lunedì 29 giugno 2015

TSIPRAS E LA DIMENTICANZA DELLA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE: DIRITTI DELL'UOMO E LEGGE SUPREMA


http://www.articolo21.org/wp-content/uploads/2015/01/liberta-pensiero.jpg

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdxg3xaKC9qTaO0j0MQoBVXzubI16DGmdGyMJPXYaiLnT_sNBvtYHq0r9qxqW77KVeN2ysLR__LJSfyy9KEEh52RpEXq8mD6b3TNZTOD2lkJah0gnqTlb5R1A9gVQ52uszKHEvmYEseq4/s1600/untitled.bmp

Dopo 5 anni di "trattamento trojka", una disoccupazione passata, nel quinquennio, dall'11 a oltre il 25%, una distruzione di PIL concomitante del 27%, - tutte conseguenze inevitabili dell'adesione alla moneta unica ed alle "restrizioni" (vocabolo che vedremo non è usato a caso) della sovranità da essa derivate-, la Grecia sta come sta.
La "proposta" di nuovo accordo, per la restituzione di un debito pacificamente insolvibile, non farebbe che ripristinare la consueta recessione, con relativi errori, ormai dichiaratamente ammessi e altrettanto ignorati, di calcolo del moltiplicatore fiscale. 
Insomma, nuova recessione e ulteriore disoccupazione e caduta dei redditi.

Allora Tsipras, volendo, e sottolineo volendo, potrebbe pure pensare alla liceità costituzionale, - ovviamente secondo la Costituzione greca- di tutto questo.
Stranamente, invece, sottopone la prospettiva di nuova recessione e di ampliamento della disoccupazione, - con evidenti conseguenze peggiorative dei diritti umani e delle condizioni più elementari di tutela della dignità umana-, a un referendum.
Una simile iniziativa avrebbe il singolare effetto, in caso di accettazione da parte dell'elettorato, di prestare consenso ad una sostanziale abrogazione (o sistematica disapplicazione: l'effetto è lo stesso e in Italia iniziamo, forse, faticosamente, a capirlo) di tutte le clausole fondamentali della stessa Costituzione greca.

Ma gli obblighi fondamentali dello Stato di proteggere la dignità della persona, di garantire la piena occupazione, di accettare  "restrizioni" alla sovranità nazionale solo per un "importante interesse nazionale" e purchè ciò non leda "i diritti fondamentali dell'uomo e i fondamenti del regime democratico", quali sanciti dalla Costituzione cui Tsipras ha giurato fedeltà e osservanza, non dovrebbero essere indisponibili persino al processo elettorale?

Come potrebbe, con un referendum, apportarsi una revisione alla Costituzione ellenica al di fuori delle forme e dei limiti di cui all'art.110?
Insomma, dati alla mano, e Varoufakis li conosce bene e li ripropone nelle varie sedi negoziali, basterebbe che il governo greco rimettesse alla "Corte Suprema Speciale" di cui all'art.100 della Costituzione, (v. più sotto), il giudizio di legittimità costituzionale sulle varie leggi di ratifica dei trattati e su quelle di conversione in norme interne dei vari accordi coi creditori.
Non averlo fatto, e neppure ipotizzato finora, limita molto la posizione del governo ellenico.
Questo stesso governo, d'altra parte, potrebbe ANCHE direttamente sottoporre una votazione al Parlamento in cui enunciasse non solo il rigetto verso il nuovo accordo proprio per la sua palese contrarietà alla Costituzione, ma che ESTENDESSE tale valutazione a tutta la serie di vincoli assunti in nome dell'€uropa. 
Una votazione che, conseguentemente, fosse in grado di far emergere, davanti a tutto il popolo greco, quali forze politiche siano fedeli agli obblighi fondamentali della Costituzione e quali no.

Raggiunta una sufficiente chiarezza sul punto, potrebbe notificare la propria denunzia dei trattati all'UE e convenire, di fronte al Tribunale dell'Aja, le "istituzioni" per gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani...
Eppure solidi spunti in questa direzione non mancherebbero, come si può immediatamente percepire dalle clausole costituzionali greche che riportiamo:



Art. 2. – 1) Il rispetto e la protezione della dignità della persona umana costituiscono l’obbligo fondamentale dello Stato.

2) La Grecia, conformandosi alle regole universalmente riconosciute del diritto internazionale, persegue il consolidamento della pace e della giustizia, nonché lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra i popoli e gli Stati


Art. 22. – 1) II lavoro costituisce un diritto ed è posto sotto la protezione dello Stato, che vigila per creare delle condizioni di piena occupazione per tutti i cittadini e per il progresso morale e materiale della popolazione attiva, rurale ed urbana...

Art. 28. – 1) Le regole del diritto internazionale generalmente accettate, come pure i trattati internazionali dopo la loro ratifica da parte della Camera e la loro entrata in vigore conformemente alle disposizioni di ciascuno di loro, fanno parte integrante del diritto interno greco e hanno un valore superiore alle eventuali disposizioni contrarie della legge. L’applicazione delle regole del diritto internazionale generale e dei trattati internazionali nei confronti degli stranieri è sempre sottoposta alla condizione della reciprocità.

2) Allo scopo di servire un importante interesse nazionale e di promuovere la collaborazione con altri Stati, è possibile attribuire, per via di trattato o d’accordo internazionale, talune competenze previste dalla costituzione ad organi di organizzazioni internazionali. Per la ratifica del trattato o dell’accordo è richiesta una legge votata dalla maggiorana dei tre quinti del numero complessivo dei deputati.
3) La Grecia può liberamente apportare, con una legge votata a maggioranza assoluta del numero complessivo dei deputati, delle restrizioni all’esercizio della sovranità, nazionale, purché tali restrizioni siano imposte da un interesse nazionale importante, non ledano i diritti dell’uomo e i fondamenti del regime democratico e siano compiute nel rispetto del principio di uguaglianza ed in condizioni di reciprocità.

Art. 100. - 1) È costituita una Corte Suprema Speciale, alla quale spettano: a) i giudizi sui ricorsi previsti nell’art. 58; b) la verifica della validità e dei risultati dei referendum tenuti conformemente all’art. 44 paragrafo 2); c) i giudizi sulle incompatibilità o la decadenza dei deputati conformemente agli artt. 55 paragrafo 2), e 57; d) i giudizi sui conflitti fra i tribunali e le autorità amministrative, o fra i tribunali amministrativi ordinari, da una parte, ed i tribunali civili e penali, dall’altra parte, o, infine, fra la Corte dei Conti e gli altri tribunali; e) il giudizio relativo alle contestazioni sull’incostituzionalità di una legge formale, ovvero sull’esatta interpretazione delle disposizioni di una legge nei casi in cui il Consiglio di Stato, la Corte di Cassazione o la Corte dei Conti abbiano emesso al riguardo delle decisioni fra loro contraddittorie; f) il giudizio sulle controversie riguardanti la sussistenza della qualità di «norma del diritto internazionale universalmente riconosciuto», secondo l’art. 28 paragrafo 1). 

Art. 110. – 1) Le disposizioni della Costituzione possono essere sottoposte a revisione, tranne quelle che stabiliscono che la forma di governo dev’essere quella della Repubblica parlamentare e quelle degli articoli 2 paragrafo 1), 4 paragrafi 1), 4) e 7), 5 paragrafi 1) e 3), 13 paragrafo 1) e 26.

2) La necessità della revisione della Costituzione è accertata con una decisione presa dalla Camera dei deputati, su proposta di almeno cinquanta deputati ed a maggioranza di tre quinti del numero complessivo dei membri della Camera, in due scrutini separati da un intervallo di almeno un mese. Le disposizioni da revisionare sono specificatamente determinate da tale decisione.

3) Quando sia stata decisa con la menzionata delibera parlamentare la revisione costituzionale, la successiva Camera dei deputati si pronuncia, nel corso della sua prima sessione, sulle disposizioni da revisionare a maggioranza assoluta del numero complessivo dei suoi membri.

4) Se la proposta di revisionare la Costituzione ottiene la maggioranza del numero complessivo dei deputati, ma non quella dei tre quinti dello stesso numero, come è richiesto nel paragrafo 2) del presente articolo, la Camera dei deputati successiva può, nel corso della sua prima sessione, deliberare sulle disposizioni da revisionare; la sua decisione dev’essere presa a maggioranza di tre quinti del numero complessivo dei suoi membri.

5) Ogni revisione delle disposizioni della Costituzione che sia stata votata viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro i dieci giorni che seguono il voto da parte della Camera dei deputati ed entra in vigore con una decisione speciale della stessa Camera.

6) Nessuna revisione costituzionale è permessa prima della scadenza di un termine di cinque anni dopo l’attuazione della revisione precedente.
 



sabato 27 giugno 2015

TSIPRAS, ANCHE TU, TE LI SEI LETTI (E LI HAI CAPITI) I TRATTATI?

http://www.legalius.it/wp-content/uploads/clausole.jpg 
 

A scanso di equivoci: Tsipras avrebbe annunciato che "il popolo sarà chiamato" domenica 5 luglio a votare il referendum sulla proposta dei creditori".
Dunque, nessun referendum in cui compaia l'alternativa tra moneta unica, che è la causa necessaria e sufficiente dell'imposizione della "correzione" mediante austerità, e democrazia.

Ma d'altra parte come poteva essere diversamente? La stessa fonte sopra linkata, infatti, ha buon gioco a metterla in questo modo:
"Tutta l'opposizione greca critica aspramente Tsipras per la scelta di ricorrere al referendum sostenendo che questa mossa porterà il Paese fuori dall'Europa. Il Pasok chiede le dimissioni del premier. I centristi di Potami rimproverano a Tsipras di non aver combattuto la sua battaglia nel cuore delle istituzioni europee. Per i conservatori di Nea Dimokratia il premier è un irresponsabile che ha portato la Grecia al totale isolamento nell'Unione."

Ma l'errore di impostazione (stigmatizzare l'effetto senza informare sulle cause) prosegue anche in altre parti delle dichiarazioni di Tsipras:  
"Il premier ellenico ha detto di essere stato costretto a indire la consultazione perchè i partner dell'Eurogruppo hanno presentato un ultimatum alla Grecia che è contro i valori europei per cui "siamo obbligati a rispondere sentendo la volontà dei cittadini".

Contro i "valori" europei? Sarebbe contro i valori europei "accettare pesi insopportabili che avrebbero aggravato la situazione del mercato del lavoro e aumentato le tasse"?

Rammentiamo infatti ciò che, anche alle soglie di una capitolazione che potrebbe risolversi nella stessa eliminazione di Tsipras dalla sua preposizione al governo, i greci nel loro complesso paiono non comprendere:

"La più grande obiezione che muovo a questa insidiosa costruzione dialettico-ideologica, è che leggendo i trattati attuali (per semplicità; essi, infatti, riprendono Maastricht, rinsaldandone i mezzi "strategici"), ma sapendoli leggere veramente, si può, piuttosto, costruire questa interpretazione strutturale nonchè sistematica, di principi cogenti e caratterizzanti:
 
- i trattati sono intenzionalmente composti da una miriade di parole e di concetti, che nascondono una valenza normativo-positiva (cioè il "quid novi" che introducono nel mondo del diritto vigente), per lo più, in chiave sistematica, pari a "zero", tranne che per alcune norme "scardinanti" (più che "cardine"), accuratamente selezionate e disseminate, in varie versioni e corollari, all'interno di questa pletorica costruzione pseudo-concettuale.
- Una verbosità che, quando si viene al "dunque", della normazione positivamente applicabile conduce a individuare:
a) grund-norm essenzialmente compendiabili nella "forte competizione" in un mercato unico e "stabilità dei prezzi" (riprese da corollari istituzionali- la BCE- e procedurali che li blindano...inavvertitamente, per un un qualsiasi normale lettore non dotato di un sofisticato bagaglio di conoscenze giuridiche ed economiche);
b) che ogni altro aspetto è subordinato e ridotto a "intenzioni programmatiche" di cui conosciamo le procedure complesse ma i cui contenuti sono del tutto aleatori, se non addirittura esplicitamente esclusi;
c) che, infatti, come ben si vede dall'art.6 TUE, sul "riconoscimento" dei diritti fondamentali, che "non estende in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati", tali "diritti" sono derubricati a "principi generali", cioè a previsioni normative che entrano in campo solo in via suppletiva di eventuali lacune della disciplina UE (lacune che, nella monolitica produzione giurisprudenziale delle Corti europee, tendono a non essere ravvisate praticamente mai);
d) che in tal modo, la già "subordinata" tutela dei diritti fondamentali, necessariamente inclusivi dei diritti sociali (il detestato welfare), è lasciata alla cura degli Stati, che, contemporaneamente, in virtù delle suindicate grund-norm, la cui applicazione incondizionatamente prevalente è assistita da tutto il resto della costruzione fondata sui trattati (previsioni procedurali e sanzionatorie, e atti di provenienza delle istituzioni, in testa i Consigli europei), sono posti nell'impossibilità di garantirli."


A proposito, questi passaggi essenziali non sono neppure chiari alla nostra Corte costituzionale.
Quindi, l'atteggiamento di Tsipras è solo la preventiva dimostrazione della globale mancanza di risorse culturali di tutta la classe politica europea. In tutta l'area euro.
Un deserto dal quale la democrazia (in senso sostanziale e non idraulico) non può rinascere, ma solo deteriorarsi fino ad essere dimenticata nei suoi elementi essenziali. 

giovedì 25 giugno 2015

LE CAUSE E GLI EFFETTI DELLA CRISI: LA CORTE COSTITUZIONALE LI SCAMBIA E SI ARRENDE AL PIU' €UROPA.

http://sd.keepcalm-o-matic.co.uk/i/state-calmi-e-soltanto-dissonanza-cognitiva.png

1. Sulla sentenza della Corte costituzionale che rimuove il blocco alla contrattazione nel pubblico impiego, - senza però ammettere una tutela ripristinatoria del diritto costituzionale violato, nei normali termini della restituzione retroagente al momento di prima applicazione della norma illegittima-, si stanno già versando fiumi di inchiostro.
Persino un quotidiano on line piuttosto conservatore - e che prevalentemente dà voce a chi ritiene che i sindacati siano il male in Italia e che la deflazione salariale (cioè intaccare il deprecato "costo del lavoro") sia la invariabile panacea di ogni male italiano - si accorge che ormai l'art.81 Cost, quello che recepisce il fiscal compact, diviene un principio superiore a cui devono piegarsi tutti gli altri contenuti nella Costituzione.

2. Il problema è che pare invece che non se ne sia accorta la Corte. Perchè, se se ne fosse accorta, dovremmo presumere che si renderebbe altrettanto conto del fatto che, in precedenza e anche molto di recente, essa stessa aveva affermato che (sentenza n.284 dell'ottobre 2014):
"Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)."

3. Ora se ci sono delle (tradizionali) certezze sul novero dei diritti inalienabili della persona, in base alle norme costituzionali "fondamentalissime", queste certezze "dovrebbero" riguardare proprio la tutela del lavoro su cui si fonda la nostra sovranità repubblicana (art.1 Cost.) e il primo e prioritario diritto enunciato in Costituzione (art.4).
Naturalmente la Corte non avrà potuto non svolgere il suo ragionamento sulla base degli artt.36 e 39 Cost., il primo sulla retribuzione equa e sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa e il secondo sulla libertà e legittimità della tutela sindacale, che trova la sua prima espressione nella contrattazione collettiva che la norma censurata aveva posto in sospensione reiterata; gli artt.36 e 39, tuttavia, secondo elementari e consolidati principi di interpretazione letterale, logica e sistematica della stessa Costituzione, costituiscono la naturale proiezione (o attuazione) degli artt. 1 e 4 sopra citati, come illustrano in lungo e in largo i lavori dell'Assemblea Costituente
Le cronache ci dicono che la Corte avrebbe prescelto di enfatizzare l'art.39 più che l'art.36; in sostanza, non sarebbero state tanto poste in pericolo la equità e l'adeguatezza della retribuzione, ma la incomprimibilità della libertà e della tutela sindacale. Su questa strada, poi, si sarebbe affermata la "sanabilità" del blocco 2010-2013, in quanto misura temporanea giustificata dalla crisi economica (come se la crisi fosse mai risolvibile tagliando il reddito dei lavoratori che costituisce parte essenziale del PIL, che era finito in segno negativo...proprio a seguito del calo dei redditi e della disoccupazione dilagante che, a sua volta, è determinata dalla flessione della domanda...connessa al calo dei redditi. Ma è inutile: la Corte questi problemi, tradizionalmente, non pare in grado di afferrarli e prosegue a fare affermazioni opposte rispetto a questi elementari e notori principi economici).

4. Qualcosa mi dice però che difficilmente, nel menzionare gli artt. 36 e 39, la Corte avrà parlato  dei suddetti antecedenti logici,  così ovviamente ritrovabili negli artt. 1 e 4: lo suppongo perchè, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere di essersi incamminata su una via che porta alla negazione di quanto aveva affermato sui "controlimiti all'ingresso delle norme dell'Unione europea" - tanto più, addirittura, introdotti in Costituzione! - e avrebbe quindi dovuto porsi il problema della legittimità del vincolo esterno (per quanto costituzionalizzato, ma, nondimeno, pur sempre sindacabile, secondo consolidati enunciati della Corte, alla luce dei superiori principi della Carta, come abbiamo visto qui).

Ma "porsi il problema" (del vincolo esterno portato fino a questo punto di evidenza, oltretutto dopo 30 anni di silenzio omissivo, o quantomeno di ritardo "culturale", sul punto), avrebbe costretto la Corte a uscire dal guado per arrivare ad una sponda dove albergasse il ripristino della più fondamentale legalità costituzionale (quella dei diritti inalienabili della persone e dei principi fondamentali che costituiscono i controlimiti al diritto europeo).
E questo punto lo abbiamo già visto: dunque, senza grossi equivoci possibili, la Corte accetta di contraddirsi (probabilmente tacendo sulla appena segnalata contraddizione) e preferisce costruirsi una discrezionalità (apparente), sull'effetto retroattivo delle pronunce di illegittimità costituzionale, che in realtà è un piegarsi al fatto compiuto della prevalenza del vincolo esterno quale che esso sia.

5. Ribadiamo dunque quanto osservato sulla questione "pensionistica", ma che vale a fortiori su quella delle retribuzioni dei lavoratori in servizio e sulla tutela sindacale ad essa connessa:

"Una discrezionalità di questo tipo non riguarderebbe la, sempre possibile, incerta previsione sulla esatta interpretazione delle norme costituzionali nel caso concreto, cioè la naturale possibilità di scelta interpretativa in funzione delle vicende socio-economiche in evoluzione nel tempo, ma la fase successiva alla declaratoria di illegittimità costituzionale; quella conseguenziale "necessitata",- secondo l'art.136 Cost. e secondo il principio di rigidità dellaCostituzione (art.138) e persino di non revisionabilità della stessa (art.139)-, di reintegra del diritto affermato e dunque "tecnico-finanziaria a valle"
Parliamo quindi delle conseguenze ripristinatorie che la Costituzione prevede come effetto necessario della tutela costituzionale già accordata (art.136 Cost.; ciò ovviamente concerne, spero sia chiaro, l'applicabilità delle norme dichiarate illegittime nei rapporti pendenti, certamente non esauriti, e controversi di fronte ai giudici "ordinari" che hanno rimesso la questione alla Corte).  E' chiaro che la stessa Corte, di fronte al sistematico riproporsi di questa esigenza tecnico-finanziaria, si troverebbe nell'alternativa, molto pratica: i) o, (per evitare il protrarsi di questa prolungata incertezza sulla effettività dei principi costituzionali), di rinunciare progressivamente a interpretare le norme costituzionali in senso incompatibile con la radice €uropea di questa linea di politica economico-fiscale, accettando de facto la novazione del principio fondamentale unificante della Costituzione: il che significa una novazione da quello lavoristico e quello della conservazione "ad ogni costo" della moneta unica, così come ratificato nel fiscal compact-pareggio di bilancio. Con ciò, però, rinuncerebbe al ruolo che la stessa Costituzione le ha assegnato, divenendo un giudice del tutto soggetto alla superiorità incondizionata dell'intero diritto europeo; ii) ovvero, di prendere una posizione che ribadisca il filtro dell'art.11 e dell'art.139 Cost. - da lei stessa affermato in più pronunce-  confermando il paradigma della Repubblica fondata sul lavoro (artt. 1, 3 e 4 della Costituzione); ma questo solo affrontando il "cuore del problema":
"...cioè il legame tra:
- livello del bilancio fiscale, ridotto col "consolidamento" (quantomeno nelle intenzioni dichiarate, poichè i risultati, a causa dello strutturarsi di un elevato livello di disoccupazione, sono in pratica opposti o incongruenti, come prova l'aumento del rapporto debito su PIL e il costante mancato verificarsi della riduzione del deficit annuale programmato nelle stesse manovre finanziarie);
- vincolo a monte del consolidamento, cioè il pareggio di bilancio (in tutte le sue forme, comunque riduttive dell'indebitamento annuo);
- e disoccupazione-livello delle retribuzioni (e quindi anche del successivo trattamento pensionistico);
 ...
"dovendo" chiarire, a se stessa e alla comunità sociale intera, coinvolta nella tutela costituzionale, il perchè si sia adottato il paradigma del pareggio di bilancio, e comunque (da decenni, in un crescendo, niente affatto casuale ed estraneo al meccanismo prevedibile della moneta unica) della riduzione/compressione del deficit pubblico; cioè una politica fiscale che non promuove certo la crescita, l'occupazione e la tutela reale del reddito da lavoro". 


6. Dunque la Corte accetta la "novazione" del principio fondamentale unificante del modello socio-economico costituzionale. Inutile affaccendarsi eccessivamente: se la tutela reintegrativa non vale (più) per il diritto al lavoro - e ciò preannuncia anche il modo di futura evetuale lettura della Corte sul jobs act, qualora le fosse sottoposto-, ancor più non vale,  implicitamente ma necessariamente, per ogni altro diritto di "minor forza" nell'ordito costituzionale.
Ma è questa una buona scelta nell'interesse della Nazione? 

Certamente no. 
Come abbiamo anticipato in precedenza: aderire alla superiorità rimodellatrice del pareggio di bilancio (o anche solo semplicemente della copertura in pareggio di bilancio di ogni spesa pubblica prevista dalle norme costituzionali), non è qualcosa che può giustificarsi come terapia ad uno stato di crisi e, quindi, come il rimedio ad una (molto presunta...contra facta concludentia) situazione transitoria, creata da strane congiunture astrali o metereologiche (come si credeva, rispetto alle crisi economiche cicliche, prima di quella del 1929 e dell'avvento dei modelli keynesiani basati sulla domanda aggregata); la crisi economica italiana, infatti, non è una casualità esogena alle politiche fiscali ed economiche imposte dall'adesione all'euro, da cui proprio il pareggio di bilancio ci tirerebbe fuori.
E' notoriamente vero il contrario.
7. La Corte si è fatta evidentemente inibire dalle polemiche scaturite sul "costo" per le finanze pubbliche della sentenza sull'adeguamento pensionistico. In sede di giudizio si sono tirate fuori stime di un onere, a titolo di restituzione del non corrisposto ai pubblici impiegati a seguito del blocco, di 35 miliardi. A me pare che questa stima sia poco più di una "facezia". 
Basti dire che i giornaloni avevano diffuso che la perdita di soldi per gli stessi dipendenti ammontava a 5000 euro in media (da ritenere lordi, cioè anteriormente alla tassazione), a partire dal blocco iniziale, posto da Tremonti nel 2010 (e prorogato dal governo Letta nel 2013, alla scadenza del primo): cosa che, a essere pessimisti, avrebbe condotto a restituzioni, per tutto il periodo interessato, pari a circa 15-16 miliardi.

Il paradosso è che l'effetto di restituzione costituisce, per definizione, una spesa una tantum e quindi non "sfascerebbe" i conti dello Stato in modo definitivo anche in assenza di copertura: ed anche in sede europea, il carattere una tantum, se così spesso mal considerato sul lato delle entrate, cioè della politica "austera" e dei saldi conseguenti, non si capisce perchè (ma stiamo ironizzando), non dovrebbe altrettanto non essere considerato preoccupante sul lato delle uscite, appunto, non strutturali e, quindi, non rilevanti ai fini di un'eventuale procedura di infrazione al limite del deficit (come insegnano Francia, Spagna e, in realtà, ogni altro paese dell'eurozona che non sia l'Italia; almeno tra quelli con una posizione netta sull'estero negativa e con un rapporto debito/PIL in crescita; rammentiamo che Spagna e Francia, e non solo, hanno visto aggravarsi questo rapporto, in termini di variazione dall'inizio della crisi, in misura molto più ampia che l'Italia). 
Nel corrispondere queste somme, infatti, il nostro deficit nominalmente si sarebbe aggravato, grosso modo, di 1 punto di PIL. 
Secondo le stime attuali (che però, come tutti gli attestati "ufficiali" sulla contabilità pubblica, a cominciare dal DEF, vanno presi con beneficio di inventario), questa spesa una tantum, porterebbe (o avrebbe portato, più esattamente) il nostro deficit a 3,6 punti di PIL: sempre abbondantemente meglio di quanto registrato, nel 2014, - per tacere degli anni precedenti- da Spagna e Francia.
Ma, in realtà, questo punto di PIL di spesa pubblica aggiuntiva a favore del lavoro, avrebbe un moltiplicatore fiscale di circa 1,7-1,8. Ergo, aumenterebbe il PIL in tale misura. Poichè, com'è noto, la pressione fiscale "effettiva"  (cioè quella sui redditi che, come quelli dei lavoratori dipendenti, costituiscono piena e inelusa base imponibile), secondo la Corte dei conti, sarebbe pari al 53% (almeno nel 2013), da ciò consegue che le entrate sarebbero ragionevolmente accresciute di circa 0,9 punti di PIL (e facciamo un calcolo approssimativo per difetto, potendo, per talune voci autorevoli, considerarsi un moltiplicatore di breve periodo persino superiore).


8. Ne consegue che il PIL sarebbe aumentato, nell'anno successivo alla restituzione integrale, di circa 1,8 punti e, a seguito del gettito fiscale aggiuntivo da ciò derivante, il deficit non sarebbe stato di 3,6 (cioè integralmente aggravato da tutto l'onere della restituzione), ma, all'incirca, "peggiorato"di...o,1 (zero virgola uno) punti di PIL.
In compenso, per effetto di una crescita aggiuntiva di 1,8 punti di PIL, il rapporto debito/PIL sarebbe matematicamente migliorato:  il numeratore, infatti, avrebbe subito un aggravio (in variazione rispetto alla precedente situazione) di 0,1, ma il denominatore sarebbe aumentato 18 volte tanto (sempre in variazione, positiva, rispetto alla situazione in precedenza prevista).
Ma questo non può che condurci a concludere che la Corte non riesce, culturalmente, a comprendere i meccanismi causali della crisi (e forse non vuole, presa com'è dalla inmpressionante tenaglia dell'offensiva propagandistica filo-europea di governo e media, che compiono la consueta narrazione "siamo in crisi perchè non abbiamo fatto le riforme")...E continua a credere che il "più €uropa" e i "conti in ordine" siano la soluzione invece della causa della stessa.

martedì 23 giugno 2015

UN CALCIO ALLA GRECIA E...IL CALCIO ITALIANO: VITE PARALLELE.

http://i.ebayimg.com/00/s/ODg2WDY1Mg==/z/g-8AAOxy9X5TZQTN/$_35.JPG

1. Sulla questione Grecia si staglia, tragicomico, l'effetto "calciomercato".
Il rinvio continuo della soluzione, in occasione di ogni scadenza "ultimativa", per ulteriori riflessioni, dopo settimane (anzi, mesi), di trattative in cui le parti già conoscevano benissimo cosa e "quanto" fosse in gioco, rammenta la (curiosamente parallela) vicenda Nainggolan.
Più in generale, lo stop and go sulla Grecia - su cui siamo già certi che dovrà fare una manovra di consolidamento fiscale per 2 punti di PIL, ripiombando il PIL in segno nettamente negativo, e cioè in una nuova recessione, socialmente pesantissima-, mette in scena uno spettacolo quasi identico a quelle trattative che si svolgono oggi tra le squadre di calcio italiane, in cui "esigenze di bilancio" e i vari accorgimenti contabili, dominano i comportamenti negoziali. Con grande fortuna degli specialisti mediatici del calciomercato, che possono sfoggiare l'analisi da insider, dimenticando, curiosamente, il dato fondamentale (esattamente come fa la grancassa mediatica orwelliana sulle questioni economiche): anche il calcio italiano risente della crisi determinata dall'euro.

2. Il meccanismo è sotto gli occhi di tutti, come la parabola discendente di quello che dovrebbe essere il riscontro della competitività del prodotto calcistico nazionale (in sè): le varie nazionali di calcio
Si parte, infatti, da un cambio fisso (sì, alla fine, questo è il senso della moneta unica-marco, priva di governo e con una banca centrale che finge di essere per tutti...ma che è "per nessuno"), con una moneta dal corso troppo alto per il nostro livello inflattivo "naturale"; vincoli di deficit pubblico simultanei; da cui, prima caduta della domanda estera per vincolo monetario sul settore esportativo, poi conseguente continuo aumento della pressione fiscale (qui, p.4); e, dunque, ricaduta in un'ulteriore flessione della domanda interna per investimenti e consumi; fino al trend distruttivo che erode la stessa base industriale, smantelladola progressivamente (via via che l'euro si staglia come irrinunciabile e irrevesibile).

3. Nel calcio (in modo paradigmatico), abbiamo così  vivai che non producono "merce" competitiva coi prodotti-giocatori esteri; carenza di liquidità che riduce la stessa possibilità di innovazione e investimento (autogenerata come in precedenza); ricorso ad una importazione (investimenti-innovazione con indebitamento estero) sempre più marginale rispetto ai competitori esteri; IDE sempre più diffusi sugli operatori incumbent nazionali, che divengono a proprietà estera o "delocalizzata" (cioè il vero azionista di controllo è un soggetto non residente ai fini gestionali e fiscali ed eventuali profitti non reinvestiti finiscono all'estero).

Il calcio, come settore industriale, risulta dunque affetto da perenne deficit delle "sue" specifiche partite correnti, per continua importazione di beni strumentali (atipici: i giocatori), inclusa la conseguente voce "redditi" (e registra un forte deficit anche come specifica posizione netta sull'estero). 
In modo eloquente, in conseguenza della crescita dei costi relativi rispetto al resto dell'€uropa, e dell'ambiente fiscale euro-imposto, subisce la contrazione della domanda interna (incassi per pubblico pagante, sponsor, diritti televisivi legati ad una pubblicità televisiva sempre più asfittica). 
http://www.nottesport.it/wp-content/uploads/2014/09/pallotta-thohir.jpeg

Ergo, si deprezzano i valori patrimoniali delle società: le quali, poi, almeno quelle più competitive sul piano dell'avviamento e del marchio (a suo modo un ex orgoglio del made in Italy), o falliscono o finiscono in mano estera a prezzi (corsi azionari) molto convenienti...per gli investitori esteri. Questi, un tempo (quando non eravamo infognati nel...fogno dell'euro), non si sarebbero mai immaginati di venire "in salvataggio" di società che avevano non solo  prospettive di crescita, ma potevano aspirare (e riuscivano) ad essere leader del rispettivo mercato.
Ma tutto questo "Alice", - l'Italia sognante e neo-livorosa, a caccia di autorazzismo-, "non lo sa". E non gli interessa di saperlo.
E, infatti, della questione greca non coglie (Alice) la sua vera dimensione di riflesso in uno specchio (deformante), se non per qualche accanimento livoroso (autoriflettente)...

domenica 21 giugno 2015

LA SENTENZA DELLA CORTE €UROPEA SULL'OMT. L'ARMA SPUNTATA CHE RATIFICA IL METODO GRECIA E LETTERA BCE

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1. Vista la situazione dell'€uropa, lo status della vicenda greca e della stessa politica italiana, appare molto utile analizzare la sentenza (quella vera) della Corte di giustizia europea sull'Outright Monetary Transaction
Il contagio potenzialmente derivante dalla crisi greca, infatti, potrebbe riportare alle già viste (nel 2011-2012) tensioni sugli spread dei paesi debitori con l'estero dell'area euro. Come il LTRO non risolse all'epoca il problema, allo stesso modo, il QE non pare in grado ora di fronteggiarlo, essendo espressione di una misura monetaria pro-quota, che agisce in modo da rispettare le proporzioni di partecipazione dei vari paesi alla BCE e quindi tende a lasciare inalterata la situazione di equilibrio/squilibrio reciproca (dei tassi di cambio reale, e cioè della competitività, e quindi del trend dei rispettivi crediti-debiti che riflettono gli accentuati rapporti di forza tra le economie dell'eurozona).

2. La sentenza attuale è stata, dai media italiani, annunciata come un sostanziale "via libera" alla stessa OMT e quindi alla possibilità di superamento, per via di intervento della banca centrale addetta all'euro, dei più gravi problemi della stessa valuta unica.
Noi sosteniamo che ciò non solo non sia vero nella "forma", cioè nella costruzione motivazionale della sentenza CGUE, ma neppure nella sostanza dei fenomeni economici e finanziari a cui la sentenza rinvia; in pratica assumendo tali fenomeni come "dati", certi in ipotesi, senza alcuna seria riflessione sull'effettivo senso economico delle norme dei trattati e senza alcuna capacità logico-critica legata ai dati provenienti dalla realtà economica dell'euro-zona.

L'OMT risulta così, in partenza, un'arma spuntata e, anzi, come conseguenza degli assunti presi come scontati e unquestionable dalla Corte, addirittura potenzialmente dannosa per la sovravvivenza del (residuo) benessere economico dell'area-euro.

3. Per comprendere la decisione della CGUE risulta utile attenersi al comunicato stampa da questa emesso all'indomani dell'annuncio della sentenza stessa. 
La motivazione per esteso della sentenza è ritrovabile qui; ma, non contiene sostanziali e rilevanti concetti aggiuntivi rispetto al comunicato stampa, atteso il consueto stile redazionale della Corte, che ricorre a frequenti e ridondanti parafrasi (e perifrasi o circonlocuzioni), delle norme e degli assunti da dimostrare, per..."interpretare" le prime e "dimostrare" i secondi. Cioè reitera lo stesso concetto con altre parole, più volte, creando sviluppi argomentativi solo apparenti e che si risolvono in mere petizioni di principio (schema logico del paralogismo: "poichè è così ne consegue che è così").

Non che il comunicato stampa sia molto diverso, nell'uso della parafrasi e della circolocuzione reiterative e autodimostrative, mediante paralogismo (ma non poteva essere diversamente, dato che ridurre una serie di paralogismi espansi porta solo a paralogismi sintetici o "di secondo grado"); ma almeno l'esigenza di operare una sintesi consente di cogliere con maggior immediatezza i capisaldi delle affermazioni della Corte.

4. Vediamo dunque qualche passaggio essenziale: 
"La Corte constata che il programma OMT, alla luce dei suoi obiettivi e dei mezzi previsti per raggiungerli, rientra nella politica monetaria e dunque nelle attribuzioni del SEBC.
Da un lato, mirando a preservare l’unicità della politica monetaria, il programma OMT contribuisce alla realizzazione degli obiettivi di tale politica, nella misura in cui quest’ultima deve, secondo i Trattati dell’Unione, essere «unica».
Dall’altro lato, mirando a preservare un’adeguata trasmissione della politica monetaria, il suddetto programma è, al tempo stesso, idoneo a preservare l’unicità di tale politica e a contribuire all’obiettivo principale di quest’ultima, che è il mantenimento della stabilità dei prezzi.
Infatti, l’idoneità del SEBC ad influire sull’evoluzione dei prezzi mediante le sue decisioni di politica monetaria dipende, in larga misura, dalla trasmissione degli impulsi che esso emette sul mercato monetario ai vari settori dell’economia. Di conseguenza, un funzionamento deteriorato del meccanismo di trasmissione della politica monetaria può rendere inoperanti le decisioni del SEBC in una parte della zona euro e mettere così in discussione l’unicità della politica monetaria. Inoltre, poiché un funzionamento deteriorato del meccanismo di trasmissione altera l’efficacia delle misure adottate dal SEBC, la capacità di quest’ultimo di garantire la stabilità dei prezzi risulta necessariamente pregiudicata. Il fatto che il programma OMT possa eventualmente contribuire anche alla stabilità della zona euro (il che rientra nella politica economica) non vale a rimettere in discussione detta valutazione. Infatti, una misura di politica monetaria non può essere equiparata ad una misura di politica economica per il solo fatto che essa può avere effetti indiretti sulla stabilità della zona euro
".

Già questo fondamentale passaggio esplicativo contiene una serie impressionante di inesattezze e di contraddizioni. E questo alla luce della stessa teoria monetarista che, senza alcun cenno di consapevolezza e cura di giustificarne l'attendibilità, la Corte fa implicitamente ma fermamente propria.
L'OMT, tanto per cominciare dall'inizio, è un programma di acquisti di titoli del debito pubblico mirati su uno specifico paese, piuttosto che, - come (almeno potenzialmente) avviene per LTRO, TLTRO e QE-, egualitariamente spalmato, in proporzione a delle quote  prestabilite, su tutti i paesi dell'eurozona.
Dunque, l'OMT rompe l'unitarietà della politica monetaria piuttosto che riaffermarla; più precisamente ne rompe la "centralità", cioè il carattere accentrato e distribuito indifferenziatamente sull'intera eurozona, per delle esigenze prese in considerazione, dalle stesse norme europee, come unitarie e non rifrangibili in problematiche dei singoli Stati. Questa ora evidenziata è la vera caratteristica statutaria della politica monetaria affidata alla BCE, cosa che pare sfuggire alla CGUE, che subito introduce un equivoco concetto di "unità" di cui l'OMT sarebbe una manifestazione, che non ha fondamento nè tecnico, nè letterale, nell'art.127 del TFUE e tantomeno negli artt. 2 e 3 dello Statuto SEBC-BCE.
Recita infatti l'art.3 dello Statuto:
       Articolo 3
Compiti
3.1. Conformemente all'articolo 127, paragrafo 2, del trattato, i compiti fondamentali assolti tramite il SEBC sono:
definire e attuare la politica monetaria dell'Unione;
— svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 219 del trattato;
— detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
— promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.

Questa la norma quanto al paragrafo che ci interessa e che, in ordine alla questione dell'OMT (cioè se essa rientri o meno nella politica monetaria),  si limita al primo alinea: "la politica monetaria dell'Unione", in quanto tale risulta chiaramente unica, nel senso di "indifferenziata" e non scindibile rispetto alle esigenze di un singolo paese, quindi inevitabilmente centralizzata (come il QE, appunto).

5, Ma c'è di più: la CGUE, nel suo ragionamento, aggancia l'esigenza dell'OMT, in modo alquanto disinvolto e indimostrato, cioè apodittico, al compito di preservare la stabilità dei prezzi, cioè al mandato principale e prioritario - nel senso di non derogabile alla luce di alcuna circostanza o valore subordinatamente concorrente, sia pure enunciato in via statutaria -  e introduce, a rafforzamento di ciò, il curioso accostamento con i meccanismi di trasmissione della politica monetaria.

Ebbene, appare arduo dimostrare, proprio alla luce della accolta teoria monetaristica, che l'OMT sia collegabile alla stabilità dei prezzi
Quest'ultima significa che l'inflazione nei vari paesi dell'area euro deve tendere ad un valore unico e condiviso stabilito in un target che, attualmente, è quello del 2% (da notare che della fissazione di tale specifico target non parla affatto nè il Trattato, nè lo Statuto SEBC-BCE: il target di inflazione si connette all'idea monetarista che il livello dei prezzi sia legato alla offerta di moneta da parte della Banca centrale alla quale spetta soltanto, in prima ed esplicita attribuzione di potere, la fissazione dei tassi di interesse, che, a sua volta, sempre negli assunti monetaristi, influenzerebbe la moneta circolante, scendendo dalla moneta emessa dalla banca centrale - nell'UEM esclusivamente a favore del sistema bancario- fino all'aggregato monetario quantitativamente disponibile  per le transazioni tra soggetti economici, detto M3).

Questo dato, normativizzato, cioè trasposto nelle disposizioni dei trattati sulla politica monetaria, potrebbe giustificare l'OMT come misura, eccezionalmente non "unitaria" in sè, ma strumentalmente (in funzione dell'obiettivo della stabilità dei prezzi "unitaria") differenziata per ciascuno Stato di volta in volta beneficiario.
Essa costituirebbe cioè una misura idonea a ripristinare l'unicità del livello inflattivo, e quindi a raggiungere il principale obiettivo della politica monetaria, che è la stabilità-unicità dell'inflazione (sul target prefissato) in ogni parte dell'area euro. 
Nel caso, ciò dovrebbe risolversi in un aumento mirato, e su un singolo Stato, dell'offerta di moneta, e in generale della liquidità apprestata ad un paese. Simultaneamente, esso, nell'assunto monetarista, si risolve in una misura reflattiva: cioè l'offerta di moneta in quel singolo Stato aumenterebbe e questo riportebbe la sua inflazione in alto, verso l'obiettivo del target. 
Ciò presuppone - ed è questo un punto essenziale, non a caso taciuto dalla sentenza CGUE- che tale paese sia in una situazione di deflazione, ovvero di minor inflazione rispetto al target e, comunque, minore in misura rilevante rispetto alla media europea, rilevata in base al peso ponderato dell'inflazione registrata negli altri paesi "principali".

6. Questo dunque sarebbe l'assunto che potrebbe (il condizionale è d'obbligo, data la non incondizionata dimostrazione e accettazione scientifica della validità dell'equazione di base che sottosta allo stesso monetarismo) giustificare l'intervento dell'OMT. 
Ma noi sappiamo che così non è: l'OMT, per sua dichiarata funzione, agisce sui prezzi di collocamento dei titoli del debito pubblico (sia pure in via di intervento sul mercato "secondario" e non su quello di emissione dei titoli sovrani), cioè intende impedire che tali prezzi siano troppo bassi e, per opposta simmetria, troppo alti i rendimenti dei titoli del debito pubblico rispetto a quanto fissato in sede di collocamento dal singolo Stato.
L'OMT, infatti, vuole ovviare al problema degli spread, che facendo innalzare i rendimenti di un paese, rispetto a quanto ottenuto nella stessa sede dallo Stato più "competitivo" sul mercato dei titoli (com'è noto la Germania, sui cui collocamentiviene tarato, in media, lo spread), rende per quel Paese eccessivamente costoso il servizio del debito pubblico, costringendolo a una dura politica di bilancio per rientrare nel target di indebitamento-deficit vincolante i paesi dell'eurozona.

7. Dunque, l'OMT, risulta in sè estranea ad un reale obiettivo attinente alla stabilità dei prezzi: e ciò proprio rammentando che, normalmente, almeno nella fase iniziale della crisi degli spread sul debito sovrano, gli Stati interessati avevano registrato, - ed accumulato per anni!-, tassi di inflazione più alti, e non più bassi, di quelli dei paesi bench-mark (la solita Germania), e comunque più alti dell'inflazione media dell'eurozona (e del solityo target al 2%). 
Ebbene, in tale situazione, acuitasi progressivamente nei primi anni di vita dell'euro, la BCE non aveva sentito alcun bisogno di intervenire sul versante di quello che sarebbe il "core" statutario della politica monetaria consentitale: e quindi anche solo ipotizzando misure di intervento differenziate per provvedere alla reflazione o disinflazione dei paesi interessati dai differenziali. E certo questi interventi sarebbero stati previdenti e dotati di un timing essenziale (ammesso che la politica monetaria, nonostante la sua versione monetarista accettata in UEM, sia in grado di ovviare a tale problema).
Gli spread, d'altra parte, non si manifestavano come un problema, nonostante l'accumulo di differenziali inflattivi e di indebitamento estero dei paesi più "inflazionisti". E di questo fenomeno, di questa realtà, non c'è traccia nella sentenza CGUE!
La situazione attuale, parimenti ignorata dalla BCE, è che  paesi potenzialmente candidati all'OMT, in particolare i PIGS, hanno un'inflazione più bassa di quella della Germania (per lo più: sicuramente tale è il caso dell'Italia o della Spagna).
Ma, come abbiamo visto, il presupposto dell'intervento della BCE è l'eccessivo costo del debito pubblico attestato dagli spread e non il differenziale di inflazione: non lo era prima quando tale inflazione nei paesi PIGS (cioè indebitati con i paesi creditori dell'eurozona), era più alta, non lo sarebbe ora, che l'inflazione risulta più bassa.

http://www.economy2050.it/wp-content/uploads/2014/09/inflation.png

 dati sull'inflazione nell'euro zona al 2014 - http://www.economy2050.it/inflazione-europea-bassa/ 

Esemplificativa la situazione italiana:
http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/06/31.png 

8. Tralasciamo la circostanza (non trascurabile) che tutte le politiche economiche e fiscali imposte dalle istituzioni UEM (Eurogruppo, Commissione e BCE, raggrumate nel c.d fiscal compact),  - anch'esse del tutto ignorate nella sentenza CGUE- abbiano evidenziato, come loro antecedente, un clamoroso fallimento della politica monetaria della BCE, dimostrando semmai che il livello dei prezzi non è affatto controllato dall'offerta di moneta della Banca centrale (nonostante i LTRO, TLTRO e lo stesso QE), meno che mai in misura unitaria in tutta l'area euro. 
Rimane comunque che quello che, nei fatti, l'OMT deve fronteggiare quale "rimedio", è proprio l'opposto del problema a cui l'offerta aggiuntiva di moneta - esplicata mediante l'acquisto dei titoli- dovrebbe sopperire in attuazione della politica monetaria consentita alla BCE dal suo Statuto: l'OMT dovrebbe infatti evitare che, attraverso il concorso del "vincolo esterno" fiscale, cioè il target di bilancio, il peso della correzione imposta ai paesi che hanno registrato un cumulo pregresso di inflazione - e quindi hanno operanto una rivalutazione interna dei propri tassi di cambio reale con accumulo di posizioni sull'estero eccessivamente negative - divenga insostenibile
Quindi l'OMT dovrebbe evitare che l'appartenenza all'euro si risolva in una eccessiva austerità fiscale e quindi in un'eccessiva recessione-stagnazione unita a deflazione (o ad una situazione prolungata di inflazione eccessivamente bassa rispetto al target dell'eurozona).
Ma è evidente che tale misura adottata dalla BCE si risolve in un aiuto alle finanze pubbliche, attuato non tanto in violazione dell'art.123 del TFUE (che, come nota anche la Corte, vieta l'acquisto diretto dei titoli di Stato non quello, come nel caso dell'OMT, sul mercato secondario), quanto degli artt. 124 (divieto di accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie UEM) e 125 (divieto di responsabilità dell'Unione o di uno Stato per il debito contratto da un altro Stato dell'eurozona).
L'OMT, piuttosto, consente di supplire a quanto i "mercati" costringerebbero a pagare in termini di maggiori interessi, che costituiscono pur sempre una spesa pubblica (cioè un "impegno assunto" dal singolo Stato "soccorso") che deve comunque trovare copertura in tendenziale pareggio di bilancio (e sicuramente nel pesante limite del 3%, fisso e invariabile). 
Quello che, obiettivamente, dovrebbe essere l'obiettivo dell'OMT,  è di evitare di costringere i paesi con un tale differenziale di finanziamento sui mercati, a indebolire la propria domanda interna, e la propria crescita, ben al di là di qualsiasi limite di ragionevolezza (la stagnazione e la recessione causate dall'austerità fiscale, oltre un certo limite temporale, come si constata in Grecia, ma anche in Italia, divengono distruttive, e in modo irreversibile, della capacità produttiva presente e futura di uno Stato). 
Dunque, in termini molto pratici, se considerata nei suoi effettivi e comunemente noti presupposti, si tratta di una misura che concorre alla politica fiscale €uro-imposta, mitigandola, e ha essenzialmente presupposti e finalità di politica economica
La Corte europea ignora completamente tutto ciò; in sostanza, come potete constatare dalla lettura, parla d'altro: di qualcosa che dissimula, dietro a formule non ben definite e non utilizzate con coerenza e rigore scientifico-economico, un tentativo di portare sul piano della politica monetaria qualcosa che appartiene a presupposti e ad obiettivi di politica economico-fiscale.   

9. Certo, partendo da formule para-economiche, astrusamente ritratte dalle norme europee, e neppure coerenti col senso della dottrina economica abbracciata, ed evitando di considerare i "fatti" storicamente concreti in cui si colloca l'idea dell'OMT, si può sostenere di tutto: specie facendo il segnalato largo uso di parafrasi e perifrasi.

Ma non si può evitare di scrivere cose astruse, appunto, e contrarie ai fatti. Ed alla sostanza economico-scientifica.

Dire, come fa la Corte, che la "stabilità dell'area euro", cui contribuerebbe solo "incidentalmente", l'OMT, sarebbe un compito di politica economica, non spettante alla BCE-SEBC, è intimamente contraddittorio. La verità è che la politica monetaria, quale intesa proprio dai monetaristi, è la forma principale e praticamente unica di politica economica compatibile con l'equilibrio del sistema.

10. Rammentiamo i caposaldi del pensiero economico di Friedman, alla base della formulazione dei trattati:

a) si ristabilisce la fiducia nell’operare dell’economia di mercato (cioè nel modello generale domanda-offerta avulso dai fenomeni di concentrazione del potere di impresa);
b) si assegna una più elevata priorità all’obiettivo della stabilità dei prezzi;  
c) quindi si attribuisce all’intervento pubblico e alle autorità monetarie la residuale ed esclusiva responsabilità del processo inflazionistico.
...Friedman si richiama esplicitamente alla teoria quantitativa e ne propone una riformulazione:
- gli operatori prendono le loro decisioni sulla base delle variabili reali del sistema, che riflettono il loro potere di acquisto;
- la domanda di moneta si mantiene stabile nel tempo: esiste cioè evidenza empirica di una relazione funzionale stabile tra questa e i fattori che la determinano.
In base a queste nuove ipotesi, Friedman dimostra che il tasso di variazione dei prezzi (cioè il tasso di inflazione) è pari alla differenza tra il tasso di crescita dell’offerta di moneta e il tasso di crescita della domanda di moneta per fini transattivi
La politica di stabilizzazione del ciclo economico, in questa ottica, passa per le seguenti ineludibili vie (che trovano una evidente Eco in molti tratti delle attuali politiche monetarie propugnate da Bundesbank e, di riflesso, dalla BCE):
1) le autorità possono ridurre la disoccupazione al di sotto del tasso naturale solo nel breve periodo e solo perchè il livello di inflazione non è ancora anticipato in modo corretto. L’ipotesi di aspettative adattive implica aggiustamenti graduali e non immediati delle aspettative e la politica fiscale può ancora essere efficace nel breve periodo;
2) qualsiasi tentativo di tenere il livello della disoccupazione al di sotto del suo tasso naturale produce solo una accelerazione della inflazione;
3) se si intende ridurre il tasso naturale di disoccupazione e quindi aumentare il livello dell’output è necessario perseguire politiche dal lato dell’offerta per migliorare la struttura e il funzionamento del mercato del lavoro piuttosto che politiche dal lato della domanda;
4) il tasso naturale di disoccupazione, (come abbiamo visto), è compatibile con qualsiasi tasso di inflazione che a sua volta è determinato dal tasso di espansione monetario come postulato dalla teoria quantitativa. Data la convinzione che l’inflazione è essenzialmente un fenomeno monetario dovuto ad un eccesso di crescita monetaria, i monetaristi affermano che l’inflazione può essere ridotta solo riducendo il tasso di crescita della offerta di moneta."

11. Nella concezione monetarista, dunque, la politica economica si riduce principalmente alla politica monetaria, cioè alla corretta e dinamica determinazione dell'offerta di moneta da parte della banca centrale, agendo principalmente sul livello del tasso di interesse, ammettendosi solo mirate e limitate politiche fiscali sul c.d. "lato dell'offerta" (cioè di abbassamento dei costi delle imprese, essenzialmente per il "perfezionamento" del mercato del lavoro flessibilizzato).
Come si possa distinguere la politica monetaria da quella economica, e quindi, ritenere che sia estranea ai compiti affidati alla BCE la stabilizzazione dell'area euro, è teoricamente inspiegabile, utilizzando il bagaglio teorico-concettuale che la stessa Corte ha scelto di utilizzare.

Il punto è che fare questa curiosa distinzione tra politica monetaria, clou della politica economica tout-court, in "ambiente" monetarista, e politica economica in senso stretto, è un controsenso teorico-scientifico (e quindi la creazione-ratifica di un monstruum per via giurisdizionale) che nasce da due ragioni (entrambe non esplicitate, ed anzi tenute nascoste, dalla sentenza CGUE):
a) la difettosità istituzionale della moneta unica, che impedisce (esplicitamente) persino alla banca centrale di tentare di supplire alla mancanza di un governo federale di trasferimenti all'interno dell'area valutaria unica, tra Stati con governi nazionali che rimangono differenziati, difettosità attestata dai segnalati divieti di cui agli artt. 123-124-125 del TFUE, nonchè dalla monca formulazione della mission BCE-SEBC di cui agli artt.127 e 2 dello Statuto;
b) la non neutralità dell'approccio economico monetarista, che tende a riversare ogni correzione degli squilibri economici sul mercato del lavoro, mentre, con ciò, come dimostra la realtà europea, si ottiene persino la sostanziale inefficacia delle politiche economiche-fiscali sul lato dell'offerta.
In sintesi, la tensione esclusiva, di ogni possibile politica economica istituzionalmente ammessa in UEM, a contenere l'inflazione entro un certo target, determina, a valle, per imposizione ai singoli Stati, un mercato del lavoro che priva di vitalità la domanda interna e paralizza l'economia in una crisi di liquidità, sempre pronta a trasformarsi in crisi di insolvenza, praticamente irrisolvibile. 
Da ciò l'ulteriore conseguenza della impotenza del monetarismo, e quindi degli strumenti monetari e fiscali ammessi dai trattati, a svolgere politiche reflattive capaci di rilanciare la produzione.

12. Se questo è il quadro, non deve certo stupire che la Corte amplifichi le sue contraddizioni col caratterizzare la specificità della politica monetaria, a cui sarebbe (abbiamo visto "misteriosamente") legata l'OMT, col legame al ripristino dei "meccanismi di trasmissione della politica monetaria".
E' proprio in tali meccanismi che, all'opposto esatto di quanto ritenuto dalla Corte, si ritrova la natura di politica economica tout-court della politica monetaria in base alla teoria monetarista.
La conclusione è che il richiamo che fa la Corte indebolisce e sottrae ogni attendibilità e ogni verosimiglianza scientifica al ragionamento da essa svolto. 
In particolare risulta del tutto inspiegabile come possa, l'impedimento a svolgere l'OMT, minare alla base la capacità della BCE di perseguire la stabilità dei prezzi, quando l'OMT non viene affatto decisa per ovviare a ragioni di instabilità dei prezzi, agendo a posteriori,  e in termini di soccorso di liquidità apprestato direttamente agli Stati (singoli prescelti), in una situazione in cui si è già dimostrata l'incapacità dell'azione sui tassi di interesse di perseguire tale stabilità e di imporre all'area valutaria un unico livello dell'inflazione.
Come possa connettersi l'OMT ai meccanismi di trasmissione monetaria - dati i suoi presupposti sostanziali sopra evidenziati- e come possano estraniarsi questi stessi presupposti proprio dalla politica economica, è un vero e proprio clamoroso salto logico (che si aggiunge agli altri, in premessa) della sentenza CGUE.

13. Prendiamo in esame, da fonte ortodossamente monetaristico-bancaria, tali meccanismi di trasmissione. In sintesi essi sono così riassumibili nella loro natura, incidenza (economico-sostanziale) e funzionalità:

 13.1. Il canale del tasso di interesse
 Questo costituisce la più classica dimostrazione che la politica economica monetarista coincide con quella monetaria. Da rilevare come l'OMT, a differenza della diretta e ben diversa manovra sui tassi, non possa avere alcuna influenza sui tassi di accesso del sistema bancario nazionale al rifinanziamento da parte della BC, che rimane fissato nel previsto modo "unico". 
Certo, se parliamo di OMT, sovviene la possibilità di interventi fiscali di sostegno al sistema bancario nazionale, agevolata dalla riduzione della spesa per interessi sul debito, sostegno (a carico dei contribuenti) che può condurre ad una certa ripresa del credito interbancario. Ma non si tratta certo di una manovra di tipo monetario, quanto sicuramente fiscale (sul lato dell'offerta, intervenendosi sui bilanci di un settore industriale specifico, per quanto pesantemente coinvolto nella creazione di moneta...privato-bancaria, non connessa alla banca centrale).
"Una manovra espansiva di politica monetaria () determina una subitanea riduzione dei tassi ufficiali (), riducendo dunque il prezzo che le singole banche commerciali debbono corrispondere alla Banca Centrale per accedere al rifinanziamento.1 In condizioni "normali", anche il tasso interbancario dovrebbe ridursi () generando un’espansione dei prestiti tra singole banche. Queste ultime, a loro volta utilizzeranno questo eccesso di liquidità acquistando attività finanziarie ed erogando maggiore credito al settore privato. Sul mercato dei titoli, l’aumento della domanda esercita una pressione al rialzo dei prezzi ed un’ulteriore contrazione dei tassi di interesse nominale che, a parità di aspettative di inflazione, si riflettono in una riduzione del tasso di interesse reale (). Tutto ciò favorisce l’andamento della domanda interna attraverso l’espansione di investimenti e consumi ()..."

13.2. Il canale dei prezzi delle attività finanziarie
Anche qui, funzione ed effetti sono tipicamente sul piano della politica economica, predicandosi un presunto effetto di maggior propensione all'investimento degli utilizzatori di capitali e un effetto ricchezza connesso alla ricchezza mobiliare delle famiglie. In parte ciò potrebbe connettersi come effetto indiretto all'OMT (se i prezzi dei titoli del debito pubblico si rivalutino); ma abbiamo già constatato, nel caso del LTRO, come ciò, in presenza di una crisi da domanda, possa rinforzare essenzialmente i bilanci delle banche senza rilevanti effetti sull'ampliamento di credito alle imprese e sui consumi. Anzi, con un effetto nullo in questo senso.
"Come accennato al punto precedente, una politica monetaria espansiva è in grado di esercitare una forte pressione al rialzo dei prezzi delle attività finanziarie (), aumentando il valore di mercato delle imprese in rapporto al costo di ricostituzione del capitale (la cosiddetta q di Tobin,) ed influenzando positivamente il valore della ricchezza mobiliare delle famiglie (). Ciò dovrebbe tradursi da un lato in un aumento degli investimenti da parte delle imprese () e dall’altro, assumendo che i consumi delle famiglie dipendano positivamente dallo stock di ricchezza, in un’espansione dei consumi privati ()"

13.3. Il canale del credito interno 
Valgono a fortiori le considerazioni svolte in precedenza: si tratta di un canale che agisce anch'esso sul piano della politica economica e che non si trasmette (se non in misura molto modesta) a investimenti e consumi, nell'attuale situazione dell'eurozona.
"Questo canale di trasmissione è legato all’attivo del bilancio delle banche commerciali e specificatamente alle poste relative ai finanziamenti concessi alle imprese e il portafoglio titoli finanziari. Quando la politica monetaria determina variazioni nei tassi di interesse, le banche commerciali possono trovare profittevole riallocare parte delle proprie attività fruttifere.2 In particolare, è stato chiarito come l’espansione monetaria operata dalla Banca Centrale abbia reso più liquide le banche commerciali aumentando le loro riserve (). Tra le varie modalità attraverso cui investire questa liquidità, abbiamo visto esservi l’erogazione del credito al settore privato (). Si tratta di una finalità istituzionale delle banche commerciali, la cui espansione determina effetti positivi sia sugli investimenti delle imprese che sui consumi delle famiglie." 

13.4. Il canale del tasso di cambio
Questo meccanismo di trasmissione non può per definizione agire nel caso dell'OMT, cioè come sua funzione di riequilibrio tra singoli paesi all'interno dell'eurozona; questa, ontologicamente, non prevede tassi di cambio nominali relativi tra i vari Stati aderenti, tant'è che lo vediamo (in parte) realizzato ora con il QE e ovviamente solo rispetto ai cambi nominali relativi extraUEM.
"La politica monetaria agisce ovviamente anche sul tasso di cambio. In particolare, si è visto come l’aumento della quantità di moneta in circolazione determini una riduzione del tasso di interesse nominale interno. Ciò determina un differenziale negativo tra i tassi di interesse (, dove con si indica il tasso di interesse nominale estero) e – in presenza di perfetta mobilità di capitali e perfetta sostituibilità delle attività finanziarie –un deprezzamento del cambio nominale () dovuto alla simultanea crescita della domanda di valuta estera e dell’offerta di valuta interna sui mercati valutari. Assumendo costanti il livello dei prezzi estero ed il livello dei prezzi interno (come è ragionevole credere che sia nel breve periodo), il deprezzamento del cambio nominale si traduce in un conseguente deprezzamento reale () che, qualora siano soddisfatte le cosiddette condizioni di Marshall-Lerner, esercita un influsso positivo sul saldo delle partite correnti () e dunque sul reddito aggregato."

14. Ma un altro punto è da evidenziare: se da quanto precede, e da quanto specificato su natura ed effetti dei canali di trasmissione della politica monetaria, si comprende la esilità concettuale della distinzione tra politica monetaria e politica economica nel quadro istituzionale UEM nonchè la insanabile contradditorietà del voler contraddistinguere come "monetario" il carattere dell'OMT proprio riconnettendolo ai vari "canali di trasmissione", la Corte poi aggiunge un ulteriore ingrediente alla sua analisi che...taglia la testa al toro.

In perfetta linea con quanto preannunziato dalle conclusioni dell'avvocato generale sulle condizioni di ammissibilità dell'OMT, legate a un quadro di condizionalità di politica economico-fiscale imposta al paese "beneficiato", la Corte ci specifica che:
"Le caratteristiche specifiche del programma OMT non consentono di affermare che esso sia equiparabile a una misura di politica economica. 
Per quanto riguarda il fatto che l’attuazione del programma OMT è subordinata al rispetto integrale, da parte degli Stati membri interessati, di programmi di aggiustamento macroeconomico del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES), non si può certo escludere che tale caratteristica abbia incidenze indirette sulla realizzazione di taluni obiettivi di politica economica. Tuttavia, simili incidenze indirette non possono implicare che il programma OMT debba essere considerato come
una misura di politica economica, poiché risulta dai Trattati dell’Unione che, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC contribuisce alle politiche economiche generali nell’Unione
".

15. Pietra tombale sull'efficacia residua e inconfessabile dell'OMT: esso è subordinato al "rispetto integrale di programmi di aggiustamento macroeconomico", stranamente indicati come imposti dal MES (o dal "fu" EFSF), senza menzionare trojke varie. 
Ma il punto non cambia molto: quand'anche uno Stato acquistasse un po' di respiro dalle pressioni dei "mercati", e disponesse di un certo limitato spazio di intervento fiscale per svolgere una qualsivoglia politica economica, questa sarebbe comunque attratta nella sfera delle politiche di stabilità €uropea; cioè nell'austerità fiscale, nelle privatizzazioni e nelle incessanti riforme del mercato del lavoro. 
Tant'è vero che, in fin dei conti, la Corte, abbandonando la curiosa tesi della distinzione tra politica-monetaria=OMT e politica economica, ci dice (e, in fondo, "confessa") che poco importa distinguerle: in fondo l'austerità vince sempre, anche in caso di OMT.
E quindi dentro l'area euro non c'è altra soluzione che una politica fiscale "credibile" (a dispetto di qualsiasi livello di politica monetaria espansiva): lo smantellamento di qualsiasi intervento dello Stato a sostegno della domanda interna, per indurlo solo a perseguire misure di competitività. A favore essenzialmente dei creditori esteri.

E pensare che la Germania ha avuto ragione; e infatti non risulta che abbia protestato molto per questa sentenza. Che più che un "via libera" al lender of last resort (o più esattamente al "tesoriere") per un singolo paese, è una ratifica (giuridicamente fantasiosa se non insanabilmente contraddittoria) del "modello Grecia" e...del modello "lettera BCE all'Italia dell'estate 2011"
Ma, si sa, la Germania non è mai contenta...