"L’unica volta che sui media hanno parlato delle vere origini dell’Europa Unita è accaduto 14 anni fa ossia il 19 Settembre del 2000 quando un articolo del Telegraph britannico mai ripreso da altri media ha rivelato che: telegraph.co.uk
Documenti governativi americani resi di dominio pubblico mostrano che i servizi segreti americani condussero una campagna negli anni ’50 e ’60 per dare impulso ad un’Europa unita. Finanziarono e diressero il movimento federalista europeo. I documenti sono stati trovati da Joshua Paul, un ricercatore della Georgetown University di Washington. Essi comprendono file resi pubblici dai National Archives. Il principale strumento di Washington per forgiare l’agenda europea fu l’American Committee for a United Europe [ACUE], costituito nel 1948."
1. Non vorrei ripetermi, ma lo farò (di questi tempi, signora mia!), perchè non fa male: anzi.
La lettura della stampa estera, in particolare anglosassone, non è affatto salvifica e portatrice di clamorose verità: lungi da me teorizzare un facciamocome magari agganciato alle grottesche classifiche sulla "libertà di stampa", stilate dalle consuete organizzazioni non governative, no-profit e "senza frontiere", cioè dichiaratamente internazionaliste, anzi eloquentemente premiate per questo dall'UE. Si tratta, manco a dirlo, di organizzazioni no-profit (e dunque finanziate da "privati benefattori") e alla ricerca di un modello one-fits-for-all, la cui diffusione porta alla sempre inevitabile conclusione: "sentiti in colpa e vergognati", ma per ragioni, di "disfunzione" dei meccanismi dell'informazione, che non sono esattamente quelle che razionalmente si potrebbero individuare.
COROLLARI DEL TEST DI ORWELL- GLI "ESPERTI LOTTATORI"
2. E' lo stesso discorso - di attendibilità e scopi sostanziali a cui rispondono le "classifiche", quelle relative ai progressi sulle "riforme", e sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro (in cui eccelle l'OCSE), o sul "doing business": quest'ultima classifica incentrata sul premio altamente "etico", - e a condizionamento pavloviano, (i "cittadini", si sa sono addestrabili praticamente a tutto, compresa l'alimentazione con farine di scarafaggi e meduse)-, relativo al come si debba trasformare uno Stato a sovranità democratica costituzionale in un semplice e purificato "mercato" che sia, al massimo grado, il paradiso degli investitori esteri: copyright World Bank e non a caso.
Dato che dai paradigmi World Bank (col "mitico" Kaufmann Report sulla corruzione che porta alle...privatizzazioni) "figliano" per misteriose (ma non tanto) partenogenesi, le varie associazioni che propagano le classifiche e i toni roboanti su effetti e dimensioni della corruzione (senza far capire presupposti e oggetti sociali di tali valutazioni, inevitabilmente "colpevolizzatrici" della democrazia).
LE RIFORME: MUCH €URO-DO ABOUT NOTHING (mantra anti-illuminazione)
LE RIFORME 2- GLI INDICI (Parte II): UN'UNICA CLASSIFICA "PER DOMARLI TUTTI"
3. Ma non vorrei divagare: rinvio ai links che ho inserito sui vari concetti-slogan del paradigma TINA e sulle connesse "classifiche", con un certo disgustato scoramento circa la capacità di comprensione, ovvero, quel che è poi la "causa a monte", circa l'efficacia straordinaria del condizionamento dell'opinione di massa da parte del rudimentale e ben paludato sistema di controllo sociale del neo-liberismo internazionalista.
Stavo dicendo (prima di divagare), che la stampa estera, libera e anglosassone, non è certo il paradiso della "transparency" e dell'assenza di precomprensione strategica: ma, almeno, contando su una certa più consolidata assuefazione ai paradigmi degli "operatori razionali-pop" (quelli in cui ciascuno, ormai, deve potersi identificare senza nutrire più alcun dubbio...sulla globalizzazione, finanziaria e internazionalista come benefico TINA e nuova frontiera della "democrazia" orwelliana: perdonate l'ossimoro), almeno, dicevamo, questa stampa non aggira gli ostacoli e riferisce con una certa qual maggior precisione e ampiezza di fonti il quadro della...realtà (realtà, appunto, e non "sogno", quello che, invece, viene propagato in Italia dai media €uro-liofilizzanti).
4. Difatti, in Italia, nonostante la realtà e l'evoluzione drammatica della situazione politica interna alla UE, siamo, nei media-talk, sostanzialmente fermi a questo: «Il nazionalismo è guerra. Sarebbe un grave errore tornare ai confini nazionali» afferma Hollande nel suo discorso all’Europarlamento- "Innalzare i muri non ci difenderà"
Invece le cose sono andate un "pochino" avanti e non nel senso cristallizzato dalla informazione €uro-internazionalista italiana:
RIFORME (IMMIGRAZIONIST€), CRISI DI VOCAZION€ E FOLGORAZIONI IMPROVVIS€ SULLA GERMANIA
PORTOGALLO, POLONIA (Atene è "pacificata"?): IL "TRIONFO" DELL'€UROPA DEL FOGNO. O NO?
5. Appunto a conferma di questa maggior connessione con la realtà della stampa anglosassone (e scusate la lunga premessa che mi pareva una "carrellata" necessaria "about the Big Picture"), vi riporto il succo di un articolo di Paul Taylor, corrispondente della Reuters, apparso sul (per me consueto) International New York Times (pag.17). Appena uscito il 27 ottobre ci riassume il quadro delle "reali" posizioni europee. O "europeiste", fate voi: rimane comunque uno spettacolo tragicomico. Il titolo è "L'immigrazione infrange l'unità dell'Europa".
Nel passaggio cruciale dell'articolo, Taylor sintetizza le controversie insorte all'interno dell'Unione, specialmente con riguardo alla posizione che vanno assumendo i "paesi dell'Est", non solo la (mediaticamente) odiatissima (in Italia) Ungheria di Orban, ma anche Polonia e Slovenia e via dicendo (v.links più sopra):
"I governi dell'Europa centrale e orientale stanno resistendo alle richieste di Berlino e Bruxelles sull'accettazione obbligatoria di quote di rifugiati".
Commento: ma già l'accertamento della qualità di rifugiato, stante anche il prevedibile boom del traffico di documenti falsificati, pone dei problemi non indifferenti e amplifica inevitabilmente, - ed è questo il clou della materia del contendere- il problema della "accoglienza" indiscriminata di immigrati economici, indistinguibili, ex ante, dai rifugiati.
6. Ma è quello che successivamente aggiunge Taylor che dovrebbe far riflettere (se fosse almeno oggetto di adeguato risalto nell'informazione. In Italia):
"La crisi ha anche aperto fratture tra le istituzioni europee, con la Commissione europea condotta da Claude Juncker che tratta il problema come una sfida "umanitaria" di lungo termine per integrare i rifugiati nella società europea. In contrasto, Tusk, presidente dello European Council, già primo ministro polacco, che presiede i summit europei, definisce l'ondata di migranti una "minaccia" da fermare all'origine o da "contenere", specificamente pagando la Turchia per trattenere sul suo territorio i rifugiati".
Quello che volevo far notare è che le parole di Juncker vanno meglio esplicitate: sempre e in ogni caso. Perchè non bisogna dimenticare che il buon Claude è l'autore di questa illuminante esplicitazione dello stile di governo €uropeo: "prendiamo una decisione e la mettiamo sul tavolo, aspettando di vedere quali reazioni susciterà; se non vi sono resistenze perchè nessuno ci ha capito nulla, andiamo avanti fino al punto di non ritorno...".
7. Dunque una dichiarazione di Juncker come presidente della Commissione va necessariamente "espansa" e resa comprensibile nel suo senso autentico e sostanziale. Nel caso, non lo faremo noi stessi. Cosa significhi "una sfida umanitaria di lungo termine", ce lo dice nel prosieguo lo stesso articolo di Taylor. E per bocca del socialista Frans Timmermans; non uno qualunque, ma un "grande" europeista (primo vice-presidente della Commissione UE e attualmente commissario europeo per le Relazioni Interistituzionali e l'Amministrazione.
Dice Timmermans, dunque molto ufficialmente circa la posizione della Commissione:
"La cosa peggiore che potremmo fare è presentare alla gente un quadro in cui se noi adottiamo queste misure (cioè di tutela delle frontiere e anche di accordi con la Turchia), il problema cesserà. Invece, rimarrà con noi PER UNA GENERAZIONE".
...
Un fatto: la Francia sarebbe già uscita dall'euro se non avesse una classe di governo che "crede" nelle teorie neoclassiche, in virtù di un'embricazione anche personale col mondo bancario. Quindi lo switch-out deve ricevere una spinta decisiva di carattere politico: e questa possono dargliela solo gli USA (se, finalmente, ammettessero che l'UEM NON COINCIDE CON "US-E IN ITINERE").