Sì lo so che molti magari vorrebbero che parlassi del QE di Draghi;
Ma non lo farò (accontentatevi dei links e dell'accenno a questi problemi auto-evidenti).
Vi propongo invece un'intervista a von Hayek resa in Cile nel 1981, recuperata da Sil-viar e accompagnata da una sua documentata "prefazione".
b) l'insieme inarrestabile di queste politiche sovranazionali, non si cura neppure più del consenso degli Stati nazionali-apparati (soggetti di diritto internazionale), dato che la tecnocrazia funziona ormai "col pilota automatico", come dice lo stesso Draghi.
Lo scopo finale è quello che si preannunziava nel Cile di Pinochet: certo, dobbiamo rapportarlo alle diverse situazioni di partenza della struttura economica dei paesi coinvolti.
Ma quanto a incremento delle fasce di popolazione sotto la soglia della povertà, ed a distruzione del "fastidio" di sindacati e elezioni, alla fine, il risultato è sostanzialmente omogeneo.
Su tutto domina il bis-linguaggio dei media asserviti, ora come nel Cile di quel tempo...
AVVERTENZA: se l'intervista che segue non suscita in voi "impressione" e vi appare come l'innocente disquisizione di un amabile filosofo della libertà, andatevi a leggere questo post. E leggetevi il link con quanto aveva denunziato Orlando Letelier.
E' impressionante la banalità del male se le "belle parole" e gli "alti principi" vengono scissi dai fatti della Storia, dalle realtà di masse di persone ritenute sacrificabili e i cui destini riposano in queste argute teorizzazioni che nascondono la ferrea volontà di negare la pari dignità degli esseri umani.
L'uguaglianza (meramente formale) di fronte alla legge, nasconde infatti la realtà per cui, inevitabilmente, la legge vieta o prescrive comportamenti: quali siano in concreto questi comportamenti, dipende dalla condizione sociale di ciascun individuo.
La stessa norma può esigere uno sforzo inumano da taluno e avvantaggiare sfacciatamente qualcun altro, cui non viene chiesto altro comportamento che reclamare la protezione (autoritaria) dello status quo.
Il concetto di von Hayek presume, in nome di una presunta evoluzione arbitrariamente contrabbandata come immutabile "tradizione", che la società umana debba fondarsi su una totale e gelida mancanza di solidarietà. Questa assenza autorizza che il privilegiato possa reclamare la forza dello Stato per impedire qualsiasi forma di avanzamento sociale di chi sia assoggettato al potere dei ricchi che, per definizione, devono anche essere "potenti": cioè devono essere posti sempre in grado di legittimare le regole di autoconservazione della propria posizione. Questo e null'altro è Hayek, ridotto alla sua essenza fenomenologica.
Esuli argentini mi fecero leggere
alcune interviste rilasciate da Hayek in
Cile ed Argentina.
Era ben chiaro a cosa servissero i
golpes; e Hayek e Friedman erano riconosciuti come gli ideologi che avevano a
disposizione Cile e Argentina per portare a termine i loro “esperimenti”
economici che, da un lato, servivano alle multinazionali e ai grandi
proprietari industriali ed agrari per accumulare ricchezza, e depredare i Paesi e
i cittadini, senza la “noia” di sindacati ed elezioni, e dall'altro a “provare” dal
vivo la bontà del loro “modello”: la restaurazione reazionaria dell'ideologia
liberista delle privatizzazioni, liberalizzazioni, repressione salariale.
Apriranno la strada alla Thatcher e a Reagan, e a tutto il resto.
Nel Cile di Pinochet - migliaia di
morti e di scomparsi, decine di migliaia di torturati e di prigionieri
politici, circa 1 milione di espatriati-, Hayek parla del “calcolo delle vite”,
e della fame come controllo demografico, quando era già ben noto che questo
passa attraverso il benessere e il welfare: istruzione e sanità prima di tutto.
Ne parla in un paese che ha il 20% di bambini denutriti!
Nel 1982, con la
moneta agganciata al dollaro, con la crescita basata solo sulle esportazioni e
con il prezzo del rame in picchiata, la popolazione denutrita raggiunge 1/3 del
totale, quella sotto la soglia di povertà oltre il 50%, e la disoccupazione il
25%.
L'ideologo della "globalizzazione" liberista mette “l'individuo” al
centro di tutto, parlando di “libertà”, attraverso la mimesi e l'utilizzo del
bis-linguaggio, insomma il Test di Orwell deve essere a portata di mano, ma è
perfino troppo “onore”... in fondo è la libertà del “proprietario”: più è
ricco, più è “libero”.
Ci sono diversi passaggi ridicoli, nonostante il "gentile" eloquio.
Hayek parla della “transizione” necessaria dalla “dittatura liberale” per
arrivare alla “democrazia limitata” (l'intervistatrice parla di democrazia
totalitaria! Nel Cile di Pinochet!).
E infatti i suoi epigoni, quelli
della durezza del vivere (per noi, mica per loro!) ci hanno trascinato dalla
democrazia “totalitaria” dello Stato Sociale e del benessere alla democrazia
limitata di €/UE per raggiungere gli stessi traguardi economici di Pinochet
(per mantenerli a lungo sarà necessario lo stesso tipo di repressione?).
In Cile nessuno è stato punito per i
crimini commessi, Pinochet, già amico della Thatcher, non fu estradato in
Spagna nel 2000, dal governo laburista inglese, per motivi di salute (o in nome
della "riconciliazione"? che non c'è stata), o forse perché la dittatura
"liberale" è stata un successo. Un successo mondiale.
Friedrich von Hayek: Dalla schiavitù alla
libertà
di Lucia Santa Cruz.
A 82 anni non vi è alcun segno di vecchiaia. Sottile e agile nell'andatura, ma
il passare del tempo lo ha costretto ad abbandonare gran parte dell'attività
fisica. Alpinista, infaticabile e grande camminatore, oggi deve limitare le sue
energie al lavoro intellettuale. Persino durante la sua permanenza in Cile,
nonostante i suoi numerosi impegni, Friedrich von Hayek approfitta del tempo
disponibile finendo gli ultimi capitoli del terzo volume di “Legge,
legislazione e libertà”.
Ci
mostra un indice degli argomenti trattati: "L'etica della libertà e la
proprietà"; "L'evoluzione del mercato: Commercio e civiltà"; “La
lingua avvelenata ", "Lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei
lavoratori", "L'illusione della statistica come guida", "Il
carattere reazionario del concetto socialista", "Il delirio di
onnipotenza degli intellettuali" tra gli altri.
Leggere Hayek – si sia d'accordo o no con i suoi principi - è un piacere
intellettuale per il rigore del suo ragionamento. Non ci sono nei suoi scritti
eufemismi né mitologie. Tutto è messo in discussione e non ci sono problemi
dell'umanità che non siano sollevati e sminuzzati nella ricerca di nuove
soluzioni. Vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 1974, è molto più di
un semplice economista: un filosofo nel senso più ampio della parola. Il suo
libro, "La via della schiavitù", pubblicato durante la seconda guerra
mondiale, può diventare una pietra miliare nella storia del pensiero politico e
l'attacco più forte sugli effetti che i progressi socialisti hanno sulla
libertà dell'uomo. Espone il pericolo del totalitarismo subdolo che si infiltra
nelle istituzioni democratiche dell'Occidente.
Il pensiero del padre del liberalismo moderno, nonostante rifugga la
classificazione di neo-liberista, si diffonde, con la lentezza delle idee, anni
dopo la sua prima formulazione.
Un profeta isolato negli anni Trenta e
Quaranta, quando Keynes presidiava i circoli intellettuali e politici in
Inghilterra e negli Stati Uniti, oggi è una figura "rispettabile",
con un seguito tra i giovani universitari, tra i governi europei e
nordamericani, e con governi come quelli di Reagan e della signora Thatcher,
che lo riconoscono come una fonte importante di ispirazione.
In Cile, in qualità di Presidente Onorario del Centro per gli Studi Pubblici,
si lascia intervistare con la modestia
che solo le grandi figure sembrano possedere.
Il suo discorso è rilassato. L'inglese perfetto dopo anni in Gran Bretagna,
dove ha ottenuto la nazionalità, ma con un accento austriaco forte e melodico.
Impeccabilmente vestito, indossa una cravatta con l'immagine di Adam Smith
riservata ai membri dalla Mont Pelerin Society, che ha fondato.
Inizia la conversazione con "El Mercurio", dicendo scherzosamente:
"Per favore sieda alla mia destra sono sordo dall'orecchio sinistro, il
che, come si capisce, si presta a molti scherzi politici”.
Ha accettato la presidenza del Centro per gli Studi Pubblici, perché il caso
cileno lo interessa.
- Credo che parlare del miracolo economico cileno non è un'esagerazione per
quel poco che ho visto, il progresso in questi anni è enorme.-
Avverte della necessità, però, di continuare sulla stessa strada:
“E'
necessario fermare l'inflazione completamente, evitando controlli dei prezzi o
privilegi sindacali. Io non sono contro i sindacati, ma all'idea che potrebbero
godere di privilegi che il resto dei cittadini non ha, perché possono
distruggere l'economia”.
-La Libertà è
diventata la bandiera di quasi tutti i movimenti politici. Ciò è in parte
dovuto al fatto che essa nasconde significati differenti, non solo nelle
sfumature, ma nella sostanza, che sono persino opposti. .
-Che
cosa significa per lei libertà?
-Si tratta della libertà dell'individuo.
E' un abuso del termine credere si riferisca alla libertà di una maggioranza in
un'assemblea rappresentativa, perché se l'assemblea ha poteri illimitati,
inevitabilmente arriverà a limitare la libertà degli individui. Per
l'individuo, libertà significa conoscere
in anticipo le regole che deve obbedire per non essere costretto dal governo.
La libertà è dunque l'assenza di coercizione. Si richiede un quadro di norme
conosciute, uguali per tutti, in modo che ognuno possa sviluppare piani
razionali e perseguire i propri fini. Questo non significa che il governo non
dovrebbe avere altri poteri. Semplicemente non dovrebbe avere altri mezzi
coercitivi. Penso che il governo può fare molto bene, provvedendo le
infrastrutture necessarie, anche se nemmeno in questo dovrebbe avere il monopolio.
Direi che lo dovrebbe avere solo chi
realizza effettivamente meglio degli altri.
-Si tratta di un concetto negativo della libertà?
-Infatti. Il concetto di libertà è negativo. Quello che si chiama libertà
positiva, che permette ad alcuni di godere di certi diritti per fare cose
particolari, è inconciliabile con l'idea di uguaglianza davanti alla legge, con
l'obbligo che dovrebbero avere i governi di trattare tutti allo stesso modo.
-C'è chi sostiene che non sarebbe
giusto legiferare in forma uguale per esseri che sono uguali solo in apparenza.
Cosa ne pensa?
-E' possibile che alcuni governi, in alcuni paesi, debbano assicurare un
livello minimo sotto il quale nessuno possa cadere. Tuttavia, se si concepisce
la giustizia come la parità di fatto, essa non è raggiungibile. Le persone sono
diverse e nulla potrebbe essere più ingiusto che cercare di rendere uguali
esseri che non lo sono. L'unica cosa che può essere uguale, lo ripeto, è il
trattamento che ognuno riceve dal governo.
-Stranamente, però, sullo sfondo della libertà come forza trainante della
civiltà, appare necessario considerare:
perché è necessaria la libertà? Normalmente si ascoltano difese
retoriche, ma sembra che lei abbia argomenti empirici.
- Molto, molto empirici. Solo l'ordine del libero mercato ci permette di nutrire
la popolazione che esiste nel mondo. Se ci fosse stato comandato di non
utilizzare mai il mercato, avremmo continuato un'esistenza felice e selvaggia
di raccoglitori. Ma abbiamo usato il mercato e conseguito di aumentare la
produttività pro capite per mantenere vivo un numero di persone che, senza il
mercato, senza la divisione del lavoro che questo permette, non sarebbe potuto
sopravvivere. La verità è che, a meno che non si desideri eliminare, uccidere,
l'eccesso di popolazione, dobbiamo continuare. Abbiamo creato non solo una
civiltà, ma una popolazione la cui esistenza dipende dal mantenimento
dell'ordine di mercato.
-Questi scopi non possono essere ottenuti con una pianificazione?
Direi che oggi, e nel mentre le complessità della moderna società aumentano, è
ancora più impossibile di prima. Sarebbe più facile se una persona o un'azienda
potesse effettivamente avere tutte le informazioni necessarie per prendere
decisioni. Ma non è che il mercato si adatta a tutti i fatti noti. Funziona
nonostante dati che nessuno conosce nella sua interezza. Dipendiamo dall'uso
delle informazioni che consentono alle persone di contribuire al mercato, che
agisce come un grande computer e sono i risultati del mercato, i suoi segnali
automatici, che indicano cosa fare in ogni caso. Agisce come una guida
essenziale che segnala agli individui come poter contribuire in modo ottimale
al tutto. In altri sistemi si deve dire alle persone cosa fare e, peggio
ancora, senza sapere realmente che cosa
dovrebbero fare.
-Allora,
la libertà economica è originaria?
- Non si può separare la libertà economica dalle altre libertà. La libertà
consiste nello sperimentare e si può sperimentare solo se è possibile
utilizzare tutti i mezzi a cui si tiene accesso. - La distinzione tra libertà
economica e la libertà intellettuale o culturale è artificiale. Non esiste il
sistema che, privando della libertà economica, abbia potuto garantire la
libertà intellettuale.
-Pensa che una volta stabilite le fondamenta di un'economia libera, la
libertà politica emerge automaticamente o potrebbe esserci il caso della
perpetuazione di un governo autoritario, che priva molte libertà, ma mantiene
un alto grado di libertà economica?
- Potrebbe essere. Dipende da cosa si intende per libertà politica. Se lei si
riferisce alla libertà della maggioranza sì, ma se si vuole definire la libertà
politica come assenza di poteri arbitrari, allora dovrebbe applicarsi a tutti i
campi. Non è necessario per questo elencare specifici diritti. Basti dire che
il governo non ha il potere di obbligare gli individui, se non applicando le
stesse regole uniformi applicabili a tutti.
-Non pensa che queste leggi dovrebbero essere non solo uniformi, ma avere un
carattere non coercitivo?
- Le Leggi uguali per tutti non sono, perché devono essere applicate anche a chi
le formula. Capisco che le restrizioni possono essere necessarie in un periodo
di transizione, ma come stato permanente non sarebbe auspicabile.
-Una delle più comuni confusioni nella teoria politica moderna sembra essere
quella tra il concetto di democrazia e di libertà. Lei qualcosa ha anticipato,
ma potrebbe specificare meglio in che senso queste idee sono diverse o
addirittura ostili tra di loro?
-La libertà richiede un certo grado di democrazia, ma non è compatibile con la
democrazia illimitata, vale a dire, con l'esistenza di una legislatura
rappresentativa con poteri onnicomprensivi. Tuttavia, per la libertà è
essenziale che gli individui possano porre fine ad un governo che la
maggioranza respinge. Questo è di grande valore. La democrazia ha un compito
che io chiamo di 'igiene", assicura che i processi politici si conducano
in forma sanitaria. Non è un fine. Si tratta di una regola di procedura
finalizzata a servire la libertà. Ma in nessun modo ha lo stesso status di
libertà. Quest'ultima richiede la democrazia, ma preferirei sacrificare
temporaneamente, ripeto temporaneamente, la democrazia, piuttosto che dover
fare a meno della libertà, anche se fosse temporaneamente.
-Esiste allora qualche relazione tra libertà individuale e democrazia?
-La sola cosa che la libertà richiede è che l'individuo possa fare qualcosa per
limitare gli atti del governo. Non penso
che l'impartire istruzioni positive al governo su cosa deve fare sia parte
della libertà. Ma la verità è che non ci può essere libertà se non siamo in
grado di esercitare il diritto di impedire al governo di fare certe cose.
-Tuttavia, sembra un fatto evidente che la democrazia in Occidente sta
attraversando una crisi di credibilità. A cosa si deve, a suo parere?
- Si suppone che la democrazia avrebbe la competenza di legiferare. Questo è
stato in un momento in cui legiferare significava stabilire norme generali per
il comportamento individuale. Ma ora chiamiamo legge tutto ciò che emana
dall'autorità, abbia o meno il carattere di legge. Così il vecchio precetto di
Montesquieu, la separazione dei poteri, è stata interrotta. Parlando di
legislazione, egli si riferiva a qualcosa di molto diverso. Ora l'autorità
legislativa è diventata onnipotente. Non abbiamo la separazione dei poteri, non
solo perché il Parlamento ha poteri legislativi, ma può anche amministrare e
nella procedura può utilizzare tutta la discrezionalità possibile.
-Allora, i problemi non sarebbero intrinseci alla democrazia stessa, consoni
alla forma specifica con cui ha funzionato?
- Credo di si. Nel mio prossimo libro, il terzo volume di "Legge,
Legislazione e Libertà", propongo una nuova organizzazione per il governo
democratico. Consiste di due camere con due scopi diversi. In primo luogo, un
vero e proprio organo legislativo con poteri limitati per stabilire regole
generali, e una seconda camera che diriga il governo. Il governo sarebbe,
naturalmente, limitato dalle leggi generali che ha stabilito la prima
assemblea.
-Come sarebbe generato il potere in queste Camere?
- Attraverso un sistema di elezioni, diverso nei due casi. In quella incaricata
delle attività di governo, la rappresentanza potrebbe essere in accordo ai
diversi interessi settoriali. In quella legislativa, invece, si richiedono i
più esperti, uomini saggi ed esperti, che conoscano la materia. Sarebbero
eletti, ma non sulla base di partiti, come potrebbe essere nel caso nel corpo
legislativo, e inoltre per un periodo più lungo. Non potrebbero essere
rieletti, per evitare che siano sottoposti a pressioni dei partiti. Inutile
dire che l'assemblea esecutiva sarebbe soggetta alle leggi generali del paese.
-Lei crede nel diritto naturale e che la libertà e la proprietà, per
esempio, sono anteriori allo Stato?
No, nel senso tradizionale, però sì in un certo senso. Penso che le migliori
norme e leggi siano state selezionate attraverso un processo evolutivo. Non
sono state elaborate intellettualmente. Come altri prodotti dell'evoluzione, si
può legittimamente dire che c'è più saggezza nella tradizione che nelle
costruzioni deliberate. Questo non significa che tutte le tradizioni sono
buone. La tradizione deve dimostrare i suoi benefici.
Questi si possono misurare dal successo delle istituzioni che ha prodotto e, in
generale, si può affermare che la tradizione del diritto, della libertà, si è
dimostrata più efficace di altre tradizioni.
- Che rapporto c'è con il diritto di proprietà? È anteriore allo Stato o lo
richiede per non essere un semplice possesso, come dice Kant?
- Lo Stato è necessario per far rispettare la legge, la quale non è una
creatura dello Stato. E' il prodotto di una evoluzione che consideriamo buona,
non perché lo Stato lo ha decretato, ma perché ha creato una sorta di grande
ordine che non potrebbe mai essere stato creato da azioni deliberate.
-Lei si è riferito in altre occasioni all'apparente paradosso per cui un
governo dittatoriale può essere più liberale di una democrazia totalitaria.
Tuttavia, è anche vero che le dittature hanno altre caratteristiche che sono in
contrasto con la libertà, pur concepita nella forma negativa come fa lei.
Evidentemente ci sono grandi pericoli nelle dittature. Ma una dittatura si può
auto-limitare e una dittatura che deliberatamente si limita può essere più
liberale nelle sue politiche di un'assemblea democratica che non ha limiti.
Devo ammettere che non è molto probabile che questo accada, ma ancora, potrebbe
essere in un certo momento l'unica speranza. Non una speranza certa,
perché sempre dipenderà dalla buona
volontà di un individuo e si può contare su ben pochi individui, ma se è
l'unica opportunità che esiste in quel momento, tuttavia, può essere la
soluzione migliore. Sempre finché la dittatura si dirige visibilmente verso la
democrazia limitata.
-Ha scritto che la libertà è la fonte e la condizione necessaria per la
maggior parte dei valori morali.
Solo
godendo di libertà --e mi riferisco, insisto, alla libertà individuale-- una
persona può comportarsi moralmente. Solo se si dispone di una sfera conosciuta,
all'interno della quale si può scegliere, si può agire moralmente, solo se è il
soggetto che decide come agire.
-Qual è il ruolo della morale nella teoria politica?
- Come le ho detto, credo che le nostre credenze morali non siano la costruzione
del nostro intelletto. Al contrario, come gli altri organismi naturali sono
state selezionate da un processo evolutivo che noi non dirigiamo. Per capire
perché alcune regole morali hanno avuto, per così dire, più successo, dobbiamo
definire cosa intendiamo per più successo morale. Sono giunto alla conclusione
che, nel processo di evoluzione è stato possibile selezionare quelle regole
morali che ci permettono di mantenere vive la maggior quantità di persone.
La morale, e includo in essa la proprietà e il contratto, deve essere giudicata
in base al "calcolo delle vite". Storicamente è dimostrato che un
sistema di leggi tende in modo più efficace al sostentamento di un maggior
numero di vite. Anche se può essere scioccante per alcuni, questo è dimostrato
dalla creazione del proletariato da parte del capitalismo, perché ha dato vita
ad un numero di persone che in altri modi non sarebbe sopravvissuto. Gli
individui che compongono il proletariato semplicemente non esisterebbero se non
fosse per il capitalismo.
- Lei crede che il liberismo è moralmente neutro o che gli obiettivi che
persegue comportano una gerarchia di valori?
-Una società libera richiede determinate morali che in ultima istanza si
riducono al mantenimento delle vite; non la manutenzione di tutte le vite
perché potrebbero essere necessario sacrificare vite individuali per conservare
un numero maggiore di altre vite. Pertanto, le uniche regole morali sono quelle
che portano al "calcolo di vite": la proprietà e il contratto. Sto
deliberatamente lasciando la famiglia e la morale sessuale, perché non sono un
esperto. Questo campo è più difficile perché le innovazioni, come il controllo
delle nascite, hanno cambiato radicalmente i fondamenti della vita familiare.
Ciò che è essenziale è il riconoscimento di certe regole morali. Sono convinto
che non scegliamo la nostra moralità, ma che la tradizione per quanto riguarda
la proprietà e il contratto che abbiamo ereditato è una condizione necessaria
per l'esistenza della popolazione attuale. Possiamo cercare di migliorare
parzialmente e sperimentalmente.
Dire che il diritto di proprietà dipende da un giudizio di valore equivale a
dire che la conservazione della vita è una questione di giudizio di valore. Dal
momento in cui accettiamo la necessità di mantenere in vita tutti quanti non
abbiamo scelta. L'unico giudizio di valore si riferisce alla stima che si faccia
della conservazione della vita.
-Lei direbbe che la
Chiesa Cattolica si è tradizionalmente opposta al liberismo?
- Non necessariamente. Si è opposta soltanto al liberalismo razionalista europeo,
non alla corrente inglese, perché sotto l'influenza della Rivoluzione Francese
divenne anti-chiesa prima che la
Chiesa fosse anti-liberale.
-Tuttavia i rapporti non sempre sono stati armoniosi.
- Nel XIX secolo la Chiesa
ha adottato un atteggiamento molto anti-liberale verso la scienza. Attualmente
ci sono grandi speranze per una riconciliazione tra la scienza e la Chiesa. Sono stato
coinvolto in questi sforzi. Quattro mesi fa ero in un riunione in Vaticano con
una dozzina di premi Nobel per discutere i problemi della riconciliazione tra
la scienza e la Chiesa.
Non so fino a che punto il Papa è disposto ad andare. Devo
dire che non sono d'accordo con la posizione estremamente dottrinaria sul
controllo delle nascite. Ma in questa occasione ci hanno detto che, a parte
l'aborto -che per la Chiesa
è fuori discussione-, si poteva parlare liberamente di tutto il resto.
-Sebbene la Chiesa
possa non essere anti-liberale, ci sono stati pronunciamenti ecclesiastici
contro il capitalismo.
- Guardi, la parola capitalismo nemmeno a me piace e vorrei cambiarla. Ma non
credo che la Chiesa
si sia pronunciata contro l'economia di mercato e le vecchie dottrine
sull'interesse sono cose del passato. In realtà, importanti rappresentanti
della Chiesa, cardinali, tra cui il Primate della Germania, appoggiano
l'economia sociale di mercato. Non vi è alcuna opposizione ufficiale della
Chiesa, hanno perso solo alcune restrizioni. Devo anche dire che la
partecipazione dei sacerdoti ai movimenti socialisti è quasi un'esclusiva dei paesi
di lingua spagnola.
-Lei non crede che il liberalismo genera materialismo?
- No. Affatto. Ci fornisce i mezzi materiali per soddisfare tutti i nostri
scopi.
-Tocqueville fu forse il primo a sollevare la tensione permanente tra
libertà e uguaglianza. Lei a cosa crede risponda il conflitto che di norma si
crea tra loro.
- L'unica uguaglianza fattibile è l'uguaglianza di fronte alla legge. Se
chiedete più di questo, immediatamente entra in conflitto con la libertà. Se si
ha intenzione di creare uguaglianza materiale si può fare soltanto limitando la
libertà.
-Ma, lei direbbe che l'idea di eguaglianza ha contribuito a trasformare la
libertà da un privilegio ad un valore universale?
- Solo per quanto riguarda l'uguaglianza di fronte alla legge.
-Non pensa che è necessario garantire l'uguaglianza di opportunità?
- Anche questo è molto difficile da raggiungere. Le opportunità, che sono
creazione dei governi, dovrebbero essere uguali, ma non si può assicurare
l'uguaglianza obbiettiva. Le persone sono molto diverse, hanno padri diversi,
hanno gradi differenti di salute, costituzioni biologici disuguali.
- Ma in materia di istruzione, per esempio, non crede che è importante non ci
siano marcate differenze in quanto a opportunità?
- Alcune misure al riguardo sono convenienti. E' auspicabile che gli individui
di talento che non possono finanziare i loro studi siano assistiti, ma non sono
sicuro che non abbiamo causato pregiudizio alle famiglie operaie privandoli dei
loro elementi più dotati.
-E aspetti quali la cultura, dove la legge della domanda e dell'offerta
storicamente non ha garantito né diversità, né qualità?
- Prima pensavo che i governi avrebbero dovuto fare qualcosa, ma l'esperienza
giapponese, dove tutte queste attività ricreative sono nelle mani di imprese
private, mi ha convinto che non sono i governi i più appropriati. Non lo sono
mai stati. Né in Grecia né nel Rinascimento, non nel periodo d'oro della musica
nel XVIII secolo. Sono sempre stati i mecenati i grandi promotori della
cultura. Spetta alle classi ricche prendersi cura della cultura.
-Il liberalismo è stata tradizionalmente una mentalità più che una dottrina
rigidamente strutturata, un approccio pragmatico ed empirico, l'applicazione
del principio di "trial and error". Alcune persone credono che
il neoliberismo è sostanzialmente diverso in questo senso, perché offre una
struttura molto solida che potrebbe essere classificato come ideologia molto
coerente e globale. Come si può conciliare questo con l'idea del grande
liberale Karl Popper che la politica, come ipotesi scientifica, è solo una
proposizione congetturale senza valore di verità ultima?
- Popper e io siamo d'accordo su quasi tutti gli aspetti. Il problema è che non
siamo neoliberisti. Chi si definisce così non sono liberali, sono socialisti.
Siamo liberali che cercano di rinnovare, ci atteniamo alla tradizione che può
essere migliorata, ma non può essere modificata nelle fondamenta. Il contrario
è cadere nel costruttivismo razionalista, nell'idea che si può costruire una
struttura sociale concepita intellettualmente dagli uomini e imposta secondo un
piano senza tenere in considerazione i processi evolutivi culturali.
-Non crede che, nel caso del Cile, per esempio, dove si sta cercando di
applicare un modello molto coerente in tutti i settori della vita nazionale, ci
siano alcune caratteristiche di quello che lei chiama costruttivismo?
- Non ne so abbastanza per commentare. So che gli economisti sono solidi.
-Ma il modello comprende più che la mera economia.
- E' possibile che questo si debba all'enorme influenza che il positivismo e
l'utilitarismo hanno avuto in America Latina. Bentham e Comte sono stati grandi
figure intellettuali del continente e il liberalismo in questo continente è
sempre stato costruttivista. Milton Friedman, per esempio, è un grande
economista con il quale concordo su quasi tutti i punti, ma su altri non sono
d'accordo, non solo sull'uso meccanico di capitale circolante. Anche io sono
economista, ma mi piace pensare che sono qualcosa di più. Io dico sempre che un
economista che è solo un economista, non può nemmeno essere un buon economista.
Be', Friedman è cresciuto nella tradizione del Bureau of Economic Research
sotto l'influenza di Mitchel. Egli sostiene che dal momento che noi abbiamo
creato le istituzioni possiamo cambiarle come vogliamo. Questo è un errore
intellettuale. Si tratta di un errore. E' falso. In questo senso Milton è più
costruttivista di me.
-Un modello che copre tutte le istituzioni e si impone senza che forze
spontanee lo generino, per quanto persegua la libertà, potrebbe arrivare ad
essere in conflitto con la libertà?
-Sì.
- Talmon dice che l'uomo è diviso tra due grandi ambizioni: il desiderio di
salvezza attraverso un credo onnicomprensivo che risolve tutto e la libertà.
Aggiunge sarebbe il perseguimento di entrambe le mete che porta
inevitabilmente alla tirannia. Pensa che se la ricerca della libertà si
trasforma un credo onnicomprensivo che risolve tutto può portare a certe forme
di tirannia?
-Sì, naturalmente. In fondo, e in definitiva, si tratta di un problema di
umiltà. Di riconoscere quanto poco sappiamo.
-Mi piacerebbe sentire i suoi commenti riguardo il seguente giudizio: Hegel,
Marx e Freud sono responsabili di tutte le disonestà morali e intellettuali del
XX secolo.
- Forse è posto in un modo un po' esagerato. Sono i più cospicui rappresentanti
del percorso sbagliato.
"Bene, direi che come istituzione a lungo termine, io sono totalmente
contro le dittature. Ma può essere un sistema necessario in un periodo di
transizione. A volte è necessario che in un paese si abbia, per un po' di
tempo, una qualche forma di potere dittatoriale. Come capirete, è possibile che
una dittatore governi in modo liberale. Ed è anche possibile che una democrazia
governi con una totale mancanza di liberalismo. Ed io, personalmente,
preferisco un dittatore liberale, che non un governo democratico carente di
liberalismo. La mia impressione è - e questo è vero per il Sud America – che in
Cile, ad esempio, ci sarà una transizione tra un governo dittatoriale e un
governo liberale. E, in questa transizione, può essere necessario per mantenere
alcuni poteri dittatoriali, non come permanenti, ma come una disposizione
transitoria.”
Hayek, Friedrich August von 1981: "Al presente il nostro compito
principale è quello di limitare il potere del governo" [Intervista], in:
El Mercurio, aprile 1981, pag. D8-D9.