Si diffonde sul web la discussione sulla posizione di Frédéric Lordon relativa alla "moneta comune" che dovrebbe sostituire la "moneta unica", chiaramente insostenibile e modellata su una prevalenza politica delle oligarchie finanziarie.
L'analisi compiuta, che include la considerazione del problema della sovranità e del suo legame con la realizzazione della democrazia in senso moderno, - problema che potremmo dire "centrale" nel discorso qui svolto- ha un interessante, quanto non del tutto convincente, punto critico in questo passaggio:
"L’equilibrio si ritrova se, invece di una moneta unica, si pensa a una moneta comune, ossia un euro dotato di rappresentanti nazionali: degli euro-franchi, delle euro-pesetas, ecc. Immaginiamo questo nuovo contesto in cui: le denominazioni nazionali dell’euro non sono direttamente convertibili verso l’esterno (in dollari, yuan, ecc.) né tra loro.
Tutte le convertibilità, esterne e interne, passano per una nuova Banca centrale europea che funge in qualche modo da ufficio cambi, ma e privata di ogni potere di politica monetaria. Quest’ultimo è restituito a delle banche centrali nazionali e saranno i governi a decidere se riprendere il controllo su di esse o meno.
La convertibilità esterna, riservata all’euro, si effettua classicamente sui mercati di cambio internazionali, quindi a tassi fluttuanti, attraverso la Banca centrale europea (Bce), che è il solo organismo delegato per conto degli agenti (pubblici e privati) europei
Di contro, la convertibilità interna, quella dei rappresentanti nazionali dell’euro tra loro, si effettua solo allo sportello della Bce, e a delle parità fisse, decise a livello politico. Ci sbarazziamo così dei mercati di cambio intraeuropei, che erano il focolaio di crisi monetarie ricorrenti ali e-poca del Sistema monetario europeo (5), e al tempo stesso siamo protetti dai mercati di cambio extraeuropei grazie al nuovo euro. È questa doppia caratteristica che fa la forza della moneta comune.
Allontanato così il fantasma della convergenza «automatica» delle economie europee, sappiamo che certe economie hanno bisogno di svalutare – a maggior ragione con l’attuale crisi! Ora, il dispositivo di convertibilità interna della moneta comune ha l’immensa virtù di rendere di nuovo possibili queste svalutazioni, ma in un clima di maggior tranquillità.
L’esperienza degli anni ’80 e ’90 ha ampiamente dimostrato l’impossibilità di operare aggiustamenti del cambio in piena bufera di mercati finanziari interamente liberalizzati. La tranquillità interna di una zona monetaria europea libera dal flagello dei suoi mercati di cambio rende allora le svalutazioni dei procedimenti interamente politici, dove spetta alla negoziazione tra stati il compito di accordarsi su una nuova griglia di parità.
E non solo le svalutazioni! Perché il tutto potrebbe essere configurato secondo l’International Clearing Union proposta da John Maynard Keynes nel 1944, che, oltre alla possibilità di svalutazione offerta ai paesi con forti squilibri esterni, prevedeva anche di obbligare alla rivalutazione i paesi con forti eccedenti".
Ora, ciò che veramente appare critico è pensare che la mera pressione del mercato dei capitali "interamente liberalizzato", possa essere identificata come la causa delle bufere che possono investire, prima di tutto, le monete e i corsi dei titoli del debito pubblico dei paesi coinvolti, ritenendo che la negoziabilità politica di nuove parità (cioè di nuove svalutazioni e/o simmetriche rivalutazioni delle varie valute europee coinvolte in un sistema di cambi differenziati ma inizialmente "fissi"), senza incisivi complementi istituzionali negoziati con cristallina chiarezza, possa ovviare ai non piccoli problemi che rimarreberro aperti.
La necessità di accordi continui e reiterabili, implica che la non accettazione della proposta da parte degli interlocutori (ma quali e come? Tutti insieme o solo, secondo il caso, in rapporti bilaterali, alquanto improbabili, trovandosi sempre dei "controinteressati" vulnerati, esclusi dal "patto a due"?), possa rendere impraticabile sine die una eventuale svalutazione, quand'anche assolutamente vitale per l'economia dello Stato che la richieda.
Di fatto il sistema potrebbe essere così farraginoso e incerto da implicare la perpetuazione di politiche "vincolate" (rigorosamente "dall'esterno") e stabilmente volte al deflazionismo (salariale) e alla rigidità fiscale austera, incapace di aggiustamenti anticiclici.
E quindi inidonea a determinare l'uscita dell'Europa dalle demenziale stagnazione oligarchico-neo classica, antistatuale, attualmente dominante. (Leggersi qui come Sapelli, lamenti lo scriteriato abbandono europeo della "cultura di Westfalia", di cui abbiamo parlato qui).
A conferma delle forti perplessità che un meccanismo così genericamente descritto (nonostante la lunga e pur condivisibile premessa sui problemi del sistema attuale), si dice anche che saranno i governi a decidere se riprendere il controllo delle rispettive banche centrali, e, quindi, della "politica" (ma ormai dovrebbe essere chiaro che si dovrebbe dire "costituzional-democratica") relativa alla funzione monetaria.
Una banca centrale nazionale "indipendente pura", cioè svincolata da obblighi di intervento sistematico sull'emissione dei titoli del debito pubblico corrispondenti al livello del deficit, ritenuto coerente con le esigenze di politica economica di ciascun paese - deficit sulla cui predominante funzionalità anticiclica si è limpidamente espresso Minsky, con un'analisi difficilmente oppugnabile-, è altrettanto efficiente di una BCE per perpetuare il "meraviglioso mondo di von Hayek" nella sua versione strumentale e tattica attuale.
E ciò specialmente in un sistema di cambi fissi che si differenzierebbe dallo SME per la stanza di compensazione di modello "keynesiano", la quale, sul piano normativo-istituzionale, non funziona certo con la via di uscita di continui "consensi reciproci" cioè di accordi modificativi del cambio; essa si potrebbe esplicare, piuttosto, in base ad obblighi, sanciti da un trattato multilaterale, puntuali e indicizzati, tali da non consentire alcuna discrezionalità al paese che si avvantaggia (poniamo, "a caso", la Germania o, nei nostri confronti, la stessa Francia).
Cioè non concedendo al paese in vantaggio commerciale (legato, sia chiaro, al cambio fisso "pro-tempore" vigente) una discrezionalità che è quella stessa dell'attuale adesione ad una modifica delle condizioni dei trattati vigenti (discrezionalità che i paesi "creditori" non hanno mostrato alcuna convenienza ad esercitare).
E questo inconveniente permarrebbe anche se, proseguendo l'assenza di un'autorità capace di imporre "automatismi ed indicizzazioni", esistessero, nel nuovo trattato, degli "obblighi a contrarre"; in tal caso, infatti, il problema, praticamente inaggirabile, sul piano del diritto internazionale, governato da sempre dalla prevalenza "de facto" del più forte, sarebbe quello della "eseguibilità forzata" (si dice "in forma specifica") dell'obbligo di contrarre.
In pratica, il paese che, per auto-colpevolizzazione ideologica, (in questo l'Italia, dai tempi di Andreatta, eccelle), o per altri motivi contingenti (una classe politica impreparata, pavida e disabituata a tutelare gli interessi nazionali, ad es;?), si trovasse in posizione di debolezza negoziale "precostituita", raggiungerebbe, nel sistema suggerito da Lordon, solo una transitoria panacea, nell'iniziale rifissazione dei cambi differenziati della "moneta comune".
Ma l'ignoranza protratta sulle divergenti dinamiche strutturali (e non "colpose")dell'inflazione, dovuta a quella stessa "propaganda" essenziale, nella considerazione del Minsky sopra citato, per l'affermazione delle teorie economiche neo-classiche, porrebbe i sistemi divergenti dei vari Stati europei, di fronte a un rapido riprodursi delle stesse problematiche del 1989-92. Solo che, in più, risulterebbero acuite dalla distruzione strutturale indotta, nei sistemi industriali dei paesi debitori, dalla crisi 2007...ad oggi: la recessione innescata dalla logica del pareggio di bilancio, è infatti praticamente senza termine finale (ben potendosi verificare, in attuazione di two-packs e fiscal compact, continue ricadute nella recessione stessa, per tutto l'arco delle imposizioni pluridecennali ormai istituzionalmente consentite alla Commissione "sostitutiva" dei governi ex-sovrani; aspetto che viene, senza mezzi termini, ribadito da Sapelli nell'articolo sopra linkato)
Un sistema del genere, dunque, invece che sulla contrattazione relativa alla revisione dei "cambi fissi" potrebbe reggersi, come nell'originaria idea keynesiana, solo su meccanismi automatici e intensamente vincolanti che i paesi core, Germania e Francia ("ri-salvata" dall'iniziale ri-aggiustamento), risulterebbero naturalmente restii ad accettare.
Se fossero mai stati "disponibili", in realtà, non saremmo già in questa situazione.
Quello che infatti emerge è che tutta la "costruzione €uropea" attuale, si basa sulla dogmatizzazione super-costituzionale (pretesamente tale, in modo non giuridicamente accettabile), di meccanismi che consegnano alle elites finanziarie - ed a quelle dei grandi oligopoli industriali, praticamente coincidenti negli interessi delle prime, specialmente in Francia-, il controllo pressocché assoluto dell'azione governativa.
Insomma, nonostante la bella premessa, in assenza di precisazioni, di gran lunga più discernibili, sui dettagli di questo nuovo assetto pattizio (pur sempre internazionale), la proposta di Lordon, risulta, allo stato, molto pro-domo propria. Molto filo-francese (e, dal suo punto di vista, è comprensibile): da dove nascerebbero il "volemose bene" e la solidarietà intra-europea che un sistema di ricontrattazione flessibile, ma "negozialmente discrezionale", quale quello da lui proposto, implica necessariamente?
E solo perchè "parrebbe", ma molto in apparenza, un compromesso accettabile per le oligarchie tutte, come sottolinea Lordon, costrette, in caso di rifiuto ostinato ad accettare un tale rinnovato assetto, a perdere tutto a causa della probabile diffusa rivolta popolare?
Ci pare un pò poco, come dimostrazione di buona volontà e, prima ancora, di realismo: in essenza, poi, le elites tedesche, e satelliti in generale, sarebbero certamente ridefinite nel loro potere "egemone" attuale.
Tuttavia, i sistemi nazionali di banche centrali indipendenti all'europea, figlie di un monetarismo selvaggio stigmatizzato da Lordon che, però, non scorge questa caratteristica come suo perno essenziale, da un lato consentirebbero alla sterile ideologia delle opache elites locali dei PIGS (Italia soprattutto) di continuare a controllare la situazione, dall'altro, riproporrebbero una potenziale egemonia francese in tale atipicissima "area valutaria comune" (anzichè unica e dis-ottimale).
Tanto più se il mondo "crucco" se ne stesse fuori, come pure potrebbe risultare probabile (e forse sperato da Lordon stesso).
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
giovedì 29 agosto 2013
mercoledì 28 agosto 2013
LEZIONI DA CIPRO. MORAL HAZARD SOPRA OGNI LEGGE
FLAVIO CI MANDA QUESTO POST E CI DESCRIVE LE AMBIGUE MANOVRE IN ATTO, AI NOSTRI DANNI, AVVIATE IN UN INQUIETANTE "CONTO ALLA ROVESCIA"...
Lezioni da Cipro.
La notizia del prelievo finale imposto a Cipro è, come al solito, passata in sordina.
Uno dei pochi a tentare di inserirsi nell’assordante silenzio mainstream è stato, inserendolo in un articolo impostato sulla situazione dell’Islanda, il solito Mauro Bottarelli.
Incuranti così del loro principale dovere (informare per rendere consapevoli i cittadini senza “predeterminare” le loro scelte) i mass media tralasciano le notizie scomode e le dovute spiegazioni del caso che aiuterebbero il cittadino a capire meglio cosa gli accade intorno e quali siano le conseguenze delle decisioni, calate dall’alto e senza il dovuto consenso o dibattito “popolare”, che a livello europeo condizionano pesantemente la sua esistenza e dei suoi connazionali.
Nel post “Further Conversations…” Quarantotto affermava: “Potrebbero ricordarsi, tutti insieme hayekkianamente, puddini nazionali e euristici, che la ben nota correlazione S-I descrive la parte del risparmio che non convertendosi in investimento (e non essendo per definizione consumata) non figura nel PIL: e allora giù con il prelievo forzoso modello cipriota sui conti dei depositanti privati delle banche PIGS .
Tra le quali, l’intero sistema bancario italiano (ricordiamoci ad esempio come e perché nacque BNL, ora Bnp Paribas ndr.) assomiglia proprio a un gigantesco porcellino di quelli salvadanaio. Da rompere per ripagare, coi soldi dei cittadini, il debito...creato dall’euro-follia (compreso quello legato ai fatidici swap)…”.
La modesta traduzione di un articolo di Jan Kregel , il cui studio è disponibile sul sito del Levy Institute , Policy Note, Aprile 2013, parte da lontano e cerca di dipanare in qualche modo i dubbi e le incomprensioni su una delle ultime regolamentazioni bancarie messe in campo in UE: l’assicurazione sui depositi, andando piano piano a finire sul pericoloso crinale del fatidico prelievo forzoso, di cui l’autore smaschera problematiche ed ingiustizia di fondo.
In prima battuta, si raccomanda la lettura dei seguenti articoli presenti su http://www.voxeu.org/article/deposit-insurance-after-iceland-and-cyprus%20e%20Phastidio%, per dotarsi di un piccolo bagaglio tecnico utile ad assimilare meglio le informazioni che seguiranno.
Concludendo, Kregel aiuterà a capire, attraverso il modello Cipro come e perché questi schemi di assicurazione sui depositi verrebbero attuati, chi ne sarebbero i beneficiari, quali siano le lacune. Eventuali errori di traduzione o interpretazione sono da attribuire solo ed esclusivamente al traduttore. Buona lettura.
Nel marzo di quest’anno il governo di Cipro, in risposta alla crisi bancaria che aveva colpito il paese e come parte di una negoziazione che avrebbe dovuto assicurare supporto al suo sistema finanziario da parte dell’EU e dell’FMI, propose di valutare l’applicazione di una “tassa” sui depositi, incluso un prelievo (poi eliminato dal piano governativo finale) sui depositi assicurati al di sotto della soglia garantita dei 100mila euro.
La comprensione delle doppie operazioni messe in pratica dalle banche e della relazione fra due tipi di depositi – depositi dei clienti e loro “moneta”, depositi creati dai prestiti bancari – ci aiuteranno a chiarire le problematiche di questo “prelievo”, illuminandoci sulla doppia finalità e sui limiti di tale assicurazione sui depositi.
In particolare, l’impossibilità operativa di poter distinguere i due tipi di deposito nell’ottica della creazione di un equo schema di assicurazione rivela qualcosa dell’inevitabile moral hazard che accompagna questi schemi. Inoltre tale sistema richiede a monte il supporto di una forte banca centrale che possa far rispettare gli impegni assunti. Queste sono lezioni rilevanti da tenere in considerazione nel contesto degli attuali piani per l’istituzione di un sistema di assicurazione sui depositi nell’UEM.
Dal punto di vista legale, un deposito bancario è un prestito non assicurato alla banca. E’ un prestito a chiamata, legalmente non diverso da un prestito di chiamata che una banca effettua ad uno specialista di borsa. E’ una passività per la banca, un’attività (o asset) per il depositante.
Molti paesi applicano tasse sui beni immobili o sul patrimonio, suddiviso fra attività finanziarie come obbligazioni oppure titoli azionari. Da questo punto di vista, non c’è ragione per cui un deposito bancario, così come qualsiasi altra attività (o asset), non debba essere tassato.
Analogamente, un detentore di valuta e moneta emessa da un governo è creditore chirografario (non garantito) di quel paese. Valuta e moneta sono una passività per chi le emette, ma un asset per chi le detiene, e per questo motivo potrebbero essere soggette alla tassazione di quello stesso Stato. Le nazioni che applicano tasse patrimoniali sulla ricchezza solitamente, quindi, escludono tale ipotesi (Silvio Gesell nel 1958 propose infatti questa misura come sostegno alla domanda).
Una ragione probabile che spiega questa differenza di trattamento fra le passività private che costituiscono immobilizzazioni – depositi, titoli azionari, obbligazioni – e il debito pubblico è che la tassazione delle passività del governo potrebbe essere considerata come un default o come esproprio, pratica preclusa dal contratto sociale o dalla Costituzione vigente in un determinato paese.
Non è il caso questo delle passività private, ciò significa che non c’è ragione per cui i depositi non possano essere soggetti a tassazione, ed i governi in passato hanno tassato e tassano i conti bancari privati a fini fiscali (l’Italia lo ha fatto nel 1992, quando la lira era sotto attacco speculativo, ad esempio).
Se questo è il caso, come mai l’applicazione di una tassa sui depositi bancari ha creato così tante critiche quando è stata recentemente applicata a Cipro?
Dal punto di vista fiscale, la ragione più ovvia è che questa era una tassa imprevista, applicata per soddisfare creditori particolari di uno specifico ente finanziario, e per di più di importo incerto, creando grosse difficoltà fra i contribuenti.
Nonostante si sia scritto in alcuni ambienti, per far digerire la cosa, che questa era una tassa sul presunto riciclaggio di denaro sporco proveniente della Russia, ciò non toglie che siano stati violati due dei principi fondamentali della tassazione accettati sin dai tempi di Adam Smith: “La tassa che ogni individuo è tenuto a pagare dovrebbe essere certa, e non arbitraria. Il momento del pagamento, il modo di pagamento, il quantitativo da pagare, dovrebbero essere chiari e semplici per il contribuente, e ad ogni altra persona. Altrimenti ogni persona soggetta alla tassa è messa più o meno nelle mani dell’esattore, che potrebbe sia gravarla su un contribuente antipatico o estorcere, minacciandone l’aggravamento, regali o privilegi per sé medesimo. Ogni tassa dovrebbe essere riscossa nel momento, o nel modo, in cui al contribuente sia più conveniente.” (Smith 1976 (1904) 350-51).
Sebbene le tasse patrimoniali o i prelievi forzosi non siano comuni, Keynes osserva nel suo "Tract on Monetary Reform" (1924, 67) che l’opposizione a tali imposte è basata “sul motivo che esse vìolano la sacralità intoccabile del contratto”. In risposta a questa visione, Keynes sosteneva che “nulla può preservare l’integrità del contratto tra gli individui, ad eccezione di un’autorità discrezionale, quale lo Stato, che abbia la facoltà di rivedere quello che è diventato intollerabile”.
Una cosa deve essere chiara (in merito a quanto accaduto a Cipro ndt.): il prelievo forzoso non era un mezzo per generare nuove entrate governative o per alleviare l’onere del servizio del debito per il governo o delle finanze individuali. Piuttosto, ciò è servito per ripianare l’esposizione di specifici istituti finanziari al fine di poter generare un afflusso di fondi dal Fondo Monetario Internazionale e dall’UE, rendendo sostenibili le istituzioni finanziarie del paese.
L’operazione nei fatti non ha diminuito le passività del governo, ma solo le passività delle istituzioni finanziarie. E’ stata quindi una tassa imposta dal governo sulla ricchezza di specifici individui a vantaggio di specifiche istituzioni finanziarie.
Piuttosto, essa è stata criticata perché in aperta violazione dei principi previsti dalla legislazione UE in corso di approvazione in merito all’assicurazione sui depositi e delle proposte per uno schema condiviso di assicurazione.
Dal 2000 Cipro ha avuto uno schema di assicurazione sui depositi entro 100mila euro in accordo con le correnti direttive UE. Dal punto di vista legale, l’assicurazione garantisce lo status di creditore privilegiato e fissa a 100mila euro la responsabilità di una banca verso i suoi depositanti in caso di fallimento.
Eppure, l’assicurazione sui depositi non è motivata dall’idea di proteggere lo status giuridico dei creditori chirografari (non protetti) in caso di fallimento, quanto piuttosto dalla convinzione nell’importanza di un mezzo di pagamento sicuro e protetto per il buon funzionamento del sistema economico.
Si basa quindi su una concezione completamente diversa del deposito bancario: cioè che i depositi non sono dei prestiti ma una riserva di ricchezza. Fornire un sicuro mezzo in cui depositare la propria ricchezza consente così il risparmio e la sicurezza che supportano la domanda. Ciò inoltre supporta il trasferimento intertemporale di reddito che il sistema finanziario garantisce attraverso la sua intermediazione fra debitori e creditori.
L’idea fondamentale alla base dell’assicurazione sui depositi è quindi basata sulla concezione che il deposito è un trasferimento di potere di acquisto all’istituto finanziario beneficiario. Questo potere di acquisto è rappresentato come deposito di specifiche passività governative, moneta e valuta, che nel sistema bancario prendono il nome di riserve bancarie.
Questa è la base di partenza per definire il comportamento delle banche, che ricevono moneta e valuta e prestano valuta e moneta. La difficoltà da risolvere successivamente è il fatto che le banche, generalmente, prestano sempre molto di più di quanto ricevano in deposito. Come? Sfruttando il leveraging dato dalle convenzioni di riserva frazionaria.
Questa è la visione del sistema bancario che ha dominato l’economia, ed è stato alla base del monetarismo e delle proposte politiche di riserva al 100% per fornire stabilità al sistema finanziario. Il fatto che le banche prestino molto di più di quanto abbiano in deposito però crea il problema che l’assicurazione intende affrontare.
Tuttavia, una volta ammesso che le banche possono prestare molto di più di quanto esse detengano come riserve, è possibile dare un’altra interpretazione dell’operato delle banche.
Partiamo innanzitutto dall’idea che le banche possano “creare” moneta.
Ciò accade quando una banca effettua un prestito e quest’ultimo non è sotto forma di moneta o valuta bensì la creazione di un deposito bancario per il credito del mutuatario.
La teoria bancaria tradizionale non chiama ciò “creazione di moneta”, piuttosto la definisce creazione di “credito”. Perciò le banche non prestano più soldi di quanti ne abbiano in deposito, le banche possono creare credito perché accettano i depositi e li utilizzano come mezzo di pagamento generale in sostituzione di moneta e valuta.
Le banche inoltre hanno una duplice funzione. La prima è di accettare i depositi di passività governative, monete e valuta, detenute come riserve per la Banca Centrale o come riserve di contante. La seconda funzione della creazione del credito riguarda invece l’acquisto delle passività del settore privato in cambio della creazione di un deposito bancario, che è come già visto una passività della banca.
Questo è il prestito bancario, ed è un’operazione bancaria completamente differente. Così, in ogni momento le passività bancarie sono composte da due diversi tipi di deposito: uno è coperto dalle passività del governo quali moneta e valuta forniti dal depositante/mutuante alla banca e forma le riserve bancarie, il secondo è garantito dalla passività del mutuatario privato che è stata accettato dalla banca e non crea inizialmente riserve bancarie.
L’assicurazione bancaria creata per proteggere il potere d’acquisto del depositante è diretta al primo dei due depositi sopra menzionato, mentre il secondo è garantito dalla garanzia accettata dalla banca. Se una banca effettua prestiti troppo rischiosi, coperti dal proprio credito, ci si aspetta che il primo tipo di depositanti venga protetto e non debba essere ritenuto responsabile di tale comportamento irresponsabile.
L’assicurazione sui depositi nasce per assicurare tale scudo.
Le perdite della banca dovrebbero essere ripianate dalla banca stessa, o dai suoi azionisti e creditori non assicurati.
Questa è la base, ad esempio, di chi argomenta contro i salvataggi pubblici degli istituti di credito e dell’insistenza sul fatto che i costi dei salvataggi causati dal malgoverno dei banchieri dovrebbero essere interamente sostenuti dagli azionisti delle banche, non dai depositanti. Questo principio è inoltre esteso anche ai creditori non assicurati che non detengono alcun deposito presso la banca. Tuttavia, non è chiaro come questi creditori debbano subire un trattamento differente rispetto ai depositanti, in quanto potrebbero avere fornito alla banca moneta o valuta. L’unica differenza è che essi hanno ricevuto una passività a termine dalla banca. Ma è alquanto chiaro che anche essi non hanno responsabilità sull’operato della banca alla pari dei depositanti, assicurati e non, e che quindi vadano tutelati.
Il problema principale con questa teorica separazione fra chi dovrebbe sostenere i costi del fallimento e su come prevenire gli errori di un singolo istituto dall’avere effetti sistemici sulle altre banche, e così sull’intero finanziamento del sistema economico, è capire da dove e come i depositi siano originati.
E’ chiaro che le cause dei “bank run”, che l’assicurazione sui depositi tenta di impedire, è il risultato della mancata distinzione tra la capacità delle diverse istituzioni di redimere i propri depositi. E’ per questo motivo che l’assicurazione si vorrebbe applicare uniformemente a tutti i depositi bancari. Il fallimento e l’introduzione del pieno supporto per i depositanti della Irish Bank nella recente crisi ha evidenziato ciò, e il risultato è stata la creazione da parte dell’UE di un sistema uniforme di assicurazione sui depositi. Ma ancora più importante è l’estensione di tale assicurazione a tutti i depositanti, sia quelli creati da un deposito in moneta e/o valuta oppure dall’accettazione di una garanzia del depositante. Questa distinzione è importante perché è l’impossibilità di riscattare la posizione di quest’ultimo detentore la principale causa del fallimento bancario. Così, l’applicazione di un’assicurazione su tale tipo di deposito semplicemente elimina qualsiasi sanzione per le perdite derivanti dall’impossibilità di riscattare tali passività.
In parole povere, se io prendo in prestito dalla banca a fronte di una mia promessa di pagamento, ricevo un deposito, e poi dichiaro default (non pago), causando il fallimento dell’istituto, alla fine mi ritroverò ancora il valore del materiale acquisito col mio deposito, nello stato patrimoniale del venditore, e pure con l’assicurazione sul deposito.
Questo suggerisce che, se il sistema volesse ridurre il moral hazard sanzionando le pratiche pericolose, l’assicurazione non si dovrebbe applicare sui depositi creati dai prestiti che possano fare “default”, bensì solo sui depositi creati dai prestiti “correnti”.Sfortunatamente, risulta impossibile mettere in pratica queste distinzioni fra depositi di riserva, depositi creati da prestiti ma inesigibili, e depositi creati da prestiti che sono in corso. E’ per questo motivo che ci sono dei limiti alle dimensioni dei depositi assicurati, in base alla presunzione che il primo tipo di depositi sarà relativo a piccoli depositi delle famiglie create dal trasferimento di riserve e utilizzati come mezzi di pagamento o di riserva di valore. Ciò limita la copertura degli altri tipi di depositi. Tuttavia, questo è chiaramente iniquo per i depositi detenuti da mutuatari che hanno ancora in piedi i loro prestiti.
È la funzione di pagamento dei depositi che crea la difficoltà di distinguere tra i diversi tipi di collaterale dietro depositi. Come Hyman Minsky aveva notato, questa difficoltà è inerente la spiegazione del perché i depositi sono detenuti dal pubblico e perché le banche sono in grado di utilizzare la loro attività di deposito per creare credito:
“Nel nostro sistema, i pagamenti che le banche effettuano per i clienti diventano depositi, di solito a qualche altra banca. Se i pagamenti per un cliente sono stati fatti a causa di un accordo per un prestito, il cliente deve ora i soldi alla banca, e dovrà operare nell’economia o nei mercati finanziari in modo che egli sia in grado di adempiere ai propri obblighi verso la banca entro le scadenze stabilite. I depositi a vista hanno un valore di scambio perché un gran numero di debitori delle banche hanno doveri in sospeso che richiedono il pagamento di depositi a vista per le banche. Questi debitori lavoreranno e venderanno beni o strumenti finanziari per ottenere depositi a vista. Il valore di scambio dei depositi è determinato dall’esigenza dei debitori di detenere depositi necessari a soddisfare i loro impegni. I prestiti bancari … sono davvero uno scambio fra i debiti di una banca oggi per i crediti di una banca domani”. (Minsky 2008 [1986], 258).
La chiave per l’accettabilità dei depositi nel sistema è che i mutuatari devono ripagare la banca mutuante attraverso l’acquisizione ed il trasferimento a lei di un altro deposito. Pertanto, il deposito che il debitore riceve dalla banca come prestito è utile solamente se esso può essere utilizzato per acquisire gli input richiesti in produzione. Usato come un mezzo di pagamento, la proprietà del deposito è trasferita alle famiglie, le quali sono libere di trasferire tale diritto a qualunque banca del sistema.
Questo è ciò che viene definito il drenaggio, il canale dei depositi per la banca mutuante che genera la necessità di riserve bancarie, reperite attraverso trasferimenti sull’interbancario, usate per effettuare trasferimenti dal deposito alla banca del nuovo detentore.
A questo punto, il deposito creato originariamente dal prestito appare alla banca del nuovo acquirente come un trasferimento di riserve.
Per la banca ricevente, non c’è quindi nessuna possibilità di riuscire a distinguere questo deposito da un precedente originato da un deposito effettivo di valuta o moneta. Ed inoltre non c’è la possibilità di distinguere fra un deposito di riserve, un deposito creato con un prestito insolvente o un prestito corrente.
L’uso delle riserve per effettuare transazioni fra banche fotografa l’importanza dei depositi di moneta e valuta per la creazione del credito, in quanto in caso di mancanza di riserve reperite in questa modalità, il deposito creato dal prestito non potrebbe essere trasferito ad un’altra banca e quindi non verrebbe usato come mezzo di pagamento. Come Minsky ha evidenziato, una parte ugualmente importante dell’abilità delle banche nel creare il credito è che dopo che il debitore ha usato il deposito come mezzo di pagamento, egli deve procurarsi depositi creati da altre banche (o da sé) per poter estinguere il prestito. Pertanto, c’è una domanda per i depositi da parte delle banche sia per acquisire riserve che per rimborsare i prestiti, mentre la domanda delle famiglie per i depositi è indipendente dalla loro origine.
Di conseguenza, è impossibile distinguere tra depositi garantiti da moneta e valuta e depositi garantiti da prestiti attualmente in essere oppure inesigibili. L’attuale sistema di assicurazione dei depositi fornisce dunque una garanzia minima al primo tipo di depositi, solitamente conti correnti di proprietà delle famiglie, ma fornisce un trattamento di favore per i mutuatari di prestiti inesigibili, rispetto ai mutuatari con posizioni ancora aperte alla pari dei finanziatori o creditori non garantiti che possono non aver avuto nessuno ruolo nella condotta fraudolenta delle banche o dei suoi debitori.
Nel caso dell’assicurazione sui depositi, Minsky notò che essa elimina i tradizionali vincoli delle banche in merito all’esposizione al rischio nelle forma di “sorveglianza collegiale e del cliente. In un regime in cui le banche possono fallire, e falliscono, ed in cui il fallimento bancario impone perdite ai depositanti, azionisti, debitori, utenti con sofisticati servizi bancari possono agire o sul portafoglio e sul leverage della banca stessa”. Il risultato è un sistema in cui “un depositante non ha bisogno di preoccuparsi della solidità della banca con cui opera”.
Schemi di assicurazione sui depositi sono in genere finanziati da prelievi sulle stesse banche affiliate. Come tale, le agenzie di assicurazione sono considerati enti con personalità giuridica indipendenti sia del governo che dalle banche centrali.
Ma, come osserva Minsky, la capacità del sistema di far fronte ai propri impegni richiede implicitamente che la banca centrale convalidi i depositi assicurati di una qualsiasi banca fallita. Si tratta di una passività potenziale, che negli Stati Uniti ad esempio è rappresentata dall’esistenza di una linea di credito con il Tesoro nel caso in cui il fondo stesso si trovasse al di sotto delle necessarie esigenze.
La banca centrale deve quindi fornire a quel punto le riserve necessarie per soddisfare le richieste del sistema, e ciò è una passività potenziale della banca centrale.
In generale, i sistemi di assicurazione cercano di mantenere questo fondo in misura abbastanza grande per soddisfare le potenziali esigenze finanziarie.
Una esempio di ciò è stato l’utilizzo di una risoluzione bancaria aperta dalla Federal Deposit Insurance Corporation durante la recente crisi perché aveva ridotto al minimo l’utilizzo del fondo di convalida dei depositi, dal momento che i depositi assicurati diventano competenza della banca acquirente.
Negli attuali sistemi europei, non vi è alcuna garanzia implicita contingente da parte della Banca centrale europea (BCE), e non vi è alcuna garanzia implicita da parte dei governi nazionali.
In effetti, le difficoltà riscontrate nella recente crisi erano dovute al fatto che i governi nazionali non hanno potuto fornire le garanzie necessarie quando i loro regimi di deposito sono falliti, dato l’elevato rapporto tra depositi stessi e PIL.
La risposta è stata quella di proporre uno schema uniforme di assicurazione a livello europeo indipendente dai governi nazionali. Questo schema è stato criticato da alcuni governi per il fatto che ciò li rende responsabili della convalida dei debiti creati nei sistemi finanziari di altri paesi sui quali essi non hanno alcun controllo diretto. Tuttavia, la sorveglianza non è il principale inconveniente di questa proposta.
Piuttosto, è la mancanza di una linea di credito contingente della BCE o un implicito riconoscimento che la BCE dovrebbe fornire il sostegno necessario per sostenere questo programma.
Sembrerebbe quindi impossibile progettare un sistema di assicurazione dei depositi veramente giusto che elimini l’insito moral hazard di tali pratiche e la necessità di una garanzia contingente della banca centrale.
I problemi delle banche cipriote sembrano essere stati causati non da un aumento delle sofferenze sui prestiti ai residenti o anche a non residenti che rappresentavano la maggioranza degli asset delle banche. Alcuni hanno suggerito che i problemi delle banche sono stati causati da depositi esteri che fungevano da garanzia per i prestiti ai depositanti.
Tuttavia, come notato, questi depositi non sarebbero stati coperti in ogni caso dall’assicurazione, dato che il regime cipriota copre solo l’esposizione a singoli depositanti al netto dei prestiti.
Più verosimilmente, i problemi sono stati causati da investimenti effettuati attraverso gli eccessivi depositi bancari detenuti dai non residenti in titoli sovrani greci, che sono stati acquistati a prezzo scontato rispetto al nominale dalle banche dell’UE che cercavano di ridurre la loro esposizione dopo lo scoppio della crisi greca.
Le difficoltà sono iniziate quando la troika ha imposto il bail-in del settore privato ai creditori del governo greco, il che significava sostanzialmente il bail-in delle banche cipriote, producendo perdite sostanziali che hanno portato al loro fallimento.
Questa interconnessione fra l’ haircut greco e l’insolvenza cipriota ricorda l’incapacità negli Stati Uniti di notare i collegamenti tra le aziende legate alla Lehman Brothers e i fondi del mercato monetario.
Il fatto che molti dei titolari dei più grandi depositi includesse enti quali il fondo pensione nazionale, enti di beneficenza, e organizzazioni non governative, ha reso il prelievo sui depositi una misura ancora più iniqua. Non c’è da stupirsi che tali misure generino risentimento, dato che i fondi speculativi con oltre sei miliardi di euro di debito greco acquistati con forti sconti sono stati pagati per intero dopo il primo hair cut, e quelli che hanno acquistato successivamente hanno staccato notevoli profitti prima del secondo taglio, mentre le perdite sono state effettivamente sostenute dai depositanti delle banche cipriote.
Abbiamo potuto constatare diversi grossi evidenti lacune negli schemi di assicurazione sui depositi che l’UE sta discutendo. Di seguito gli errori fondamentali evidenziati in questo studio:
- il prelievo forzoso lede due principi fondamentali del “bon ton” fiscale, e cioè che le tasse siano certe e di facile e veloce pagamento per il contribuente. Il prelievo forzoso non è né certo, né di facile estinzione.
- l’assicurazione tratta i depositi dei clienti non come passività delle banche, quali essi sono, ma come trasferimenti di potere d’acquisto, avvalorando la tesi per cui un depositante è responsabile “a prescindere” del un fallimento di una banca perché le ha prestato i soldi e mantenendo lo schema monetarista, mentre nella realtà sono i prestiti a creare i depositi e non viceversa.
- l’assicurazione sui depositi elimina le sanzioni per quelle banche che prestano senza verificare che il cliente sia “credit worthy” = Moral Hazard, la banca può prestare ancor di più senza controlli, visto che in caso di insolvenza (e di suo mancato controllo), pagheranno (non più i contribuenti, cioè lo Stato, cioè noi attraverso le tasse), ma depositanti (cioè noi attraverso i nostri conti correnti), e creditori non assicurati che non hanno avuto comunque voce in capitolo nelle decisioni di credito.
- l’assicurazione copre non solo i piccoli risparmiatori entro 100mila euro, i cui depositi sono creati dall’effettiva consegna di moneta e valuta alla banca, bensì anche chi, dopo aver ricevuto un prestito, fa “default”, cioè non paga. Ciò permette:
a) al debitore di avere sia il materiale acquistato con tali soldi sia i 100mila euro di deposito garantito
b) alla banca di avere la possibilità di rientrare comunque dal credito inesigibile = Moral Hazard;
- gli schemi di assicurazione sui depositi privilegia alcuni (mutuatari con posizioni inesigibili) a scapito di gran parte degli altri - e chi è in UEM che ha grossi problemi di credito inesigibile sparsi un po’ in tutto il vecchio continente?;
- manca completamente la possibilità che la BCE diventi Lolr, punto fondamentale su cui devono poggiare tutti gli schemi di questo genere.
Come ben afferma Bottarelli, prepariamoci al peggio:
“A dispetto di quanto promesso dalle autorità di Nicosia, i controlli sui capitali sono ancora oggi in atto e il governo ha deciso che l’haircut che dovranno subire i detentori di conti non assicurati - ovvero sopra i 100mila euro - salirà dal 37,5% al 47,5%, una mannaiata pari al dimezzamento dei propri averi.
Il perché di questa decisione così drastica ci arriva dalla stessa Banca centrale di Cipro, la quale due giorni fa ha confermato come il totale dei depositi negli istituti dell’Isola sia oggi al livello del 2007 e stia decrescendo al ritmo più veloce di sempre. Ovvero, visto che i controlli di capitale non servono a nulla, tocca alzare sempre di più la quota di soldi da “sequestrare” ai correntisti che non sono riusciti a sfuggire per arrivare alla cifra di bail-in stabilita in sede di salvataggio con Ue e Fmi. I quali, infatti, hanno detto chiaro che Cipro deve partecipare all’operazione per circa 5 miliardi, altrimenti anche i fondi derivanti da altre entità diverranno a rischio.”.
Letto ciò, ci chiediamo: ma, in caso di applicazione di tali misure di “amatiana” memoria qui in Italia, se i pesci “grossi” scappassero in massa, secondo voi a chi appiopperebbero il cosiddetto “prelievo forzoso”? Io un’idea ce l’avrei…
Lezioni da Cipro.
La notizia del prelievo finale imposto a Cipro è, come al solito, passata in sordina.
Uno dei pochi a tentare di inserirsi nell’assordante silenzio mainstream è stato, inserendolo in un articolo impostato sulla situazione dell’Islanda, il solito Mauro Bottarelli.
Incuranti così del loro principale dovere (informare per rendere consapevoli i cittadini senza “predeterminare” le loro scelte) i mass media tralasciano le notizie scomode e le dovute spiegazioni del caso che aiuterebbero il cittadino a capire meglio cosa gli accade intorno e quali siano le conseguenze delle decisioni, calate dall’alto e senza il dovuto consenso o dibattito “popolare”, che a livello europeo condizionano pesantemente la sua esistenza e dei suoi connazionali.
Nel post “Further Conversations…” Quarantotto affermava: “Potrebbero ricordarsi, tutti insieme hayekkianamente, puddini nazionali e euristici, che la ben nota correlazione S-I descrive la parte del risparmio che non convertendosi in investimento (e non essendo per definizione consumata) non figura nel PIL: e allora giù con il prelievo forzoso modello cipriota sui conti dei depositanti privati delle banche PIGS .
Tra le quali, l’intero sistema bancario italiano (ricordiamoci ad esempio come e perché nacque BNL, ora Bnp Paribas ndr.) assomiglia proprio a un gigantesco porcellino di quelli salvadanaio. Da rompere per ripagare, coi soldi dei cittadini, il debito...creato dall’euro-follia (compreso quello legato ai fatidici swap)…”.
La modesta traduzione di un articolo di Jan Kregel , il cui studio è disponibile sul sito del Levy Institute , Policy Note, Aprile 2013, parte da lontano e cerca di dipanare in qualche modo i dubbi e le incomprensioni su una delle ultime regolamentazioni bancarie messe in campo in UE: l’assicurazione sui depositi, andando piano piano a finire sul pericoloso crinale del fatidico prelievo forzoso, di cui l’autore smaschera problematiche ed ingiustizia di fondo.
In prima battuta, si raccomanda la lettura dei seguenti articoli presenti su http://www.voxeu.org/article/deposit-insurance-after-iceland-and-cyprus%20e%20Phastidio%, per dotarsi di un piccolo bagaglio tecnico utile ad assimilare meglio le informazioni che seguiranno.
Concludendo, Kregel aiuterà a capire, attraverso il modello Cipro come e perché questi schemi di assicurazione sui depositi verrebbero attuati, chi ne sarebbero i beneficiari, quali siano le lacune. Eventuali errori di traduzione o interpretazione sono da attribuire solo ed esclusivamente al traduttore. Buona lettura.
Che cosa c’è di sbagliato nel tassare i depositi bancari
Nel marzo di quest’anno il governo di Cipro, in risposta alla crisi bancaria che aveva colpito il paese e come parte di una negoziazione che avrebbe dovuto assicurare supporto al suo sistema finanziario da parte dell’EU e dell’FMI, propose di valutare l’applicazione di una “tassa” sui depositi, incluso un prelievo (poi eliminato dal piano governativo finale) sui depositi assicurati al di sotto della soglia garantita dei 100mila euro.
La comprensione delle doppie operazioni messe in pratica dalle banche e della relazione fra due tipi di depositi – depositi dei clienti e loro “moneta”, depositi creati dai prestiti bancari – ci aiuteranno a chiarire le problematiche di questo “prelievo”, illuminandoci sulla doppia finalità e sui limiti di tale assicurazione sui depositi.
In particolare, l’impossibilità operativa di poter distinguere i due tipi di deposito nell’ottica della creazione di un equo schema di assicurazione rivela qualcosa dell’inevitabile moral hazard che accompagna questi schemi. Inoltre tale sistema richiede a monte il supporto di una forte banca centrale che possa far rispettare gli impegni assunti. Queste sono lezioni rilevanti da tenere in considerazione nel contesto degli attuali piani per l’istituzione di un sistema di assicurazione sui depositi nell’UEM.
Dal punto di vista legale, un deposito bancario è un prestito non assicurato alla banca. E’ un prestito a chiamata, legalmente non diverso da un prestito di chiamata che una banca effettua ad uno specialista di borsa. E’ una passività per la banca, un’attività (o asset) per il depositante.
Molti paesi applicano tasse sui beni immobili o sul patrimonio, suddiviso fra attività finanziarie come obbligazioni oppure titoli azionari. Da questo punto di vista, non c’è ragione per cui un deposito bancario, così come qualsiasi altra attività (o asset), non debba essere tassato.
Analogamente, un detentore di valuta e moneta emessa da un governo è creditore chirografario (non garantito) di quel paese. Valuta e moneta sono una passività per chi le emette, ma un asset per chi le detiene, e per questo motivo potrebbero essere soggette alla tassazione di quello stesso Stato. Le nazioni che applicano tasse patrimoniali sulla ricchezza solitamente, quindi, escludono tale ipotesi (Silvio Gesell nel 1958 propose infatti questa misura come sostegno alla domanda).
Una ragione probabile che spiega questa differenza di trattamento fra le passività private che costituiscono immobilizzazioni – depositi, titoli azionari, obbligazioni – e il debito pubblico è che la tassazione delle passività del governo potrebbe essere considerata come un default o come esproprio, pratica preclusa dal contratto sociale o dalla Costituzione vigente in un determinato paese.
Non è il caso questo delle passività private, ciò significa che non c’è ragione per cui i depositi non possano essere soggetti a tassazione, ed i governi in passato hanno tassato e tassano i conti bancari privati a fini fiscali (l’Italia lo ha fatto nel 1992, quando la lira era sotto attacco speculativo, ad esempio).
Se questo è il caso, come mai l’applicazione di una tassa sui depositi bancari ha creato così tante critiche quando è stata recentemente applicata a Cipro?
Dal punto di vista fiscale, la ragione più ovvia è che questa era una tassa imprevista, applicata per soddisfare creditori particolari di uno specifico ente finanziario, e per di più di importo incerto, creando grosse difficoltà fra i contribuenti.
Nonostante si sia scritto in alcuni ambienti, per far digerire la cosa, che questa era una tassa sul presunto riciclaggio di denaro sporco proveniente della Russia, ciò non toglie che siano stati violati due dei principi fondamentali della tassazione accettati sin dai tempi di Adam Smith: “La tassa che ogni individuo è tenuto a pagare dovrebbe essere certa, e non arbitraria. Il momento del pagamento, il modo di pagamento, il quantitativo da pagare, dovrebbero essere chiari e semplici per il contribuente, e ad ogni altra persona. Altrimenti ogni persona soggetta alla tassa è messa più o meno nelle mani dell’esattore, che potrebbe sia gravarla su un contribuente antipatico o estorcere, minacciandone l’aggravamento, regali o privilegi per sé medesimo. Ogni tassa dovrebbe essere riscossa nel momento, o nel modo, in cui al contribuente sia più conveniente.” (Smith 1976 (1904) 350-51).
Sebbene le tasse patrimoniali o i prelievi forzosi non siano comuni, Keynes osserva nel suo "Tract on Monetary Reform" (1924, 67) che l’opposizione a tali imposte è basata “sul motivo che esse vìolano la sacralità intoccabile del contratto”. In risposta a questa visione, Keynes sosteneva che “nulla può preservare l’integrità del contratto tra gli individui, ad eccezione di un’autorità discrezionale, quale lo Stato, che abbia la facoltà di rivedere quello che è diventato intollerabile”.
Una cosa deve essere chiara (in merito a quanto accaduto a Cipro ndt.): il prelievo forzoso non era un mezzo per generare nuove entrate governative o per alleviare l’onere del servizio del debito per il governo o delle finanze individuali. Piuttosto, ciò è servito per ripianare l’esposizione di specifici istituti finanziari al fine di poter generare un afflusso di fondi dal Fondo Monetario Internazionale e dall’UE, rendendo sostenibili le istituzioni finanziarie del paese.
L’operazione nei fatti non ha diminuito le passività del governo, ma solo le passività delle istituzioni finanziarie. E’ stata quindi una tassa imposta dal governo sulla ricchezza di specifici individui a vantaggio di specifiche istituzioni finanziarie.
Che cosa dovrebbe tutelare l’assicurazione sui depositi?La violazione dei buoni principi fiscali non è la maggior obiezione che si potrebbe muovere all’applicazione di tale tassa.
Piuttosto, essa è stata criticata perché in aperta violazione dei principi previsti dalla legislazione UE in corso di approvazione in merito all’assicurazione sui depositi e delle proposte per uno schema condiviso di assicurazione.
Dal 2000 Cipro ha avuto uno schema di assicurazione sui depositi entro 100mila euro in accordo con le correnti direttive UE. Dal punto di vista legale, l’assicurazione garantisce lo status di creditore privilegiato e fissa a 100mila euro la responsabilità di una banca verso i suoi depositanti in caso di fallimento.
Eppure, l’assicurazione sui depositi non è motivata dall’idea di proteggere lo status giuridico dei creditori chirografari (non protetti) in caso di fallimento, quanto piuttosto dalla convinzione nell’importanza di un mezzo di pagamento sicuro e protetto per il buon funzionamento del sistema economico.
Si basa quindi su una concezione completamente diversa del deposito bancario: cioè che i depositi non sono dei prestiti ma una riserva di ricchezza. Fornire un sicuro mezzo in cui depositare la propria ricchezza consente così il risparmio e la sicurezza che supportano la domanda. Ciò inoltre supporta il trasferimento intertemporale di reddito che il sistema finanziario garantisce attraverso la sua intermediazione fra debitori e creditori.
L’idea fondamentale alla base dell’assicurazione sui depositi è quindi basata sulla concezione che il deposito è un trasferimento di potere di acquisto all’istituto finanziario beneficiario. Questo potere di acquisto è rappresentato come deposito di specifiche passività governative, moneta e valuta, che nel sistema bancario prendono il nome di riserve bancarie.
Questa è la base di partenza per definire il comportamento delle banche, che ricevono moneta e valuta e prestano valuta e moneta. La difficoltà da risolvere successivamente è il fatto che le banche, generalmente, prestano sempre molto di più di quanto ricevano in deposito. Come? Sfruttando il leveraging dato dalle convenzioni di riserva frazionaria.
Questa è la visione del sistema bancario che ha dominato l’economia, ed è stato alla base del monetarismo e delle proposte politiche di riserva al 100% per fornire stabilità al sistema finanziario. Il fatto che le banche prestino molto di più di quanto abbiano in deposito però crea il problema che l’assicurazione intende affrontare.
Tuttavia, una volta ammesso che le banche possono prestare molto di più di quanto esse detengano come riserve, è possibile dare un’altra interpretazione dell’operato delle banche.
Partiamo innanzitutto dall’idea che le banche possano “creare” moneta.
Ciò accade quando una banca effettua un prestito e quest’ultimo non è sotto forma di moneta o valuta bensì la creazione di un deposito bancario per il credito del mutuatario.
La teoria bancaria tradizionale non chiama ciò “creazione di moneta”, piuttosto la definisce creazione di “credito”. Perciò le banche non prestano più soldi di quanti ne abbiano in deposito, le banche possono creare credito perché accettano i depositi e li utilizzano come mezzo di pagamento generale in sostituzione di moneta e valuta.
Le banche inoltre hanno una duplice funzione. La prima è di accettare i depositi di passività governative, monete e valuta, detenute come riserve per la Banca Centrale o come riserve di contante. La seconda funzione della creazione del credito riguarda invece l’acquisto delle passività del settore privato in cambio della creazione di un deposito bancario, che è come già visto una passività della banca.
Questo è il prestito bancario, ed è un’operazione bancaria completamente differente. Così, in ogni momento le passività bancarie sono composte da due diversi tipi di deposito: uno è coperto dalle passività del governo quali moneta e valuta forniti dal depositante/mutuante alla banca e forma le riserve bancarie, il secondo è garantito dalla passività del mutuatario privato che è stata accettato dalla banca e non crea inizialmente riserve bancarie.
L’assicurazione bancaria creata per proteggere il potere d’acquisto del depositante è diretta al primo dei due depositi sopra menzionato, mentre il secondo è garantito dalla garanzia accettata dalla banca. Se una banca effettua prestiti troppo rischiosi, coperti dal proprio credito, ci si aspetta che il primo tipo di depositanti venga protetto e non debba essere ritenuto responsabile di tale comportamento irresponsabile.
L’assicurazione sui depositi nasce per assicurare tale scudo.
Le perdite della banca dovrebbero essere ripianate dalla banca stessa, o dai suoi azionisti e creditori non assicurati.
Questa è la base, ad esempio, di chi argomenta contro i salvataggi pubblici degli istituti di credito e dell’insistenza sul fatto che i costi dei salvataggi causati dal malgoverno dei banchieri dovrebbero essere interamente sostenuti dagli azionisti delle banche, non dai depositanti. Questo principio è inoltre esteso anche ai creditori non assicurati che non detengono alcun deposito presso la banca. Tuttavia, non è chiaro come questi creditori debbano subire un trattamento differente rispetto ai depositanti, in quanto potrebbero avere fornito alla banca moneta o valuta. L’unica differenza è che essi hanno ricevuto una passività a termine dalla banca. Ma è alquanto chiaro che anche essi non hanno responsabilità sull’operato della banca alla pari dei depositanti, assicurati e non, e che quindi vadano tutelati.
Il problema principale con questa teorica separazione fra chi dovrebbe sostenere i costi del fallimento e su come prevenire gli errori di un singolo istituto dall’avere effetti sistemici sulle altre banche, e così sull’intero finanziamento del sistema economico, è capire da dove e come i depositi siano originati.
E’ chiaro che le cause dei “bank run”, che l’assicurazione sui depositi tenta di impedire, è il risultato della mancata distinzione tra la capacità delle diverse istituzioni di redimere i propri depositi. E’ per questo motivo che l’assicurazione si vorrebbe applicare uniformemente a tutti i depositi bancari. Il fallimento e l’introduzione del pieno supporto per i depositanti della Irish Bank nella recente crisi ha evidenziato ciò, e il risultato è stata la creazione da parte dell’UE di un sistema uniforme di assicurazione sui depositi. Ma ancora più importante è l’estensione di tale assicurazione a tutti i depositanti, sia quelli creati da un deposito in moneta e/o valuta oppure dall’accettazione di una garanzia del depositante. Questa distinzione è importante perché è l’impossibilità di riscattare la posizione di quest’ultimo detentore la principale causa del fallimento bancario. Così, l’applicazione di un’assicurazione su tale tipo di deposito semplicemente elimina qualsiasi sanzione per le perdite derivanti dall’impossibilità di riscattare tali passività.
In parole povere, se io prendo in prestito dalla banca a fronte di una mia promessa di pagamento, ricevo un deposito, e poi dichiaro default (non pago), causando il fallimento dell’istituto, alla fine mi ritroverò ancora il valore del materiale acquisito col mio deposito, nello stato patrimoniale del venditore, e pure con l’assicurazione sul deposito.
Questo suggerisce che, se il sistema volesse ridurre il moral hazard sanzionando le pratiche pericolose, l’assicurazione non si dovrebbe applicare sui depositi creati dai prestiti che possano fare “default”, bensì solo sui depositi creati dai prestiti “correnti”.Sfortunatamente, risulta impossibile mettere in pratica queste distinzioni fra depositi di riserva, depositi creati da prestiti ma inesigibili, e depositi creati da prestiti che sono in corso. E’ per questo motivo che ci sono dei limiti alle dimensioni dei depositi assicurati, in base alla presunzione che il primo tipo di depositi sarà relativo a piccoli depositi delle famiglie create dal trasferimento di riserve e utilizzati come mezzi di pagamento o di riserva di valore. Ciò limita la copertura degli altri tipi di depositi. Tuttavia, questo è chiaramente iniquo per i depositi detenuti da mutuatari che hanno ancora in piedi i loro prestiti.
È la funzione di pagamento dei depositi che crea la difficoltà di distinguere tra i diversi tipi di collaterale dietro depositi. Come Hyman Minsky aveva notato, questa difficoltà è inerente la spiegazione del perché i depositi sono detenuti dal pubblico e perché le banche sono in grado di utilizzare la loro attività di deposito per creare credito:
“Nel nostro sistema, i pagamenti che le banche effettuano per i clienti diventano depositi, di solito a qualche altra banca. Se i pagamenti per un cliente sono stati fatti a causa di un accordo per un prestito, il cliente deve ora i soldi alla banca, e dovrà operare nell’economia o nei mercati finanziari in modo che egli sia in grado di adempiere ai propri obblighi verso la banca entro le scadenze stabilite. I depositi a vista hanno un valore di scambio perché un gran numero di debitori delle banche hanno doveri in sospeso che richiedono il pagamento di depositi a vista per le banche. Questi debitori lavoreranno e venderanno beni o strumenti finanziari per ottenere depositi a vista. Il valore di scambio dei depositi è determinato dall’esigenza dei debitori di detenere depositi necessari a soddisfare i loro impegni. I prestiti bancari … sono davvero uno scambio fra i debiti di una banca oggi per i crediti di una banca domani”. (Minsky 2008 [1986], 258).
La chiave per l’accettabilità dei depositi nel sistema è che i mutuatari devono ripagare la banca mutuante attraverso l’acquisizione ed il trasferimento a lei di un altro deposito. Pertanto, il deposito che il debitore riceve dalla banca come prestito è utile solamente se esso può essere utilizzato per acquisire gli input richiesti in produzione. Usato come un mezzo di pagamento, la proprietà del deposito è trasferita alle famiglie, le quali sono libere di trasferire tale diritto a qualunque banca del sistema.
Questo è ciò che viene definito il drenaggio, il canale dei depositi per la banca mutuante che genera la necessità di riserve bancarie, reperite attraverso trasferimenti sull’interbancario, usate per effettuare trasferimenti dal deposito alla banca del nuovo detentore.
A questo punto, il deposito creato originariamente dal prestito appare alla banca del nuovo acquirente come un trasferimento di riserve.
Per la banca ricevente, non c’è quindi nessuna possibilità di riuscire a distinguere questo deposito da un precedente originato da un deposito effettivo di valuta o moneta. Ed inoltre non c’è la possibilità di distinguere fra un deposito di riserve, un deposito creato con un prestito insolvente o un prestito corrente.
L’uso delle riserve per effettuare transazioni fra banche fotografa l’importanza dei depositi di moneta e valuta per la creazione del credito, in quanto in caso di mancanza di riserve reperite in questa modalità, il deposito creato dal prestito non potrebbe essere trasferito ad un’altra banca e quindi non verrebbe usato come mezzo di pagamento. Come Minsky ha evidenziato, una parte ugualmente importante dell’abilità delle banche nel creare il credito è che dopo che il debitore ha usato il deposito come mezzo di pagamento, egli deve procurarsi depositi creati da altre banche (o da sé) per poter estinguere il prestito. Pertanto, c’è una domanda per i depositi da parte delle banche sia per acquisire riserve che per rimborsare i prestiti, mentre la domanda delle famiglie per i depositi è indipendente dalla loro origine.
Di conseguenza, è impossibile distinguere tra depositi garantiti da moneta e valuta e depositi garantiti da prestiti attualmente in essere oppure inesigibili. L’attuale sistema di assicurazione dei depositi fornisce dunque una garanzia minima al primo tipo di depositi, solitamente conti correnti di proprietà delle famiglie, ma fornisce un trattamento di favore per i mutuatari di prestiti inesigibili, rispetto ai mutuatari con posizioni ancora aperte alla pari dei finanziatori o creditori non garantiti che possono non aver avuto nessuno ruolo nella condotta fraudolenta delle banche o dei suoi debitori.
L’assicurazione sui depositi crea instabilità?Ciò riflette semplicemente quanto affermato da Minsky a proposito della perversità degli schemi generali di prestatori di ultima istanza a supporto delle istituzioni finanziarie nell’interesse di salvaguardare la stabilità finanziaria del sistema, generando un sostegno che tende a validare le nuove “vie di prestito” e quindi “pone le basi per un’ampia accettazione e uso di nuovi strumenti finanziari” confermando e dando indiretto sostegno alle dubbie pratiche degli istituti di credito. (2008 [1986], 281)
Nel caso dell’assicurazione sui depositi, Minsky notò che essa elimina i tradizionali vincoli delle banche in merito all’esposizione al rischio nelle forma di “sorveglianza collegiale e del cliente. In un regime in cui le banche possono fallire, e falliscono, ed in cui il fallimento bancario impone perdite ai depositanti, azionisti, debitori, utenti con sofisticati servizi bancari possono agire o sul portafoglio e sul leverage della banca stessa”. Il risultato è un sistema in cui “un depositante non ha bisogno di preoccuparsi della solidità della banca con cui opera”.
Chi dovrebbe essere responsabile per l’assicurazione sui depositi?Minsky ha anche sottolineato l’intima relazione tra la banca centrale e l’assicurazione dei depositi, che permette di comprendere meglio le attuali discussioni nell'UE.
Schemi di assicurazione sui depositi sono in genere finanziati da prelievi sulle stesse banche affiliate. Come tale, le agenzie di assicurazione sono considerati enti con personalità giuridica indipendenti sia del governo che dalle banche centrali.
Ma, come osserva Minsky, la capacità del sistema di far fronte ai propri impegni richiede implicitamente che la banca centrale convalidi i depositi assicurati di una qualsiasi banca fallita. Si tratta di una passività potenziale, che negli Stati Uniti ad esempio è rappresentata dall’esistenza di una linea di credito con il Tesoro nel caso in cui il fondo stesso si trovasse al di sotto delle necessarie esigenze.
La banca centrale deve quindi fornire a quel punto le riserve necessarie per soddisfare le richieste del sistema, e ciò è una passività potenziale della banca centrale.
In generale, i sistemi di assicurazione cercano di mantenere questo fondo in misura abbastanza grande per soddisfare le potenziali esigenze finanziarie.
Una esempio di ciò è stato l’utilizzo di una risoluzione bancaria aperta dalla Federal Deposit Insurance Corporation durante la recente crisi perché aveva ridotto al minimo l’utilizzo del fondo di convalida dei depositi, dal momento che i depositi assicurati diventano competenza della banca acquirente.
Le proposte di assicurazione bancarie nell’UE non possono migliorare la stabilità finanziaria.
Negli attuali sistemi europei, non vi è alcuna garanzia implicita contingente da parte della Banca centrale europea (BCE), e non vi è alcuna garanzia implicita da parte dei governi nazionali.
In effetti, le difficoltà riscontrate nella recente crisi erano dovute al fatto che i governi nazionali non hanno potuto fornire le garanzie necessarie quando i loro regimi di deposito sono falliti, dato l’elevato rapporto tra depositi stessi e PIL.
La risposta è stata quella di proporre uno schema uniforme di assicurazione a livello europeo indipendente dai governi nazionali. Questo schema è stato criticato da alcuni governi per il fatto che ciò li rende responsabili della convalida dei debiti creati nei sistemi finanziari di altri paesi sui quali essi non hanno alcun controllo diretto. Tuttavia, la sorveglianza non è il principale inconveniente di questa proposta.
Piuttosto, è la mancanza di una linea di credito contingente della BCE o un implicito riconoscimento che la BCE dovrebbe fornire il sostegno necessario per sostenere questo programma.
Sembrerebbe quindi impossibile progettare un sistema di assicurazione dei depositi veramente giusto che elimini l’insito moral hazard di tali pratiche e la necessità di una garanzia contingente della banca centrale.
Ora è possibile vedere più chiaramente i problemi creati dalla misura “fiscale” del prelievo sui depositi adottato per sostenere il sistema bancario a Cipro.
I problemi delle banche cipriote sembrano essere stati causati non da un aumento delle sofferenze sui prestiti ai residenti o anche a non residenti che rappresentavano la maggioranza degli asset delle banche. Alcuni hanno suggerito che i problemi delle banche sono stati causati da depositi esteri che fungevano da garanzia per i prestiti ai depositanti.
Tuttavia, come notato, questi depositi non sarebbero stati coperti in ogni caso dall’assicurazione, dato che il regime cipriota copre solo l’esposizione a singoli depositanti al netto dei prestiti.
Più verosimilmente, i problemi sono stati causati da investimenti effettuati attraverso gli eccessivi depositi bancari detenuti dai non residenti in titoli sovrani greci, che sono stati acquistati a prezzo scontato rispetto al nominale dalle banche dell’UE che cercavano di ridurre la loro esposizione dopo lo scoppio della crisi greca.
Le difficoltà sono iniziate quando la troika ha imposto il bail-in del settore privato ai creditori del governo greco, il che significava sostanzialmente il bail-in delle banche cipriote, producendo perdite sostanziali che hanno portato al loro fallimento.
Questa interconnessione fra l’ haircut greco e l’insolvenza cipriota ricorda l’incapacità negli Stati Uniti di notare i collegamenti tra le aziende legate alla Lehman Brothers e i fondi del mercato monetario.
Il fatto che molti dei titolari dei più grandi depositi includesse enti quali il fondo pensione nazionale, enti di beneficenza, e organizzazioni non governative, ha reso il prelievo sui depositi una misura ancora più iniqua. Non c’è da stupirsi che tali misure generino risentimento, dato che i fondi speculativi con oltre sei miliardi di euro di debito greco acquistati con forti sconti sono stati pagati per intero dopo il primo hair cut, e quelli che hanno acquistato successivamente hanno staccato notevoli profitti prima del secondo taglio, mentre le perdite sono state effettivamente sostenute dai depositanti delle banche cipriote.
Conclusioni
Abbiamo potuto constatare diversi grossi evidenti lacune negli schemi di assicurazione sui depositi che l’UE sta discutendo. Di seguito gli errori fondamentali evidenziati in questo studio:
- il prelievo forzoso lede due principi fondamentali del “bon ton” fiscale, e cioè che le tasse siano certe e di facile e veloce pagamento per il contribuente. Il prelievo forzoso non è né certo, né di facile estinzione.
- l’assicurazione tratta i depositi dei clienti non come passività delle banche, quali essi sono, ma come trasferimenti di potere d’acquisto, avvalorando la tesi per cui un depositante è responsabile “a prescindere” del un fallimento di una banca perché le ha prestato i soldi e mantenendo lo schema monetarista, mentre nella realtà sono i prestiti a creare i depositi e non viceversa.
- l’assicurazione sui depositi elimina le sanzioni per quelle banche che prestano senza verificare che il cliente sia “credit worthy” = Moral Hazard, la banca può prestare ancor di più senza controlli, visto che in caso di insolvenza (e di suo mancato controllo), pagheranno (non più i contribuenti, cioè lo Stato, cioè noi attraverso le tasse), ma depositanti (cioè noi attraverso i nostri conti correnti), e creditori non assicurati che non hanno avuto comunque voce in capitolo nelle decisioni di credito.
- l’assicurazione copre non solo i piccoli risparmiatori entro 100mila euro, i cui depositi sono creati dall’effettiva consegna di moneta e valuta alla banca, bensì anche chi, dopo aver ricevuto un prestito, fa “default”, cioè non paga. Ciò permette:
a) al debitore di avere sia il materiale acquistato con tali soldi sia i 100mila euro di deposito garantito
b) alla banca di avere la possibilità di rientrare comunque dal credito inesigibile = Moral Hazard;
- gli schemi di assicurazione sui depositi privilegia alcuni (mutuatari con posizioni inesigibili) a scapito di gran parte degli altri - e chi è in UEM che ha grossi problemi di credito inesigibile sparsi un po’ in tutto il vecchio continente?;
- manca completamente la possibilità che la BCE diventi Lolr, punto fondamentale su cui devono poggiare tutti gli schemi di questo genere.
Come ben afferma Bottarelli, prepariamoci al peggio:
“A dispetto di quanto promesso dalle autorità di Nicosia, i controlli sui capitali sono ancora oggi in atto e il governo ha deciso che l’haircut che dovranno subire i detentori di conti non assicurati - ovvero sopra i 100mila euro - salirà dal 37,5% al 47,5%, una mannaiata pari al dimezzamento dei propri averi.
Il perché di questa decisione così drastica ci arriva dalla stessa Banca centrale di Cipro, la quale due giorni fa ha confermato come il totale dei depositi negli istituti dell’Isola sia oggi al livello del 2007 e stia decrescendo al ritmo più veloce di sempre. Ovvero, visto che i controlli di capitale non servono a nulla, tocca alzare sempre di più la quota di soldi da “sequestrare” ai correntisti che non sono riusciti a sfuggire per arrivare alla cifra di bail-in stabilita in sede di salvataggio con Ue e Fmi. I quali, infatti, hanno detto chiaro che Cipro deve partecipare all’operazione per circa 5 miliardi, altrimenti anche i fondi derivanti da altre entità diverranno a rischio.”.
Letto ciò, ci chiediamo: ma, in caso di applicazione di tali misure di “amatiana” memoria qui in Italia, se i pesci “grossi” scappassero in massa, secondo voi a chi appiopperebbero il cosiddetto “prelievo forzoso”? Io un’idea ce l’avrei…
lunedì 26 agosto 2013
SCHAUBLE, IL SOGNO EUROPEO E L'INCUBO (BISMARCKIANO) DEL CONTABILE
In questo interessante articolo si riferisce della polemica tedesca tra Schauble e il filososo-ultimo-esponente-della-Scuola-di-Francoforte (avete già fatto facili ironie al riguardo), Habermas.
E' importante avere la conferma che per l'ineffabile Wolfgang tutto il problema €uropeo è sempre e solo quello della finanza pubblica: "l'incubo del contabile" elevato a sistema imperiale. Per lui, fuori dal rispetto dei criteri di Maastricht, debitamente integrati dal pareggio di bilancio, "è il caos".
Schauble parla di "freni" (e te credo,! Gli piace "vincere facile"!) e l'autore dell'articolo, Jannuzzi, parla di "teoria del freno a mano tirato". Ma, considerando gli effetti sociali del pareggio di bilancio si tratta della enunciazione esplicita di un "ordine", per quanto riguarda gli Stati debitori - che, appunto, devono solo raggiungere il pareggio di bilancio ad ogni costo- guidato dalla logica "von Hayek".
Che siccome vale per i soli debitori (rammentiamo che la Germania il pareggio di bilancio l'ha già raggiunto e tutta la costruzione €uropea di salvataggio-finanziamento dei debitori si risolve in una partita di giro in cui le banche tedesche incassano tutto il...banco), è, dunque, un "von Hayek per fessi" (cioè distruggetevi il "vostro" Stato interventista e le vostre Costituzioni del welfare...noi no).
Al che poichè, lo stesso Schauble insinua la concezione di un'Europa Bismarckiana, cioè con un elevato "tasso di pianificazione e controllo" (degli altri da parte della Germania) ma senza assumersi una leadership formale, che vuol dire "contribuzione" finanziaria tedesca (cioè rinuncia a parte del malloppo che riposa, non sibolicamente, dentro i saldi Target-2...in diminuzione, peraltro), Habermas, tra le tante critiche, tira fuori quella più efficace di tutte (nella sua ottica, che è quella di un "uomo che parlava ai Ratzinger"): questa leadership luteran-finanziaria (più la seconda che hai detto Jurgen) origina una Europa bismarckiana-regolatrice che è "votata alla tutela delle elites al comando". Come, nel 1996(!), Helmut Schmidt rimproverava a Tietmeyer, non a caso l'allora presidente della Bundesbank.
Dunque, la "regolazione finanziaria" degli Stati aderenti all'Unione, in funzione dell'interesse tedesco, è LO STRUMENTO per la tutela delle sue elites, E, AL TEMPO STESSO, L'UNICO MEZZO AMMESSO PER REALIZZARE I FINI DELLA FORTE COMPETIZIONE E DELLA STABILITA' DEI PREZZI, che, semmai ci fosse stato bisogno di conferma, divengono gli essenziali principi dominanti e fondanti dell'UE, mentre l'euro nè il "suo Profeta".
Ma Germania "regolatrice" come?
Rammentiamo, allora, la fatidica affermazione del colloquio Lippman, celebre summit degli "amici" di von Hayek, alla pianificazione del "nuovo ordine" (l'unica variante è che non l'impero Bismarckiano ma quello austro-ungarico era il modello di riferimento: ma bisogna capirli erano "semplicemente" austriaci): "in questa politica neoliberale è possibile che gli interventi economici siano tanto ampi e numerosi quanto in una politica pianificatrice, ma sarà la loro natura a essere differente".
Insomma, il pareggio di bilancio per affamare la bestia-Stato, la cessione definitiva di sovranità con sua "dispersione" nel magma €uropeo, Stati (altrui) smembrati e "Grande società" €uropea che si riduce, tutto combacia, alle "elites tedesche".
Quindi la situazione è questa:
- Schauble non si sposta di un millimetro;
- mediando con la Merkel per assecondare ancor più Bundesbank, comunque rivinceranno le elezioni (non importa con quale coalizione governeranno: l'accordo verrà trovato);
- l'italo-PUD€ non avrà alcuno spazio per modificare i trattati,- visto, oltretutto che non ha saputo influire neppure sulle prassi applicative degli attuali- e, quando le nostre manovre finanziarie passeranno per il twopacks-Commissione, quest'anno e, ancor più, nel 2014, non avrà scampo: commissariamento UEM, tagli selvaggi delle funzioni-spese pubbliche e prelievi dai depositanti bancari conditi da svendite forzate degli asset pubblici...al miglior offerente.
E a RAINEWS24 ancora dicono che il dopo-elezioni tedesche consentirà una maggior "solidarietà" e tutto si risolverà in un meraviglioso clima di..."fogno"
E' importante avere la conferma che per l'ineffabile Wolfgang tutto il problema €uropeo è sempre e solo quello della finanza pubblica: "l'incubo del contabile" elevato a sistema imperiale. Per lui, fuori dal rispetto dei criteri di Maastricht, debitamente integrati dal pareggio di bilancio, "è il caos".
Schauble parla di "freni" (e te credo,! Gli piace "vincere facile"!) e l'autore dell'articolo, Jannuzzi, parla di "teoria del freno a mano tirato". Ma, considerando gli effetti sociali del pareggio di bilancio si tratta della enunciazione esplicita di un "ordine", per quanto riguarda gli Stati debitori - che, appunto, devono solo raggiungere il pareggio di bilancio ad ogni costo- guidato dalla logica "von Hayek".
Che siccome vale per i soli debitori (rammentiamo che la Germania il pareggio di bilancio l'ha già raggiunto e tutta la costruzione €uropea di salvataggio-finanziamento dei debitori si risolve in una partita di giro in cui le banche tedesche incassano tutto il...banco), è, dunque, un "von Hayek per fessi" (cioè distruggetevi il "vostro" Stato interventista e le vostre Costituzioni del welfare...noi no).
Al che poichè, lo stesso Schauble insinua la concezione di un'Europa Bismarckiana, cioè con un elevato "tasso di pianificazione e controllo" (degli altri da parte della Germania) ma senza assumersi una leadership formale, che vuol dire "contribuzione" finanziaria tedesca (cioè rinuncia a parte del malloppo che riposa, non sibolicamente, dentro i saldi Target-2...in diminuzione, peraltro), Habermas, tra le tante critiche, tira fuori quella più efficace di tutte (nella sua ottica, che è quella di un "uomo che parlava ai Ratzinger"): questa leadership luteran-finanziaria (più la seconda che hai detto Jurgen) origina una Europa bismarckiana-regolatrice che è "votata alla tutela delle elites al comando". Come, nel 1996(!), Helmut Schmidt rimproverava a Tietmeyer, non a caso l'allora presidente della Bundesbank.
Dunque, la "regolazione finanziaria" degli Stati aderenti all'Unione, in funzione dell'interesse tedesco, è LO STRUMENTO per la tutela delle sue elites, E, AL TEMPO STESSO, L'UNICO MEZZO AMMESSO PER REALIZZARE I FINI DELLA FORTE COMPETIZIONE E DELLA STABILITA' DEI PREZZI, che, semmai ci fosse stato bisogno di conferma, divengono gli essenziali principi dominanti e fondanti dell'UE, mentre l'euro nè il "suo Profeta".
Ma Germania "regolatrice" come?
Rammentiamo, allora, la fatidica affermazione del colloquio Lippman, celebre summit degli "amici" di von Hayek, alla pianificazione del "nuovo ordine" (l'unica variante è che non l'impero Bismarckiano ma quello austro-ungarico era il modello di riferimento: ma bisogna capirli erano "semplicemente" austriaci): "in questa politica neoliberale è possibile che gli interventi economici siano tanto ampi e numerosi quanto in una politica pianificatrice, ma sarà la loro natura a essere differente".
Insomma, il pareggio di bilancio per affamare la bestia-Stato, la cessione definitiva di sovranità con sua "dispersione" nel magma €uropeo, Stati (altrui) smembrati e "Grande società" €uropea che si riduce, tutto combacia, alle "elites tedesche".
Quindi la situazione è questa:
- Schauble non si sposta di un millimetro;
- mediando con la Merkel per assecondare ancor più Bundesbank, comunque rivinceranno le elezioni (non importa con quale coalizione governeranno: l'accordo verrà trovato);
- l'italo-PUD€ non avrà alcuno spazio per modificare i trattati,- visto, oltretutto che non ha saputo influire neppure sulle prassi applicative degli attuali- e, quando le nostre manovre finanziarie passeranno per il twopacks-Commissione, quest'anno e, ancor più, nel 2014, non avrà scampo: commissariamento UEM, tagli selvaggi delle funzioni-spese pubbliche e prelievi dai depositanti bancari conditi da svendite forzate degli asset pubblici...al miglior offerente.
E a RAINEWS24 ancora dicono che il dopo-elezioni tedesche consentirà una maggior "solidarietà" e tutto si risolverà in un meraviglioso clima di..."fogno"
sabato 24 agosto 2013
NEWS RAPIDE E (NON DEL TUTTO) "LEGGERE"
Alcune rapide segnalazioni di...fine agosto (per non sforzarsi troppo le meningi sotto il sole, a causa della mia "prosa involuta").
Su "Sinistra in rete" hanno accorpato in un unico articolo i due post (Quo)usque tandem (1 e 2). Fattone il coordinamento, alla fine è venuto fuori un bel lavoro: un discorso di cui si coglie meglio l'unitarietà :-). Li ringraziamo.
Poi un lettore, in margine al post sull'articolo della prof. Mazzucato sul Financial Time, ripreso anche da "vocidall'estero", ci invia alcuni utili links al lavoro della stessa: in effetti, sono riflessioni di grande buon senso keynesiano e capaci di offrire chiarezza in mezzo alle continue €uro-demenzialità, in applicazione delle quali il nostro governo si accinge a invocare la"stabilità"...per salvarci.
Questa la utile mail con i links (cui si è aggiunto il commento di Sil-viar):
"...grazie per il post relativo al lavoro della Prof. Mazzucato. In merito al libro della professoressa mi permetto di aggiungere che a quanto risulta su Amazon (http://www.amazon.com/The-Entrepreneurial-State-Debunking-Private/dp/0857282522/) e altre librerie online "This book [...] builds on the author’s work for a high-impact DEMOS report (substantially developed and extended)".
Mi sembra che il rapporto originale DEMOS sia questo: http://www.demos.co.uk/files/Entrepreneurial_State_-_web.pdf
Molto bella anche questa breve intervista (http://www.youtube.com/watch?v=1B4q9uXpPAA) alla professoressa, che incomincia così:
"Il governo dovrebbe investire in questo momento per due ragioni. La prima è, appunto per via della crisi, che significa che ora ci troviamo in una recessione, che molti paesi hanno in realtà trasformato in una depressione. Quello che Keynes ci ha insegnato è che lo stato non deve comportarsi come un impresa: le imprese sono molto procicliche e investono molto durante i boom, non durante i bust. Gli stati devono fare il contrario, altrimenti arriviamo ad una trappola della liquidità in cui nessuno vuole spendere: né i consumatori, né le imprese, né lo stato, e così una recessione diventa una depressione.
Ma l'altra ragione è che stiamo anche arrivando verso la fine di una grande rivoluzione tecnologica, guidata dall'informatica, e siamo all'inizio di una nuova, la green revolution, e in ogni rivoluzione tecnologica lo stato in pratica ha aperto la strada. E' un caso che capiti assieme ad una crisi economica, ma anche se fossimo in un boom la green revolution non potrebbe decollare senza interventi statali."
Infine, vi segnalo che esiste una procedura on line mediante cui potete partecipare alla discussione (!) sulle riforme costituzionali in gestazione.
Per leggervi il materiale preparatorio e rispondere "cognita causa" al questionario (una sorta di anticipato sondaggio-referendum), ci mettereste qualche mese; ma non importa...
Alla fine le opzioni, come sempre nei casi di partecipazione-proiezione di democrazia diretta, sono ben PRE-determinate, e sarete (sareste) chiamati a rispondere su sostanziali "quesiti" che ben poco hanno a che fare con l'intera "cultura" costituzionale che in premessa viene richiamata.
Anche se non manca, anche, una "netta" predeterminazione dottrinale orientata sulla "versione" di Astrid, o del "Gruppo di Pisa", et similia. Tecnicamente, anche volendo partecipare con "impegno", non avete scampo: finireste per avallare inevitabilmente quanto sostenuto in partenza dalla maggioranza di governo e dal mainstream del pensiero dei "costituzionalisti associati".
E hai voglia a spiegare ai "grillini" come questo metodo, imperniato sulla rigida predeterminazione (anteriore alla sottoposizione alla platea degli interessati) dei temi e delle opzioni, ancorchè sostenuto da una sovralimentazione di notizie, dati, analisi, che sfuggono alla conoscibilità realistica del cittadino comune, sarà pure "diretto", ma non è che una apparenza democratica.
Oggi, vale contro le loro istanze e teorie (del m5s): domani potrebbe essere il loro turno nel prospettare opzioni pre-suggestionanti e nel preorientare la possibile formazione del convincimento degli interessati.
Ed è proprio la democrazia costituzionale che ci rimette, in questa istruttoria in cui si parla di tutto, ma nessuna riflessione conseguenziale è realisticamente e tecnicamente possibile PRIMA CHE L'ESSENZIALE SIA GIA' DECISO; e ciò, in modi del tutto sfuggenti e privi di effettivo dibattito, nelle sedi democratiche più ampie, che dovrebbero cominciare in ambito scolastico e accademico e diffondersi su una STAMPA LIBERA e non interessata a far prevalere gli slogan con cui è imbeccata
In sintesi: con la soluzione dei problemi effettivi dei cittadini italiani, nessuna delle riforme proposte, sia nell'attuale legge sulla revisione costituzionale, sia nella visione del m5s variamente pubblicizzata, ha molto a che fare.
Su "Sinistra in rete" hanno accorpato in un unico articolo i due post (Quo)usque tandem (1 e 2). Fattone il coordinamento, alla fine è venuto fuori un bel lavoro: un discorso di cui si coglie meglio l'unitarietà :-). Li ringraziamo.
Poi un lettore, in margine al post sull'articolo della prof. Mazzucato sul Financial Time, ripreso anche da "vocidall'estero", ci invia alcuni utili links al lavoro della stessa: in effetti, sono riflessioni di grande buon senso keynesiano e capaci di offrire chiarezza in mezzo alle continue €uro-demenzialità, in applicazione delle quali il nostro governo si accinge a invocare la"stabilità"...per salvarci.
Questa la utile mail con i links (cui si è aggiunto il commento di Sil-viar):
"...grazie per il post relativo al lavoro della Prof. Mazzucato. In merito al libro della professoressa mi permetto di aggiungere che a quanto risulta su Amazon (http://www.amazon.com/The-Entrepreneurial-State-Debunking-Private/dp/0857282522/) e altre librerie online "This book [...] builds on the author’s work for a high-impact DEMOS report (substantially developed and extended)".
Mi sembra che il rapporto originale DEMOS sia questo: http://www.demos.co.uk/files/Entrepreneurial_State_-_web.pdf
Molto bella anche questa breve intervista (http://www.youtube.com/watch?v=1B4q9uXpPAA) alla professoressa, che incomincia così:
"Il governo dovrebbe investire in questo momento per due ragioni. La prima è, appunto per via della crisi, che significa che ora ci troviamo in una recessione, che molti paesi hanno in realtà trasformato in una depressione. Quello che Keynes ci ha insegnato è che lo stato non deve comportarsi come un impresa: le imprese sono molto procicliche e investono molto durante i boom, non durante i bust. Gli stati devono fare il contrario, altrimenti arriviamo ad una trappola della liquidità in cui nessuno vuole spendere: né i consumatori, né le imprese, né lo stato, e così una recessione diventa una depressione.
Ma l'altra ragione è che stiamo anche arrivando verso la fine di una grande rivoluzione tecnologica, guidata dall'informatica, e siamo all'inizio di una nuova, la green revolution, e in ogni rivoluzione tecnologica lo stato in pratica ha aperto la strada. E' un caso che capiti assieme ad una crisi economica, ma anche se fossimo in un boom la green revolution non potrebbe decollare senza interventi statali."
Infine, vi segnalo che esiste una procedura on line mediante cui potete partecipare alla discussione (!) sulle riforme costituzionali in gestazione.
Per leggervi il materiale preparatorio e rispondere "cognita causa" al questionario (una sorta di anticipato sondaggio-referendum), ci mettereste qualche mese; ma non importa...
Alla fine le opzioni, come sempre nei casi di partecipazione-proiezione di democrazia diretta, sono ben PRE-determinate, e sarete (sareste) chiamati a rispondere su sostanziali "quesiti" che ben poco hanno a che fare con l'intera "cultura" costituzionale che in premessa viene richiamata.
Anche se non manca, anche, una "netta" predeterminazione dottrinale orientata sulla "versione" di Astrid, o del "Gruppo di Pisa", et similia. Tecnicamente, anche volendo partecipare con "impegno", non avete scampo: finireste per avallare inevitabilmente quanto sostenuto in partenza dalla maggioranza di governo e dal mainstream del pensiero dei "costituzionalisti associati".
E hai voglia a spiegare ai "grillini" come questo metodo, imperniato sulla rigida predeterminazione (anteriore alla sottoposizione alla platea degli interessati) dei temi e delle opzioni, ancorchè sostenuto da una sovralimentazione di notizie, dati, analisi, che sfuggono alla conoscibilità realistica del cittadino comune, sarà pure "diretto", ma non è che una apparenza democratica.
Oggi, vale contro le loro istanze e teorie (del m5s): domani potrebbe essere il loro turno nel prospettare opzioni pre-suggestionanti e nel preorientare la possibile formazione del convincimento degli interessati.
Ed è proprio la democrazia costituzionale che ci rimette, in questa istruttoria in cui si parla di tutto, ma nessuna riflessione conseguenziale è realisticamente e tecnicamente possibile PRIMA CHE L'ESSENZIALE SIA GIA' DECISO; e ciò, in modi del tutto sfuggenti e privi di effettivo dibattito, nelle sedi democratiche più ampie, che dovrebbero cominciare in ambito scolastico e accademico e diffondersi su una STAMPA LIBERA e non interessata a far prevalere gli slogan con cui è imbeccata
In sintesi: con la soluzione dei problemi effettivi dei cittadini italiani, nessuna delle riforme proposte, sia nell'attuale legge sulla revisione costituzionale, sia nella visione del m5s variamente pubblicizzata, ha molto a che fare.
giovedì 22 agosto 2013
IL FALSO MITO "PUBBLICO VS. PRIVATO" E LA SPESA PUBBLICA "DI NASCOSTO"
Vi sottopongo (tradotto da Sofia) un articolo di Mariana Mazzuccato, tratto dal Financial Times del 22 agosto 2013. La Mazzuccato è professore di "politiche della ricerca in scienza e tecnologia" presso l'università del Sussex, ed autrice del libro "Lo Stato imprenditore. Sfatare il mito "Pubblico contro Privato", (che non ci risulta tradotto e pubblicato in Italia).
Vi lascio alla lettura di questo articolo, che ci dà alcune notizie e dati apparentemente sorprendenti (almeno per i "mainstream von Hayek" di ortodossia italiota), e vi rinvio al commento post-lettura.
Il dibattito intorno all'austerità - ed al rapporto tra deficit pubblici, debiti nazionali e crescita - ha perso un punto cruciale. A meno che i paesi siano sull'orlo di un attacco sul mercato obbligazionario, l'importo del debito o la dimensione del deficit interessano meno del capire quali siano le attività che venogno finanziate (effettivamente) dai contribuenti. Se la spesa supporta aree che aumentano i tassi di crescita attraverso l'aumento della produttività e l'innovazione - come l'istruzione, le competenze, la ricerca e le nuove tecnologie - allora il rapporto di lungo periodo tra debito e prodotto economico potrebbe essere inferiore (e lo stato in forma migliore) rispetto ad una spesa meno produttiva.
Le nazioni che hanno ottenuto la crescita di una innovazione "guidata" dall'intervento pubblico non hanno solo creato le condizioni per l'innovazione - finanziamento di istruzione, formazione e infrastrutture - o rimediato ai fallimenti del mercato, finanziando la ricerca di base. Essi hanno inoltre attivamente fornito supporto diretto agli innovatori.
Questo è vero anche nell'America del "capitalismo sfrenato".
La rivoluzione IT non si è veertificata con il governo federale ai margini di tale processo.
Gli USA hanno sostenuto il microchip, così come Internet e, più recentemente, le nanotecnologie e le biotecnologie. Ognuno di tali campi di ricerca è stato finanziato attraverso le agenzie pubbliche come il Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), il National Science Foundation and il National Institutes of Health.
Questa spesa (pubblica) ha funzionato perché era "mission oriented": lo Stato ha raccolto l'idea e l'ha sostenuta, (tanto da) da mandare un uomo sulla luna per affrontare il cambiamento climatico. E quando il governo può intraprendere missioni con budget sufficientemente grande, è più facile assumere menti brillanti e pensare in grande - come ha fatto DARPA con Internet.
E 'altrettanto piacevole lavorare presso Arpa-E, una agenzia di ricerca gestita dal Dipartimento dell'Energia (DoE) degli Stati Uniti, quanto in Google. Non è una sorpresa che il DoE sia stato recentemente gestito da un fisico premio Nobel.
Data l'incertezza insita nell'innovazione, attrarre competenze non significa ottenere sempre il successo. Per ogni successo, ci sono molti fallimenti; ma sono i successi che portano a tecnologie generali, di base, che possono guidare decenni di crescita, quelli che vale la pena aspettare.
Attrarre competenza e accettare il fallimento a breve termine sono sfide.
La Cina deve mirare a fare buon uso dei 1.700 miliardi di dollari che sta spendendo su cinque aree emergenti, dai nuovi motori, a IT e tecnologie ecocompatibili.
Nella considerazione di molti, vi sono molti dubbi sulla capacità dei governi di "cogliere" la giusta direzione. Sarebbe, per costoro, più saggio lasciare tali decisioni al mercato, dicono, come se quest'ultimo, per suo stesso DNA possedesse l'orizzonte di lungo periodo, il capitale e l'esperienza richiesti.
"Burocrati inutili", sentiamo dire, "basta mettersi in cammino".
Questo scetticismo ha un fascino politico: i contribuenti sono costantemente alimentati con il messaggio di un goffo Leviatano.
E ciò rende più difficile per i governi trovare il coraggio di pensare in grande. Li incoraggia a nascondere quello che fanno, anche quando si sta seguendo una grande visione.
Immaginate come sarebbe diverso il dibattito sanitario degli Stati Uniti se i contribuenti sapessero che il governo regola non solo la sanità, ma anche i fondi della ricerca dietro nuovi farmaci più radicali: il NIH (agenzia pubblica statale) ha speso 32 miliardi di dollari nel solo 2011 sulle conoscenze di base biotech-farmaceutiche.
Quando il Fondo monetario internazionale fa le raccomandazioni sulla spesa pubblica, dovrebbe prendere in considerazione i modelli di crescita economica.
Dopo tutto, il problema, in molti paesi indebitati, non è che lo Stato ha speso troppo, ma che ha fatto una spesa troppo poco produttiva: l'Italia gestiva un deficit modesto prima della crisi, ma i suoi due decenni di crescita zero della produttività (e prodotto interno lordo) hanno portato il suo rapporto debito-output a salire a livelli insostenibili.
Come faranno il 40 per cento tagli nel bilancio di ricerca della Spagna dal 2009 ad aiutare il paese a diventare una "nazione di innovazione", in grado di competere con la Germania, dove la spesa per la ricerca (pubblica) è aumentata del 15 per cento?
Ci sono molti sprechi in questi paesi, ma se le "riforme strutturali" non sono accompagnate da aumenti degli investimenti produttivi in aree strategiche, non ne conseguirà la crescita.
Su questi problemi non si può essere ingenui: non basta chiedere allo Stato di fare di più. In paesi come gli Stati Uniti, che hanno beneficiato di una di strategia industriale "attiva" (anche se "nascosta"), vi è una relazione disfunzionale tra il settore pubblico e privato, nella quale il rischio viene socializzato e le ricompense privatizzate.
Mentre la maggior parte delle tecnologie radicalmente innovative che rendono l'i-Phone così "smart" sono stati finanziate dal governo, Apple paga relativamente poco in tasse alle casse pubbliche . Dove sono oggi Xerox Parcs e Bell Labs, co-investitori accanto allo Stato nelle grandi opportunità del futuro?
Un modello economico coerente di crescita deve distinguere tra rapporti simbiotici e rapporti parassitari tra Stato e settore privato. Questo prevede che lo stato risparmi il settore privato dal rischio, ma ciò significa rischiare e poi godere dei frutti insieme.
Allora. Noterete - è la cosa che forse più colpisce in questo articolo- come la deriva "von Hayek" (più o meno cosciente...che siano tea-party o persone di età tale da essere consapevoli delle "radici" di un certo atteggiamento "Statoinefficientespesapubblicadebitocastacorruzione", non importa: gli effetti sempre a "quel" liberismo programmatico sono dovuti), sia giunto ad un punto paradossale: lo Stato federale USA deve addirittura "nascondere" (per motivi politico-elettorali!) il proprio intervento nel pubblico interesse generale dell'economia.
Anche se questo intervento, nella realtà, ha dimensioni e direzioni tali da smentire recisamente l'idea che "il governo dei mercati" (v.H.) sia la naturale (e primordiale) sede di efficiente autodeterminazione della società. E che quindi i meriti della tecnologia - compresa quella della mitica Apple- siano dovuti alla intrinseca maggior capacità scientificò-applicativa delle grandi imprese. Luogo comune smentito dai fatti, accertati da chi, per mestiere, si occupa "scientificamente" di queste cose!
Il fatto è che v.H., così come i suoi epigoni post-moderni (e come tali "eccentrici" rispetto alla logica ed alla verità) hanno in mente un mondo industriale primonovecentesco: anteriore alla psicanalisi...e al "fordismo". Anzi, proprio per questo, addirittura "ottocentesco", conformemente alla sua idea dell'impero austro-ungarico come nostalgico modello sociale "ideale".
In questo mondo, le fabbriche sono tutte "cacciavite" o giù di lì: l'innovazione tecnologica è lasciata alla grande impresa in funzione esclusiva della concorrenza, e quest'ultima alla internazionalizzazione, e quindi alla tolleranza dei monopoli, visti come "naturalmente" transitori: e, come tali, nella realtà dei fatti, portati ad una scarsa innovazione, se non nei limiti di epocali innovazioni che si creano, come nel primo novecento, per quasi causali colpi di ingeno di personalità "stravaganti" e estrose (come nelle storie a fumetti di Qui, Quo e Qua).
La cosa inquietante è che questa ideologia di fondo - perchè tale è la scelta sclerotizzata di un modello sociale da imporre normativamente-, si annida prepotente nelle menti della governance europea, convinta solo a parole dei benefici della innovazione tecnologica, ma occhiutamente rivolta a limitare ogni tipo di spesa statale, anche in questo essenziale campo, sia con l'indiscriminato sindacato sui livelli del deficit, ignorando le pallide clausole dei trattati che consentirebbero di ecettuare investimenti pubblici di questo genere dal calcolo del deficit: art. 126 parr. 2 e 3 del TFUE. E di "eccettuare" tali investimenti senza alcuna speciale autorizzazione, o concessione sussiegosa, ma proprio in applicazione di un criterio elastico ricavabile, con un pò di "sale in zucca" dai trattati (persino!).
Ma non si può chiedere questo "sale" ai vari Olli, Wolfgang e compagnia bella. E nemmeno ai nostri "zeloti" quando vanno in libera uscita a Bruxelles o ai "Consigli UE", dove si inginocchiano in professioni di fede sul "risanamento irrinunziabile" e in "mea culpa" sulla nostra responsabilità nella creazione del debito per eccesso di spesa pubblica.
E mi conforta che alcuni di voi stiano riscontrando come l'assurdità di questo atteggiamento sia vagamente cosciente pure nelle fila dei puddini.
Almeno nelle dichiarazioni sommessamente rilasciate a margine del dibattito politico...che si occupa, come ben sappiamo, di tutt'altro. Salvo però (quegli stessi) programmare una riforma del Titolo I della Costituzione, quello della Cost. "economica", che costituirebbe, ora e subito, il substrato di norme fondamentali e immodificabili che consentirebbero non solo di opporsi alle assurdità "contabili" €uro-deliranti e procicliche, ma anche di rilanciare subito il generale settore della ricerca pubblica e del credito agevolato agli investimenti generali in IR%S.
Perchè, come dice anche la prof. Mazzuccato, è questione di "MODELLI DI SVILUPPO" e di opportune politiche "industriali", che in Europa, a differenza che nel resto del mondo civilizzato - e non dominato da von Hayek- non si possono più fare. E che certo, come è altrettanto sottolineato nell'articolo, il FMI o l'OCSE non prescriveranno mai di fare. "Essi" sono "internazionalisti" e lo Stato va smantellato a prescindere, come diceva Totò: dovesse dimostrare di essere l'ultimo baluardo dei diritti fondamentali e del benessere delle comunità dei cittadini...
Ma per avere un rigurgito di dignità in sede europea e, contemporaneamente, di legalità costituzionale, dovremo attendere altri tempi. Altre classi politiche.
Voi pochi eletti che seguite anche in questa afa di fine agosto, diffondete senza sosta. Almeno, con tracce provenienti da extra-UEM, con parole di italiani in gamba costretti o "indotti" a scegliersi lidi più favorevoli allo sviluppo neuronale, qualche solida ragione da far valere ce l'avrete
Vi lascio alla lettura di questo articolo, che ci dà alcune notizie e dati apparentemente sorprendenti (almeno per i "mainstream von Hayek" di ortodossia italiota), e vi rinvio al commento post-lettura.
Il dibattito intorno all'austerità - ed al rapporto tra deficit pubblici, debiti nazionali e crescita - ha perso un punto cruciale. A meno che i paesi siano sull'orlo di un attacco sul mercato obbligazionario, l'importo del debito o la dimensione del deficit interessano meno del capire quali siano le attività che venogno finanziate (effettivamente) dai contribuenti. Se la spesa supporta aree che aumentano i tassi di crescita attraverso l'aumento della produttività e l'innovazione - come l'istruzione, le competenze, la ricerca e le nuove tecnologie - allora il rapporto di lungo periodo tra debito e prodotto economico potrebbe essere inferiore (e lo stato in forma migliore) rispetto ad una spesa meno produttiva.
Le nazioni che hanno ottenuto la crescita di una innovazione "guidata" dall'intervento pubblico non hanno solo creato le condizioni per l'innovazione - finanziamento di istruzione, formazione e infrastrutture - o rimediato ai fallimenti del mercato, finanziando la ricerca di base. Essi hanno inoltre attivamente fornito supporto diretto agli innovatori.
Questo è vero anche nell'America del "capitalismo sfrenato".
La rivoluzione IT non si è veertificata con il governo federale ai margini di tale processo.
Gli USA hanno sostenuto il microchip, così come Internet e, più recentemente, le nanotecnologie e le biotecnologie. Ognuno di tali campi di ricerca è stato finanziato attraverso le agenzie pubbliche come il Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), il National Science Foundation and il National Institutes of Health.
Questa spesa (pubblica) ha funzionato perché era "mission oriented": lo Stato ha raccolto l'idea e l'ha sostenuta, (tanto da) da mandare un uomo sulla luna per affrontare il cambiamento climatico. E quando il governo può intraprendere missioni con budget sufficientemente grande, è più facile assumere menti brillanti e pensare in grande - come ha fatto DARPA con Internet.
E 'altrettanto piacevole lavorare presso Arpa-E, una agenzia di ricerca gestita dal Dipartimento dell'Energia (DoE) degli Stati Uniti, quanto in Google. Non è una sorpresa che il DoE sia stato recentemente gestito da un fisico premio Nobel.
Data l'incertezza insita nell'innovazione, attrarre competenze non significa ottenere sempre il successo. Per ogni successo, ci sono molti fallimenti; ma sono i successi che portano a tecnologie generali, di base, che possono guidare decenni di crescita, quelli che vale la pena aspettare.
Attrarre competenza e accettare il fallimento a breve termine sono sfide.
La Cina deve mirare a fare buon uso dei 1.700 miliardi di dollari che sta spendendo su cinque aree emergenti, dai nuovi motori, a IT e tecnologie ecocompatibili.
Nella considerazione di molti, vi sono molti dubbi sulla capacità dei governi di "cogliere" la giusta direzione. Sarebbe, per costoro, più saggio lasciare tali decisioni al mercato, dicono, come se quest'ultimo, per suo stesso DNA possedesse l'orizzonte di lungo periodo, il capitale e l'esperienza richiesti.
"Burocrati inutili", sentiamo dire, "basta mettersi in cammino".
Questo scetticismo ha un fascino politico: i contribuenti sono costantemente alimentati con il messaggio di un goffo Leviatano.
E ciò rende più difficile per i governi trovare il coraggio di pensare in grande. Li incoraggia a nascondere quello che fanno, anche quando si sta seguendo una grande visione.
Immaginate come sarebbe diverso il dibattito sanitario degli Stati Uniti se i contribuenti sapessero che il governo regola non solo la sanità, ma anche i fondi della ricerca dietro nuovi farmaci più radicali: il NIH (agenzia pubblica statale) ha speso 32 miliardi di dollari nel solo 2011 sulle conoscenze di base biotech-farmaceutiche.
Quando il Fondo monetario internazionale fa le raccomandazioni sulla spesa pubblica, dovrebbe prendere in considerazione i modelli di crescita economica.
Dopo tutto, il problema, in molti paesi indebitati, non è che lo Stato ha speso troppo, ma che ha fatto una spesa troppo poco produttiva: l'Italia gestiva un deficit modesto prima della crisi, ma i suoi due decenni di crescita zero della produttività (e prodotto interno lordo) hanno portato il suo rapporto debito-output a salire a livelli insostenibili.
Come faranno il 40 per cento tagli nel bilancio di ricerca della Spagna dal 2009 ad aiutare il paese a diventare una "nazione di innovazione", in grado di competere con la Germania, dove la spesa per la ricerca (pubblica) è aumentata del 15 per cento?
Ci sono molti sprechi in questi paesi, ma se le "riforme strutturali" non sono accompagnate da aumenti degli investimenti produttivi in aree strategiche, non ne conseguirà la crescita.
Su questi problemi non si può essere ingenui: non basta chiedere allo Stato di fare di più. In paesi come gli Stati Uniti, che hanno beneficiato di una di strategia industriale "attiva" (anche se "nascosta"), vi è una relazione disfunzionale tra il settore pubblico e privato, nella quale il rischio viene socializzato e le ricompense privatizzate.
Mentre la maggior parte delle tecnologie radicalmente innovative che rendono l'i-Phone così "smart" sono stati finanziate dal governo, Apple paga relativamente poco in tasse alle casse pubbliche . Dove sono oggi Xerox Parcs e Bell Labs, co-investitori accanto allo Stato nelle grandi opportunità del futuro?
Un modello economico coerente di crescita deve distinguere tra rapporti simbiotici e rapporti parassitari tra Stato e settore privato. Questo prevede che lo stato risparmi il settore privato dal rischio, ma ciò significa rischiare e poi godere dei frutti insieme.
Allora. Noterete - è la cosa che forse più colpisce in questo articolo- come la deriva "von Hayek" (più o meno cosciente...che siano tea-party o persone di età tale da essere consapevoli delle "radici" di un certo atteggiamento "Statoinefficientespesapubblicadebitocastacorruzione", non importa: gli effetti sempre a "quel" liberismo programmatico sono dovuti), sia giunto ad un punto paradossale: lo Stato federale USA deve addirittura "nascondere" (per motivi politico-elettorali!) il proprio intervento nel pubblico interesse generale dell'economia.
Anche se questo intervento, nella realtà, ha dimensioni e direzioni tali da smentire recisamente l'idea che "il governo dei mercati" (v.H.) sia la naturale (e primordiale) sede di efficiente autodeterminazione della società. E che quindi i meriti della tecnologia - compresa quella della mitica Apple- siano dovuti alla intrinseca maggior capacità scientificò-applicativa delle grandi imprese. Luogo comune smentito dai fatti, accertati da chi, per mestiere, si occupa "scientificamente" di queste cose!
Il fatto è che v.H., così come i suoi epigoni post-moderni (e come tali "eccentrici" rispetto alla logica ed alla verità) hanno in mente un mondo industriale primonovecentesco: anteriore alla psicanalisi...e al "fordismo". Anzi, proprio per questo, addirittura "ottocentesco", conformemente alla sua idea dell'impero austro-ungarico come nostalgico modello sociale "ideale".
In questo mondo, le fabbriche sono tutte "cacciavite" o giù di lì: l'innovazione tecnologica è lasciata alla grande impresa in funzione esclusiva della concorrenza, e quest'ultima alla internazionalizzazione, e quindi alla tolleranza dei monopoli, visti come "naturalmente" transitori: e, come tali, nella realtà dei fatti, portati ad una scarsa innovazione, se non nei limiti di epocali innovazioni che si creano, come nel primo novecento, per quasi causali colpi di ingeno di personalità "stravaganti" e estrose (come nelle storie a fumetti di Qui, Quo e Qua).
La cosa inquietante è che questa ideologia di fondo - perchè tale è la scelta sclerotizzata di un modello sociale da imporre normativamente-, si annida prepotente nelle menti della governance europea, convinta solo a parole dei benefici della innovazione tecnologica, ma occhiutamente rivolta a limitare ogni tipo di spesa statale, anche in questo essenziale campo, sia con l'indiscriminato sindacato sui livelli del deficit, ignorando le pallide clausole dei trattati che consentirebbero di ecettuare investimenti pubblici di questo genere dal calcolo del deficit: art. 126 parr. 2 e 3 del TFUE. E di "eccettuare" tali investimenti senza alcuna speciale autorizzazione, o concessione sussiegosa, ma proprio in applicazione di un criterio elastico ricavabile, con un pò di "sale in zucca" dai trattati (persino!).
Ma non si può chiedere questo "sale" ai vari Olli, Wolfgang e compagnia bella. E nemmeno ai nostri "zeloti" quando vanno in libera uscita a Bruxelles o ai "Consigli UE", dove si inginocchiano in professioni di fede sul "risanamento irrinunziabile" e in "mea culpa" sulla nostra responsabilità nella creazione del debito per eccesso di spesa pubblica.
E mi conforta che alcuni di voi stiano riscontrando come l'assurdità di questo atteggiamento sia vagamente cosciente pure nelle fila dei puddini.
Almeno nelle dichiarazioni sommessamente rilasciate a margine del dibattito politico...che si occupa, come ben sappiamo, di tutt'altro. Salvo però (quegli stessi) programmare una riforma del Titolo I della Costituzione, quello della Cost. "economica", che costituirebbe, ora e subito, il substrato di norme fondamentali e immodificabili che consentirebbero non solo di opporsi alle assurdità "contabili" €uro-deliranti e procicliche, ma anche di rilanciare subito il generale settore della ricerca pubblica e del credito agevolato agli investimenti generali in IR%S.
Perchè, come dice anche la prof. Mazzuccato, è questione di "MODELLI DI SVILUPPO" e di opportune politiche "industriali", che in Europa, a differenza che nel resto del mondo civilizzato - e non dominato da von Hayek- non si possono più fare. E che certo, come è altrettanto sottolineato nell'articolo, il FMI o l'OCSE non prescriveranno mai di fare. "Essi" sono "internazionalisti" e lo Stato va smantellato a prescindere, come diceva Totò: dovesse dimostrare di essere l'ultimo baluardo dei diritti fondamentali e del benessere delle comunità dei cittadini...
Ma per avere un rigurgito di dignità in sede europea e, contemporaneamente, di legalità costituzionale, dovremo attendere altri tempi. Altre classi politiche.
Voi pochi eletti che seguite anche in questa afa di fine agosto, diffondete senza sosta. Almeno, con tracce provenienti da extra-UEM, con parole di italiani in gamba costretti o "indotti" a scegliersi lidi più favorevoli allo sviluppo neuronale, qualche solida ragione da far valere ce l'avrete
mercoledì 21 agosto 2013
USQUE TANDEM?- 2 EURO-SPACCHETTAMENTO E IL PERICOLO IRLANDA
ADDENDUM "CIRCOSTANZIALE": il fatto che nella ipotesi dello "spacchettamento" ci sia, per l'Italia, "anche" Claudio Borghi, non può essere che un attestato di serietà della considerazione dell'interesse italiano. Poche persone, quanto lui, hanno saputo costantemente inquadrare con nitidezza, e andando veramente al punto, le varie problematiche di questa gigantesca €uro-truffa ai nostri danni. Per molti aspetti di comprensione "negoziale" e di essenzialità di analisi e soluzioni, Borghi è una garanzia. Ad avercene, in Italia...
Nel post di ieri abbiamo passato in rassegna il versante italico della faccenda. Almeno nel senso delle dinamiche che, probabilisticamente, in assenza di fattori nuovi, ci attendono.
Ora vi propongo una visione di "osservatori internazionali", apparentemente neutrali: qui si fa una premessina di prammatica mainstream sugli indicatori della "ripresa", dell'attendibilità dei quali abbiamo già detto (nei commenti è poi emerso un dibattito sul..."fascismo"). Qualificata così la sua base scientifico-ideologica, lo studio (?), prosegue: "L’Eurozona, inoltre, mostra segnali di un riequilibrio. Negli anni del boom i costi unitari del lavoro sono aumentati troppo rapidamente nell’Europa periferica e in misura insufficiente in Germania. Ciò si è tradotto in un ampio divario di competitività nell’Eurozona, che comincia a ridursi (anche se paesi come l’Italia e la Francia hanno ancora molta strada da fare; si veda il post sul nostro blog). Per quanto concerne il saldo delle partite correnti, l’Italia e l’Irlanda fanno registrare un avanzo, la Grecia ha ridotto il suo ampio disavanzo e la Spagna e il Portogallo evidenziano deficit modesti.
Si tratta di piccoli passi ma necessari, per assicurare la sopravvivenza dell’euro".
Per fortuna ci risparmia, poi, l'idea che la Germania sia la locomotiva d'Europa e piuttosto, sottolineandone il boom - e dimenticando alcuni "piccoli dettagli" sulle sue cause- ci dice che essa, piuttosto, è la "Cina" d'Europa (il che fa persino torto alla Cina se si volesse guardare specialmente alla situazione attuale). E ammette: "Le eccedenze di capitale generate dall’accresciuta competitività internazionale della Germania si sono riversate in Europa meridionale e in Irlanda. Le banche e gli investitori tedeschi sono parte della comunità internazionale che ha fatto credito ai governi e alle imprese nei paesi periferici, con l’obiettivo di realizzare maggiori rendimenti di quelli offerti dai Bund. Naturalmente, in assenza di questi apporti di capitale, i paesi dell’Europa meridionale e l’Irlanda non avrebbero potuto accumulare tanto debito (nel 2008 circa l’80% dei titoli di Stato greci, irlandesi e portoghesi era detenuto da investitori esteri). In aggiunta, l’aumento dei costi unitari del lavoro in questi paesi sarebbe stato probabilmente più contenuto (specialmente nel settore pubblico) e il divario di competitività tra la Germania e le nazioni periferiche sarebbe stato meno pronunciato.
La Germania ha beneficiato della moneta unica più di ogni altro Stato membro. Un eventuale default avrebbe effetti devastanti sul sistema bancario e sulle esportazioni nazionali. Il Paese si trova in una situazione delicata, quindi è difficile capire perché potrebbe abbandonare l’euro". Già perchè mai?
Infine conclude che i PIGS non "potrebbero" uscire, nonostante il massacro cui si sono (auto)sottoposti: "L’argomentazione più convincente proposta finora è che i costi dell’uscita dall’UEM sarebbero nettamente superiori ai benefici. Deflussi di capitali, impennata dell’inflazione, fallimento su scala nazionale, disoccupazione di massa e disordini sociali non rendono questa opzione particolarmente allettante. Provate poi a immaginare cosa accadrebbe se Italia e Spagna decidessero di uscire dall’euro. Restare nell’Eurozona è la scelta meno deleteria per i paesi debitori". Infine, lodata la BCE perchè sarebbe pronta a salvare l'euro "a qualunque costo", invita a "non sottovalutare il desiderio politico di preservare l'integrità dell'area euro", anche se, si ammette, tale area "resta per noi una fonte di preoccupazione". E poi conclude con una frasetta raggelante: "Tuttavia, dato il track record di UE e BCE e per le ragioni sopra elencate, forse l’euro potrebbe sopravvivere molto più a lungo di quanto alcuni analisti economici attualmente non si aspettino".
Insomma, tra terrorismo e "volontà politica" ci facciamo andare bene il massacro, il che comprova che per molti, la propaganda €uro-PUD€, ben diffusa nel continente, funziona e pure molto efficacemente. Il dato è che alla M&G, banca di investimenti UK, pur con "preoccupazione", la prosecuzione dell'euro pare star bene.
Un pò più seria, come analisi presupposta - dato che certo alla Germania l'uscita non conviene, ma altrettanto certamente non gli aggrada sostenere il benchè minimo costo di una correzione che vuole e sempre vorrà solo a carico dei paesi debitori- e come proposta, è quella che ormai dovrebbe essere ben nota: la "segmentazione controllata". Da cui si desumerebbe che l'euro rimarrebbe per i...PIGS e uscirebbero, o condividerebbero un euro "pesante", Germania, Olanda, Finlandia e Austria. Almeno a interpretare Henkel.
La questione critica di questa prospettiva, riguarda com'è intuibile e come abbiamo già evidenziato, il trattamento dei crediti pregressi, emergenti in Target 2. Questa è la questione, a nostro modesto parere (forse sbagliato? Vedremo):
"La partita è tutta qua: finito il "loro" dividendo per collasso della domanda UEM- provocato dalla loro imposizione di austerity e, in definitiva, dalla loro gretta avidità nell'assumersi un rischio che consegue a strategie di mercantilismo imperialista in violazione dei trattati- l'oligarchia tedesca vorrebbe conservare il malloppo e portarselo a casa intatto.
Probabilmente, tenteranno di convincere i deboli governi PIGS che i corsi dell'euro siano "ultrattivi": cioè che per i debiti contratti prima dell'eurobreak, si continuino ad applicare i valori, ad es; euro-dollaro, vigenti al momento in cui il debito è stato contratto, o, per semplificare, ad un dato momento anteriore all'euro-break.
Potrebbero essere i recenti minimi dell'estate scorsa, quando appunto il mondo scontava la oggettiva insostenibilità dell'euro (che permane), con i picchi degli spread. Spread che appunto riflettono l'approssimarsi dei valori monetari conformi ai tassi di cambio reale dei diversi paesi UEM.
O potrebbero essere gli alti corsi di quest'anno, non solo susseguenti all'OMT di Draghi (che, va rammentato a commentatori disattenti, in sè, non ha portato finora ad un solo acquisto), ma, ancor più, all'indebolimento di altre importanti valute attribuito alle politiche monetarie fortemente espansive.
E' chiaro che i tedeschi punteranno alla seconda soluzione.
Cioè, in pratica, a portare avanti una trattativa in cui, di fronte alla fine dei saldi commerciali, dai paesi UEM, che si sta prospettando, non offra alcun compromesso effettivo.
Ma anche la prima soluzione "compromissoria" pone un interrogativo: perchè si dovrebbe accettare di attenuare il rischio che essi si sono intenzionalmente assunti, stressando la moneta unica per avvantaggiarsi a spese degli altri paesi e eludendo-violando una pluralità di vincoli dei trattati, rispondenti alla "causa" cooperativa degli stessi?
Perchè farlo quando i paesi in sofferenza crescente - inclusa ormai la Francia- possono lo stesso determinare l'euro break semplicemente coalizzandosi e imponendo un assetto "naturale" dell'euro break con la normale applicazione delle rispettive "lex monetae"?"
Ora il punto è che gli ultimi dati (Istat), risalenti al 9 agosto, danno di nuovo in attivo il conto corrente estero italiano, partita merci. E non è una novità, anche lo scorso anno il dato era positivo, anche se in misura inferiore: si può segnalare l'incoraggiante dato della crescita del surplus, per beni strumentali e durevoli, proprio verso i paesi UE. Il che significa che (nonostante i Van Rompuy e i...Giannino), l'Italia sta aggiustando, repentinamente i tassi di cambio reale, cioè perseguendo una svalutazione interna.
Su base annua, ultimo dato Bankitalia di agosto, relativo a giugno, saremmo ormai in leggerissimo attivo, con quasi due punti di PIL "commerciali", ma con una partita redditi e una partita "trasferimenti" che si "mangiano" circa l'85% degli attivi.
Un quadro che conferma che la recessione-deflazione giova a un settore (manifatturiero, di PMI, ma anche di imprese ormai sotto il controllo estero) ma è pur sempre recessione e, quindi, è una cuccagna di paglia, dato che la caduta degli investimenti, e, a monte, dei risparmi, rende precaria la prosecuzione nel tempo dello stesso attivo, e comunque, rende complessivamente il sistema industriale depatrimonializzato e suscettibile di acquisizione dal "miglior offerente" estero.
E quindi, vista la situazione "redditi" e "trasferimenti" una ulteriore prosecuzione della correzione dei tassi di cambio reale rischia di condurci alla situazione Irlanda. La cuccagna sarebbe per gli investitori esteri, l'occupazione in definitiva solo nei settori da questi controllati, e la compressione "coloniale" di salari e domanda interna diverrebbe un elemento strutturale.
Tornando all'ipotesi "euro-spacchettamento", i vantaggi sono dunque legati alla sopravvivenza dell'italianità.
Ovviamente, con le politiche attuali, il problema si pone, più che mai, anche in caso di permanenza nell'€uro-assetto attuale. E forse più drammaticamente. Ma è anche vero che se dovessimo ripagare la posizione debitoria estera intra-UEM determinata dagli squilibri commerciali degli anni scorsi, a "cambi" fissati su rapporti euro-dollaro convenienti per la Germania, il problema sarebbe non da poco: sarebbe insomma il "tacchino che si mette in forno da solo".
Tuttavia la partita, con la proposta "spacchettamento", sarebbe almeno aperta: diversamente non avremmo, probabilmente mai, nè una classe politica nè un supporto di politica industriale, finanziabile dal sistema attuale, per affrontare una uscita in solitaria.
E, a onor del vero, altri dati ci suggeriscono che una valuta (euro-2 o, in prospettiva, italiana "vera") a corso più basso, ci consentirebbe di avere un saldo commerciale ancor più vantaggioso con gli USA e, in generale, con i paesi extra-UE (vedi Turchia, ma non solo). Ecco: questo è un dato non trascurabile che coinvolge arredamento, moda, farmaceutica e agroalimentare, e non la sola "mitica" meccanica, specialmente considerando la (scarsa) performance del dollaro rispetto al super-euro. Un aspetto, questo della competitività "relativa" dei vari settori, di cui discutiamo spesso con il mio amico Cesare Pozzi.
Il problema è che, nella "filiera produttiva", non siamo più padroni dell'intero processo, e il prodotto finale, di cui produciamo ormai per lo più componenti, sfugge, in tale assetto, alla nostra determinazione di prezzo. E perciò dobbiamo accettare il prezzo di chi ci "domanda" e finchè ci domanda.
Il che, a sua volta, dipende dalla strategia di chi controlla le imprese che compongono la filiera, che, sempre più potrebbe divenire un controllo straniero.
Per impedire che questo aspetto faccia proseguire una situazione difficile, se non critica, anche in caso di svalutazione monetaria (comunque realizzata), occorre dunque pensare AD ALTRI STRUMENTI NON ESCLUSIVAMENTE VALUTARI.
In particolare, a un sistema creditizio nazionalizzato e commerciale "puro", e ad un sistema industriale di grande respiro che possa riprendere a fare investimenti su tecnologie competitive comunque detenute all'interno delle imprese, anche in partnership estera, ma in una posizione di forza almeno paritaria. E per far questo, poichè solo lo Stato ha la "endurance" e le risorse idonee a supportare investimenti di grande dimensione, nella situazione attuale più che mai, occorrerebbe non smantellare ma ampliare il sistema delle imprese pubbliche. Certamente nei settori giusti, e certamente dandogli il supporto del credito sinergico di un sistema bancario pubblico che pensi solo a fare credito industriale e non a giocare alla roulette russa della finanza derivata...Insomma, tutto l'opposto di von Hayek e dell'impostazione dei trattati (come sempre)
Nel post di ieri abbiamo passato in rassegna il versante italico della faccenda. Almeno nel senso delle dinamiche che, probabilisticamente, in assenza di fattori nuovi, ci attendono.
Ora vi propongo una visione di "osservatori internazionali", apparentemente neutrali: qui si fa una premessina di prammatica mainstream sugli indicatori della "ripresa", dell'attendibilità dei quali abbiamo già detto (nei commenti è poi emerso un dibattito sul..."fascismo"). Qualificata così la sua base scientifico-ideologica, lo studio (?), prosegue: "L’Eurozona, inoltre, mostra segnali di un riequilibrio. Negli anni del boom i costi unitari del lavoro sono aumentati troppo rapidamente nell’Europa periferica e in misura insufficiente in Germania. Ciò si è tradotto in un ampio divario di competitività nell’Eurozona, che comincia a ridursi (anche se paesi come l’Italia e la Francia hanno ancora molta strada da fare; si veda il post sul nostro blog). Per quanto concerne il saldo delle partite correnti, l’Italia e l’Irlanda fanno registrare un avanzo, la Grecia ha ridotto il suo ampio disavanzo e la Spagna e il Portogallo evidenziano deficit modesti.
Si tratta di piccoli passi ma necessari, per assicurare la sopravvivenza dell’euro".
Per fortuna ci risparmia, poi, l'idea che la Germania sia la locomotiva d'Europa e piuttosto, sottolineandone il boom - e dimenticando alcuni "piccoli dettagli" sulle sue cause- ci dice che essa, piuttosto, è la "Cina" d'Europa (il che fa persino torto alla Cina se si volesse guardare specialmente alla situazione attuale). E ammette: "Le eccedenze di capitale generate dall’accresciuta competitività internazionale della Germania si sono riversate in Europa meridionale e in Irlanda. Le banche e gli investitori tedeschi sono parte della comunità internazionale che ha fatto credito ai governi e alle imprese nei paesi periferici, con l’obiettivo di realizzare maggiori rendimenti di quelli offerti dai Bund. Naturalmente, in assenza di questi apporti di capitale, i paesi dell’Europa meridionale e l’Irlanda non avrebbero potuto accumulare tanto debito (nel 2008 circa l’80% dei titoli di Stato greci, irlandesi e portoghesi era detenuto da investitori esteri). In aggiunta, l’aumento dei costi unitari del lavoro in questi paesi sarebbe stato probabilmente più contenuto (specialmente nel settore pubblico) e il divario di competitività tra la Germania e le nazioni periferiche sarebbe stato meno pronunciato.
La Germania ha beneficiato della moneta unica più di ogni altro Stato membro. Un eventuale default avrebbe effetti devastanti sul sistema bancario e sulle esportazioni nazionali. Il Paese si trova in una situazione delicata, quindi è difficile capire perché potrebbe abbandonare l’euro". Già perchè mai?
Infine conclude che i PIGS non "potrebbero" uscire, nonostante il massacro cui si sono (auto)sottoposti: "L’argomentazione più convincente proposta finora è che i costi dell’uscita dall’UEM sarebbero nettamente superiori ai benefici. Deflussi di capitali, impennata dell’inflazione, fallimento su scala nazionale, disoccupazione di massa e disordini sociali non rendono questa opzione particolarmente allettante. Provate poi a immaginare cosa accadrebbe se Italia e Spagna decidessero di uscire dall’euro. Restare nell’Eurozona è la scelta meno deleteria per i paesi debitori". Infine, lodata la BCE perchè sarebbe pronta a salvare l'euro "a qualunque costo", invita a "non sottovalutare il desiderio politico di preservare l'integrità dell'area euro", anche se, si ammette, tale area "resta per noi una fonte di preoccupazione". E poi conclude con una frasetta raggelante: "Tuttavia, dato il track record di UE e BCE e per le ragioni sopra elencate, forse l’euro potrebbe sopravvivere molto più a lungo di quanto alcuni analisti economici attualmente non si aspettino".
Insomma, tra terrorismo e "volontà politica" ci facciamo andare bene il massacro, il che comprova che per molti, la propaganda €uro-PUD€, ben diffusa nel continente, funziona e pure molto efficacemente. Il dato è che alla M&G, banca di investimenti UK, pur con "preoccupazione", la prosecuzione dell'euro pare star bene.
Un pò più seria, come analisi presupposta - dato che certo alla Germania l'uscita non conviene, ma altrettanto certamente non gli aggrada sostenere il benchè minimo costo di una correzione che vuole e sempre vorrà solo a carico dei paesi debitori- e come proposta, è quella che ormai dovrebbe essere ben nota: la "segmentazione controllata". Da cui si desumerebbe che l'euro rimarrebbe per i...PIGS e uscirebbero, o condividerebbero un euro "pesante", Germania, Olanda, Finlandia e Austria. Almeno a interpretare Henkel.
La questione critica di questa prospettiva, riguarda com'è intuibile e come abbiamo già evidenziato, il trattamento dei crediti pregressi, emergenti in Target 2. Questa è la questione, a nostro modesto parere (forse sbagliato? Vedremo):
"La partita è tutta qua: finito il "loro" dividendo per collasso della domanda UEM- provocato dalla loro imposizione di austerity e, in definitiva, dalla loro gretta avidità nell'assumersi un rischio che consegue a strategie di mercantilismo imperialista in violazione dei trattati- l'oligarchia tedesca vorrebbe conservare il malloppo e portarselo a casa intatto.
Probabilmente, tenteranno di convincere i deboli governi PIGS che i corsi dell'euro siano "ultrattivi": cioè che per i debiti contratti prima dell'eurobreak, si continuino ad applicare i valori, ad es; euro-dollaro, vigenti al momento in cui il debito è stato contratto, o, per semplificare, ad un dato momento anteriore all'euro-break.
Potrebbero essere i recenti minimi dell'estate scorsa, quando appunto il mondo scontava la oggettiva insostenibilità dell'euro (che permane), con i picchi degli spread. Spread che appunto riflettono l'approssimarsi dei valori monetari conformi ai tassi di cambio reale dei diversi paesi UEM.
O potrebbero essere gli alti corsi di quest'anno, non solo susseguenti all'OMT di Draghi (che, va rammentato a commentatori disattenti, in sè, non ha portato finora ad un solo acquisto), ma, ancor più, all'indebolimento di altre importanti valute attribuito alle politiche monetarie fortemente espansive.
E' chiaro che i tedeschi punteranno alla seconda soluzione.
Cioè, in pratica, a portare avanti una trattativa in cui, di fronte alla fine dei saldi commerciali, dai paesi UEM, che si sta prospettando, non offra alcun compromesso effettivo.
Ma anche la prima soluzione "compromissoria" pone un interrogativo: perchè si dovrebbe accettare di attenuare il rischio che essi si sono intenzionalmente assunti, stressando la moneta unica per avvantaggiarsi a spese degli altri paesi e eludendo-violando una pluralità di vincoli dei trattati, rispondenti alla "causa" cooperativa degli stessi?
Perchè farlo quando i paesi in sofferenza crescente - inclusa ormai la Francia- possono lo stesso determinare l'euro break semplicemente coalizzandosi e imponendo un assetto "naturale" dell'euro break con la normale applicazione delle rispettive "lex monetae"?"
Ora il punto è che gli ultimi dati (Istat), risalenti al 9 agosto, danno di nuovo in attivo il conto corrente estero italiano, partita merci. E non è una novità, anche lo scorso anno il dato era positivo, anche se in misura inferiore: si può segnalare l'incoraggiante dato della crescita del surplus, per beni strumentali e durevoli, proprio verso i paesi UE. Il che significa che (nonostante i Van Rompuy e i...Giannino), l'Italia sta aggiustando, repentinamente i tassi di cambio reale, cioè perseguendo una svalutazione interna.
Su base annua, ultimo dato Bankitalia di agosto, relativo a giugno, saremmo ormai in leggerissimo attivo, con quasi due punti di PIL "commerciali", ma con una partita redditi e una partita "trasferimenti" che si "mangiano" circa l'85% degli attivi.
Un quadro che conferma che la recessione-deflazione giova a un settore (manifatturiero, di PMI, ma anche di imprese ormai sotto il controllo estero) ma è pur sempre recessione e, quindi, è una cuccagna di paglia, dato che la caduta degli investimenti, e, a monte, dei risparmi, rende precaria la prosecuzione nel tempo dello stesso attivo, e comunque, rende complessivamente il sistema industriale depatrimonializzato e suscettibile di acquisizione dal "miglior offerente" estero.
E quindi, vista la situazione "redditi" e "trasferimenti" una ulteriore prosecuzione della correzione dei tassi di cambio reale rischia di condurci alla situazione Irlanda. La cuccagna sarebbe per gli investitori esteri, l'occupazione in definitiva solo nei settori da questi controllati, e la compressione "coloniale" di salari e domanda interna diverrebbe un elemento strutturale.
Tornando all'ipotesi "euro-spacchettamento", i vantaggi sono dunque legati alla sopravvivenza dell'italianità.
Ovviamente, con le politiche attuali, il problema si pone, più che mai, anche in caso di permanenza nell'€uro-assetto attuale. E forse più drammaticamente. Ma è anche vero che se dovessimo ripagare la posizione debitoria estera intra-UEM determinata dagli squilibri commerciali degli anni scorsi, a "cambi" fissati su rapporti euro-dollaro convenienti per la Germania, il problema sarebbe non da poco: sarebbe insomma il "tacchino che si mette in forno da solo".
Tuttavia la partita, con la proposta "spacchettamento", sarebbe almeno aperta: diversamente non avremmo, probabilmente mai, nè una classe politica nè un supporto di politica industriale, finanziabile dal sistema attuale, per affrontare una uscita in solitaria.
E, a onor del vero, altri dati ci suggeriscono che una valuta (euro-2 o, in prospettiva, italiana "vera") a corso più basso, ci consentirebbe di avere un saldo commerciale ancor più vantaggioso con gli USA e, in generale, con i paesi extra-UE (vedi Turchia, ma non solo). Ecco: questo è un dato non trascurabile che coinvolge arredamento, moda, farmaceutica e agroalimentare, e non la sola "mitica" meccanica, specialmente considerando la (scarsa) performance del dollaro rispetto al super-euro. Un aspetto, questo della competitività "relativa" dei vari settori, di cui discutiamo spesso con il mio amico Cesare Pozzi.
Il problema è che, nella "filiera produttiva", non siamo più padroni dell'intero processo, e il prodotto finale, di cui produciamo ormai per lo più componenti, sfugge, in tale assetto, alla nostra determinazione di prezzo. E perciò dobbiamo accettare il prezzo di chi ci "domanda" e finchè ci domanda.
Il che, a sua volta, dipende dalla strategia di chi controlla le imprese che compongono la filiera, che, sempre più potrebbe divenire un controllo straniero.
Per impedire che questo aspetto faccia proseguire una situazione difficile, se non critica, anche in caso di svalutazione monetaria (comunque realizzata), occorre dunque pensare AD ALTRI STRUMENTI NON ESCLUSIVAMENTE VALUTARI.
In particolare, a un sistema creditizio nazionalizzato e commerciale "puro", e ad un sistema industriale di grande respiro che possa riprendere a fare investimenti su tecnologie competitive comunque detenute all'interno delle imprese, anche in partnership estera, ma in una posizione di forza almeno paritaria. E per far questo, poichè solo lo Stato ha la "endurance" e le risorse idonee a supportare investimenti di grande dimensione, nella situazione attuale più che mai, occorrerebbe non smantellare ma ampliare il sistema delle imprese pubbliche. Certamente nei settori giusti, e certamente dandogli il supporto del credito sinergico di un sistema bancario pubblico che pensi solo a fare credito industriale e non a giocare alla roulette russa della finanza derivata...Insomma, tutto l'opposto di von Hayek e dell'impostazione dei trattati (come sempre)
martedì 20 agosto 2013
USQUE TANDEM? I LIQUIDATORI "ZELOTI" RUNNIN' ON EMPTY
Usque tandem?
Questa domanda è probabilmente la più frequente che si pongono i lettori consapevoli dei vari blog che analizzano la crisi senza le formule preconfezionate e ripetute, sostanzialmente, da oltre 20 anni, che mugugnano su concorrenza globale, competitività, inflazione (monetaria), e, di conseguenza, attenzione esclusiva ed ossessiva al "debitopubblicobrutto".
Questo, a sua volta, viene visto, arbitrariamente, come fenomeno la cui rilevanza è compressa nella dinamica degli ultimi 4-5 anni, e quindi accomunata a quella degli spread, come se fosse da questi ultimi, improvvisamente, che ne sarebbe derivato il problema della insostenibilità.
Ora, l'elemento più macroscopico di questa mistificazione, tutta incentrata sull'occultamento del conflitto sociale, cioè della compressione della quota salari (in generale delle retribuzioni di ogni forma di lavoro), rispetto alla quota profitti e rendite finanziarie, in rapporto al reddito delle varie realtà statali coinvolte, anzitutto in Europa, ha il nome di "euro".
L'euro è certamente un sistema monetario pensato ed applicato per "disciplinare" le dinamiche salariali e riorientare il profitto verso una crescita fondata essenzialmente sulla "competitività", cioè sulle esportazioni, e lo fa in contrapposizione allo Stato, visto come l'inefficiente alimentatore della domanda interna.
Allo Stato, con il solo fatto di articolare le previsioni del Trattato di Maastricht (correttamente inteso), "l'Europa del sogno" imputa di alterare essenzialmente, con il suo intervento di spesa pubblica, il mercato del lavoro; sia appunto sostenendo la domanda interna di beni e servizi presso le imprese private, sia come erogatore di funzioni pubbliche e servizi di interesse generale -che andrebbero nel complesso a costituire il "salario sociale"-, sia come datore di lavoro e calmieratore della disoccupazione, (cioè come disattivatore della leva al contenimento salariale denominabile come "esercito industriale di riserva dei disoccupati").
Ci verrebbe allora più facile dare la risposta alla domanda "fino a quando?" se, e solo se, tenessimo ben focalizzato questo contesto: gli eventi economici "mondiali" cui stiamo assistendo in realtà lo confermano, facendo riemergere la realtà del c.d. "conflitto sociale", che è poi una considerazione naturale, cioè bio-antropologica, del fenomeno dell'essere umano e dei livelli di abbrutimento, vogliamo dire di "non benessere" elementare, che possono essergli imposti. Ed imposti in nome della "competitività" ricercata da controllori del capitale che non possono tollerare una flessione dei profitti programmati.
Tutto quanto sta accadendo conferma questa tensione, trascurata e rimossa nel tentativo di affermare una competizione mondiale che non tollera ostacoli e obiezioni "culturali": così l'arretramento della crescita della Cina, sull'orlo di una bolla immobiliare, rimodulata in diminuzione su una riconsiderazione della domanda interna, l'atteggiamento giapponese che privilegia nuovamente un obiettivo inflazionistico e la stessa domanda interna, per stimolare investimenti effettivi al di là delle alchimie finanziarie, conducendo all'effetto del deprezzamento della propria valuta, la stessa battuta d'arresto di paesi come India e Brasile, alle prese con crisi fisiologiche da "crescita" del rispettivo modello di capitalismo.
L'Europa, in questa realtà antropologica (e in progressivo rafforzamento) si segnala per la sua distonica ostinazione.
Abbiamo spesso ribadito come la patologia del debito pubblico, in specie quello italiano, abbia una "origine" chiaramente imputabile al "divorzio" tesoro-bankitalia, applicato in spregio di un sistema legislativo al tempo vigente, che, nonostante i "pareri" legali resi ad Andreatta, non avrebbe consentito di realizzarlo: almeno senza una legge parlamentare, di cui si potesse vagliare, oltretutto, la legittimità costituzionale alla luce dell'art.47 Cost. e del complessivo sistema delineato, in materia creditizia, dalla legge bancaria del 1936,. Questa, infatti, prevedeva un indirizzo politico-governativo in materia, di fatto disattivato (nei suoi residui di una prassi a dir poco ambigua), dalle letterine scambiatesi tra Ciampi ed Andreatta.
Ora, nonostante la stucchevole grancassa "€urota" cominciata col divorzio stesso (che si premurava di completare il "vincolo" dello SME, con accenti assolutamente identici a quelli utilizzati oggi per stigmatizzare rivendicazioni salariali e un immaginario "eccesso" di spesa pubblica), in assenza del divorzio, e scontando il calo dell'inflazione che certamente non fu dovuto alle politiche monetariste (come ammisero gli stessi Friedman e Greenspan, che fruirono solo di "good luck" nella simultaneità con un calo dei prezzi delle materie prime), l'Italia di sarebbe probabilmente presentata all'appuntamento di Maastricht con un debito prossimo al 60%.
Basti dire che tra il 1981 e il 1984 l'onere del debito pubblico per interessi raddoppiò dal 4% all'8% (eppure, ribadiamo, l'inflazione stava autonomamente calando), portando il debito dal 58% al 120 nel fatidico 1993 (quello della mega-manovra di Ciampi, post Maastricht, succeduta alla super-manovra di Amato del 1992).
Questo riassuntino ci fa capire che ben poco, da allora, dalla realizzazione di questa grande truffa politico-finanziaria a precise basi ideologiche, è cambiato.
Le parole d'ordine dei governi, specie illuminati e "di €uro-sinistra" sono sempre le stesse: diminuire il costo del servizio del debito pubblico per reperire risorse per fare "investimenti" (supply side) e attenuare il costo del lavoro: ora si riparla degli oneri sociali sullo stesso. E questo, dimenticando che la "fiscalizzazione" fu realizzata, negli anni '70, con successo proprio sulla scorta delle entrate fiscali sospinte dal fiscal-drag su salari indicizzati, mentre la competitività, raggiunta agevolmente col cambio flessibile, consentiva in realtà investimenti produttivi molto più sostanziali e rapidi che nei paesi che, come l'Inghilterra thatcheriana, (e poi la Francia del "secondo" Mitterand), si erano affidati alla ottusa ridda di licenziamenti in massa, deflazione salariale e oscene privatizzazioni in danno dei consumatori ma a vantaggio dei nuovi monopolisti privati, certissimamente lontani dall'idea di erodere le proprie rendite-bancomat con nuovi investimenti in innovazione tecnologica che non sarebbero comunque stati imposti dal progresso anche al gestore pubblico.
Allora: "fino a quando?"
Se la realtà di questo contesto storico (e ideologicamente crepuscolare) non riemergerà nelle coscienze dei cittadini la risposta sarà necessariamente inquietante.
E lo sarà tanto più quanto questa realtà storio-ideologica, causativa dell'attuale disastro, continuerà ad essere celata dai media e, invece, proseguirà la diffusione delle parole d'ordine assolutamente date per scontate da un'opinione pubblica assuefatta e scissa tra questa pseudo-spiegazione truffaldina e gli effetti che trova davanti agli occhi e nelle proprie tasche.
La apparente irrisolvibilità dei "problemi" seguendo queste ricette, unita alla mancanza di dubbio così diffusa, sulla loro "bontà", causa angoscia ai cittadini (non consapevoli, oltre che naturalmente ai pochi consapevoli, ma a questi, per ragioni opposte); e l'angoscia causa rabbia. Ma molto mal diretta: l'effetto generale è il parossismo giacobino su ruberie e sprechi, fenomeni collaterali determinati dal grande potere che i gestori a designazione politica si vedono assicurare dal sistema normativo "€uropeo".
Lo scopo di quest'ultimo è "affamare la bestia", cioè lo Stato demonizzato e portare compattamente l'opinione pubblica al rigetto per ogni sua manifestazione, fino a che essa stessa non invocherà a gran voce lo smantellamento di questo baraccone, "improduttivo", nefasto e invariabilmente e acriticamente visto come "eccessivo".
Noi sappiamo che questa strategia, proseguita in questi giorni con pervicacia assoluta, porta all'autodistruzione della stessa realtà economica del Paese, in una corsa irresponsabile in cui i suoi fautori continueranno ad accelerare fino a che il "punto di non ritorno", innescherà la reazione del corpo sociale.
Questa appare ancora lontana, in Italia, perchè esiste un paradosso: i disoccupati si appoggiano alle famiglie che intaccano lo stock di risparmio per sopravvivere quasi "comunitariamente, le PMI esportatrici possono in parte fruire della deflazione interna, le PMI di servizi e nel settore della distribuzione si avviano a una lenta dissoluzione. Senza però poter reagire contro le cause efficienti della propria distruzione, avvinte come sono nelle maglie del "vecchio" sistema fatto di evasione fiscale e contributiva, di norme obsolete che garantiscono rendite sempre più affievolite (il caso dei tassisti, ormai asserragliati nelle ridotte di un benessere che "fu", o dei gestori di stabilimenti balneari, che autogestiscono beni demaniali come fossero usucapiti per ab aeterno, categorie semiaffondate, ma ancora galleggianti, come notai e altri professionisti, ancora lontani dal senso di spossessamento della pregressa posizione economico-sociale, e così via).
Quindi, se si guarda ai grandi numeri, che queste commistioni di risparmio da "riserva" e di rendita e illegalità di cabotaggio, ancora in parte consentono, la reazione che renda di fatto non più effettivo il sistema di potere "€uro-liberista" è ancora lontana.
La sicurezza, però, è che, esso stesso, questo €urosistema, ormai preconizza la finale e irreversibile distruzione delle stesse residue valvole di sicurezza che ne hanno, almeno in Italia, consentito la prosecuzione.
Cioè quel minimo di stabilità sociale che non rendeva bisognosa e miserabile la schiacciante maggioranza della popolazione.
Perciò liberalizzazioni...Bolkenstein, privatizzazioni del patrimonio pubblico, abolizioni ulteriori di determinati meccanismi normativi "corporativi", inasprimenti fiscali sulle rendite catastali, ampliamento della disoccupazione sul versante del pubblico impiego, riduzione dei programmi di spesa pubblica conseguenti ad apparenti misure di allentamento dei vincoli di bilancio (tipo pagamenti crediti alle imprese, ripagati con rientri della spesa su investimenti e servizi sociali, a livello locale ma anche centrale), ci portano invece a questa certezza di miseria e insicurezza pandemiche.
In tempi relativamente brevi. Parliamo di mesi, ormai.
Gli attuali zeloti sono ormai convinti che possono durare fino al 2015, potendo giocare sulla stessa impopolarità della crisi politica che fatti giudiziari, del tutto estemporanei, rispetto alla realtà della crisi, potrebbero innescare.
E però ogni giorno in più che gli "zeloti" permarranno al governo, determinerà un avvicinamento all'attuazione delle misure che distruggeranno il suo labile consenso propagandistico (oggi di una compattezza tanto forte da rammentare proprio il "prima della fine" di molte dittature).
I prossimi due anni saranno perciò una corsa verso il baratro, in cui una classe politica cementificata negli slogan della fine degli anni '80, condurrà l'intera Nazione, sbandierando, prima di affondare, presunte richieste all'UEM di allentare l'austerità: ma solo perchè quella che loro considerano praticabile e "misurata" è più che sufficiente alla definitiva degradazione sociale ed economica, mentre far apparire Olli Rehn o Schauble come formalmente "arginati" allunga di qualche mese la presunta legittimazione dei "liquidatori finali".
Questa domanda è probabilmente la più frequente che si pongono i lettori consapevoli dei vari blog che analizzano la crisi senza le formule preconfezionate e ripetute, sostanzialmente, da oltre 20 anni, che mugugnano su concorrenza globale, competitività, inflazione (monetaria), e, di conseguenza, attenzione esclusiva ed ossessiva al "debitopubblicobrutto".
Questo, a sua volta, viene visto, arbitrariamente, come fenomeno la cui rilevanza è compressa nella dinamica degli ultimi 4-5 anni, e quindi accomunata a quella degli spread, come se fosse da questi ultimi, improvvisamente, che ne sarebbe derivato il problema della insostenibilità.
Ora, l'elemento più macroscopico di questa mistificazione, tutta incentrata sull'occultamento del conflitto sociale, cioè della compressione della quota salari (in generale delle retribuzioni di ogni forma di lavoro), rispetto alla quota profitti e rendite finanziarie, in rapporto al reddito delle varie realtà statali coinvolte, anzitutto in Europa, ha il nome di "euro".
L'euro è certamente un sistema monetario pensato ed applicato per "disciplinare" le dinamiche salariali e riorientare il profitto verso una crescita fondata essenzialmente sulla "competitività", cioè sulle esportazioni, e lo fa in contrapposizione allo Stato, visto come l'inefficiente alimentatore della domanda interna.
Allo Stato, con il solo fatto di articolare le previsioni del Trattato di Maastricht (correttamente inteso), "l'Europa del sogno" imputa di alterare essenzialmente, con il suo intervento di spesa pubblica, il mercato del lavoro; sia appunto sostenendo la domanda interna di beni e servizi presso le imprese private, sia come erogatore di funzioni pubbliche e servizi di interesse generale -che andrebbero nel complesso a costituire il "salario sociale"-, sia come datore di lavoro e calmieratore della disoccupazione, (cioè come disattivatore della leva al contenimento salariale denominabile come "esercito industriale di riserva dei disoccupati").
Ci verrebbe allora più facile dare la risposta alla domanda "fino a quando?" se, e solo se, tenessimo ben focalizzato questo contesto: gli eventi economici "mondiali" cui stiamo assistendo in realtà lo confermano, facendo riemergere la realtà del c.d. "conflitto sociale", che è poi una considerazione naturale, cioè bio-antropologica, del fenomeno dell'essere umano e dei livelli di abbrutimento, vogliamo dire di "non benessere" elementare, che possono essergli imposti. Ed imposti in nome della "competitività" ricercata da controllori del capitale che non possono tollerare una flessione dei profitti programmati.
Tutto quanto sta accadendo conferma questa tensione, trascurata e rimossa nel tentativo di affermare una competizione mondiale che non tollera ostacoli e obiezioni "culturali": così l'arretramento della crescita della Cina, sull'orlo di una bolla immobiliare, rimodulata in diminuzione su una riconsiderazione della domanda interna, l'atteggiamento giapponese che privilegia nuovamente un obiettivo inflazionistico e la stessa domanda interna, per stimolare investimenti effettivi al di là delle alchimie finanziarie, conducendo all'effetto del deprezzamento della propria valuta, la stessa battuta d'arresto di paesi come India e Brasile, alle prese con crisi fisiologiche da "crescita" del rispettivo modello di capitalismo.
L'Europa, in questa realtà antropologica (e in progressivo rafforzamento) si segnala per la sua distonica ostinazione.
Abbiamo spesso ribadito come la patologia del debito pubblico, in specie quello italiano, abbia una "origine" chiaramente imputabile al "divorzio" tesoro-bankitalia, applicato in spregio di un sistema legislativo al tempo vigente, che, nonostante i "pareri" legali resi ad Andreatta, non avrebbe consentito di realizzarlo: almeno senza una legge parlamentare, di cui si potesse vagliare, oltretutto, la legittimità costituzionale alla luce dell'art.47 Cost. e del complessivo sistema delineato, in materia creditizia, dalla legge bancaria del 1936,. Questa, infatti, prevedeva un indirizzo politico-governativo in materia, di fatto disattivato (nei suoi residui di una prassi a dir poco ambigua), dalle letterine scambiatesi tra Ciampi ed Andreatta.
Ora, nonostante la stucchevole grancassa "€urota" cominciata col divorzio stesso (che si premurava di completare il "vincolo" dello SME, con accenti assolutamente identici a quelli utilizzati oggi per stigmatizzare rivendicazioni salariali e un immaginario "eccesso" di spesa pubblica), in assenza del divorzio, e scontando il calo dell'inflazione che certamente non fu dovuto alle politiche monetariste (come ammisero gli stessi Friedman e Greenspan, che fruirono solo di "good luck" nella simultaneità con un calo dei prezzi delle materie prime), l'Italia di sarebbe probabilmente presentata all'appuntamento di Maastricht con un debito prossimo al 60%.
Basti dire che tra il 1981 e il 1984 l'onere del debito pubblico per interessi raddoppiò dal 4% all'8% (eppure, ribadiamo, l'inflazione stava autonomamente calando), portando il debito dal 58% al 120 nel fatidico 1993 (quello della mega-manovra di Ciampi, post Maastricht, succeduta alla super-manovra di Amato del 1992).
Questo riassuntino ci fa capire che ben poco, da allora, dalla realizzazione di questa grande truffa politico-finanziaria a precise basi ideologiche, è cambiato.
Le parole d'ordine dei governi, specie illuminati e "di €uro-sinistra" sono sempre le stesse: diminuire il costo del servizio del debito pubblico per reperire risorse per fare "investimenti" (supply side) e attenuare il costo del lavoro: ora si riparla degli oneri sociali sullo stesso. E questo, dimenticando che la "fiscalizzazione" fu realizzata, negli anni '70, con successo proprio sulla scorta delle entrate fiscali sospinte dal fiscal-drag su salari indicizzati, mentre la competitività, raggiunta agevolmente col cambio flessibile, consentiva in realtà investimenti produttivi molto più sostanziali e rapidi che nei paesi che, come l'Inghilterra thatcheriana, (e poi la Francia del "secondo" Mitterand), si erano affidati alla ottusa ridda di licenziamenti in massa, deflazione salariale e oscene privatizzazioni in danno dei consumatori ma a vantaggio dei nuovi monopolisti privati, certissimamente lontani dall'idea di erodere le proprie rendite-bancomat con nuovi investimenti in innovazione tecnologica che non sarebbero comunque stati imposti dal progresso anche al gestore pubblico.
Allora: "fino a quando?"
Se la realtà di questo contesto storico (e ideologicamente crepuscolare) non riemergerà nelle coscienze dei cittadini la risposta sarà necessariamente inquietante.
E lo sarà tanto più quanto questa realtà storio-ideologica, causativa dell'attuale disastro, continuerà ad essere celata dai media e, invece, proseguirà la diffusione delle parole d'ordine assolutamente date per scontate da un'opinione pubblica assuefatta e scissa tra questa pseudo-spiegazione truffaldina e gli effetti che trova davanti agli occhi e nelle proprie tasche.
La apparente irrisolvibilità dei "problemi" seguendo queste ricette, unita alla mancanza di dubbio così diffusa, sulla loro "bontà", causa angoscia ai cittadini (non consapevoli, oltre che naturalmente ai pochi consapevoli, ma a questi, per ragioni opposte); e l'angoscia causa rabbia. Ma molto mal diretta: l'effetto generale è il parossismo giacobino su ruberie e sprechi, fenomeni collaterali determinati dal grande potere che i gestori a designazione politica si vedono assicurare dal sistema normativo "€uropeo".
Lo scopo di quest'ultimo è "affamare la bestia", cioè lo Stato demonizzato e portare compattamente l'opinione pubblica al rigetto per ogni sua manifestazione, fino a che essa stessa non invocherà a gran voce lo smantellamento di questo baraccone, "improduttivo", nefasto e invariabilmente e acriticamente visto come "eccessivo".
Noi sappiamo che questa strategia, proseguita in questi giorni con pervicacia assoluta, porta all'autodistruzione della stessa realtà economica del Paese, in una corsa irresponsabile in cui i suoi fautori continueranno ad accelerare fino a che il "punto di non ritorno", innescherà la reazione del corpo sociale.
Questa appare ancora lontana, in Italia, perchè esiste un paradosso: i disoccupati si appoggiano alle famiglie che intaccano lo stock di risparmio per sopravvivere quasi "comunitariamente, le PMI esportatrici possono in parte fruire della deflazione interna, le PMI di servizi e nel settore della distribuzione si avviano a una lenta dissoluzione. Senza però poter reagire contro le cause efficienti della propria distruzione, avvinte come sono nelle maglie del "vecchio" sistema fatto di evasione fiscale e contributiva, di norme obsolete che garantiscono rendite sempre più affievolite (il caso dei tassisti, ormai asserragliati nelle ridotte di un benessere che "fu", o dei gestori di stabilimenti balneari, che autogestiscono beni demaniali come fossero usucapiti per ab aeterno, categorie semiaffondate, ma ancora galleggianti, come notai e altri professionisti, ancora lontani dal senso di spossessamento della pregressa posizione economico-sociale, e così via).
Quindi, se si guarda ai grandi numeri, che queste commistioni di risparmio da "riserva" e di rendita e illegalità di cabotaggio, ancora in parte consentono, la reazione che renda di fatto non più effettivo il sistema di potere "€uro-liberista" è ancora lontana.
La sicurezza, però, è che, esso stesso, questo €urosistema, ormai preconizza la finale e irreversibile distruzione delle stesse residue valvole di sicurezza che ne hanno, almeno in Italia, consentito la prosecuzione.
Cioè quel minimo di stabilità sociale che non rendeva bisognosa e miserabile la schiacciante maggioranza della popolazione.
Perciò liberalizzazioni...Bolkenstein, privatizzazioni del patrimonio pubblico, abolizioni ulteriori di determinati meccanismi normativi "corporativi", inasprimenti fiscali sulle rendite catastali, ampliamento della disoccupazione sul versante del pubblico impiego, riduzione dei programmi di spesa pubblica conseguenti ad apparenti misure di allentamento dei vincoli di bilancio (tipo pagamenti crediti alle imprese, ripagati con rientri della spesa su investimenti e servizi sociali, a livello locale ma anche centrale), ci portano invece a questa certezza di miseria e insicurezza pandemiche.
In tempi relativamente brevi. Parliamo di mesi, ormai.
Gli attuali zeloti sono ormai convinti che possono durare fino al 2015, potendo giocare sulla stessa impopolarità della crisi politica che fatti giudiziari, del tutto estemporanei, rispetto alla realtà della crisi, potrebbero innescare.
E però ogni giorno in più che gli "zeloti" permarranno al governo, determinerà un avvicinamento all'attuazione delle misure che distruggeranno il suo labile consenso propagandistico (oggi di una compattezza tanto forte da rammentare proprio il "prima della fine" di molte dittature).
I prossimi due anni saranno perciò una corsa verso il baratro, in cui una classe politica cementificata negli slogan della fine degli anni '80, condurrà l'intera Nazione, sbandierando, prima di affondare, presunte richieste all'UEM di allentare l'austerità: ma solo perchè quella che loro considerano praticabile e "misurata" è più che sufficiente alla definitiva degradazione sociale ed economica, mentre far apparire Olli Rehn o Schauble come formalmente "arginati" allunga di qualche mese la presunta legittimazione dei "liquidatori finali".
sabato 17 agosto 2013
FONDI EUROPEI, INTEGRAZIONE "FOGNATA" E CRUKKEN-LOKOMOTIV...
Avrei voluto parlarvi dei fondi "europei" (di cui abbiamo trattato a un certo punto qui) e dei sistemi per cui NON si riesce a spenderli; principalmente a causa del modo in cui, a seguito della geniale riforma del Titolo V della Costituzione, le competenze sono suddivise e cristallizzate tra Stato, regioni e enti locali territoriali.
Cioè, in base alla Costituzione ammodernata in nome dell'europa e che ora l'UE, che tanto tiene alla integrazione culturale, ci rimprovera, consigliandoci un sistema di monitoraggio centralizzato (!) dell'impiego dei fondi; ed invece, comunque, trattandosi di un co-finanziamento, le stesse norme UEM su deficit e fiscal compact ci impediscono comunque impegni ben programmati e organici.
Proprio perchè non ce li possiamo permettere, altrimenti loro - per questi soldi che ci restituiscono, con qualcosa di meno, il nostro contributo, finanziato con emissione di debito pubblico- ci dicono che non rispettiamo i parametri.
Ma ve ne parlerò per bene un'altra volta. Le occasioni non mancheranno.
Adesso vi anticipo solo che la struttura del nuovo Titolo V (federalismo €uropeo all'italiana, ossimoro internazionalista-leghista), tra conferenze Stato-regioni, ridda di competenze esclusive e concorrenti di Stato e regioni, procedimenti multilivello e stratificati, con partecipazioni procedimentali complicatissime e istruttorie tecnicissime e regolarmente incomplete, sia alla base della ingovernabile osservanza delle norme €uro-recepite e dei loro corollari.
Dando luogo al contenzioso che Prodi stigmatizza come "inutile", ripreso ormai da una valanga di epigoni anche di minor cultura (dal punto di vista dei titoli di studio).
Oppure avrei voluto parlarvi di come ci sia ancora chi crede che la Germania sia la "locomotiva d'Europa", probabilmente perchè non legge ciò che viene pubblicato sul suo stesso giornale on line ("Così la Germania farà schiantare l'Europa e l'Italia": ma trarne le conseguenze tutti i "raffinati" politologi e i "ferrati" economisti "vocianti" una volta per tutte?).
E infine collegare i due temi: sapendo che in "apicibus" c'è un tratto comune. Un liberismo sfrenato che ritiene che la piena concorrenza non sia ottenuta nel combattere i monopoli, bensì...lo Stato, dissolvendolo nella "dispersione" della sovranità in sede "internazionalista".
Bella, pacifista (...?), moderna e rigorosamente cosmetica.
E non pensate che l'euroburocrazia, la normativa parossistica di derivazione UE e la supertassazione derivata dai "rientri" nel deficit (ormai ventennali), non siano in precisa correlazione con la lotta alla sovranità: in effetti, al culmine di una strategia inesorabile, ormai la "gente" invoca la riduzione della spesa pubblica (con servizi e funzioni ridotti all'osso), pur di avere gli sperati sgravi fiscali. Presi dalla disperazione molti invocano la "soluzione finale"...per finire di soffrire.
Ma ci pensate che in due parole abbiamo messo nero su bianco l'essenziale di una serie di puntate future di Ballarò, nel vagheggiato dopo-elezioni dei crukken-lokomotiv?
Cioè, in base alla Costituzione ammodernata in nome dell'europa e che ora l'UE, che tanto tiene alla integrazione culturale, ci rimprovera, consigliandoci un sistema di monitoraggio centralizzato (!) dell'impiego dei fondi; ed invece, comunque, trattandosi di un co-finanziamento, le stesse norme UEM su deficit e fiscal compact ci impediscono comunque impegni ben programmati e organici.
Proprio perchè non ce li possiamo permettere, altrimenti loro - per questi soldi che ci restituiscono, con qualcosa di meno, il nostro contributo, finanziato con emissione di debito pubblico- ci dicono che non rispettiamo i parametri.
Ma ve ne parlerò per bene un'altra volta. Le occasioni non mancheranno.
Adesso vi anticipo solo che la struttura del nuovo Titolo V (federalismo €uropeo all'italiana, ossimoro internazionalista-leghista), tra conferenze Stato-regioni, ridda di competenze esclusive e concorrenti di Stato e regioni, procedimenti multilivello e stratificati, con partecipazioni procedimentali complicatissime e istruttorie tecnicissime e regolarmente incomplete, sia alla base della ingovernabile osservanza delle norme €uro-recepite e dei loro corollari.
Dando luogo al contenzioso che Prodi stigmatizza come "inutile", ripreso ormai da una valanga di epigoni anche di minor cultura (dal punto di vista dei titoli di studio).
Oppure avrei voluto parlarvi di come ci sia ancora chi crede che la Germania sia la "locomotiva d'Europa", probabilmente perchè non legge ciò che viene pubblicato sul suo stesso giornale on line ("Così la Germania farà schiantare l'Europa e l'Italia": ma trarne le conseguenze tutti i "raffinati" politologi e i "ferrati" economisti "vocianti" una volta per tutte?).
E infine collegare i due temi: sapendo che in "apicibus" c'è un tratto comune. Un liberismo sfrenato che ritiene che la piena concorrenza non sia ottenuta nel combattere i monopoli, bensì...lo Stato, dissolvendolo nella "dispersione" della sovranità in sede "internazionalista".
Bella, pacifista (...?), moderna e rigorosamente cosmetica.
E non pensate che l'euroburocrazia, la normativa parossistica di derivazione UE e la supertassazione derivata dai "rientri" nel deficit (ormai ventennali), non siano in precisa correlazione con la lotta alla sovranità: in effetti, al culmine di una strategia inesorabile, ormai la "gente" invoca la riduzione della spesa pubblica (con servizi e funzioni ridotti all'osso), pur di avere gli sperati sgravi fiscali. Presi dalla disperazione molti invocano la "soluzione finale"...per finire di soffrire.
Ma ci pensate che in due parole abbiamo messo nero su bianco l'essenziale di una serie di puntate future di Ballarò, nel vagheggiato dopo-elezioni dei crukken-lokomotiv?
Iscriviti a:
Post (Atom)