane):
"...Ho letto il tuo scambio di mail con Francesco Lenzi: ogni punto apre una discussione da affrontare a voce. 
In sintesi ti faccio due considerazioni: gli americani hanno perso il controllo della situazione e, se pensiamo possano aiutare la nostra ripresa, i drivers che guidano moneta e relative politiche non sono più legati alle esigenze delle strutture sociali, ma sono determinati da motivazioni squisitamente speculative. Quando i mercati finanziari perdono il loro ruolo di strumentalità rispetto all'economia reale e si inverte il rapporto di potere prevalgono gli obiettivi della parte peggiore, che ci vede come carne da macello o tacchino da spennare.
In questo quadro non esiste più lo spazio per "potersi adattare alla competizione di prezzo delle economie emergenti": da economia divenuta "price taker" attraverso la svalutazione del cambio, ci avviteremmo su noi stessi.
Purtroppo anche l'idea che non abbiamo un problema di competitività intra eurozona si basa sul non considerare il peso indispensabile sul nostro export del deficit energetico: il pareggio sostanziale che si è registrato da quando c'è l'€ non può certo compensare la quantità di energia che dobbiamo importare per mantenere il mostro modello di vita e di produzione. Anche qui dovremmo avere un progetto alternativo ...
Perdona, non sono stato sicuramente chiaro, ma ne parliamo di persona.
Un abbraccio,
Cesare"
Ovviamente, in questa ricognizione del campo di indagine, al momento, ci fermiamo qui.
Ma mi pareva importante delineare in premessa i problemi concretamente sul tappeto.
Fermo restando, come vedremo, e come ben sa chi ha seguito in streaming il dibattito tra me e Cesare a Rovereto, che, sul piano macroeconomico esistono, a mio parere, una serie di "misure" indispensabili che dovranno accompagnare ogni possibile ipotesi di rilancio dell'economia e del benessere sociale italiani.Da queste misure dipende una serie di variabili, affidate a decisioni tecniche ma prima ancora politiche, che possono influire considerevolmente sull'evoluzione dello scenario.

mercoledì 28 maggio 2014

CHI (E COME) HA VERAMENTE VINTO IN €UROPA?

Billions of pounds of QE unlikely to cause inflation - IMF. IMF chief Christine Lagarde has welcomed Japan's massive new money priting programme.

Vi propongo una serie di riflessioni "peculiari", cioè non focalizzate sulle vicende convulse che si stanno svolgendo nei singoli paesi dell'UE e che ci rimbalzano le mosse post-elettorali e le contromosse della governance ordoliberista, impegnata nel mantenimento del potere per poter finire il lavoro iniziato, secondo i propri immutabili programmi. 
Vale a dire il regolamento di conti finale con il fattore "lavoro" i cui effetti sono tanto disastrosi per l'economica quanto "utili ed efficienti" per consolidare il potere finora esercitato dalle oligarchie.
Insomma, non è realisticamente da attendersi che la questione "teologica" e di riconquista del potere, mostrateci da Galbraith e Kalecky, come più volte illustrate su questo blog, si possa mai arrestare sulle soglie delle prime difficoltà che, probabilmente, ESSI avevano già immaginato di dover affrontare.

Perciò mi focalizzerei su come possano oggi essere giocate le carte "continuiste" delle governance UEM. 
Come paradigma di riferimento, non necessariamente solo "teorico", prendiamo l'atteggiamento di Christine Lagarde, "direttrice" del FMI, da sempre il punto di sintesi (almeno tentata) tra il modello neo-liberista e liberoscambista USA e l'ordoliberismo strategico UE.
La conciliazione degli opposti interessi tra USA e Germania, quali attualmente ben illustrati dal post di Francesco Lenzi, "deve" essere ora resa possibile: e questo, dando una risposta istituzionale europea che salvi la "capra" del mercantilismo tedesco a ideologia monetarista e i "cavoli" USA, alla ricerca di un'espansione della domanda europea, in modo da risolvere senza danni il contrasto (miopemente, cioè nel breve periodo e senza una rimessa in discussione del proprio modello "Friedman-Luttwak").
Senza danni, intendiamo, per la prosecuzione del disegno neo-liberoscambista e deflattivo: cioè senza provocare uno scontro che metta in pericolo la "questione politica di massima importanza" che è il consolidamento del potere ordo-neo-liberista.

In questo senso, la Lagarde ci mostra di quale flessibilità di facciata siano pragmaticamente capaci le oligarchie.
Il 3 marzo, a pericolo xeonofobo-populista anti-€uropeo ancora non lontano dal concretizzarsi, dichiara:
«Grazie a misure formidabili varate negli ultimi cinque anni», ha rilevato Lagarde, «l'Eurozona è a un punto di svolta». 
"Il DEBITO ALTO PESA SULLA RIPRESA. Ma il capo del Fmi ha ammonito tutti: «Il compito è lungi dall'essere completato. La crescita resta troppo bassa e la disoccupazione troppo alta per poter dichiarare vittoria contro la crisi».
«Un periodo prolungato di bassa inflazione potrebbe far deragliare la ripresa» nell'Eurozona, ha aggiunto Lagarde, sottolineando come «gli alti livelli di debito continuano a pesare sulla ripresa» stessa e che nell'Eurozona «persiste una frammentazione finanziaria
»

Subito dopo le elezioni, - concretizzatosi il suddetto pericolo (anti-€uropeo), e divenuta indispensabile la conciliazione delle ventilate misure monetarie straordinarie preannunziata (variamente e vagamente) da Mario Draghi con i timori tedeschi, cioè l'esigenza di assecondare lo shift USA delle proprie aspirazioni (leggi Ttip) sulla ripresa UEM, (pur sempre rigorosamente ancorata alla totale liberalizzazione del mercato del lavoro), Christine ha invece dichiarato:
"...central banks should make financial stability their main objective as well as keeping inflation low"

Cogliete le differenze? 
Il pericolo della bassa inflazione è messo da parte e il ruolo anti-inflattivo delle Banche centrali nuovamente enfatizzato, nel suo legame con la stabilità finanziaria, che, tradotto, significa "non ci dimenticheremo quali interessi vengono prima: il potere bancario-finanziario è sempre il fulcro della nostra policy, ANCHE IN EUROPA, e la questione della disoccupazione si deve risolvere in questa cornice irrinunciabile".
E infatti, aggiunge:  "We need to continue to strive for improved prudential frameworks for the financial sector so as not to overburden monetary policy". 
E, come vedrete nell'articolo linkato, promette un "futuro" al Portogallo (!) se, come il resto dei paesi gravati da debito pubblico (!), continueranno nel "completing its economic reform program successfully, following great efforts, determination and sacrifices carried out by the Portuguese".

Insomma la linea di compromesso pare essere quella di imporre crescenti ("Completing") riforme del lavoro, cioè deflazione salariale e flessibilizzazione assoluta, per far accettare ai tedeschi le nuove aperture monetarie (...monetaristiche) della BCE, prospettando un quadro di accettabile convenienza per i tedeschi anche se impegnati a provare (un pochino) a riespandere i consumi interni
Se non altro, potranno avere rafforzate prospettive di investimento, al riparo da incertezze finanziarie, nei paesi non "core" (porcellini vari), in cui tornare a impiegare l'enorme risparmio accumulato grazie ai surplus
E magari crescere meno in termini di partite correnti commerciali in attivo, ma avere un ragionevole espansione dei consumi interni accompagnata dalla rimessa di profitti dall'estero, in condizioni tali da rassicurare il futuro della oligarchia che governa la Germania.

Insomma, il paradigma Lagarde, preannuncia il profilo del nuovo Presidente della Commissione e, insieme, le politiche, certamente neo-classiche, con cui la nuova trojka cercherà di rassicurare il potere finanziario e curare la disoccupazione con bassi salari di masse sempre più precarizzate. 

E, per i "sognatori" nostrani, appena usciti dal trionfo elettorale, varrà l'illusione che, consentendosi un allentamento dell'indebitamento pubblico sul fronte degli investimenti (IRS e infrastrutture tecnologiche), insomma le solite politiche supply side, i disoccupati si convertano (senza danni politico-elettorali) in una generalizzata precarizzazione deflazionata
Magari condita dal sedativo del "reddito di cittadinanza" che si prospetta perfettamente complementare a questo disegno.
In tutto questo, la deflazione sarà considerata un by-product accettabilissimo e, grazie ai media, smetteranno di mostrarsene preoccupati.
Fino alla resa dei conti (che non tornano) con la prossima crisi che stanno già, imperterriti, preparando.

lunedì 26 maggio 2014

IL GRAN COLPO DELL'ORDOLIBERISMO MEDIATICO : IL PENSIERO UNICO E L'OPPOSIZIONE INDISTINGUIBILE

Vi era citato un passaggio tratto, a sua volta, da riflessioni svolte dopo le elezioni di inizio 2013:
"...non possiamo dire che il PUDE sia in minoranza (adde: abbiamo visto poi in effetti come sia andata). E sapete perchè? Perchè non potremmo dirlo finchè non avremo la certezza che la formula: "debitopubblicocastacorruzionespesapubblicaimproduttivabrutto" 
sia essa stessa in minoranza: nel paese, nella consapevolezza della gente della strada..".

Nel commentare l'attuale esito della consultazione per il parlamento europeo, potremmo fermarci qui.
In fondo, basterebbe, per "approfondire", aggiungere che l'ordoliberismo, che riafferma il superamento del modello costituzionale di società democratica pluriclasse tramite il "vincolo esterno" €uropeista-internazionalista, ha delle tendenza irrefrenabili, ormai automatizzate.
Infatti, essendo l'ordoliberismo concepito (a tavolino) con l'idea della coessenzialità del controllo mediatico, esso, più si sente minacciato, più utilizza questo controllo mediatico, fino a livelli che solo l'assuefazione al condizionamento non fa scorgere come ridicoli alla maggioranza degli italiani.

Se poi l'ordoliberismo ha potuto anche magistralmente sfruttare il metodo del controllo sia dell'informazione che ("in modi indiretti e spesso occultati...") della controinformazione, cioè l'esistenza di una falsa opposizione (anche ciò evidenziato da oltre un anno), il gioco si rivela in tutta la sua rudimentale efficacia: nel gioco mediatico ben orchestrato, l'opposizione non è in pratica distinguibile dal potere ordoliberista-internazionalista sul messaggio essenziale (il caposaldo "debito-pubblico-casta-corruzione...") e risulta differenziata solo come  stravaganza delle soluzioni di austerity, in pareggio di bilancio, che variamente propone.

In pratica se la controinformazione-opposizione si riduce a una versione semplicemente più "eccentrica", (nemmeno più "radicale") dello stesso messaggio dato dalla "maggioranza" nelle sue strategie di "rinnovamento" cosmetico, la gente cerca la sicurezza e affluisce sulla posizione più conformista. Inevitabilmente.
Se terrorizzo milioni di pensionati, demonizzo milioni di pubblici dipendenti,  prometto il taglio di 200 miliardi della spesa pubblica, e lascio passare una posizione che sull'€uro è tra l'agnostico e il favorevole ("non è il vero problema"), la gente sceglie il male minore, non il "bizzarro" urlato.
Questa opposizione, insomma, avrà in definitiva svolto il ruolo di rendere accettabili - come compromessi limitativi del danno -, a masse mediaticamente condizionate da "debito-pubblico-castacorruzione-spesapubblica-improduttiva-brutto", soluzioni di:
- ulteriore spending review pro-ciclica
- deflazione salariale reale, in primis nel pubblico impiego, - persino tagli di tale personale, connessi alla destrutturazione indifferenziata di funzioni pubbliche e organizzazione, (sostenuta senza la minima contezza giuridico-economica delle conseguenze sulla qualità di vita dei cittadini): la famosa "burocrazia" causa principale della recessione, id est, del mancato investitore estero...;
- riduzione ulteriore di un sistema pensionistico che in realtà è finanziariamente un "attivo" per il bilancio dello Stato ed uno dei più sostenibili in Europa;
- accettazione, implicita ma necessaria, della irreversibilità del PAREGGIO DI BILANCIO, accreditando l'idea che ogni "grande riforma", tipo l'hayekiano reddito di cittadinanza, debba essere finanziata con pari tagli e tasse, aggiuntivi alla situazione di un'Italia stremata da una crisi valutario-commerciale e (come conseguenza) fiscale, che hanno prima compresso e poi distrutto la domanda interna

La potenza, condizionante e attrattiva di consenso, dello slogan-perno suddetto ("debitopubblico..brutto"), impostoci mediaticamente come pensiero unico "edificante" (e addirittura coraggiosamente "impegnato"), ha determinato dunque un connubio-competizione "al rialzo" (su tale stesso perno) tra maggior partito di governo e maggior partito di opposizione.
Ma, simultaneamente, ha altresì schiacciato un'intera forza politica, di ex-maggioranza relativa, che si è trovata nella intensificata ostentazione pubblica di scandali "corruzione-casta" proprio mentre l'ordoliberismo, sentendosi appunto minacciato, aveva accelerato lo spin mediatico totalitario su questi temi.
Diciamo che ci sono state vittime di fuoco se non amico (la facciata di contrapposizione tra principale partito liberista e partito-azienda era durata 20 anni) almeno involontario: o meglio, "senza rancore, stavolta dovevamo farlo, anche se sei stato parte essenziale del nostro sistema di contrapposizione apparente".

Il risultato è che l'ordoliberismo del vincolo esterno si è rafforzato, la potenza del condizionamento mediatico totalitario è stata clamorosamente confermata, e si sta passando verso una nuova forma di falsa opposizione che sia più aggiornata sullo slogan-pensiero unico imperante, e meglio controllabile, in quanto versione "improbabile" dello stesso messaggio governativo.

Rimane una cosa che risulta vieppiù bizzarra: la (quantomeno "residua") potenza di fuoco mediatica dell'ex partito di maggioranza relativa è stata utilizzata, in sostanza per sopire e troncare la denunzia, pur non cerfo difficile, dei macroscopici punti deboli dell'ordoliberismo a "vincolo esterno". 
Ora il risultato si rivela in pratica per un essersi sparati addosso: vogliono lasciare tutto come sta e continuare a cannoneggiare a salve e di tanto in tanto, sparare una granata nel proprio accampamento?  

domenica 25 maggio 2014

USA, GERMANIA E IL SURPLUS: IL BIVIO OLTRE LA SIEPE BCE. "A SOLUTION, ALBEIT A BAD ONE"



Flag_icon_GER-USA.jpgdomestic_demand - Copy





QUO USQUE TANDEM?- 2 EURO-SPACCHETTAMENTO E IL PERICOLO IRLANDA

Pubblichiamo questo nuovo post del grande Francesco Lenzi: leggerlo è un piacere. E' come un report FMI ma "ex bona fide". Chiaro, sintetico, essenziale. Lo scenario senza infingimenti and "he doesn't sugarcoat it!"
Oggi più che mai sono i dati e le analisi di cui abbiamo bisogno: "oltre la siepe".
Buona domenica (informata) a tutti!


Le recenti  rivelazioni sul G20 di Cannes fornite dall’ex segretario di Stato americano T. Geithner , seguono di pochi giorni una serie di tre articoli (qui, qui  e qui  la trilogia) pubblicati sul Financial Times che fanno ulteriore luce, se ce ne fosse ancora bisogno, su quali siano i rapporti di interesse e di forza nella gestione del “caso” eurozona.
Emerge abbastanza chiaramente che non furono i tedeschi, o meglio la cancelleria tedesca, ad imporre a tutti i costi la permanenza nell’euro ai Paesi periferici
Il cosiddetto piano B (o “plan Z”), quello attraverso il quale sarebbe stata gestita l’uscita di uno o più Paesi dalla eurozona, era già sostanzialmente pronto
Non stupisce infatti che, così come avvenuto nelle precedenti crisi valutarie in Europa, la posizione della Cancelleria sia stata indirizzata a non impiegare i soldi del contribuente tedesco per tener agganciati alla propria economia altri Paesi. 
E’ di sicuro una posizione miope, che non tiene conto degli enormi vantaggi di natura coloniale che ha un aggancio valutario con economie più deboli, ma questa è, se la si vuol comprendere, la realtà di almeno l’ultimo secolo di storia. 

Nel 2011 quindi, molto più dei tedeschi, coloro che temevano seriamente una rottura della zona euro erano gli USA.  
Un possibile e più grande shock finanziario provocato da una rottura incontrollata della zona euro avrebbe causato effetti pericolosi sulla loro convalescente economia.  Per questa ragione misero in campo l’impegno diretto del Presidente e del Segretario di Stato per tenere in piedi la baracca, cercando di convincere anche i riluttanti tedeschi a contribuire a quello che è stato definito “piano Geithner” . 
Per la verità, come poi è stato evidente, nonostante le presunte lacrime della tenera Mutti, il prezzo pagato (in termini di “aiuti” destinati ai Paesi in crisi) dai tedeschi è stato di gran lunga inferiore rispetto a quanto preventivato. 
Inoltre, dando luogo ad un aggiustamento asimmetrico dei differenziali di competitività degli Stati membri (austerità nei Paesi periferici ma nessuna espansione della domanda interna di quelli core), si è trasferito verso l’esterno, quello che era uno squilibrio di deficit/surplus interno all’Euroarea e quindi neutro verso il resto del mondo.

Come si vede dai recenti dati sul commercio estero  l’avanzo di  40,8 mld € realizzato dalla sola Germania non è più compensato dai deficit dei Paesi periferici e si trasforma in un avanzo della zona euro (o nel corrispondente deficit commerciale del resto del mondo) di circa 31,8 mld €
Escludendo la Germania, la zona euro sarebbe in deficit commerciale di circa 9 mld € nel primo trimestre 2014.
Il problema di una domanda stagnante in Europa e di un eccessivo surplus commerciale (ormai superiore a quello della Cina sia in termini assuluti che in percentuale di PIL) - come evidenziato nell’ultimo (e nei precedenti ) Semiannual Report on International Economic and Exchange Rate Policies- riguarda direttamente gli interessi Americani e la loro capacità di sostenere l’economia mondiale
In questo senso è significativo il modo con il quale i tre grandi esportatori (tolti i Paesi produttori di materie prime) si sono comportati dal 2007 in poi.   
Se Cina e Giappone hanno progressivamente ridotto i loro squilibri, passando nel periodo 2007-2013 da un surplus di circa il 10% del PIL al 2% per la Cina e dal 5% a sostanzialmente zero per il Giappone, stessa cosa non si può dire per la Germania.
A questo punto quindi quali potrebbero essere gli scenari futuri?
Credo che l’elemento fondamentale da considerare sia lo stato di salute dell’economia Statunitense
Nonostante i dati in crescita costante per il Pil e per il numero di occupati, gli Usa sono ancora adesso la principale economia per differenza tra prodotto potenziale e prodotto realizzato. L’indice di disoccupazione è sceso soprattutto grazie al forte ricorso ai lavori a termine ed ai tanti scoraggiati che non stanno cercando più un qualsiasi impiego. 
I redditi reali sono ormai stagnanti da alcuni trimestri e ancora inferiori alpicco del 2008
Inoltre nell’ultimo trimestre anche gli investimenti privati hanno mostrato il segno negativo, sommandosi alla riduzione del prodotto generata dal deficit commerciale e dal cosiddetto “sequester”. 
L’unica voce che ancora tiene sono i consumi privati, che continuano a beneficiare dell’effetto ricchezza provocato dalla ripresa dei corsi azionari e degli immobili
A tutto questo aggiungiamo una situazione sul mercato dei prestiti agli studenti e prestiti per l’acquisto di automobili a livelli, sia per (scarsa) valutazione del rischio, sia per mancati pagamenti, molto simili a quella pre-2007
Stessa cosa si può dire per quanto riguarda il mercato immobiliare  ed il mercato finanziario.   
Di nuovo una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.
L’interesse degli USA a non creare shock che possano compromettere il loro equilibrio precario credo quindi che non sia così cambiato negli ultimi 3 anni. Certamente però quello che è stato fatto nell’eurozona  sin qui è una minima parte rispetto a quelle che erano le linee guida del “Geithner Plan”
L’intervento della BCE è servito solo a cronicizzare la crisi, curandola con un po’ di liquidità a 3 anni ed un po’ di interventi (sterilizzati) sul mercato secondario dei titoli di Stato ma non risolvendo i divari di competitività che si erano creati nei primi 10 anni di moneta unica. 
Nell’ultimo anno gli afflussi di capitale, favoriti sia dal “whatever it takes” e quindi un minore rischio di convertibilità, sia dalla progressiva crescita dei surplus commerciali, hanno portato il cambio Euro/Dollaro ad un livello che sembra ormai esser il limite oltre il quale verrebbero definitivamente distrutti i progressi fatti in termini conti esteri da tutti i Paesi in crisi (Francia compresa). 
Superare questa soglia significherebbe molto probabilmente la fine della zona euro, non potendo comprimere la domanda interna molto oltre quanto non si sia già fatto.  
Posti quindi questi due primi tasselli (livello 1,4 eurUSd come soglia limite per una rottura zona euro – scenario non conveniente alla ancora fragile economia USA) la possibile evoluzione della crisi della eurozona dei prossimi mesi  è legata alle annunciate misure straordinarie
Il deciso intervento sul mercato della zona euro dei pezzi da novanta statunitensi, BlackRock su tutti, faceva infatti presupporre che qualcosa di importante fosse nell’aria. 
Nel report di dicembre 2013  si legge infatti che la BCE possa nel 2014 agire nel seguente modo:
·       - cut interest rates to zero (with diminishing returns). Or slightly unorthodox: bring deposit rates into negative territory to spur lending.
·     - buy long-dated government bonds and perhaps other assets. Do not expect this overnight: For one, the Ecb would first have to scrap the (still unused) outright monetary transactions (OMT) program, which prohibits buying bonds with maturities longer than three years.
Poi, pochi giorni fa, Draghi, nell’ultimo consiglio della Banca Centrale, ha fatto chiaramente intendere che a Giugno (magari  per non disturbare il partito della cancelliera tedesca nelle prossime elezioni europee), una volta usciti i dati sulle attese d’inflazione, se confermate al ribasso (e perché non dovrebbero esserlo?), agirà attraverso misure adeguate. Ha ormai messo la faccia dicendo “Government council is comfortable with acting next time” e se vuol tener fede alla favoletta sulla credibilità del banchiere centrale, assisteremo a nuove importanti misure di allentamento monetario.
Probabile che si intervenga inizialmente con un nuovo ribasso dei tassi d’interesse. Proseguendo poi con misure che facciano aumentare la quantità di liquidità in circolazione, o attraverso nuovi acquisti di attivi privati e/o titoli di Stato, oppure la non sterilizzazione degli interventi SMP. In entrambi i casi si tratta di operazioni che rimuovono alcune tipologie di attivi nei bilanci degli intermediari finanziari sostituendoli con riserve. 
Anche recentemente la Bundesbank ha messo in guardia rispetto all’adozione di tali misure, ma potrebbe ormai seriamente ripetersi quanto avvenne nel luglio 2012, quando, stando alle recenti rivelazioni di Geithner, venne suggerito a Draghi di “mollare” i tedeschi ed andare avanti annunciando le operazioni OMT a difesa della irreversibilità della zona euro.
Quanto agli effetti di queste misure è ipotizzabile che, come riprova l’esperienza americana adesso e giapponese prima, difficilmente avremo qualche significativo effetto sui livelli dei prezzi dei beni e sulla dinamica della “low inflation”. 

Sarà invece interessante vedere il modo con il quale il mercato dei capitali intra-eurozona  reagirà a questa nuova dose di stimolo monetario. 
E’ probabile invece che nelle aree economiche meno colpite dall’eccesso di indebitamento privato e del successivo processo di deleveraging (principalmente la Germania dell’Ovest) un ambiente di tassi reali ancora più negativi ed un eccesso di riserve si traduca  in un ulteriore aumento dei prezzi degli attivi finanziari e degli immobili. 
Questo è anche lo scenario che viene delineato dal recente report del FMI sulla Germania. Si legge infatti: “Low interest rates are contributing to an upturn in the housing cycle and have rekindled residential investment without threatening financial stability to date. Real housing price inflation remains low outside of some “hot spots”. In addition, mortgage debt growth is subdued. Nonetheless, while concerns about a housing bubble are premature, preparations against it are not. Come dire: è ancora presto per parlare di bolla immobiliare, ma  permanendo uno scenario di bassi tassi d’interesse è opportuno cominciare a prepararsi.
Questo per il momento lo scenario a breve ricercato dalla Bce e avallato dagli USA. 

Tener insieme i cocci degli squilibri di competitività tra Stati e cercare attraverso la politica monetaria espansiva, di gonfiare il livello dei prezzi delle attività finanziarie e reali tedesche, creare cioè quell’effetto ricchezza che si trasferisce sui consumi, e con questo intervenire sul saldo estero della Germania. Preservando l’eurozona. 
In sostanza, riproporre, 3 anni dopo, quella che era la strategia americana per risolvere i problemi di competitività intra-eurozona, ma che adesso danneggiano direttamente anche la loro economia.
Il dubbio però che rimane è quello di sempre: l’ortodossia della Bundesbank sarà tanto assopita da accettare tutto questo, oppure, fatti due conti, verrà fatto capire alla cancelleria che è arrivato il momento di alzarsi dal tavolo
Credo molto dipenderà dal comportamento delle banche tedesche, prime beneficiarie degli afflussi di liquidità della BCE. Se saranno rimesse in grado, attraverso la pulizia dei propri bilanci, di far ripartire la giostra del credito in eurozona, quale direzione prenderanno i flussi
La ricerca di rendimenti reali positivi in un ambiente ancor più represso finanziariamente spingerà nuovi impieghi verso i Paesi periferici oppure rimarranno confinati entro i confini domestici, o negli Stati satellite, creando questa volta al proprio interno nuove bolle?
Nel 2011 Pritchard  ipotizzando un intervento di espansione monetaria della BCE commentava dicendo: “This would weaken the euro, giving a lifeline to southern manufacturers competing with China. It would engineer an inflationary mini-boom in Germany, forcing up relative German costs within EMU. That would be the beginning of a solution, albeit a bad one.  
Tra poco scopriremo se i tedeschi decideranno di rimontare sulla giostra del credito oppure prendere l’uscita d’emergenza.