venerdì 30 gennaio 2015

LA RIPRESA FANTASMA E LA LINEA DEL PIAVE DELLA COSTITUZIONE. CHIUNQUE VADA AL QUIRINALE...


1. La corsa verso il Quirinale, come abbiamo visto qui, null'altro finisce per essere che un'enorme autocontemplazione dell'italico ombelico "politicoso".
Un magnifico esercizio di stile dell'espertonismo orwelliano, da propinare ad ulteriore intossicazione da bis-linguaggio, in modo da escludere tutte le parole - e i relativi fenomeni sottostanti - che possano anche lontanamente rammentare al popolo italiano in quale situazione si trovi.
L'idea di fondo è che, non contenti di aver gridato alla ripresa sbagliando ogni stima per circa 4 anni, si passi direttamente alla dichiarazione DEL BOOM PROSSIMO VENTURO.

Sono veramente dei buontemponi! 
E, d'altra parte, cosa c'è di meglio di un boom di sostegno alla "fiducia" per sfamare la popolazione indigente, (anche "occupata"!), che cresce non poco, e rilanciare i consumi...in deflazione, che si diffonde in tutta l'UEM, compresa la Germania?
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2. Come vedrete dal link relativo alla Germania, si celebrano deflazione e simultanea piena occupazione (all'€uropea, naturalmente), senza alcun timore di risultare in "leggera" contraddizione con la logica elementare. 
Questo perché si considera l'occupazione includendovi, di volta in volta, tutti gli artifici della flexicurity, hartziana o strisciante, in ogni parte d'€uropa.
Prendiamo l'Italia; l'Istat, avendo avuto "orore di sè" (cit. Petrolini), nel riportare il dato di dicembre, (sul periodo novembre 2013-2014, al 13,4%), ora si avventura in una ripresotta del tasso di occupazione (raccontandoci di una disoccupazione "migliorata" dal 13,4 al 12,9 in un mese...).
Quello che accade in Italia è che, piuttosto, folleggiano disdette di contratti aziendali, CIGS perpetuate per rendere più agevoli e meno costosi i licenziamenti e gli "incentivi" alla mobilità (nella deflazione salariale del DEMANSIONAMENTO), contratti di solidarietà (questo link è di esattamente un anno fa...), e altre diavolerie, che lasciano il conto da pagare alla spesa pubblica per ammortizzatori sociali.
Quella stessa spesa pubblica il cui taglio tanto eccita il fronte livoroso unitario degli espertoni e delle forze politiche senza risorse culturali
Ancora peggio: forze politiche senza il coraggio di spiegare che se il welfare "disoccupazionale" non è, in questo momento, comprimibile, - mentre serve tantissimo a FALSARE I DATI DELLA DISOCCUPAZIONE E QUINDI A "CANTARE VITTORIA"- vuol dire inevitabilmente che, risolvere la crisi tagliando la spesa pubblica, significa togliere definitivamente a tutti gli italiani la tutela sanitaria e pensionistica.

3.Perché sapete, per parlare di jobless recovery negli USA (recovery che negli USA è molto dubbia e precaria e in UEM proprio non c'è...e non ci sarà) ,- come fa Krugman, che non è certo l'ultimo degli "inascoltati"-, la Yellen, e dico la Yellen, non utilizza i calcoli ufficiali del dato occupazionale, ma guarda un po' più alla sostanza delle cose, per non far finta di non accorgersi che, una volta strutturato in un certo modo, "competitivo e flessibile", il mercato del lavoro, l'aumento dei consumi trascina la domanda verso una gigantesca "bolla" di indebitamento
E, infatti, di raggiungimento del target dell'inflazione non si parla proprio (e l'aumento dei tassi di interesse di riferimento rimane in stand by indefinitamente).
E cosa fa la Yellen, che essendo il capo della Fed e deve sbrigarsela coi demoni della finanza più-cattiva-di-tutte? Qualcosa che, per il sistema orwelliano dell'€uro-sogno, a livello di discussione politica e mediatica, SEMPLICEMENTE NON ESISTE:
"Nel giustificare le proprie decisioni, il board ha eliminato il termine ricorrente “significativo”, con riferimento al sotto-utilizzo della forza-lavoro negli USA e l’ha sostituita con l’espressione “has been downgraded” (“si è ridotto”). In pratica, l’istituto si mostra più ottimista che in passato sulla capacità della ripresa dell’economia americana di assorbire la forza-lavoro eccedente, valutata nell’11,8%, frutto della somma tra il 5,9% della disoccupazione e il numero dei lavoratori part-time, che vorrebbero lavorare a tempo pieno, ma non riescono a trovare un posto simile."
Una cosa che, varie volte, vi ho indicato nel riscontro di questo grafico:
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Ovviamente la Yellen si fonda sulla curva "grigetta"; Krugman, invece, sa bene che quella vera, che emergerebbe in un battito di ciglia in caso di scoppio della bolla da super-indebitamento, è quella "Blue".
In €uropa, invece, si farebbe riferimento solo a quella "rossa" (che peraltro fa molto più "schifo" rispetto a quella USA).

4. La prova? Prendiamo quello che ci dice Antonio Maria Rinaldi, che si colloca su una linea realistica che attinge sia a Yellen che a Krugman:

Analisi esclusiva: Disoccupazione reale a quota 6,6 milioni e tasso al 22,8%.

Qualche conclusione del prof.Rinaldi: 

Partendo dai dati ISTAT delle rilevazioni trimestrali delle Forze di Lavoro, e dai dati cartografici relativi, abbiamo ricostruito il Tasso di Disoccupazione reale, classificando come “disoccupati reali” anche gli “scoraggiati”, vale a dire le persone inattive (non lavorano), che non cercano attivamente lavoro nell’ultimissimo periodo ma sono disponibili a lavorare, nonche’ le persone inattive (non lavorano), che cercano lavoro non attivamente e che sono disponibili a lavorare.
Qui i risultati:
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Ci siamo? 
A questi livelli di disoccupazione "reale" non rilevata statisticamente, il jobs act, per come abbiamo visto nei post sopralinkati, non potrà altro che portare un'accelerazione della deflazione salariale e quindi una caduta dei consumi aggravata rispetto al già tragico recente passato.

5. Ma torniamo alla proclamazione a gran voce che siamo di fronte ad un imminente boom, senza passare neppure per una timida ripresa (che fino a ieri veniva annunciata da gente come Bankitalia e  in termini prudentemente dubbiosi). 
Eccovi qua:

Confindustria: ripresa più forte del previsto grazie a cambi, Qe e petrolio

Cosa ci dice "veramente" il Sole-Confindustria?

Il 2015 anno spartiacque 
 «Per l’economia italiana il 2015 si sta sempre più annunciando come l’anno spartiacque, perché termina la lunga e profonda recessione iniziata nel 2008 e tornano le variazioni positive per Pil e occupazione», sottolinea il Centro Studi Confindustria nel rapporto Congiuntura flash. Variazioni che «probabilmente si riveleranno molto superiori alle previsioni correnti, anche a quelle più recenti». In un recente rapporto il CsC aveva infatti stimato che il quantitative easing annunciato dalla Bce si sarebbe tradotto per l’Italia in una crescita della spinta al Pil dell’1,8% nell’arco di due anni: +0,8% nel 2015 e +1% nel 2016". (Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/b6eIU9).
«Questo cruciale passaggio - prosegue lo studio - si deve, in parti molto disuguali, a tre ordini di fattori. 
Anzitutto, la combinazione molto favorevole di elementi esterni, una vera manna dal cielo: crollo del prezzo del petrolio, svalutazione del cambio dell’euro, accelerazione del commercio mondiale, diminuzione dei tassi di interesse a lungo termine». 
Sommando i loro effetti, stimati dal CsC sulla base di ipotesi prudenti, «si arriva a una spinta per l’Italia pari al 2,1% del Pil nel 2015 e a un aggiuntivo 2,5% nel 2016». Questi impulsi espansivi restano «sostanziosi anche una volta “fatta la tara” al loro pieno concretizzarsi per tener conto delle difficoltà del contesto di grave crisi"(Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/b6eIU9).

6. Facciamo una rapida spiegazione:
a) la "spinta", superiore alle iniziali attese, determinata da crollo del prezzo del petrolio,  da svalutazione del cambio dell'euro e dalla "accelerazione del commercio mondiale", sarebbe solo nelle esportazioni: quindi non si arriva a dire che la crescita del PIL sarà nel 2015 di 2,1 punti e nel 2016 di 2,5 punti. Si guardano bene dal farlo;
b) Infatti, aggiungono, che questa "componente" esportativa, cioè in aggiunta al saldo del CAB (che così, parrebbe, dovrebbe superare i 3 punti di PIL di attivo e avvicinarsi ai 4 nel 2016) va considerata "facendo la tara al loro pieno concretizzarsi per tenere conto delle difficoltà del contesto di grave crisi";
c) insomma, non solo sappiamo che, nei passati tre anni, per raggiungere una correzione di quasi 5 punti del CAB abbiamo lasciato sul terreno qualcosa come 7 punti di consumi interni e circa 5 punti di investimenti, (prova ne è il cumulo della recessione registrata nel 2012, 2013 e 2014= 2,5+1,9+0,5), ma le stesse favorevolissime condizioni attuali sono molto, ma molto, dubbie nel loro protrarsi e nella loro quantificabilità (provate a:
- immaginare come reagiranno altre aree economiche alla svalutazione dell'euro, ormai protrattasi, nel tempo e nella misura, oltre il livello in cui sono scontate le reazioni sui tassi e valutarie dei paesi con cui si commercia, peraltro afflitti, come Cina e USA da problemi che certo non li inducono a importare deflazione via prezzi scontati delle merci UEM; 
- a vedere quali sono i veri presupposti e riflessi del calo del prezzo del petrolio: dalla flessione produttiva mondiale, attestata dal calo degli ordinativi di commodities e di beni strumentali, alle mosse e contromosse politiche dei vari paesi produttori, che potrebbero scatenare rialzi alla fine del 2015, con effetti repentini connessi a eventi traumatici che certo non sono da augurarsi, ma che non possono comunque essere trascurati in prudenti previsioni).

7. E allora riallacciamoci alla questione del "Quirinale"
Le riforme costituzionali andranno avanti, a prescindere da qualsiasi neo-assetto determinato dalle fantasiose analisi dietrologiche sul "modo" in cui verrà eletto il prossimo Presidente.
Ma questo per l'inerzia inarrestabile di chi ormai non ha più la possibilità di tornare indietro sull'idea che esse significhino "fare presto" nel tagliare la spesa pubblica, cioè il welfare (...cioè il sostegno di ultima istanza alla domanda di chi non è ancora disoccupato, ma così lo diverrà presto).
Così come andranno avanti - e lo stiamo vedendo- le privatizzazioni che privano definitivamente l'Italia del controllo delle residue filiere strategiche indispensabili per provare almeno a rilanciare in modo strutturale (e non soltanto deflattivo competitivo) la nostra economia ormai quasi-coloniale.
La lotta alla corruzione andrà avanti, cioè si straparlerà di uomini-personaggio, indecisi a tutto e alquanto nel pallone di fronte ad una realtà (per loro) incontrollabile, che affrontano eroicamente, a mani nude, mafie-cricche e altri animali che andrebbero combattuti con tutto meno che con quello che si ostinano a proporre (e che neppure riescono a realizzare, per quanto vano). 

8. Per questo la "partita per il Quirinale", qualunque ne sia il prodotto finale istituzionale, non è rilevante sull'esito delle dinamiche che i media orwelliani nascondono agli italiani e a se stessi.
Per questo dico che, navigandosi nelle acque che portano inevitabilmente a scoprire tutti i bluff del mainstream - ("pacatamente" ordoliberista nella monolitica facciata istituzionale italica ma, nei suoi meandri praticoni e liberisti-tout-court, sordamente in preda a  panico...che traspare dalla arrampicata sugli specchi del "flash" di Confindustria)- chiunque sia eletto è destinato a una sola cosa veramente prevedibile: a gestire l'impossibilità di nascondere ulteriormente al popolo italiano il fallimento e la sconfitta, senza via d'uscita, (nefasta per tutti), del regime tecno-autoritario e anti-democratico del "vincolo esterno".
Un compito, abbiamo detto tante volte, del tutto simile a quello che, mutatis mutandis (ma negli effetti non troppo) dovette assolvere Badoglio.
Solo che stavolta invece di Palazzo Venezia, l'epicentro rischia seriamente di essere il Quirinale.
Ma l'unica via di difesa, l'estrema linea di Resistenza della sovranità democratica, rimane sempre la Costituzione. Quella vera.

mercoledì 28 gennaio 2015

IL COLLE FUORI DAL MONDO...GLOBALE "REALE"

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Solo degli ignavi, conformisti, superficiali ed impreparati, potrebbero pensare che gli USA siano "usciti dalla crisi". Solo cioè persone che si accomodano su dati mensili o trimestrali parziali, e accuratamente selezionati dal sistema dei media e del marketing finanziario, che cerca di sopravvivere, sempre e comunque, lasciando nelle mani degli sprovveduti il bombolone con la miccia accesa negli ultimi millimetri.
Su questo punto vi invito a leggere questo articolo di Mauro Bottarelli, ricco di indicazioni e analisi eloquenti. Arricchito dalla ricerca di indicatori indizianti altamente sintomatici, ci racconta perchè, nell'economia reale, ci sia poco da scherzare.

Insomma, nella totale inconsapevolezza della situazione dell'economia reale "globale", e nell'isteria collettiva sui dati della finanza pubblica, in €uropa e in Italia soprattutto, va in scena l'allegra incoscienza di chi crede ottusamente, come un integralista religioso indottrinato e votato al sacrificio "salvifico" (nell'al di là), che le politiche monetarie, convenzionali e non, siano la condizione necessaria e sufficiente per rilanciare l'economia e attuare le riforme supply side, corroborando la legge di Say applicata alla "infinita" competitività deflattiva: questa costituisce l'unica Legge morale e pretesamente scientifica che governa l'€uropa delle banche (piene di buchi di bilancio da ripianare drenando capitali dalle tasche dei debitori insolventi!).

Questa premessa vale a raccontare l'Italia, nella sua tragica condizione di mancanza di risorse culturali, nel suo conformismo autorazzista e asservito a un paradigma eurocrate che non accenna a diminuire la presa del suo "tallone di ferro".
Inutile dire che senza informazione sui fatti e con valutazioni "pop" di tipo orwelliano, la democrazia, - che è un fatto di equilibri sociali stabiliti normativamente (perchè a questo servono le Costituzioni non a intrugliare alchimie istituzionali che sono solo strumenti e non "fini" per il benessere generale)- non è "a rischio": è già irrimediabilmente compromessa.

Basterebbe dire che un intero continente che si fondi su gold standard de facto (cioè l'euro e il suo inevitabile pendant di colonizzazione: altro che pace e giustizia tra i popoli!), legge di Say (cioè supply side per la competitività come unico residuale strumento di politica economico-fiscale) e deflazione flessibilizzante del lavoro, si autocondanna alla ripetizione delle crisi economiche del 1873 e del 1929. Anzi peggio di allora, dato che le misure oggi suggerite sono ridicole ed incapaci persino di trovare quei minimi spazi di intervento pubblico che allora furono variamente concepiti (anzi li contrastano apertamente).

Queste cose chi legge questo blog le conosce già: ma una cosa appare certa
E cioè che della realtà economica globale - cui pure anelano ad appartenere orgogliosamente e ostentatamente - i nostri politici sono sicuramente all'oscuro e vivono in una descrizione semplificata e orrendamente "pop" che li fa preoccupare solo della lotta per l'elezione al Quirinale.
Lo stato confusionale è tale che, credendo che la situazione economica mondiale sia sotto controllo e che solo l'Italia abbia "qualcosina" da correggere con le riforme supply side (in modo da reggere la sfida del gold standard e della Legge di Say!), riforme da fare il più presto possibile, occorra trovare un personaggio da eleggere che sia conforme a queste aspettative, oltre che, naturalmente, idoneo a destreggiarsi fra le esigenze di consenso di breve periodo di gruppuscoli politici completamente ignari del vulcano su cui sono seduti.

Insomma, la spasmodica e isterica attenzione al "come" si svolgerà l'elezione del Presidente della Repubblica dimostra la irresponsabile inadeguatezza di un'intera classe dirigente, che include i vertici industriali, le fondazioni-think tank senza confine tra interessi privati e funzionalità democratica delle istituzioni, e una serie di homini novi, totalmente privi della preparazione minima per accorgersi della caduta della "logica elementare" in cui si trovano immersi.
E NON SI PREOCCUPANO!
Purtroppo, non è difficile immaginare chi pagherà il conto di tutto ciò: ma è anche da temere che chiunque sarà eletto, CHIUNQUE, si troverà nella situazione di...Badoglio.
Cioè nel gestire di qui a poco una "sconfitta" che non potrà più essere nascosta dalla grancassa delle disinformazione mediatica.
Per questa classe dirigente non può esserci un grande futuro
Se non nel paradosso de "l'effetto pretoriani". Che però ricorda troppo una neo-Salò privatizzata e, naturalmente, farsesca...


martedì 27 gennaio 2015

L'ILLUSIONE TSIPRAS E LA VERA PARTITA SOTTOSTANTE AL QE (e la "pregiudiziale" OMT)

DEFLAZIONE SALARIALE PER LA BCE

RENZI ALLA MERKEL: “ORA IL TURBO ALLE RIFORME”; MERKEL A RENZI: “GUARDA LA TABELLA……CHE E’ MEGLIO”


1. Neri, giustamente, pone un interrogativo sulla "legittimità" del QE di Draghi:
"Quello che ho capito del QE della BCE.
La BCE acquisterà debito degli Stati UEM contro pagamento in euro.
Ovviamente gli euro utilizzati saranno creati dal nulla (e ciò è legittimo per una banca centrale). Non essendoci sottostante alcuno queste somme sono, a tutti gli effetti, carta (o, più correttamente, byte).
I titoli di debito dopo l'acquisto saranno da considerare a tutti gli effetti pagati e quindi diventano in quello stesso istante carta anche essi.
E' un pochino il meccanismo usato dai fondi avvoltoio che acquistano debito degli Stati a un prezzo stracciato (ma non nullo come nel caso della BCE col QE) per poi riottenere in tribunale il valore facciale pieno.
Dato che i titoli del debito degli Stati UEM poi vengono detenuti dalla BCE è da supporre che qualcuno li dovrà pagare (e infatti si tratta di un rischio conviso 20-80% tra la BCE e gli Stati).
In modo meno secco le domande diventano queste.
Poiché i titoli sono diventati carta dopo l'acquisto della BCE come possono rappresentare un rischio?
E di più. Con quale "merce" si potrà mai pagare qualcosa che è, a tutti gli effetti, carta
?"

2. No, i titoli acquistati non divengono semplice carta. 
Ti dirò come, nel mio piccolo, l'ho capita.

Chi acquista i titoli, cioè la BCE - che lo fa emettendo la famosa "moneta dal nulla",- diviene creditore per il loro valore di rimborso finale (o per il valore di vendita, cioè il"corso", anteriore alla scadenza): e ciò anche nel caso, ovviamente, che si tratti di obbligazioni private.
Il rimborso alla BCE da parte di qualsivoglia debitore alle teoriche scadenze , - o, come vedremo, anche prima, se c'è anticipata ri-monetizzazione dei titoli mediante loro vendita prima delle scadenze da parte della BCE-,  dovrebbe portare la riduzione nel bilancio (fa figo dire "balance sheet") BCE del volume di moneta emessa (e del connesso rischio dei titoli)
Dunque, per evitare perdite, la quantità rimborsata, cioè ridrenata dai "mercati" (soggetti finanziari privati e pubblici beneficiari della liquidità emessa), dovrebbe essere corrispondente alla medesima liquidità immessa col QE (più o meno: scontati i deflattori che andrebbero compensati dai rendimenti crescenti, in teorico auspicio). 
Cioè l'operazione si completa ripristinando una (minor) quantità di moneta di "banca centrale" considerata normale ed "opportuna" al momento in cui, appunto, l'inflazione fosse risalita ai livelli desiderati (il che dovrebbe corrispondere allo stesso, molto ma molto teorico, effetto nella quantità circolante di moneta nell'economica reale, la famosa M3).

3. In sostanza, l'emissione di moneta è collateralizzata per garantirne un tendenziale corrispondente drenaggio allorchè la BCE (formalmente) venderà quei titoli incassando moneta; cosa che farà o alle scadenze (se i titoli appaiano "sicuri") ovvero anche prima, se raggiungesse il target di inflazione in qualsiasi momento anteriore.

Il punto però è che i titoli avranno della variazioni dei corsi che potrà essere innescato dall'andamento delle economie, in particolare del commercio con l'estero che, coi deficit accumulati e più ampiamente con la PNE, segna il bisogno di liquidità dall'estero, per quanto in euro, dei vari paesi. 
Ora, avendosi una valuta unica, le variazioni innescate dal miglioramento o peggioramento delle posizioni debitorie (commerciali) estere si riflettono negli spread, all'interno dell'area valutaria, com'è noto. 

4. Ed è qui che subentra il rischio del creditore;  e subentra, in questa UEM "only", (cioè qualunque sia la provvista monetaria che ha dato luogo alla posizione creditoria: cioè anche la creazione di moneta fiat ex nihilo), in quanto è un problema che non dovrebbe porsi se il creditore " a rischio" è la Banca centrale
Ma siccome siamo in €uropa e l'€uropa è dominata dalla tedeschia, i normali schemi (se non altro delle banche centrali) saltano e i nodi dei trattati, volutamente redatti in modo da configurare un'area valutaria imperfetta, vengono al pettine
E in più si aggiunge che la tedeschia non si cura nemmeno delle norme del trattato che ne vincolano la posizione alla pari di tutti gli altri: se le norme l'avvantaggiano vanno rispettate; se la svantaggiassero chissenefrega
Questo, d'altra parte, è il diritto internazionale e, ancor peggio, è così quando si tratta di un trattato di free-trade come quello UE-UEM. Per quanto ci raccontino, in molti e anche oggi, un'altra, ormai patetica, storiella di pace e di cooperazione in Europa.

5. Dunque, ammesso che mai si ottenga la reflazione, abbiamo l'incertezza delle quotazioni di vendita dei titoli, quantomeno alle scadenze naturali (che possono intervenire medio-tempore durante il QE) e, COMUNQUE, AI FINI DEL BILANCIO BCE durante il periodo di svolgimento dello stesso QE.
Vale a dire, a un certo punto, per evenienze politico-economiche peraltro già in atto - tipica la decisione di un paese, sull'esempio "attuale" della Grecia tutto da vedere, di non seguire più l'austerità fedelmente, (cioè il mezzo UNICO di correzione dei conti con l'estero considerato indispensabile nell'UE)-, può registrarsi una nuova crescita degli spread, quali indici del crescente costo assicurativo dei creditori contro l'insolvenza.
Questa evenienza potrebbe far registrare delle teoriche (o concrete) perdite a carico della BCE, quale creditrice-acquirente formale dei titoli rappresentativi di debito.

6. Il QE è stato concepito, per quanto finora divulgato, in modo che queste eventuali, ma non improbabili perdite, siano in realtà sopportate per l'80% dalla singole banche centrali nazionali dei paesi UEM, relativamente ai "tetti" di acquisto complessivo posti al rispettivo debito, e per il 20% dalla stessa BCE, con la ripartizione di tale 20% pro-quota delle partecipazioni dei singoli paesi al capitale BCE. 
Per esempio, l'Italia ha un tetto di acquisti del debito pubblico posto all'incirca a 120 miliardi (parrebbe) e una quota di rischio, in definitiva cumulata a carico di Bankitalia, pari all'82,462%: cioè 80% a titolo "principale" e 12,310% (quota di partecipazione italiana al capitale BCE) del residuo 20% "collettivo" del SEBC (il sistema della banche centrali che presiede alla moneta unica e si coordina con la BCE).

7. Le implicazioni di tutto ciò, sia sul piano politico che su quello del rispetto dei trattati, sono molteplici. 
Allo stato delle cose, ne indichiamo alcune:
a) le perdite che potranno verificarsi, nella schiacciante maggioranza, non sono poste a carico di una banca centrale che, se fosse veramente tale, non avrebbe alcun effettivo rischio se non quello inflattivo, a seguito delle perdite stesse (come ci spiegano molto chiaramente De Grauwe e Yuemei Ji). 
Cioè i tedeschi non vogliono, semplicemente, che la loro inflazione sia accelerata dall'operazione di QE e non tanto perchè la quantità di moneta sia causa di inflazione (questa è solo la scusa ufficiale), ma perchè in effetti l'euro potrebbe risultarne eccessivamente svalutato, ed anche perchè, più che altro, aumenterebbero:
a) i rischi di insolvenza di debito commerciale privato;
b) come vedremo, i rischi di bolla speculativa sui propri assets.

b) se il QE fosse stato "normale", cioè tutto a carico della BCE emittente la moneta, l'auspicata ripresa dei consumi avrebbe (forse) determinato un riaumento dei rendimenti dei tioli del debito pubblico provocato dall'aumento medio dell'inflazione-liquidità circolante in area UEM e acuito dal possibile aumento dei consumi-importazioni nei paesi debitori. 
Ma non è detto che tale aumento non ci sia comunque, allorchè venga allo scoperto la sentenza della Corte GUE sull'OMT che porrebbe il QE a forte rischio di "fuori gioco".

c) E questo, salva la considerazione della sua totale (e non solo parziale) inutilità proprio a seguito dell'assunzione dei rischi da parte delle BC nazionali: questi rischi, infatti, emergerebbero con prepotenza di fronte a una "realizzazione" da parte dei "mercati" che la BCE non fa un vero QE e che gli attuali spread erano solo la conseguenza "inerziale" del "whatever it takes" che, però, la stessa sentenza rivelerebbe come un bluff...

d) Se ci riflettete, la conseguenza di una sentenza CGUE sull'OMT che scoperchi il bluff, - e in effetti questo preannunzia il parere dell'Avvocato generale presso la Corte questo fa, aderendo in toto alla tesi della Corte costituzionale tedesca- è "pregiudiziale" al QE: questo appare quasi inoffensivo, nelle condizioni attuali (di rendimento dei titoli quale innescato nell'area UEM dal whatever it takes). 
Ma l'assunzione "nazionalizzata" del rischio del QE, oggi valutata sul presupposto che l'OMT sia un'operazione autonomamente gestibile dalla BCE, assumerebbe tutta un'altra prospettiva
Ma se così non sarà più (se cioè la BCE non potesse giustificare operazioni di acquisto come totalmente autonome, nell'ambito della politica monetaria), come pare "in diritto" poter dire la CGUE, lo stesso QE si collocherebbe su presupposti che farebbero rapidamente risalire gli spread, attualizzando il "doppio bluff" di Draghi e la prospettiva di un QE da incubo: cioè volto disperatamente a ri-limitare gli spread, mentre però il rischio nazionalizzato diverrebbe il concreto spauracchio di una nuova ondata di austerità fiscale nei paesi debitori UEM. Uno spauracchio, con le regole fiscali vigenti, senza alcuna alternativa. 
Piaccia o meno a Syriza e a chiunque altro vaneggi di "fine dell'austerità dentro l'UEM".
E sia detto con "realismo": se la sentenza OMT consentirà ai tedeschi di rivendicare "di riflesso" la illegittimità del QE (in quanto misura non puramente monetaria, non consentita in autonomia alla BCE), non esiterebbero a investire della questione nuovamente la propria Corte, che sarebbe agevolata dalla interpretazione fornita dalla CGUE e provvederebbe direttamente a tirare fuori dal QE la stessa Germania.

e) Tornando alle prospettive di questi giorni, per la Germania, comunque, il QE "normale", (gestito autonomamente dalla BCE), avrebbe avuto una (sempre teorica) conseguenza molto più angosciante della ipotetica "ripresa" della domanda UEM (il QE, anche in condizioni normali, non sortisce consistenti effetti in questo senso, dato il mercato del lavoro ormai deflattivo instaurato in tutta €uropa e i limiti fiscali attualmente imposti).  
Cioè la conseguenza del riaumento della domanda dei loro stessi beni esportati e quindi delle posizioni debitorie private di paesi meno competitivi: si rischierebbe di essere "da capo a dodici" della situazione del 2011. Dalla quale credevano di essere usciti imponendo a tutta Europa una correzione che salvaguardasse, appunto, le loro posizioni creditorie, private e bancarie, trasferendone il peso relativo sull'austerità fiscale, e cioè sui cittadini dei paesi debitori, via tasse e tagli della spesa pubblica. A meno che...

f) A meno che, invece, come ci ha evidenziato Francesco Lenzi, il QE, andando a creare un afflusso di liquidità diretto in modo maggioritario sulla Germania (sicuramente pro-quota della partecipazione tedesca alla BCE, e anche dall'esterno, in considerazione del rating privilegiato dei propri titoli), non sia in realtà diretto a "costringere" la stessa tedeschia a riespandere la propria domanda interna (cioè spesa pubblica e privata) per evitare una bolla da supervalutazione complessiva dei propri assets reali: immobili e titoli azionari, sui quali si riverserebbero gli acquisti consentiti dalla liquidità concessa al sistema finanziario. 
Sia chiaro: gli operatori finanziari e la piccolissima minoranza più ricca soltanto fruirebbero della liquidità del QE e avrebbero l'esigenza di investire in titoli azionari e immobili là dove lo ritenessero più conveniente.
E questo ci spiega perchè, nonostante l'imposizione della garanzia del rischio sulle BC nazionali, la Germania sia ancora fortemente contrariata dal lancio del QE "a mezzo servizio"....

g) in sostanza, la forma attuale del QE è escogitata, su pressione tedesca, per (tentare di) rendere fiscalmente prudenti gli Stati debitori: perchè è evidente che dovendo garantire delle perdite (potenzialmente notevoli) sui titoli acquistati, le banche centrali nazionali dovrebbero fronteggiarle coi propri assets, cioè oro e riserve, anche oltre il limite di perdita patrimoniale in cui gli Stati dovrebbero intervenire per ricapitalizzarle mediante liquidità drenata con inasprimenti fiscali a carico dei propri cittadini. 
Ma questa attenuazione del rischio "espansivo" del QE, - che semmai dimostra che l'euro è divenuta  un accordo di cambi fissi e non è più una moneta unica senza una banca centrale che funzioni veramente come tale-  non pone lo stesso la tedeschia al riparo dalla "manovra di Draghi" tesa a limitare il mercantilismo-surplus tedesco ed a riequilibrare lo sviluppo in area UEM;

e) si dà il caso che questa stessa manovra sia conveniente ad una certa visione degli USA, contrari all'eccesso di surplus constantemente perseguito dalla Germania stessa ("manovra" non a caso inizialmente dichiarata e ufficializzata da Draghi a Jakson Hole).

7. Come vedete il quadro è complesso. Ma perchè è inestricabile il cumulo delle contraddizioni irrisolte all'interno della moneta unica come concepita dai trattati. 
L'unica soluzione, praticabile nel "vago" quadro dei trattati, - che potrebbe evitare che la "pregiudiziale" OMT vista in precedenza conduca alla prospettiva da incubo di spread in risalita e totale inutilità pratica del QE-, sarebbe che l'Unione europea concordasse di sanzionare pesantemente il mantenimento del surplus tedesco sopra la soglia del 6%: ma su questo abbiamo ben poche speranze politiche e basi normative per un'efficace azione dell'€urocrazia.
Altrimenti si apre la partita della costrizione tedesca a riespandere la domanda sotto ricatto della bolla speculativa, che li contringerebbe a reflazionare autonomamente per l'effetto ricchezza provocato dal QE; questo negli auspici USA, almeno. 
Ma abbiamo altrettanto visto che l'efficacia di questa "mossa" rischia di saltare a causa della pregiudiziale OMT che renderebbe il QE nella forma attuale, un bazooka con le polveri bagnate (con tanto di nuovo assalto tedesco alla CGUE tramite la propria Corte costituzionale).

8. Capirete allora che la questione Grecia-Tsipras, in questo scenario, sia quello che sia: una fiammata destinata ad infrangersi su frizioni politiche di dimensioni tali da evidenziare l'irrilevanza dei desiderata greci e da rendere del tutto velleitaria la prospettiva di una "primavera"  con la "fine dell'austerità".
Una prospettiva poco più che propagandistica  che tanto piace ora a tutti quelli che, in Italia specialmente, la predicano a parole ma "razzolano" esattamente nel senso opposto, magari cianciando della nuova ridicolissima "flessibilità" concessa dalla Commissione.

domenica 25 gennaio 2015

PMI SVEGLIA! NON E' UNO STATO VAMPIRO: E' UN NON-STATO PRIVO DI SOVRANITA'. (Con addendum)



sveglia-italia

1. L'amico Alessandro Lelli, in questo post su Scenarieconomici.it, lamenta giustamente l'insoluta (in tutti i sensi) questione dei crediti delle imprese verso la p.a., - di cui mancano all'appello 35 miliardi rispetto alla scadenza di pagamento"promessa" (entro fine settembre), mentre si riaccumulano i ritardi su quelli venuti a scadenza successivamente alla stima del 2013, - cui si aggiunge l'ulteriore inasprimento dello split-payment dell'IVA fatturata per le prestazioni alla stessa pubblica amministrazione, che determina un ritardo di 5 mesi (circa) tra il momento del mancato flusso di cassa relativo all'IVA (non più incassata) e la possibilità di compensazione con l'IVA "a credito" (esposta nelle fatture emesse verso i propri fornitori).

2. Il problema di "cassa" delle imprese (che è poi di solvibilità minima rispetto ai fisiologici "atti d'impresa), rispetto a beni e servizi comunque prodotti e già forniti alla p.a., è allarmante per la stessa sopravvivenza delle imprese "in un momento in cui, oltre allo Stato che non paga, anche il sistema bancario sta erogando sempre meno credito".
Già ma per quali imprese?
Non per tutte: solo per le piccole e medie imprese e solo per quelle che si fondano sulla domanda interna, nella quale rientra per eccellenza la domanda pubblica.
Lo Stato che non paga e limita gli incassi che danno il flusso di sopravvivenza pone un problema solo a chi non ha accesso al credito e a chi produce (prevalentemente) per vendere in Italia.
Basti dire che a non avere accesso al credito sono proprio quelle imprese (appunto PMI fondate sulla domanda interna) che non danno luogo agli "incagli" che pesano sul sistema bancario nazionale.

3. Perchè, a dirla tutta, la gran parte delle sofferenze, (secondo i calcoli della CGIA di Mestre), è attribuibile alle grandi imprese, cioè al primo 10%, per dimensioni, dei debitori bancari:
"...quasi l’80% dei prestiti bancari va alle grandi imprese che, nonostante siano ridotte numericamente al lumicino, possono contare su un rapporto privilegiato nei confronti degli istituti di credito del Paese."
Dice Bortolussi, segretario della stessa CGIA:
Appare evidente, salvo forse qualche rara eccezione  – prosegue Giuseppe Bortolussi della CGIA di Mestre – che questo 10% di maggiori affidati non sono certo piccoli imprenditori o famiglie o lavoratori autonomi, ma quasi esclusivamente grandi società o gruppi industriali. E visto che il trend delle sofferenze a carico dei maggiori affidati degli ultimi anni è passato dal 72,8% del 2000 al 78,8% del primo trimestre di quest’anno, possiamo dire che le banche italiane ormai sono molto condizionate dalle grandi imprese. Queste ultime sono quelle che ricevono i maggiori finanziamenti  e per contro presentano i tassi di insolvenza più elevati. Non vorremmo che questa anomalia fosse dovuta al fatto che nella grande maggioranza dei casi nei Consigli di Amministrazione dei più importanti istituti di credito italiani sono presenti proprio questi grandi imprenditori o manager a loro molto vicini”.


4. Questa, offerta da Rischio Calcolato, la situazione delle sofferenze a luglio 2014, aggravatasi nei mesi successivi, con una crescita che, secondo l'ABI, sfiorava a ottobre i 180 miliardi:

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Per le grandi imprese e per le imprese esportatrici, - spesso (o prevalentemente) integrate in un sistema che vede fasi prevalenti di produzione delocalizzate-, dunque il problema non si pone negli stessi termini.
Anzi, per queste lo Stato non è affatto "vampiro", assumendosi i costi della disoccupazione da "delocalizzazione" con una crescente spesa pubblica in ammortizzatori sociali.
Sensibile alla pressione dell'euro sistema, infatti, lo Stato concede i favori delle sue politiche a questo sistema industriale "eletto", - sempre più peraltro in mani estere, anzi, di cui si auspica, da parte dei governi, il crescente controllo non nazionale mediante i famosi "investitori esteri"-, e per questo si mette in scena la ristrutturazione sociale delle "riforme". 
Il jobs act, con il suo via libera al ricatto del demansionamento e della accelerata espulsione dei baby-boomers dal mercato del lavoro, rischia di essere il punto finale di una crisi irreversibile di domanda, rafforzata dalla "opportuna" incentivazione delle nuove assunzioni decontribuite e ulteriormente precarizzate. 
E' chiaro che quei pochi "forti" che hanno accesso al credito e...determinano le sofferenze - precludendolo a chi, invece, fa ogni sforzo per essere solvibile-, si trovano o a delocalizzare (divenendo imprese estere) o a cedere il controllo agli investitori esteri. Ed il quadro normativo determinato delle riforme rende ora ancora più appetibile per le mani estere ("forti" e concorrenti!) acquisirlo, questo controllo, avendo di fronte aziende depatrimonializzate, a prezzi di "saldo", e finalmente anche un mercato del lavoro che, col jobs act, diviene uno dei più flessibili al mondo

5. E questo, dato che il licenziamento senza reintegra generalizzato e il livello retributivo incentivato verso il demansionamento-dequalificazione non può che avere un effetto di ulteriore scalata italiana nel ranking OCSE dei mercati del lavoro più flessibilizzato (notare l'accelerazione "decrementale" italiana, verso il basso pari solo a quella registrata dalla Grecia: e sono dati che non scontano, per l'appunto, il jobs act) :

6. Ribadiamo quanto detto in precedenza per capire che lo scenario non è solo quello di uno Stato vampiro, definizione che, in definitiva si addice alla strategia che vuole la competitività come processo di ristrutturazione dell'offerta, sacrificando la domanda ed espellendo lo stesso odiato sistema delle PMI dalla struttura produttiva auspicata, meglio ancora se "colonizzata" dai grandi investitori esteri:

"Questa è appunto una crisi da domanda, che, tra l'altro, essendo praticamente in corso dal 2008 -con double dip "rigenerato" dalle cure Monti del 2011-2012-, implica una strutturale deindustrializzazione che fa a pugni con ogni tipo di correzione dal lato dell'offerta: non ha senso cercare di abbassare, per via fiscale, i costi delle imprese (ad es; tagliando l'IRAP nella parte in cui include il costo del lavoro o con modeste decontribuzioni per i nuovi assunti) se le imprese producono per una domanda interna che non c'è più e non deve esserci, altrimenti i consumi in ripresa si dirigono prevalentemente verso prodotti importati.

La legge di stabilità, così com'è, corrisponde a questa visione supply-side, con qualche contraddittoria concessione. 
Vediamola in sintesi estrema sui saldi... 
...Dunque: si propongono presunti "nuovi" 18 miliardi di sgravi fiscali sul lavoro e i costi di impresa, così ripartiti (per voci principali meglio stimate):
a) circa 10 per la conferma degli 80 euro di sgravio: questa misura è praticamente ad effetto crescita zero: il PIL 2014 l'ha già sostanzialmente scontata ed ha semmai impedito una recessione più ampia. Confermarla significa quindi solo evitare l'effetto recessivo di una riespansione della pressione fiscale sui redditi da lavoro per il 2015 col relativo effetto depressivo (per circa 10 miliardi con un moltiplicatore FMI di 0,6-0,7, evitando un effetto recessivo di circa 0,4 punti di PIL);
b) decontribuzione per i nuovi assunti: il suo effetto di riduzione del carico fiscale vale nella misura limitata ipotizzata: 1,9 miliardi. I commentatori mainstream si affrettano ad evidenziarne la limitazione dando per scontato che sia tutta fruibile dal sistema datoriale. Ma ipotizzare i "soli" 200.000 nuovi assunti cui porrebbe capo è una scommessa del tutto irrealistica, a fronte di uno stimolo alla domanda in cui nella legge di stabilità non v'è traccia. Effetto su PIL, riguardando nuovi assunti in situazione di ricercata deflazione salariale e di limitatissima influenza della misura in sè sugli investimenti: indeterminabile (nella più ottimistica delle ipotesi, sarebbe di poco più di 0,1 punti di PIL."
7. Insomma,  per le PMI non c'è scampo: l'idea dominante delle politiche €uropee, è quella della ristrutturazione competitiva, preferibilmente a controllo estero, di settori industriali selezionati, con l'abbandono di tutta la produzione che viene considerata irrimediabilmente "inefficiente" (nella logica free-trade dei vantaggi comparati).
Ma non è uno Stato-vampiro: è un non-Stato privo di sovranità che esegue i diktat dei controllori dell'economia globale.  
Un disegno che in Europa ha il potente catalizzatore dell'euro e di un assetto istituzionale che disattiva la Costituzione e le previsioni degli artt.45 e 47 Cost. (quelle che dovrebbero tutelare in primo luogo proprio le PMI in raccordo con le politiche dell'art.41 Cost.).
 
8. Mentre va in scena il rabbioso tramonto dell'euro, nelle sue proiezioni preannunziate dal QE senza nè arte nè parte - in termini di interessi nazionali e quindi delle nostre PMI-, la massa "critica" degli stessi medio-piccoli imprenditori se ne dovrebbe rammentare: il problema è l'euro e l'assetto finanzario-internazionalizzato dell'Europa.
L'INTERESSE DELLE IMPRESE ITALIANE NON UNICO E OMOGENEO: capirlo in tempo, è questione di sopravvivenza per il sistema delle PMI!
E quindi...
Prendersela con questo fantasma evanescente di Stato, esecutore di diktat (che partono da poche mani molto private e, ormai, poco italiane), non è che una battaglia di retroguardia: se non comprendono la vera manovra in atto, finiranno per affondare in blocco senza aver compreso neppure di aver sbagliato rotta e di aver impattato l'iceberg.

ADDENDUM: amici del mondo delle medie e piccole imprese mi hanno scritto ponendomi il (a mio parere prevedibile e ragionevole) quesito: "ma cosa potrebbero aver fatto di diverso le stesse PMI, essendo alle prese con un "quotidiano" in cui lo Stato, nel suo volto fiscale più punitivo, le pone alle strette senza che esse possano influire non solo sulla scelta della moneta unica, ma anche sulle inefficienze burocratiche e sulla loro stessa capacità, perduta, di reagire alla sfida della competizione internazionale?"

Questa la mia risposta:
"Siamo d'accordo su certe tendenze.
Ma il punto sono:
a) le politiche industriali, impedite d'autorità dall'UE (esigono politiche fiscali anche sul lato della domanda e anticicliche, ormai in soffitta) e
b) la conservazione dell'alta tecnologia ancorata al territorio, che può essere consentita solo dalla grande industria PUBBLICA. Ciò, coincide con la privatizzazione selvaggia di quel settore industriale pubblico che è il volano delle PMI (storicamente e funzionalmente; su questo credo di aver imparato da un gigante degli economisti italiani, e, a mio parere, non solo, come Cesare Pozzi).

Infatti non ho parlato solo di cambio flessibile -anzi non ne ho parlato affatto- ma di un intero modello produttivo, anzi, "sociale", creato dal free-trade, e quindi export-led, secondo il paradigma specializzato dei vantaggi comparati ricardiani: questo inevitabilmente distrugge intere filiere, in nome della competitività-deflazione salariale, e senza che le PMI possano rimproverarsi vere o presunte incapacità di competere (anche leggersi "Bad Samaritans" di Chang è illuminante)..

Questa è l'UE-UEM è infatti ho proprio detto che l'euro è un potente "catalizzatore" cioè un innesco strumentale di tutta la faccenda.

La responsabilità delle PMI è culturale e politica: non arrivano a comprendere cosa significhi il free-trade imposto per trattato, credendo che la globalizzazione istituzionalizzata (WTO-UEM-FMI) sia un fenomeno inevitabile, mentre invece è una creazione umana, molto ideologica e accettata passivamente contro limiti insormontabili della Costituzione (credendo che questa si limiti a tutelare il sindacato e cadendo nella trappola della rincorsa alla distruzione della domanda interna, tramite l'ostilità indistinta e poco meditata verso la spesa pubblica).

Invece, tutt'ora le PMI
- votano per i partiti del free-trade-internazionalisti (magari con inconsapevolezza sia degli eletti che degli elettori: problema di "risorse culturali" non da poco);
- si colpevolizzano per il "non saper competere" (quando il fenomeno dell'apertura dei mercati è comunque un colpo imparabile, programmato);
-  esaltano il "tea-party" (limitare il perimetro dello Stato, cioè esattamente l'opposto di quello che gli ha consentito di nascere e di prosperare in passato);
- disprezzano la Costituzione, credendo che sia "comunista". Quando invece il suo ripristino è l'unica protezione che gli è rimasta...

venerdì 23 gennaio 2015

TE LO DO IO IL QE! TEORIA E PRATICA DEGLI ESPERIMENTI NEO-LIBERISTI DAL CILE AI NOSTRI GIORNI



Von Hayek visto da Barra Caracciolo

Sì lo so che molti magari vorrebbero che parlassi del QE di Draghi;
- di come non "può" funzionare, specie se le politiche di bilancio pubblico in UEM restano quelle attuali in radicale contraddizione con la maggior "offerta" di moneta al (solo) sistema finanziario;
- di come la responsabilità-garanzia per le eventuali perdite all'80% posta a carico delle BC nazionali, - che rammentiamo non hanno potere di emettere moneta e quindi sono ridotte a meri "fidejussori" della BCE, come un qualsiasi istituto finanziario di diritto comune!- non appaia molto conforme ai trattati per tanti motivi (non ultimo quello che, a quanto pare, gli acquisti, per tipologia e quantità sarebbero decisi da BCE, e la garanzia sarebbe passivamente subita dalle BC senza alcun potere di decisione autonoma sulle strategie di acquisto e rischiando perdite di livello tale da rifluire in ricapitalizzazioni potenziali a carico dei cittadini, con ciò nullificando la stessa funzione di emittente della BCE e alterando il senso delle "operazioni open market" rispetto a quanto fa una normale BC).

Ma non lo farò (accontentatevi dei links e dell'accenno a questi problemi auto-evidenti).
Vi propongo invece un'intervista a von Hayek resa in Cile nel 1981, recuperata da Sil-viar e accompagnata da una sua documentata "prefazione"
Perchè al di là dei tecnicismi su questo o quel "provvedimento" o "progetto" €uropeo, non dobbiamo dimenticare che:

a) siamo completamente impotenti di fronte a qualunque tipo di decisione assunta in queste sedi tecnocratiche. Se le nostre osservazioni critiche avessero un qualche tipo di peso, non sarebbero semplicemente più consentite. Ce lo dice Barroso con ostentata sicurezza di poterlo dire;

b) l'insieme inarrestabile di queste politiche sovranazionali, non si cura neppure più del consenso degli Stati nazionali-apparati (soggetti di diritto internazionale), dato che la tecnocrazia funziona ormai "col pilota automatico", come dice lo stesso Draghi

Lo scopo finale è quello che si preannunziava nel Cile di Pinochet: certo, dobbiamo rapportarlo alle diverse situazioni di partenza della struttura economica dei paesi coinvolti
Ma quanto a incremento delle fasce di popolazione sotto la soglia della povertà, ed a distruzione del "fastidio" di sindacati e elezioni, alla fine, il risultato è sostanzialmente omogeneo.
Su tutto domina il bis-linguaggio dei media asserviti, ora come nel Cile di quel tempo...
la caduta dei dittatori: galleria immagini dei peggiori dittatori

AVVERTENZA: se l'intervista che segue non suscita in voi "impressione" e vi appare come l'innocente disquisizione di un amabile filosofo della libertà, andatevi a leggere questo post. E leggetevi il link con quanto aveva denunziato Orlando Letelier
E' impressionante la banalità del male se le "belle parole" e gli "alti principi" vengono scissi dai fatti della Storia, dalle realtà di masse di persone ritenute sacrificabili e i cui destini riposano in queste argute teorizzazioni che nascondono la ferrea volontà di negare la pari dignità degli esseri umani. 
L'uguaglianza (meramente formale) di fronte alla legge, nasconde infatti la realtà per cui, inevitabilmente, la legge vieta o prescrive comportamenti: quali siano in concreto questi comportamenti, dipende dalla condizione sociale di ciascun individuo. 
La stessa norma può esigere uno sforzo inumano da taluno e avvantaggiare sfacciatamente qualcun altro, cui non viene chiesto altro comportamento che reclamare la protezione (autoritaria) dello status quo.  
Il concetto di von Hayek presume, in nome di una presunta evoluzione arbitrariamente contrabbandata come immutabile "tradizione", che la società umana debba fondarsi su una totale e gelida mancanza di solidarietà. Questa assenza autorizza che il privilegiato possa reclamare la forza dello Stato per impedire qualsiasi forma di avanzamento sociale di chi sia assoggettato al potere dei ricchi che, per definizione, devono anche essere "potenti": cioè devono essere posti sempre in grado di legittimare le regole di autoconservazione della propria posizione. Questo e null'altro è Hayek, ridotto alla sua essenza fenomenologica.


Esuli argentini mi fecero leggere alcune interviste rilasciate da Hayek  in Cile ed Argentina.
Era ben chiaro a cosa servissero i golpes; e Hayek e Friedman erano riconosciuti come gli ideologi che avevano a disposizione Cile e Argentina per portare a termine i loro “esperimenti” economici che, da un lato, servivano alle multinazionali e ai grandi proprietari industriali ed agrari per accumulare ricchezza, e depredare i Paesi e i cittadini, senza la “noia” di sindacati ed elezioni, e dall'altro a “provare” dal vivo la bontà del loro “modello”: la restaurazione reazionaria dell'ideologia liberista delle privatizzazioni, liberalizzazioni, repressione salariale. Apriranno la strada alla Thatcher e a Reagan, e a tutto il resto.
Ho tradotto le due interviste che sono riuscita a trovare tra le molte rilasciate da Hayek in Cile nel 1981 in occasione di un seminario al "Centro de Estudio Publicos", di cui era presidente onorario, interviste che risultano già citate su Orizzonte48.

Questa prima intervista è al giornale El Mercurio e l'ho trovato trascritta in un forum.

Voglio ricordare Orlando Letelier, che descrive nel 1976 i risultati economici dei Chicago Boys, prima di essere ammazzato a Washington dalla DINA, la polizia segreta di Pinochet, per avere il contesto delle interviste: nel 1977 Hayek va in Cile la prima volta, incontra Pinochet, e loda i progressi nell'economia.

Nel Cile di Pinochet - migliaia di morti e di scomparsi, decine di migliaia di torturati e di prigionieri politici, circa 1 milione di espatriati-, Hayek parla del “calcolo delle vite”, e della fame come controllo demografico, quando era già ben noto che questo passa attraverso il benessere e il welfare: istruzione e sanità prima di tutto. Ne parla in un paese che ha il 20% di bambini denutriti!  
Nel 1982, con la moneta agganciata al dollaro, con la crescita basata solo sulle esportazioni e con il prezzo del rame in picchiata, la popolazione denutrita raggiunge 1/3 del totale, quella sotto la soglia di povertà oltre il 50%, e la disoccupazione il 25%.
L'ideologo della "globalizzazione" liberista mette “l'individuo” al centro di tutto, parlando di “libertà”, attraverso la mimesi e l'utilizzo del bis-linguaggio, insomma il Test di Orwell deve essere a portata di mano, ma è perfino troppo “onore”... in fondo è la libertà del “proprietario”: più è ricco, più è “libero”.
Ci sono diversi passaggi ridicoli, nonostante il "gentile" eloquio.

Hayek parla della “transizione” necessaria dalla “dittatura liberale” per arrivare alla “democrazia limitata” (l'intervistatrice parla di democrazia totalitaria! Nel Cile di Pinochet!).
E infatti i suoi epigoni, quelli della durezza del vivere (per noi, mica per loro!) ci hanno trascinato dalla democrazia “totalitaria” dello Stato Sociale e del benessere alla democrazia limitata di €/UE per raggiungere gli stessi traguardi economici di Pinochet (per mantenerli a lungo sarà necessario lo stesso tipo di repressione?).
In Cile nessuno è stato punito per i crimini commessi, Pinochet, già amico della Thatcher, non fu estradato in Spagna nel 2000, dal governo laburista inglese, per motivi di salute (o in nome della "riconciliazione"? che non c'è stata), o forse perché la dittatura "liberale" è stata un successo. Un successo mondiale.


Friedrich von Hayek: Dalla schiavitù alla libertà
di Lucia Santa Cruz.

A 82 anni non vi è alcun segno di vecchiaia. Sottile e agile nell'andatura, ma il passare del tempo lo ha costretto ad abbandonare gran parte dell'attività fisica. Alpinista, infaticabile e grande camminatore, oggi deve limitare le sue energie al lavoro intellettuale. Persino durante la sua permanenza in Cile, nonostante i suoi numerosi impegni, Friedrich von Hayek approfitta del tempo disponibile finendo gli ultimi capitoli del terzo volume di “Legge, legislazione e libertà”.
Ci mostra un indice degli argomenti trattati: "L'etica della libertà e la proprietà"; "L'evoluzione del mercato: Commercio e civiltà"; “La lingua avvelenata ", "Lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei lavoratori", "L'illusione della statistica come guida", "Il carattere reazionario del concetto socialista", "Il delirio di onnipotenza degli intellettuali" tra gli altri.
Leggere Hayek – si sia d'accordo o no con i suoi principi - è un piacere intellettuale per il rigore del suo ragionamento. Non ci sono nei suoi scritti eufemismi né mitologie. Tutto è messo in discussione e non ci sono problemi dell'umanità che non siano sollevati e sminuzzati nella ricerca di nuove soluzioni. Vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 1974, è molto più di un semplice economista: un filosofo nel senso più ampio della parola. Il suo libro, "La via della schiavitù", pubblicato durante la seconda guerra mondiale, può diventare una pietra miliare nella storia del pensiero politico e l'attacco più forte sugli effetti che i progressi socialisti hanno sulla libertà dell'uomo. Espone il pericolo del totalitarismo subdolo che si infiltra nelle istituzioni democratiche dell'Occidente.
Il pensiero del padre del liberalismo moderno, nonostante rifugga la classificazione di neo-liberista, si diffonde, con la lentezza delle idee, anni dopo la sua prima formulazione. 
Un profeta isolato negli anni Trenta e Quaranta, quando Keynes presidiava i circoli intellettuali e politici in Inghilterra e negli Stati Uniti, oggi è una figura "rispettabile", con un seguito tra i giovani universitari, tra i governi europei e nordamericani, e con governi come quelli di Reagan e della signora Thatcher, che lo riconoscono come una fonte importante di ispirazione.
In Cile, in qualità di Presidente Onorario del Centro per gli Studi Pubblici, si lascia  intervistare con la modestia che solo le grandi figure sembrano possedere.
Il suo discorso è rilassato. L'inglese perfetto dopo anni in Gran Bretagna, dove ha ottenuto la nazionalità, ma con un accento austriaco forte e melodico. Impeccabilmente vestito, indossa una cravatta con l'immagine di Adam Smith riservata ai membri dalla Mont Pelerin Society, che ha fondato.
Inizia la conversazione con "El Mercurio", dicendo scherzosamente: 
"Per favore sieda alla mia destra sono sordo dall'orecchio sinistro, il che, come si capisce, si presta a molti scherzi politici”.
Ha accettato la presidenza del Centro per gli Studi Pubblici, perché il caso cileno lo interessa.
- Credo che parlare del miracolo economico cileno non è un'esagerazione per quel poco che ho visto, il progresso in questi anni è enorme.-
Avverte della necessità, però, di continuare sulla stessa strada: 
E' necessario fermare l'inflazione completamente, evitando controlli dei prezzi o privilegi sindacali. Io non sono contro i sindacati, ma all'idea che potrebbero godere di privilegi che il resto dei cittadini non ha, perché possono distruggere l'economia”.
-La Libertà è diventata la bandiera di quasi tutti i movimenti politici. Ciò è in parte dovuto al fatto che essa nasconde significati differenti, non solo nelle sfumature, ma nella sostanza, che sono persino opposti
. .

-Che cosa significa per lei libertà?
 -Si tratta della libertà dell'individuo. E' un abuso del termine credere si riferisca alla libertà di una maggioranza in un'assemblea rappresentativa, perché se l'assemblea ha poteri illimitati, inevitabilmente arriverà a limitare la libertà degli individui. Per l'individuo, libertà significa  conoscere in anticipo le regole che deve obbedire per non essere costretto dal governo. La libertà è dunque l'assenza di coercizione. Si richiede un quadro di norme conosciute, uguali per tutti, in modo che ognuno possa sviluppare piani razionali e perseguire i propri fini. Questo non significa che il governo non dovrebbe avere altri poteri. Semplicemente non dovrebbe avere altri mezzi coercitivi. Penso che il governo può fare molto bene, provvedendo le infrastrutture necessarie, anche se nemmeno in questo dovrebbe avere il monopolio. Direi che lo dovrebbe avere solo chi   realizza effettivamente meglio degli altri.
-Si tratta di un concetto negativo della libertà?
-Infatti. Il concetto di libertà è negativo. Quello che si chiama libertà positiva, che permette ad alcuni di godere di certi diritti per fare cose particolari, è inconciliabile con l'idea di uguaglianza davanti alla legge, con l'obbligo che dovrebbero avere i governi di trattare tutti allo stesso modo.
-C'è  chi sostiene che non sarebbe giusto legiferare in forma uguale per esseri che sono uguali solo in apparenza. Cosa ne pensa?
-E' possibile che alcuni governi, in alcuni paesi, debbano assicurare un livello minimo sotto il quale nessuno possa cadere. Tuttavia, se si concepisce la giustizia come la parità di fatto, essa non è raggiungibile. Le persone sono diverse e nulla potrebbe essere più ingiusto che cercare di rendere uguali esseri che non lo sono. L'unica cosa che può essere uguale, lo ripeto, è il trattamento che ognuno riceve dal governo.
-Stranamente, però, sullo sfondo della libertà come forza trainante della civiltà, appare necessario considerare:  perché è necessaria la libertà? Normalmente si ascoltano difese retoriche, ma sembra che lei abbia argomenti empirici.
- Molto, molto empirici. Solo l'ordine del libero mercato ci permette di nutrire la popolazione che esiste nel mondo. Se ci fosse stato comandato di non utilizzare mai il mercato, avremmo continuato un'esistenza felice e selvaggia di raccoglitori. Ma abbiamo usato il mercato e conseguito di aumentare la produttività pro capite per mantenere vivo un numero di persone che, senza il mercato, senza la divisione del lavoro che questo permette, non sarebbe potuto sopravvivere. La verità è che, a meno che non si desideri eliminare, uccidere, l'eccesso di popolazione, dobbiamo continuare. Abbiamo creato non solo una civiltà, ma una popolazione la cui esistenza dipende dal mantenimento dell'ordine di mercato.
-Questi scopi non possono essere ottenuti con una pianificazione?
Direi che oggi, e nel mentre le complessità della moderna società aumentano, è ancora più impossibile di prima. Sarebbe più facile se una persona o un'azienda potesse effettivamente avere tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni. Ma non è che il mercato si adatta a tutti i fatti noti. Funziona nonostante dati che nessuno conosce nella sua interezza. Dipendiamo dall'uso delle informazioni che consentono alle persone di contribuire al mercato, che agisce come un grande computer e sono i risultati del mercato, i suoi segnali automatici, che indicano cosa fare in ogni caso. Agisce come una guida essenziale che segnala agli individui come poter contribuire in modo ottimale al tutto. In altri sistemi si deve dire alle persone cosa fare e, peggio ancora,  senza sapere realmente che cosa dovrebbero fare.
-Allora, la libertà economica è originaria?
- Non si può separare la libertà economica dalle altre libertà. La libertà consiste nello sperimentare e si può sperimentare solo se è possibile utilizzare tutti i mezzi a cui si tiene accesso. - La distinzione tra libertà economica e la libertà intellettuale o culturale è artificiale. Non esiste il sistema che, privando della libertà economica, abbia potuto garantire la libertà intellettuale.
-Pensa che una volta stabilite le fondamenta di un'economia libera, la libertà politica emerge automaticamente o potrebbe esserci il caso della perpetuazione di un governo autoritario, che priva molte libertà, ma mantiene un alto grado di libertà economica?
- Potrebbe essere. Dipende da cosa si intende per libertà politica. Se lei si riferisce alla libertà della maggioranza sì, ma se si vuole definire la libertà politica come assenza di poteri arbitrari, allora dovrebbe applicarsi a tutti i campi. Non è necessario per questo elencare specifici diritti. Basti dire che il governo non ha il potere di obbligare gli individui, se non applicando le stesse regole uniformi applicabili a tutti.
-Non pensa che queste leggi dovrebbero essere non solo uniformi, ma avere un carattere non coercitivo?
- Le Leggi uguali per tutti non sono, perché devono essere applicate anche a chi le formula. Capisco che le restrizioni possono essere necessarie in un periodo di transizione, ma come stato permanente non sarebbe auspicabile.
-Una delle più comuni confusioni nella teoria politica moderna sembra essere quella tra il concetto di democrazia e di libertà. Lei qualcosa ha anticipato, ma potrebbe specificare meglio in che senso queste idee sono diverse o addirittura ostili tra di loro?
-La libertà richiede un certo grado di democrazia, ma non è compatibile con la democrazia illimitata, vale a dire, con l'esistenza di una legislatura rappresentativa con poteri onnicomprensivi. Tuttavia, per la libertà è essenziale che gli individui possano porre fine ad un governo che la maggioranza respinge. Questo è di grande valore. La democrazia ha un compito che io chiamo di 'igiene", assicura che i processi politici si conducano in forma sanitaria. Non è un fine. Si tratta di una regola di procedura finalizzata a servire la libertà. Ma in nessun modo ha lo stesso status di libertà. Quest'ultima richiede la democrazia, ma preferirei sacrificare temporaneamente, ripeto temporaneamente, la democrazia, piuttosto che dover fare a meno della libertà, anche se fosse temporaneamente.
-Esiste allora qualche relazione tra libertà individuale e democrazia?
-La sola cosa che la libertà richiede è che l'individuo possa fare qualcosa per limitare gli atti del  governo. Non penso che l'impartire istruzioni positive al governo su cosa deve fare sia parte della libertà. Ma la verità è che non ci può essere libertà se non siamo in grado di esercitare il diritto di impedire al governo di fare certe cose.
-Tuttavia, sembra un fatto evidente che la democrazia in Occidente sta attraversando una crisi di credibilità. A cosa si deve, a suo parere?
- Si suppone che la democrazia avrebbe la competenza di legiferare. Questo è stato in un momento in cui legiferare significava stabilire norme generali per il comportamento individuale. Ma ora chiamiamo legge tutto ciò che emana dall'autorità, abbia o meno il carattere di legge. Così il vecchio precetto di Montesquieu, la separazione dei poteri, è stata interrotta. Parlando di legislazione, egli si riferiva a qualcosa di molto diverso. Ora l'autorità legislativa è diventata onnipotente. Non abbiamo la separazione dei poteri, non solo perché il Parlamento ha poteri legislativi, ma può anche amministrare e nella procedura può utilizzare tutta la discrezionalità possibile.
-Allora, i problemi non sarebbero intrinseci alla democrazia stessa, consoni alla forma specifica con cui ha funzionato?
- Credo di si. Nel mio prossimo libro, il terzo volume di "Legge, Legislazione e Libertà", propongo una nuova organizzazione per il governo democratico. Consiste di due camere con due scopi diversi. In primo luogo, un vero e proprio organo legislativo con poteri limitati per stabilire regole generali, e una seconda camera che diriga il governo. Il governo sarebbe, naturalmente, limitato dalle leggi generali che ha stabilito la prima assemblea.
-Come sarebbe generato il potere in queste Camere?
- Attraverso un sistema di elezioni, diverso nei due casi. In quella incaricata delle attività di governo, la rappresentanza potrebbe essere in accordo ai diversi interessi settoriali. In quella legislativa, invece, si richiedono i più esperti, uomini saggi ed esperti, che conoscano la materia. Sarebbero eletti, ma non sulla base di partiti, come potrebbe essere nel caso nel corpo legislativo, e inoltre per un periodo più lungo. Non potrebbero essere rieletti, per evitare che siano sottoposti a pressioni dei partiti. Inutile dire che l'assemblea esecutiva sarebbe soggetta alle leggi generali del paese.
-Lei crede nel diritto naturale e che la libertà e la proprietà, per esempio, sono anteriori allo Stato?
No, nel senso tradizionale, però sì in un certo senso. Penso che le migliori norme e leggi siano state selezionate attraverso un processo evolutivo. Non sono state elaborate intellettualmente. Come altri prodotti dell'evoluzione, si può legittimamente dire che c'è più saggezza nella tradizione che nelle costruzioni deliberate. Questo non significa che tutte le tradizioni sono buone. La tradizione deve dimostrare i suoi benefici.
Questi si possono misurare dal successo delle istituzioni che ha prodotto e, in generale, si può affermare che la tradizione del diritto, della libertà, si è dimostrata più efficace di altre tradizioni.

- Che rapporto c'è con il diritto di proprietà? È anteriore allo Stato o lo richiede per non essere un semplice possesso, come dice Kant?
- Lo Stato è necessario per far rispettare la legge, la quale non è una creatura dello Stato. E' il prodotto di una evoluzione che consideriamo buona, non perché lo Stato lo ha decretato, ma perché ha creato una sorta di grande ordine che non potrebbe mai essere stato creato da azioni deliberate.
-Lei si è riferito in altre occasioni all'apparente paradosso per cui un governo dittatoriale può essere più liberale di una democrazia totalitaria. Tuttavia, è anche vero che le dittature hanno altre caratteristiche che sono in contrasto con la libertà, pur concepita nella forma negativa come fa lei.
Evidentemente ci sono grandi pericoli nelle dittature. Ma una dittatura si può auto-limitare e una dittatura che deliberatamente si limita può essere più liberale nelle sue politiche di un'assemblea democratica che non ha limiti. Devo ammettere che non è molto probabile che questo accada, ma ancora, potrebbe essere in un certo momento l'unica speranza. Non una speranza certa, perché  sempre dipenderà dalla buona volontà di un individuo e si può contare su ben pochi individui, ma se è l'unica opportunità che esiste in quel momento, tuttavia, può essere la soluzione migliore. Sempre finché la dittatura si dirige visibilmente verso la democrazia limitata.
-Ha scritto che la libertà è la fonte e la condizione necessaria per la maggior parte dei valori morali.
Solo godendo di libertà --e mi riferisco, insisto, alla libertà individuale-- una persona può comportarsi moralmente. Solo se si dispone di una sfera conosciuta, all'interno della quale si può scegliere, si può agire moralmente, solo se è il soggetto che decide come agire.
-Qual è il ruolo della morale nella teoria politica?
- Come le ho detto, credo che le nostre credenze morali non siano la costruzione del nostro intelletto. Al contrario, come gli altri organismi naturali sono state selezionate da un processo evolutivo che noi non dirigiamo. Per capire perché alcune regole morali hanno avuto, per così dire, più successo, dobbiamo definire cosa intendiamo per più successo morale. Sono giunto alla conclusione che, nel processo di evoluzione è stato possibile selezionare quelle regole morali che ci permettono di mantenere vive la maggior quantità di persone.
La morale, e includo in essa la proprietà e il contratto, deve essere giudicata in base al "calcolo delle vite". Storicamente è dimostrato che un sistema di leggi tende in modo più efficace al sostentamento di un maggior numero di vite. Anche se può essere scioccante per alcuni, questo è dimostrato dalla creazione del proletariato da parte del capitalismo, perché ha dato vita ad un numero di persone che in altri modi non sarebbe sopravvissuto. Gli individui che compongono il proletariato semplicemente non esisterebbero se non fosse per il capitalismo
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- Lei crede che il liberismo è moralmente neutro o che gli obiettivi che persegue comportano una gerarchia di valori?
-Una società libera richiede determinate morali che in ultima istanza si riducono al mantenimento delle vite; non la manutenzione di tutte le vite perché potrebbero essere necessario sacrificare vite individuali per conservare un numero maggiore di altre vite. Pertanto, le uniche regole morali sono quelle che portano al "calcolo di vite": la proprietà e il contratto. Sto deliberatamente lasciando la famiglia e la morale sessuale, perché non sono un esperto. Questo campo è più difficile perché le innovazioni, come il controllo delle nascite, hanno cambiato radicalmente i fondamenti della vita familiare. Ciò che è essenziale è il riconoscimento di certe regole morali. Sono convinto che non scegliamo la nostra moralità, ma che la tradizione per quanto riguarda la proprietà e il contratto che abbiamo ereditato è una condizione necessaria per l'esistenza della popolazione attuale. Possiamo cercare di migliorare parzialmente e sperimentalmente.
Dire che il diritto di proprietà dipende da un giudizio di valore equivale a dire che la conservazione della vita è una questione di giudizio di valore. Dal momento in cui accettiamo la necessità di mantenere in vita tutti quanti non abbiamo scelta. L'unico giudizio di valore si riferisce alla stima  che si faccia  della conservazione della vita.

-Lei direbbe che la Chiesa Cattolica si è tradizionalmente opposta al liberismo?
- Non necessariamente. Si è opposta soltanto al liberalismo razionalista europeo, non alla corrente inglese, perché sotto l'influenza della Rivoluzione Francese divenne anti-chiesa prima che la Chiesa fosse anti-liberale.
-Tuttavia i rapporti non sempre sono stati armoniosi.
- Nel XIX secolo la Chiesa ha adottato un atteggiamento molto anti-liberale verso la scienza. Attualmente ci sono grandi speranze per una riconciliazione tra la scienza e la Chiesa. Sono stato coinvolto in questi sforzi. Quattro mesi fa ero in un riunione in Vaticano con una dozzina di premi Nobel per discutere i problemi della riconciliazione tra la scienza e la Chiesa. Non so fino a che punto il Papa è disposto ad andare. Devo dire che non sono d'accordo con la posizione estremamente dottrinaria sul controllo delle nascite. Ma in questa occasione ci hanno detto che, a parte l'aborto -che per la Chiesa è fuori discussione-, si poteva parlare liberamente di tutto il resto.
-Sebbene la Chiesa possa non essere anti-liberale, ci sono stati pronunciamenti ecclesiastici contro il capitalismo.
- Guardi, la parola capitalismo nemmeno a me piace e vorrei cambiarla. Ma non credo che la Chiesa si sia pronunciata contro l'economia di mercato e le vecchie dottrine sull'interesse sono cose del passato. In realtà, importanti rappresentanti della Chiesa, cardinali, tra cui il Primate della Germania, appoggiano l'economia sociale di mercato. Non vi è alcuna opposizione ufficiale della Chiesa, hanno perso solo alcune restrizioni. Devo anche dire che la partecipazione dei sacerdoti ai movimenti socialisti è quasi un'esclusiva dei paesi di lingua spagnola.
-Lei non crede che il liberalismo genera materialismo?
- No. Affatto. Ci fornisce i mezzi materiali per soddisfare tutti i nostri scopi.
-Tocqueville fu forse il primo a sollevare la tensione permanente tra libertà e uguaglianza. Lei a cosa crede risponda il conflitto che di norma si crea tra loro.
- L'unica uguaglianza fattibile è l'uguaglianza di fronte alla legge. Se chiedete più di questo, immediatamente entra in conflitto con la libertà. Se si ha intenzione di creare uguaglianza materiale si può fare soltanto limitando la libertà.
-Ma, lei direbbe che l'idea di eguaglianza ha contribuito a trasformare la libertà da un privilegio ad un valore universale?
- Solo per quanto riguarda l'uguaglianza di fronte alla legge.
-Non pensa che è necessario garantire l'uguaglianza di opportunità?
- Anche questo è molto difficile da raggiungere. Le opportunità, che sono creazione dei governi, dovrebbero essere uguali, ma non si può assicurare l'uguaglianza obbiettiva. Le persone sono molto diverse, hanno padri diversi, hanno gradi differenti di salute, costituzioni biologici disuguali.
- Ma in materia di istruzione, per esempio, non crede che è importante non ci siano marcate differenze in quanto a opportunità?
- Alcune misure al riguardo sono convenienti. E' auspicabile che gli individui di talento che non possono finanziare i loro studi siano assistiti, ma non sono sicuro che non abbiamo causato pregiudizio alle famiglie operaie privandoli dei loro elementi più dotati.
-E aspetti quali la cultura, dove la legge della domanda e dell'offerta storicamente non ha garantito né diversità, né qualità?
- Prima pensavo che i governi avrebbero dovuto fare qualcosa, ma l'esperienza giapponese, dove tutte queste attività ricreative sono nelle mani di imprese private, mi ha convinto che non sono i governi i più appropriati. Non lo sono mai stati. Né in Grecia né nel Rinascimento, non nel periodo d'oro della musica nel XVIII secolo. Sono sempre stati i mecenati i grandi promotori della cultura. Spetta alle classi ricche prendersi cura della cultura.
-Il liberalismo è stata tradizionalmente una mentalità più che una dottrina rigidamente strutturata, un approccio pragmatico ed empirico, l'applicazione del principio di "trial and error". Alcune persone credono che il neoliberismo è sostanzialmente diverso in questo senso, perché offre una struttura molto solida che potrebbe essere classificato come ideologia molto coerente e globale. Come si può conciliare questo con l'idea del grande liberale Karl Popper che la politica, come ipotesi scientifica, è solo una proposizione congetturale senza valore di verità ultima?
- Popper e io siamo d'accordo su quasi tutti gli aspetti. Il problema è che non siamo neoliberisti. Chi si definisce così non sono liberali, sono socialisti. Siamo liberali che cercano di rinnovare, ci atteniamo alla tradizione che può essere migliorata, ma non può essere modificata nelle fondamenta. Il contrario è cadere nel costruttivismo razionalista, nell'idea che si può costruire una struttura sociale concepita intellettualmente dagli uomini e imposta secondo un piano senza tenere in considerazione i processi evolutivi culturali.
-Non crede che, nel caso del Cile, per esempio, dove si sta cercando di applicare un modello molto coerente in tutti i settori della vita nazionale, ci siano alcune caratteristiche di quello che lei chiama costruttivismo?
- Non ne so abbastanza per commentare. So che gli economisti sono solidi.
-Ma il modello comprende più che la mera economia.
- E' possibile che questo si debba all'enorme influenza che il positivismo e l'utilitarismo hanno avuto in America Latina. Bentham e Comte sono stati grandi figure intellettuali del continente e il liberalismo in questo continente è sempre stato costruttivista. Milton Friedman, per esempio, è un grande economista con il quale concordo su quasi tutti i punti, ma su altri non sono d'accordo, non solo sull'uso meccanico di capitale circolante. Anche io sono economista, ma mi piace pensare che sono qualcosa di più. Io dico sempre che un economista che è solo un economista, non può nemmeno essere un buon economista. Be', Friedman è cresciuto nella tradizione del Bureau of Economic Research sotto l'influenza di Mitchel. Egli sostiene che dal momento che noi abbiamo creato le istituzioni possiamo cambiarle come vogliamo. Questo è un errore intellettuale. Si tratta di un errore. E' falso. In questo senso Milton è più costruttivista di me.
-Un modello che copre tutte le istituzioni e si impone senza che forze spontanee lo generino, per quanto persegua la libertà, potrebbe arrivare ad essere in conflitto con la libertà?
-Sì.
- Talmon dice che l'uomo è diviso tra due grandi ambizioni: il desiderio di salvezza attraverso un credo onnicomprensivo che risolve tutto e la libertà. Aggiunge sarebbe il perseguimento di entrambe le mete che porta inevitabilmente alla tirannia. Pensa che se la ricerca della libertà si trasforma un credo onnicomprensivo che risolve tutto può portare a certe forme di tirannia?
-Sì, naturalmente. In fondo, e in definitiva, si tratta di un problema di umiltà. Di riconoscere quanto poco sappiamo.
-Mi piacerebbe sentire i suoi commenti riguardo il seguente giudizio: Hegel, Marx e Freud sono responsabili di tutte le disonestà morali e intellettuali del XX secolo.
- Forse è posto in un modo un po' esagerato. Sono i più cospicui rappresentanti del percorso sbagliato.

"Bene, direi che come istituzione a lungo termine, io sono totalmente contro le dittature. Ma può essere un sistema necessario in un periodo di transizione. A volte è necessario che in un paese si abbia, per un po' di tempo, una qualche forma di potere dittatoriale. Come capirete, è possibile che una dittatore governi in modo liberale. Ed è anche possibile che una democrazia governi con una totale mancanza di liberalismo. Ed io, personalmente, preferisco un dittatore liberale, che non un governo democratico carente di liberalismo. La mia impressione è - e questo è vero per il Sud America – che in Cile, ad esempio, ci sarà una transizione tra un governo dittatoriale e un governo liberale. E, in questa transizione, può essere necessario per mantenere alcuni poteri dittatoriali, non come permanenti, ma come una disposizione transitoria.

Hayek, Friedrich August von 1981: "Al presente il nostro compito principale è quello di limitare il potere del governo" [Intervista], in: El Mercurio, aprile 1981, pag. D8-D9.