lunedì 19 ottobre 2015

FOUCAULT, HAYEK E LA STATO-FOBIA BIPARTISAN


https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFo4BnotT-1tvKc47LgdFjOyblNftR1QHF2pg0eRdwfXLFDqJbwn4_ODLtUxDIPjvxC83b8j9xiCR4knoAdv8yNVhKm6t7jEFI13X2IWsXd6uZPpoAe_UWh5Ocj3LRcPKqcsM8TZOlpPE/s1600/attali+euro.jpg


https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixzfOx4YY_odWWqMLgYCf7ddMy4nXlrYxJsgZzIMQf9QU4fcw5jDSdM4-wh0BJGcd4JXUzfJpvKXmx66pgRGvSKazTLbaSBz0YI8qfuer5_1dXooq7lVAFMRfLJgNXozMbgP5tiD5kZL8/s640/paul-krugman-euro.jpg
"Quando negli anni Novanta citavo l'Italia quale esempio di come i Paesi avanzati possano sopportare pesanti debiti pubblici, non ero naif. All'epoca l'Italia aveva una propria moneta, e il suo debito era denominato in tale valuta, è vero che era ancorata al marco tedesco, ma c'era sempre la possibilità di sganciarsi. Con l'adesione all'euro, l'Italia di fatto si è trasformata macro-economicamente in un Paese del terzo mondo, con i debiti in valuta straniera, e si è esposta a crisi del debito. (Paul Krugman)"

Riceviamo a pubblichiamo questa mail di "Mula".
Il tema è interessante per il suo valore emblematico: l'importanza del pensiero di Hayek come indispensabile cornice ideologica che vincola, attraverso un'idea fondante dell'economia, - cioè il libero mercato e il sistema dei prezzi che da esso procederebbe come insindacabile e unica "razionalità"-, ogni possibile soluzione istituzionale
Il che significa, che un ordine superiore, la Legge (come fenomeno naturalistico osservato in un contesto storico non soggetto ad alcuna verifica propria delle scienze sociali), vincola e delimita ogni possibile legittimazione della presenza e della dimensione dello Stato, sostanzialmente negandogli una discrezionalità nel determinare qualunque soluzione di tutela della comunità sociale di fronte al problema distributivo dei costi provocati dal sistema dei mercati.

Sarebbe probabilmente inutile rammentare come questo tema trovi, in questo blog, una sua originaria riemersione nel dibattito "culturale"; di un certo conforto, sempre peraltro nell'ambito di una nicchia estranea al totalitarismo ideologico imperante sui media, è che, negli anni successivi, queste analisi siano state riprese anche da altre voci, sulla base delle stesse premesse "filologiche".
Il tema Foucault ci racconta di un fenomeno singolare: si procede, in certi livelli di analisi, per meccanismi transitivi di tipo nominalisitico (in senso stretto): se si "nomina" Hayek, ci si contamina della sua visione. Ma dei contenuti del pensiero hayekiano è intrisa, in modo decisivo, la vulgata pop del neo-liberismo (più precisamente, la versione strategica attualizzata che ne è l'ordolberismo) che governa l'€uropa. 
E l'€uropa è, invece, una ipostatizzazione della pace e dell'antipopulismo (e nazionalismo) non suscettibile, nel suo complesso, di alcuna critica legata all'effettiva conoscenza delle norme dei trattati e dei loro effetti programmatici!
Il risultato sarebbe che Hayek non possa essere analizzato esplicitamente, a pena di "contaminazione", mentre, invece, la sua fondamentale descrizione del paradigma socio-economico a scopo normativo, ormai costituzionalizzata (in modo più o meno cosciente ed esplicito) mediante i trattati, non può di conseguenza essere focalizzata e sottoposta a critica.
Per effetto di ciò si può, in pratica, proseguire a ritenere che la costruzione europea abbia una qualche radice nel cooperativismo, nella dimensione sociale e nella solidarietà, predicando che, i suoi attuali effetti, siano solo il frutto di una degenerazione, o alterazione, non voluta, da coloro che hanno concepito e negoziato i trattati europei (!): il che, come sappiamo, è un modo contraddittorio di negarne le radici storiche e il complessivo disegno originario, allontanando ogni realistica soluzione (con le conseguenze che ci rivela questo ottimo post di Lameduck).

Buongiorno,
sono il ragazzo che ha pubblicato tempo fa un suo video su youtube (sul canale "decostruendo").
Oggi le scrivo per proporle una brevissima analisi del rapporto tra Foucault e Hayek, analisi che ho scritto per rivelare indirettamente l'ottusità di una certa sinistra di oggi, ossia il tabù che riguarda lo studio di Hayek e che porta ingiustamente a definire Foucault “anti-statalista” (sulla scia dell'ostracizzazione accademica di tutti i "post-strutturalisti", generalizzazione a sua volta disastrosa...)
Riassumendo: dicono che Foucault confondeva Keynes con Hitler, ma dicendolo non fanno altro che confondere Foucault con Hayek, fondandosi semplicemente sul fatto che il primo... studiava Hayek!
...
Uno scandalo si aggira tra i filosofi “sinistri”: l'interesse di Foucault per Hayek.
Alcuni noti professori di filosofia affermano persino che tale interesse ha condotto Foucault, spesso presentato come un grande filosofo di sinistra, a paragonare ed equiparare qualsiasi forma di stato interventista, ossia a screditare lo stato sociale keynesiano o il socialismo paragonandoli al sistema nazista.
Sono d'accordo con questi autori quando affermano che questa demonizzazione dello Stato rende impossibile una sinistra al passo con i tempi, ossia una sinistra in grado di opporsi all'attuale distruzione dello stato sociale in paesi come l'Italia.
Non sono invece d'accordo con tali autori quando affermano che tale demonizzazione dello stato è stata esplicitamente proposta da Foucault, in particolare nelle sue ultime opere: ritengo anzi che proprio tali opere siano nate anche per criticare tale demonizzazione.
Per capire cosa intendo è sufficiente leggere anche solo le prime 7 pagine della lezione del 7 marzo 1979, contenuta nell'opera "Nascita della biopolitica": come indica il titolo, in tale corso Foucault intendeva approfondire il concetto di biopolitica (che ha avuto un grande successo nella filosofia successiva, in particolare per alcune correnti di “sinistra”), ma questo argomento viene rimandato e le prime lezioni vengono dedicate allo studio degli autori neo/ordoliberali (tra i quali troviamo molti nemici dello stato sociale come Hayek).
Quindi, all'inizio di tale lezione, situata circa a metà del corso, Foucault si scusa per essersi soffermato troppo su questi argomenti (è banale dirlo, ma non nel senso che si scusa di leggere Hayek, ma nel senso che si scusa di non aver ancora mantenuto la promessa fatta all'inizio del corso di trattare il tema della biopolitica, soffermandosi invece sulle premesse storico-politico-economiche di tale tema, ossia, appunto, le principali svolte del liberalismo) e cerca di spiegare le ragioni di tale studio.

La prima è una ragione "di metodo", ossia una dimostrazione delle sue teorie precedenti sul potere: è infatti impossibile dedurre da un astratto concetto di potere le sue determinazioni attuali, mentre, al contrario, è necessario partire da uno studio dell'evoluzione storica delle modalità di esercizio del potere (e la storia delle teorie relative) per comprendere realmente le premesse dei problemi attuali (ossia Foucault spiega in modo formale l'operazione che sta portando avanti in relazione al contenuto “potere biopolitico”).
Ma è la seconda ragione, che Foucault definisce di "moralità critica", a dimostrare in modo inconfutabile l'insensatezza delle accuse sopra citate: egli infatti spiega che con questo studio intende criticare a fondo proprio la "fobia dello Stato", definendola esplicitamente come fondata su un "luogo comune" che ha ormai strutture e conseguenze negative precise, che quindi egli descrive all'inizio di questa lezione.

Tale fobia si basa su due filoni argomentativi spesso legati tra loro: 
1) lo Stato come "una sorta di potenza in espansione" che tende ad assorbire la società civile e 
2) la “parentela” tra tutte le forme di stato, da quello keynesiano a quello nazista.
Tale fobia conduce, proprio per questa sua struttura, a tre conseguenze negative:
a) rende le analisi dei differenti stati interscambiabili, quindi porta a ignorare o dimenticare la specificità di tali sistemi statali a favore di una generalizzazione.
b) Conduce quindi a dichiarare "fascista" qualsiasi meccanismo statale, in quanto in ogni suo intervento, considerato a partire dall'idea espansionistica del potere statale, viene concepito come simile al (o diretto verso un potenziale) totalitarismo.
c) Queste due caratteristiche conducono alla terza: generalizzando e fascistizzando ogni stato si perde l'occasione di comprendere l'attualità, ossia il frutto dei mutamenti storici delle modalità di esercizio del potere.

Infine dice, Foucault, tale critica dello stato non critica mai le proprie origini: è proprio questo che invece egli intende fare in questo corso, mostrando che tali origini si possono trovare nei testi di autori neo-ordoliberali come Hayek (riassumendo: per comprendere il modo in cui il potere di oggi si fonda sempre di più sul “controllo della vita” - ed è quindi “biopolitico” - è fondamentale comprendere le premesse storiche e teoriche di tale controllo, quindi anche studiare le teorie che intendono ridurre l'intervento statale nell'economia attuato tramite “leggi”, spostando l'azione del potere in direzione della vita, attraverso un sistema di “norme”).

Quindi Foucault conclude affermando che:
1) lo Stato assistenziale non può essere paragonato a quello totalitario.
2) Anzi, lo Stato totalitario non nasce da un eccesso di stato, ma da un eccesso di governo della forma "non statale" del "partito".
3) Il problema attuale non è quindi l'eccesso di Stato, ma la sua riduzione: ossia la diffusione e l'applicazione del pensiero di Hayek; ad es. in questo passaggio dallo Stato al partito: quindi chi partecipa di questa fobia dello Stato deve almeno ammettere che sta andando "nel senso della corrente" (riferendosi ovviamente a tutti i rivoluzionari anti-statalisti che credono di opporsi al potere attuale, ma che per le ragioni appena citate non lo conoscono realmente e rischiano quindi di riproporre le sue strutture, come appunto la fobia dello Stato).

Mi sembra quindi evidente che con questo corso di lezioni Foucault non intende diffondere una sfiducia verso lo Stato, ma, al contrario, proprio perché ritiene importante comprendere (molto prima di tanti altri autori di sinistra) i rischi della “riduzione del potere statale” e del governo di forme “non statali” (come egli definisce il “partito”), è un importante precursore di chi oggi critica il potere “non statale” degli organismi internazionali (ad es. la commissione europea) finalizzati a potenziare il mercato e sé stessi attraverso una “riduzione del potere statale”.

Non a caso oggi esistono blog come “Orizzonte48” che si fondano su una critica dell'attuale struttura giuridica ed economica dell'Unione Europea anche e proprio a partire da un attento studio critico del pensiero di Hayek.
Insomma, conoscere Hayek non solo non è uno scandalo per un autore di sinistra, ma è fondamentale.
O è forse lo stesso studio della storia ad essere diventato uno scandalo?
Nel caso mi scuso per essere stato scandaloso.

31 commenti:

  1. Mi interessa, questo ritorno a Foucault. Rileggo le sottolineature rosse e blu...
    DOMANDA: A proposito del potere come oggetto di investigazione, lei ha detto che bisognerebbe rovesciare la formula di Clausewitz e venire all'idea che la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Sulla base delle sue analisi recenti, sembra che il modello militare sia quello che meglio renda conto del potere; la guerra è dunque un semplice modello metaforico o il funzionamento regolare e quotidiano del potere?
    FOUCAULT: In ogni caso, è il problema col quale mi scontro oggi. In fondo, a partire dal momento in cui si cerca di isolare il potere colle sue tecniche e le sue procedure dalla forma giuridica all'interno della quale le teorie l'avevano costretto fino ad ora, bisogna porre il problema: il potere non è semplicemente una dominazione di tipo guerresco? Sorta di guerra generalizzata che prenderebbe semplicemente in certi momenti la forma della pace e dello Stato? La pace sarebbe una forma di guerra, lo Stato una maniera per condurla. (M. Foucault, Microfisica del potere)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Oddio mi pare un po' una petizione di principio:la domanda è "la società organizzata" a livello politico, cioè che identifica una comunità che si autopreserva e promuove il benessere collettivo, ha una legittimità non legata alla sovranità?
      Se così non fosse, soltant, si potrebbe porre il ribaltamento "la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi": certamente suggestivo e forse esatto ma solo in termini storici di lungo periodo.

      Assumere una tale prospettiva rispetto alla legalità costituzionale (costituita) nega e relativizza il fondamento della stessa legittimità degli Stati e oblitera il fatto che il vero conflitto permanente al loro interno è il conflitto sociale. Cosa che la democrazia cerca di risolvere in modo stabile. E che l'internazionalismo liberoscambista cerca di risolvere con la negazione: sia del conflitto sociale che degli Stati (proprio in quanto lo riconoscono e lo normativizzano...almeno fino a ieri e all'€uropa dilagante)

      Elimina
  2. Ci sarebbero tante considerazioni da fare: sicuramente Hayek è il simbolo della globalizzazione finanziaria, teorizzando la sovrastruttura politica e giuridica che avrebbe permesso al liberalismo sfrenato di imporsi alla resistenza socialdemocratica degli Stati nazionali, e di materializzare rapporti di produzione e di classe in qualche modo strutturalmente stabili... per i rentier.

    Hayek non è che semplicemente teorizza la "denazionalizzazione della moneta" o una qualche forma di antistatualismo: egli teorizza proprio la denazionalizzazione.

    Il problema della nazione è funzionale a quello della sovranità: sovranità è potere. (Sia nel senso di arché "statale", sia del più "effettivo" cratos, "imperio").

    Lo Stato, di per sé, Hayek non lo disdegna: anzi, è funzionale alla denazionalizzazione. Heyek non è "antistatalista": per questo dovranno essere ancora gli austriaci a fornire la sovrastruttura ideologica all'uopo con i vari libertari, ovvero con gli anarcocapitalisti che tanto influenzano i neocon.

    Disdegna una "Res Publica", in quanto effettivamente "publica", ma non lo Stato in quanto tale e l'arché che rappresenta imponendo la "giustizia commutativa".

    Lo Stato, di per sé, non può non esistere, e dovrebbe essere condizione nececessaria perché l'organizzazione sociale sia "civile", nel senso di "post-hobbesiana". (Riguardo a questa semplice assunzione sono interessanti i confronti storici tra comunisti ed anarchici, dal celebre confronto tra Marx e Bakunin).

    Il punto è ovvio: chi ha il controllo dello Stato, ovvero chi governa materialmente, detiene la sovranità effettiva, ovvero il potere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esattamente. Ho scritto questo articolo proprio per sottolineare che Foucault era ben cosciente delle distinzioni che hai ricordato (in quanto interessato ad analizzare i mutamenti nella concezione dello stato in Hayek e in tutti i suoi successori - ed era assai lungimirante, considerando ciò che è successo dopo il 1979, anno di queste sue lezioni!), mentre coloro che oggi vogliono fare a gara a "chi ce l'ha più a sinistra" si vantano di confutarlo semplicemente appiattendo sia lui che Hayek nella non-definizione di anti-statalista (vedi l'ultimo minuto dell'intervista nel primo link in rosso del mio testo). Insomma, lungi dal voler propagare tali mistificazioni, ho scritto quelle righe per dimostrare che la critica giuridico-economica dell'ordoliberismo/Hayek/UE non è necessariamente agli antipodi delle filosofie definite "post-strutturaliste", anzi, entrambe costituiscono un patrimonio culturale fondamentale per quella critica, ossia per ripensare dalle fondamenta il mondo che ci circonda. Esempi più recenti si possono trovare anche nelle opere di Derrida, ad esempio in "Spettri di Marx": https://youtu.be/94H5rmbTA5Q

      Elimina
  3. Parlare di antistatualismo tout court è pura retorica: il problema è lo Stato nazione. Ovvero, poiché il problema dello Stato democratico - per ESSI, di cui Hayek è stato forse il miglior "portavoce" - consiste nell'identità di Stato e comunità sociale, il problema "identitario" è dirimente.

    Quindi nazione e l'attributo "nazionale" devono essere smembrati e dispersi con l'approccio imperialcolonialista della salad bowl (dovuta allo spostamento del fattore lavoro) tipica della forma "federalista": federalismo che garantisce la libertà del mercato nazionale (liberismo) di collaborare (collaborazionismo) con quello sovranazionale (liberoscambismo).

    La dispersione della nazionalità e della sovranità ad essa legata, significa la dispersione del potere "collettivo e solidale" di cui è costituita la democrazia sociale, lasciando libero spazio ad una nuova forma di statualità sovranazionale caratterizzata da un "diritto privatizzato".

    La sfida di Hayek (aka del capitale globalizzato) è quella di costruire un'organizzazione che preveda un'organizzazione statale - quindi giuridica - che permetta di normare un'ordine generale che scarichi per Legge=legislazione le esternalità negative dell'ordine dei mercati sulle classi subalterne ridotte ad una sterile - culturalmente, politicamente e biologicamente - pluralità di individui (cfr. Kalergi) - non più centro di rapporti sociali (cfr. Basso) - ma appendici di transazioni economiche: chi non è in grado di far parte di questa rete di rapporti economici è dannoso alle politiche demografiche. Se non può essere produttivo neanche come "lavoro-merce", allora, per una questione di economicitò/efficacia/efficienza, lo deve essere direttamente come "merce", ad esempio, come alimento.

    (Magari potrà sottoscrivere "vantaggiosi contratti" per eventuali famigliari se, in caso di definitiva espulsione dal mercato del lavoro-merce, si sottoporrà volontariamente ad eutanasia e donerà i suoi organi. Questo è sicuramente compatibile con l'esperienza liberista dei campi di lavoro nazisti, apoteosi del capitalismo sfrenato ottocentesco tornato in voga).

    Poiché il mercato è irresponsabile per definizione, ovvero un monarca è rovesciabile mentre un consiglio di amministrazione è un potere impalpabile stile Grande Fratello, ovvero non soggetto né a critica diretta (se va bene esisterà un call center a cui appellarsi), né a rovesciamento, in quanto non sussiste oggetto rovesciabile, ne consegue che in un contesto di degrado culturale, una rivoluzione generalizzata o una guerra civile che sfugga al controllo della morfina mass mediatica e dell'analfabetismo generalizzato non guidato da una estinta classe media istruita, porterebbe ad uno "stato meramente politico"... tipo Mad Max.

    RispondiElimina
  4. (Non so se sia plausibile questo scenario, ma comporta una responsabilità e una coscienza critica che, per mia modestissima opinione, nel lavoro di Lameduck non si delinea con chiarezza.

    Non mi pronuncio sulla necessità e sull'opportunitò storica e politica del "mea culpa" dei maggiori leader della "sinistra" a mo' del triste personaggio di Dostojevskij: credo che la Sinistra sia morta con il totalitarismo stalinista che ha servito il pretesto per la revanche liberale. (Basti pensare alla parzialmente incomprensibile celebrità di Popper).

    Quindi, se la Sinistra non c'è da decenni, non si capisce bene a chi si facciano "gli appelli" e, soprattutto, non si capisce chi potrebbe essere "la Sonja" - dotata dal maestro russo di rara purezza di cuore - che possa "perdonare" e non scagliare la "prima pietra": è un processo storico a cui tutti hanno aderito, elettorato compreso. Se avessero potuto "non mentire", "non tradire", qualcheduno per via mediatica lo avrebbe fatto. Non è successo in tutto il mondo: punto. Non riesco a vedere altro che ad una sproporzione tra i rapporti di forza in Y=f(K,L).

    La questione, però, più che etica, ovvero quella "dello scagliare della prima pietra" e di un elettorato che abbia "comprensione umana verso chi ha colpa" politica, credo debba essere un'autocritica generale, che passi per un processo di "revisione" della Storia, di una sua comprensione più profonda, strumentale a facilitare quell'elevazione culturale che comporti una coscienza democratica diffusa, ad iniziare dal senso profondo di "destra e sinistra", e, in genere, nel diffondere gli strumenti cognitivi atti a, se non a supportare un riorientamento della traiettoria culturale, lasciare testimonianza dell'esperienza democratica: l'articolo linkato termina con un «Ma buttarsi a destra come tutte le persone normali, no?».

    Apparentemente una boutade riferita al fatto che le destre politiche europee portano avanti programmi più "economicamente a sinistra".

    Questo, però, fa il paio con questo, per chi ponesse attenzione, non solo al pathos della "melodia", ma anche al logos della "struttura armonica".

    Ora, da Alberto ho imparato la differenza sostanziale tra omodossia e ortodossia...

    È un'osservazione personale, nessuno me ne voglia, posso sbagliare le mie valutazioni e non vedere il "lavoro" nel suo complesso. Ma... come sopra)

    RispondiElimina
  5. Scusatemi se sarò un po’ lungo ma Foucault è un pensatore complesso e particolarmente complessa e dibattuta è la sua relazione col neoliberismo. Ci informa infatti una recensione, peraltro critica, di un recente studio francese volto a sostenere l’esistenza di un atteggiamento apologetico da parte di Foucault verso il neoliberismo che tale questione “fu dibattuta addirittura prima della pubblicazione dei corsi biopolitici”. Le critiche di Losurdo possono quindi senz’altro essere frutto di una cattiva lettura dei testi foucaultiani ma attribuire l’indicazione di una continuità Foucault-neoliberismo al puro e semplice pregiudizio secondo cui studiare Hayek significherebbe condividerne le teorie è veramente ingiusto, non solo per quanto riportato sopra, ma anche perché è stato proprio un allievo di Losurdo, Paolo Ercolani, a dedicare ad Hayek una delle non molte monografie critiche in lingua italiana, introdotta da una prefazione dello stesso Losurdo, che indica proprio come alcune categorie centrali del pensiero hayekiano (“abuso della ragione”, “moderna hybris”, “hybris intellettuale”, “razionalismo costruttivista”) siano diventate “un luogo comune” (D. Losurdo, prefazione a P. Ercolani, Il Novecento negate. Hayek filosofo politico, Perugia, Morlacchi, 2006, p. xi) che ne rende indispensabile lo studio.
    Si tratta insomma di un dibattito che vede divisi gli stessi studiosi di Foucault e che non può essere liquidato a priori. Per i non specialisti, o comunque per chi non conosce bene i testi di Foucault, come me, si impone molta prudenza.
    Prendiamo un altro allievo di Losurdo, Azzarà, che a Foucault ha dedicato alcune pagine nel suo Democrazia cercasi (Reggio Emilia, Imprimatur, 2014. Non posso indicare i numeri di pagina perché è un’edizione elettronica. Lascio però le note, per chiarire che l’argomentazione è sostenuta da puntuali riferimenti ai testi di Foucault):

    “E il medesimo atteggiamento [di Deleuze] si trova con parole diverse anche in Michel Foucault – un altro autore che pur essendo fondamentalmente liberale diventerà un punto di riferimento sia della sinistra estrema che del postmodernismo – a proposito del concetto di potere. Anche per le esperienze maturate nell’ambito della psichiatria e delle carceri, e in generale per i suoi studi sull’oppressione degli individui nelle istituzioni totali, per Foucault è infatti decisivo il problema della libertà individuale nei confronti dello Stato e dei suoi meccanismi di controllo e disciplinamento.
    Egli contesta perciò il ruolo che la modernità ha conferito allo Stato ma contesta in misura non minore la visione marxiana del potere, delle istituzioni, del rapporto tra individui e collettivi. Contesta cioè «l’economicismo nella teoria del potere»254, considerandolo come una critica del tutto falsa, sostanzialmente analoga alla concezione e alla prassi capitalistico-borghese e talmente complice del potere moderno da riprodurlo in forme nuove nel momento in cui viene messa in pratica.

    RispondiElimina
  6. Secondo la vulgata marxista alla quale egli in effetti fa riferimento255, il potere politico nasce per via diretta dal potere economico, dal primato dell’economia. Il potere dello Stato è espressione pressoché immediata della forza economica di una classe sociale e si configura di fatto come il dominio di una classe sull’altra. Esso è la supremazia che la classe dominante sul piano economico riesce a ottenere anche sul piano politico e che viene esercitata nei confronti delle altre classi sociali. Lo Stato moderno, lo Stato borghese, è perciò l’organizzazione politica del potere della borghesia, così come lo Stato monarchico era l’organizzazione del potere dell’aristocrazia. Questo comporta il fatto che per rompere il dominio dello Stato, per rompere il blocco di potere vigente, le classi subalterne debbano unificarsi in un collettivo, combattere ed emanciparsi dalla tutela della borghesia. Debbano dunque abbattere lo Stato borghese tramite una lotta di classe e costruire, almeno in una fase transitoria, una nuova forma di Stato come espressione della nuova forma di potere che si è imposta, la dittatura del proletariato, riproducendo in tal modo il dominio sull’individuo.
    Secondo Foucault, però, «non c’è, all’origine delle relazioni di potere, e come matrice generale, un’opposizione binaria e globale fra i dominanti e i dominati»256. Il potere non è o non è soltanto il potere di una classe sull’altra: esso è invece qualcosa che si genera in tutte le forme di relazioni umane e a tutti i livelli. «Una rete produttiva che passa attraverso tutto il corpo sociale»257, così che «all’interno della società» si esercitano «molteplici forme di dominazione»: c’è potere dappertutto – in una relazione di coppia, nella famiglia, nelle istituzioni educative… – perché esso ha una natura essenzialmente «microfisica»258.
    Se dunque il potere è diffuso e disseminato, se esiste una microfisica del potere, allora la liberazione non passa necessariamente per la lotta politica delle classi e dei popoli subalterni contro quelli dominanti e non è costretta ad assumere la forma emancipazionista della volontà rancorosa del servo. La liberazione non riguarda in primo luogo la classe o la nazione ma chiama in causa semmai ciascun individuo, che ora può liberarsi immediatamente e ovunque, in ogni momento e in ogni piega della società. Il potere della quale va contestato e sovvertito non solo e non tanto sul terreno dell’economia o della politica ma anzitutto su quello della libertà individuale e dei diritti civili.
    Di conseguenza, l’orizzonte della liberazione non è più quello della rivoluzione o delle barricate, che porta alla fine a costituire un nuovo «apparato di Stato, con gli stessi meccanismi di disciplina, le stesse gerarchie, la stessa organizzazione dei poteri»259 dello Stato borghese, come è avvenuto con il leninismo e con l’«esperienza sovietica». Questo orizzonte è invece quello in cui ognuno deve prendersi la libertà che è in grado di ottenere a partire da una «molteplicità di punti di resistenza»260. Punti che sono «mobili e transitori» e attraversano tanto «le stratificazioni sociali» quanto le «unità individuali»: «tutti quelli su cui il potere si esercita […] possono entrare in lotta là dove si trovano e a partire dalla loro attività (o passività)»261, dando vita ad «una lotta specifica contro la forma particolare di potere, di costrizione, di controllo che si esercita su di loro».

    RispondiElimina
  7. Quando però confronta lo Stato sociale con il meccanismo dell’imposta negativa (cioè in buona sostanza del reddito di cittadinanza), di giudizi ne compaiono e non mi sembrano proprio segnati da apprezzamento o difesa del primo (ivi, pag. 210): “Si bien qu'à la limite, peu importe cette fameuse distinction que la gouvemementalité occidentale a cherché si longtemps à établir entre les bons pauvres et les mauvais pauvres, ceux qui ne travaillent pas volontairement et ceux qui sont sans travail pour des raisons involontaires. Après tout, on s'en moque et on doit se moquer de savoir pourquoi quelqu'un tombe au-dessous du niveau du jeu social; qu'il soit drogué, qu'il soit chômeur volontaire, on s'en moque éperdument. Le seul problème, c'est de savoir si, quelles qu' [en] soient les raisons, il se trouve ou non au­dessus ou au-dessous du seuil. La seule chose importante, c'est que l'individu soit tombé au-dessous
    d'un certain niveau et le problème est, à ce moment-là, sans regarder plus loin, et par conséquent sans avoir à faire *toutes ces investigations bureaucratiques, policières, inquisitoires,* de lui accorder une subvention telle que le mécanisme par lequel on [la] lui accorde l'incite encore à repasser au niveau du seuil et qu'il soit suffisamment motivé, en recevant l'assistance, pour avoir envie, malgré tout, de repasser au-dessus du seuil. Mais s'il n'en a pas envie, ça n'a après tout aucune importance et il restera assisté. [e come no!, nota mia] C'est là le premier point qui est, je crois, très important par rapport à tout ce qui avait été, encore une fois depuis des siècles, élaboré par la politique sociale en Occident.”

    Quindi questa pretesa di distinguere le cause della disoccupazione (che, come è stato ampiamente argomentato qui e qui, rappresenta il corollario logico della priorità del diritto al lavoro), non accomuna, certo, la governamentalità dello Stato sociale a quella del nazismo ma piuttosto con quell’insieme di sapere-potere disciplinare che affonda le sue origini nella stessa modernità. Non è la critica neoliberale allo Stato sociale, è vero, ma sul piano del giudizio di valore non siamo neanche su una sponda totalmente opposta. O meglio, è quella critica dello stato sociale “da sinistra” che di rado ha avuto epiloghi diversi da uno sbocco a destra, e questo anche a prescindere da vicende biografiche macroscopiche come quella di François Ewald.

    RispondiElimina
  8. In effetti, rispetto alla burocrazia inquisitoria dello Stato sociale, la prospettiva di un reddito di cittadinanza sembra poter dischiudere orizzonti liberatori (pp. 212-13): “De sorte qu'avec ce système-là, - qui encore une fois n'a pas été appliqué pour un certain nombre de raisons, mais dont vous voyez très bien quels sont, en quelque sorte, les linéaments dans la politique conjoncturelle de Giscard et de Barre actuellement-, vous avez la constitution d'une politique économique qui n'est plus centrée sur le plein emploi, qui ne peut s'intégrer à l'économie générale de marché qu'en renonçant à cet objectif du plein emploi et à son instrument essentiel qui est une croissance volontariste. On renonce donc à tout cela pour s'intégrer à une économie de marché. Mais ça implique un fonds de population flottante, un fonds de population liminaire, infra- ou supra liminaire, dans lequel des mécanismes d'assurance permettront à chacun de subsister, de subsister d'une certaine façon, de subsister de telle manière qu'il pourra toujours être candidat à un emploi possible, si les conditions du marché l'exigent. C'est un tout autre système que celui par lequel le capitalisme du XVIIIe ou du XIX siècle s'est constitué et s'est développé, lorsqu'il avait affaire à une population paysanne qui pouvait constituer un perpétuel réservoir de main-d'œuvre.
    Dès lors que l'économie fonctionne comme elle fonctionne maintenant, dès lors que la population paysanne ne peut plus assurer cette espèce de fonds perpétuel de main-d'œuvre, il faut le
    constituer sur un tout autre mode. Ce tout autre mode, c'est celui de cette population assistée, assistée sur un mode en effet très libéral, beaucoup moins bureaucratique, beaucoup moins disciplinariste qu'un système qui serait centré sur le plein emploi et qui mettrait en œuvre des mécanismes comme ceux de la sécurité sociale.
    On laisse finalement aux gens la possibilité de travailler s'ils veulent ou s'ils ne veulent pas. On se donne surtout la possibilité de ne pas les faire travailler, si on n'a pas intérêt à les faire travailler. On leur garantit simplement la possibilité d'existence minimale à un certain seuil, et c'est ainsi que pourra fonctionner cette politique néolibérale.”
    Forse funzionerà così nel mondo di Foucault; in quello in cui abitiamo noi, mi pare proprio di no.

    Con ciò, sia ben chiaro, non voglio dire che Foucault non sia un pensatore acuto o che si debba escludere un “uso politico della cassetta degli attrezzi foucaultiana nel nostro presente”, come dice Leonardi nella recensione che ho citato all’inizio (anche se un'unione di questione lavorativa e ambientale, a cui accenna Leonardi stessso, che non passi dall’assoluta centralità dello Stato nel ruolo di investitore la vedo come minimo problematica); fare di un pensatore vicino all’autogestione un difensore dello stato sociale la trovo però una forzatura.

    (Scusate ancora per questa lunghezza mostruosa. Non escludo nemmeno che un pezzo del polpettone si sia perso per strada, ma non volevo rischiare un doppio invio).

    RispondiElimina
  9. Ecco, manca un pezzo. Fra il commento delle 19:47 e quello delle 19:53 va aggiunto questo (sennò si perde il filo: scusatemi ancora):

    Ogni individuo deve cioè iniziare un percorso di liberazione nella famiglia, nel rapporto tra uomo e donna, nelle diverse istituzioni educative, confrontandosi con le forme di discriminazione, oppressione o condizionamento che di volta in volta incontra. Senza pretendere di rovesciarle dialetticamente ma cercando una possibile libertà a partire da «resistenze che sono […] possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie, concertate, striscianti, violente, irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali»262. In ogni caso, mai sussumibili sotto una «totalizzazione teorica»263. È in questo senso che, come dirà Gianni Vattimo sostenendo posizioni analoghe, «non c’è una liberazione al di là delle apparenze, in un preteso dominio dell’essere autentico»264, ma c’è semmai «libertà come mobilità tra le “apparenze”».”

    E’ una critica giusta, è ingiusta? Come ho detto, non conosco abbastanza Foucault per rispondere, ma è evidente che si tratta di un’analisi dei testi, che sarà magari sbagliata ma non è una liquidazione sommaria e pregiudiziale.
    Peraltro che una non piccola ambiguità si possa riscontrare anche nel testo oggetto del post mi pare difficile negarlo. Prima di tutto non vedo un’analisi della riduzione dello Stato in termini critici. Foucault è anzi esplicitissimo nel rivendicare, almeno in prima battuta, una neutralità dell’analisi (Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France (1978-1979), a cura di M. Senellart (sotto la direzione di F. Ewald e A. Fontana), Paris, Gallimard-Seuil, pag. 197): “Autre thèse que je voudrais avancer, c'est celle-ci (enfin, c'est la réciproque de ce que je viens de vous dire), c'est que ce qui est actuellement en question dans notre réalité, ce n'est pas tellement la croissance de l'État et de la raison d'État, mais ce serait beaucoup plutôt sa décroissance, que l'on voit apparaître dans nos sociétés du xx siècle sous ces deux formes: l'une, qui est précisément la décroissance de la gouvernementalité d'État par la croissance de la gouvernementalité de parti, et d'un autre côté, l'autre forme de décroissance qui est celle que l'on peut constater dans des régimes comme le nôtre, où l'on essaie de rechercher une gouvernementalité libérale. J'ajoute aussitôt qu'en disant cela, j'essaie de ne porter aucun jugement de valeur. En parlant de gouvernementalité libérale, je ne veux pas, par l'utilisation même de ce mot «libéral», sacraliser ou valoriser d'entrée de jeu ce type-là de goùvernementalité. Je ne veux pas dire non plus qu'il ne soit pas légitime, si l'on veut, de haïr l'État. Mais je crois que ce qu'il ne faut pas faire, c'est s'imaginer que l'on décrive un processus réel, actuel et nous concernant nous, quand on dénonce l'étatisation ou la fascisation, l'instauration d'une violence étatique, etc.”.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille Arturo: pensa un po' se Foucault "lo avessi conosciuto bene"...

      Farei notare che l'analisi filologica che porti per analizzare lo "spin" di un'autore, consiste innanzitutto:

      1 - nel valutare la portata "etico-politica" del messaggio divulgato, comparandolo indirettamente ai valori etico-sociali su cui si fondano le democrazie costituzionali moderne. L'autore promuove i pricipi liberali classici non compatibili con il programma costituzionale?

      a) Da un punto di vista economicistico: è favorevole esplicitamente a una forma di liberismo o liberoscambismo, oppure indirettamente, promuovendo, ad esempio, forme di federalismo (intra o inter)statale?

      b) Da un punto di vista sociologico: riconosce il conflitto di classe come dinamica fondante del conflitto politico e sociale? Riconosce l'importanza della collegialità e della solidarietà delle classi subalterne (il sezionalismo dell'Altiero!) nelle forme di partecipazione politica organizzata tramite partiti e sindacati? Riconosce che è solo l'unione degli oppressi che può controbilanciare il potere degli oppressori o, piuttosto, crede che i rapporti di potere siano gestibili con azioni individuali?

      c) Dal punto di vista della filosofia morale: rimanendo nella modernità, l'autore si rifà all'etica alla base del pensiero hegelo-marxiano oppure a quello nicciano? (Lasciando perdere quel particolare percorso che porta da Aristotele all'empirismo o da Platone ad Hegel....)

      Giusto per dare un esempio: sul punto b) Arturo porti documentazione significativa.

      Sul punto c) citi Vattimo, che stando con le critiche di Preve e Losurdo, avrebbe reso "fruibile" Nietzsche alla nuova sinistra "piddina" (insieme alla guerra nell'ex-Yugoslavia... per chi conosce la nota discussione): non sorprende, date le influenze sul filosofo francese che avrebbe avuto il filosofo tedesco.

      2 - nel ricordare che ogni grande autore, indipendentemente dall'etica, e dalla forza sociale per cui de facto parteggia, fornisce "una cassetta degli attrezzi" che ha un valore "oggettivo", "epistemico", funzionale al percorso cognitivo e allo sviluppo e alla crescita personale di chiunque.

      (Indipendentemente dalla "destre" e dalla "sinistre" di chi non ha gli strumenti cognitivi per "lateralizzarsi"....)

      Elimina
  10. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  11. Sono felice che il mio articolo abbia stimolato qualcuno a difendere la complessità del pensiero di Foucault: in fondo l'ho scritto per lo stesso motivo, poiché, cosa che non mi sembra lei abbia confutato, resta il fatto che Losurdo ha detto esplicitamente che Foucault cita Hayek per equiparare stato sociale ai totalitarismi (e ammetto senza problemi che il mio post non esaurisce affatto lo studio del rapporto tra Foucault e il neo-liberismo - non volevo proprio "liquidare" tale tema, come scrive, anzi! - ma mi sembra evidente che la vera semplificazione è, appunto, quella frase di Losurdo!).
    Questo per quanto riguarda il senso del mio post.
    Ora mi soffermo su qualche dettaglio che lei cita, per dimostrarle che, mentre le sue citazioni sono corrette, i modi in cui le interpreta sono spesso errati: è sicuramente errato, ad esempio, credere che per Foucault "la prospettiva di un reddito di cittadinanza sembra poter dischiudere orizzonti liberatori".
    Il passo da lei citato sull'imposta negativa, infatti, fa parte di una più generale critica di quella proposta di Giscard D'Estaing, proposta definita ordoliberale e spiegata dal punto di vista di chi l'ha proposta (tutte le lezioni procedono in questo modo, cercando di spiegare tali teorie "dall'interno"), e sappiamo da altre fonti che Foucault era molto critico nei suoi confronti (quindi di certo non ci sono elementi per pensare che ne fosse un sostenitore").
    Insomma, Foucault spiega così bene le teorie altrui che tutti lo confondono con esse.
    Quindi ciò rende errata anche l'altra sua conclusione per cui quella di Foucault (in particolare in questo caso, che lei prende come esempio) sarebbe una "critica dello stato sociale “da sinistra” che di rado ha avuto epiloghi diversi da uno sbocco a destra": se, come ho appena detto, quella che cita non è una critica dello stato sociale, ma una critica dell'imposta negativa, allora al massimo possiamo affermare che Foucault è contrario al reddito di cittadinanza (come molti su questo blog), quindi ciò rafforza l'idea che ho proposto secondo cui il suo pensiero è più affine al "nostro" di quanto crediamo.
    Poi, sarei un totale ignorante se lo considerassi un difensore dello stato a spada tratta (nemmeno io lo sono, in che senso ha senso esserlo?), come tutti i riferimenti bio-bibliografici da lei citati dimostrano.
    Come ha giustamente detto, è un autore complesso, che sa studiare con occhio critico: lei nei suoi commenti cita persino la "neutralità" dello sguardo di Foucault come prova del suo non essere a favore dello stato sociale (?), ma qui non si tratta di essere a favore o contro, io non ho mai sostenuto che Foucault fosse identico a Keynes o a Roosvelt, ho solo detto che non ha mai creduto che lo stato sociale contenesse in sè il nazismo, cosa che però in tanti pensano e che Losurdo ha detto (per il resto non ho nessun problema con Losurdo, anzi, quell'intervista fino all'ultimo minuto mi era anche piaciuta).
    Ma chi oggi vuole "ridurre lo stato sociale"? I discepoli di Foucault o quelli di Hayek?
    Infine, lei scrive che non vede "un’analisi della riduzione dello Stato in termini critici": quindi secondo lei considerare il nazismo una riduzione dello stato non è un giudizio critico nei confronti di tale riduzione (e una ovvia e complementare riconsiderazione della presenza dello stato)?
    Come vede non volevo semplificare, ma portare allo scoperto quelle che mi sembrano semplificazioni ingiuste, per stimolare dibattiti come questo: sono quindi felice se ciò è successo e spero che la mia risposta le sia stata utile.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nello spirito del blog e del suo filo conduttore (che è quello della democrazia costituzionale, che qui viene considerata come eticamente autosufficiente e non riducibile ad altre dottrine filosofiche: per ragioni oggettive, storiche e epistemologiche proprie di diritto ed economia), mi limito a elogiare la focalizzazione che dà spunto al tuo intervento: l'idea che lo Stato sociale contenga il nazismo.

      Appena giunsi su twitter, questa fu la linea di attacco che ho subito con immediatezza da parte dei neo-liberisti, ascrivibili (emergeva dai profili e dai curricula on web) a scelta civica e a allo stesso PD: tra l'altro, erano quasi tutti economisti della finanza o "imprenditori".

      L'antistatalismo libertario "liceale", fondato sulla continuità Hegel-Marx-statalismo-nazifascismo=>keynes (e la stessa Costituzione) è una teoria semplificatoria, rudimentale ma, non di meno, imperante. Una componente essenziale del pop (pseudo-colto) di cui si nutre oggi l'ordoliberismo di governo.

      Ergo: vale la pena di denunziarne la pochezza culturale, al di là della filologia sui commentatori di questo o quello tra i pensatori del secolo scorso (tra cui, peraltro, i francesi non brillano per chiarezza e consapevolezza storica, come evidenzia il "test" di Bazaar).

      Elimina
    2. Dammi pure del tu, Mula: non è il caso di essere formali. Ho apprezzato il tuo intervento e ti ringrazio per la risposta.
      Sono d'accordo con te che Losurdo non rende probabilmente giustizia a Foucault. Non però per un rifiuto a studiare Hayek: su questo mi pare siamo d'accordo.
      Quanto al discorso di Foucault sull'imposta negativa, mi limito a un'osservazione: quando parla di stato sociale, ne evoca i profili disciplinari, inquisitori e polizieschi (con quella che non me ne sembra una difesa, seppure non a spada tratta: mi pare proprio un attacco); quando si tratta dell'imposta negativa, ne evoca un funzionamento ideal-ipotetico, e direi piuttosto inverosimile (è qui che si fa sentire in modo più grave quella mancanza di "praticità" di cui parla giustamente Bazaar. A cui, incidenter tantum, dico che Foucault lo conosco davvero poco: è proprio per questo che ho largheggiato così tanto con le citazioni...;-)), da cui i profili disciplinari (che ci sono e non sono piccoli) restano fuori (la critica in cosa consisterebbe? Nella semplice constatazione che si abbandonerebbero il pieno impiego e la lotta alla povertà relativa?). Come minimo lo trovo un paragone tra entità disomogenee che manca di chiarezza. Se poi magari ci sono pagine più chiare, sono ben felice se me le indichi (anche solo col numero); sono però incline a dubitare che esistano. Geoffroy de Lagasnerie, nel suo La dernière leçon de Michel Foucault (Paris, Fayard, 2012), un'opera (che avevo lì da un po' senza mai averla aperta) di difesa di Foucault dall'accusa di continuità con neoliberismo, scrive: "À l’appui de ce type de perception [quella di un Foucault neoliberale], on mentionne souvent le fait que Foucault ne prononce pas, dans ces leçons, la moindre critique à l’encontre du néolibéralisme – alors qu’il emploie des formules très sévères à l’endroit du marxisme et du socialisme. Foucault commente les textes des néolibéraux, il décrit la façon dont les politiques menées en Allemagne par Helmut Schmidt ou en France par Valéry Giscard d’Estaing s’inscrivent dans ce cadre de pensée, mais jamais il n’exprime l’amorce d’une prise de distances avec ces programmes. Bref, la tonalité de l’ouvrage ne paraît pas critique. Tout se passe comme si Foucault était happé par son objet, fasciné par lui. Et comme si, loin de forger des instruments de résistance contre la révolution néolibérale qui commençait de s’abattre sur le monde, il se contentait d’en décrire l’avènement. Son silence traduirait une sorte d’assentiment tacite." In tempi di neoliberismo già bello aggressivo, senza fare processi alle intenzioni, qualche critica su questo modo di procedere mi pare come minimo lecito avanzarla.

      Elimina
    3. Quanto alla questione della riduzione dello Stato, ho solo detto che non la presenta come un "problema", se si intende attribuire a questa parola una connotazione preoccupata. Non mi pare corretto attribuire a Foucault un'estensione del giudizio negativo sul nazismo al neoliberismo, in quanto entrambi sarebbero accomunati da un'attivitità di riduzione dello Stato, come la tua domanda mi pare implicitamente suggerire. Foucault non sostiene certo che ogni riduzione dello Stato costituirebbe una forma di totalitarismo: la riduzione nazista non è la riduzione neoliberale. Il che poi è anche vero.
      Quanto ai discepoli, non lo so se la metterei così tanto sul piano delle singole personalità, anche perché sarebbe ingiusto attribuire a Foucault la reponsabilità della scelta di vendersi di questo o quel suo allievo. Forse è più corretto domandarsi che cosa ne è rimasto, sul piano intellettuale, della Deuxième gauche (in cui si trovano peraltro anche intellettuali che sono stati vicini a Foucault sul piano personale e scientifico, come Rosanvallon). Taccio, per carità di patria, su Sauvons l'Europe; parliamo della République des idées? Lordon, direi cogliendo nel segno, l'ha definita esempio perfetto di "gauche pleurnicheuse", che cioè critica gli effetti di cause che non intende mettere in discussione: la globalizzazione finanziaria e il neoliberismo son brutti, però teniamoci l'Europa e l'euro. Con ciò non voglio sostenere banalmente che "c'est la faute à Foucault"; che il nostro avesse fornito vaccini sicuri contro una simile deriva nell'inanità o nella diversione, lo trovo però difficile da sostenere. Si tratta di una pagina della storia della sinistra, non solo francese, su cui credo valga la pena riflettere. Per dire, uno dei più noti blogger keynesiani in lingua inglese, ha dedicato diversi post di critica molto dura al post-strutturalismo francese, che io non so assolutamente valutare ma che magari tu potresti trovare interessanti. Ti ringrazio per la discussione.

      Elimina
    4. Apprezzo molto il tono corretto del dibattito, in quanto per esperienza diretta so che è raro!
      Qualche chiarimento (poi smetto per non infestare il blog di 48! Se vorrai contattarmi in privato troverai tutti i link/mail cliccando sul mio nome).
      Scrivi:
      “(la critica in cosa consisterebbe? Nella semplice constatazione che si abbandonerebbero il pieno impiego e la lotta alla povertà relativa?)”
      Come ho scritto nel post, considerare il liberalismo come la strada che conduce alla biopolitica, ossia un mutamento della direzione e delle modalità del potere che invade ogni campo della vita mentre diffonde la stato-fobia e abbandona il pieno impiego come finalità (che sarebbe un tentativo di risoluzione del problema – parole sue, non mie - opposto al tappabuchi dell'imposta negativa. Stessa analisi che ne fanno/facciamo da anni “noi”, ma in concetti e senza equazioni), è il senso dell'opera che abbiamo discusso finora, ed è tutto fuorché una considerazione rispettosa del liberalismo (es. la critica alla stato-fobia che ho citato è innegabile, chiara, precisa, puntuale e in anticipo sui tempi).
      Per cui mi sembra assurdo accusarlo di sostenere l'imposta negativa proprio mentre cerca di comprendere l'episteme relativa, ossia di spiegarne le condizioni di possibilità (stato-fobia) e le conseguenze problematiche (biopolitica): più critico di così!
      Citare i brani in cui espone le teorie di Hayek e simili credendo che siano un esposizione del suo pensiero mi sembra un'operazione perdonabile se effettuata da chi dichiara di non conoscerlo, ma sicuramente non da un ricercatore/esperto ecc.
      Il senso dell'opera che ho appena spiegato viene infatti sottolineato nello stesso modo anche dal curatore del libro, che sicuramente se ne intende di più di chi oggi cavalca questo “microscandalo”: http://oi57.tinypic.com/hvs4er.jpg
      Certo, non è un economista, ma io non propongo un Foucault-economista-del-welfare, ma un Foucault che in quanto filosofo è conciliabile con la critica tecnica di Hayek che si fa in questo blog: insomma, propongo un dialogo interdisciplinare.

      Comunque il testo che citi (considerando solo la frase che citi e come la citi) dice “Il tono della sua opera non sembra mai critico. Tutto accade come se...” F. fosse d'accordo con i neoliberali, e quindi il suo silenzio sembra un assenso (sottolineo, sembra. Ma quale silenzio, quello del “tono” che sembra neutrale dell'opera? Ma quindi dell'assenso non c'è traccia, è un'ipotesi dell'autore, gli sembra! Quindi, in pratica, ci si scandalizza del fatto che leggeva Hayek poiché non si capisce il senso dell'opera. O non lo si vuol capire? Non so).

      La cosa assurda comunque non è il fatto che non si capisce Foucault, ma il fatto che spesso lo si reputa colpevole delle mancanze della sinistra di oggi (cosa che tu almeno non fai, mentre Preve, Losurdo ecc. che rispetto per tanti altri versi, l'hanno fatto, eccome!).
      Ma, ripeto, dichiarare guerra alla stato-fobia, svelare il lato biopolitico del potere come lato complementare del rifiuto di intervenire in direzione del pieno impiego... è forse inutile oggi?
      Per me è importante e conciliabile con la critica dell'euro, perché apologie delle unificazioni monetarie non ce ne sono in questi autori (ci sono in Habermas e in tanti altri autori molto più rilevanti e influenti a livello accademico) ma in compenso troviamo critiche filosofiche dell'Unione Europea (ad es. in Derrida, “Spettri di Marx”), dell'internazionalismo del capitale (es. “Millepiani” di Deleuze), della stato-fobia...
      Comunque ora leggo il blog che hai linkato, grazie del consiglio.

      Elimina
  12. Per chi non l'ha letta, metto un link a una citazione (.jpg) tratta dall'opera "Nascita della biopolitica" (quella discussa in questo post), dalla nota del curatore del libro, Michel Senellart, che riassume il senso dell'opera in poche righe, confermando questo post e anticipando tutte le critiche sul rapporto di Foucault con lo stato e l'ordoliberalismo: http://oi57.tinypic.com/hvs4er.jpg

    RispondiElimina
  13. Dimenticavo: come nota giustamente Arturo, c'è stato un caso di un discepolo di Foucault che ha attaccato lo stato sociale, è il "caso Ewald", che avevo tralasciato ma è interessante, poiché dimostra che i discepoli di Foucault vengono rimproverati e accusati di incoerenza ("Intellectuals who knew Ewald from earlier days were bewildered" cit. http://history.appstate.edu/sites/history.appstate.edu/files/Behrent,%20JMH%20article,%202010.pdf ) proprio se/quando... attaccano lo stato sociale!
    Ma quando i discepoli di Hayek creano il sistema attuale, nessuno li rimprovera di tradire Hayek...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille per gli spunti.

      Un'ultima considerazione, purtroppo sono stato anch'io strabordante.

      Non condivido di Losurdo anche altri aspetti, a cominciare dall'emblematica "motivazione" che avrebbe fatto scattare la rivoluzione anticolonialista americana: "l'espansionismo a danno dei pellerossa" che l'impero britannico non tollerava?

      Ora. Non metto in discussione questa motivazione nel suo contenuto, ma, converrai, che quest'analisi (oltre che puzzare di antiamericanismo ideologico), non è un'analisi "strutturale" di un marxista "classico": dove è l'analisi economica? Quali sono le "forze sociali" e le rispettive sovrastrutture ideologiche che permettono di riconoscere il "conflitto tra gruppi sociali"? Insomma, come quelle che si evidenziano fatte sul medesimo argomento dal prof. Chang, economista?

      Perché il prof Losurdo non mette evidenza, in mezzora di intervista, nemmeno una delle cause reali - tecniche! - che generano colonialismo, imperialismo e smantellamento dello stato sociale? Ne emerge solo un'analisi "descrittiva" di fatti compiuti e tendenze, e, al limite, una comparativa dei risvolti etico-politici di chi è estremamente dotto in storia del pensiero filosofico.

      Mi si potrebbe rispondere: "stai facendo del cherry picking". Può darsi.

      Ma le considerazioni di Losurdo in merito a ciò che è "utile" o non "utile" alla prassi politica, sono tutte di carattere squisitamente filosofico "umanistico" che non trova complementarietà in analisi supportate da scienze sociali come è stato storicamente fatto dal marxismo classico. Per quale motivo un filosofo che si occupa del massimo oggetto della speculazione filosofica classica, ovvero della politica e della giustizia, non ritiene necessaria l'analisi scientifica?

      Come si può credere che gli autori che cita possano essere in qualche misura "utili", oltre all'indirizzo culturale (effettivamente necessario), quando sono "filosofi a metà" rispetto all'impegno civile della modernità di cui Marx è stato precursore, e, nel caso di Losurdo, anche punto di riferimento assoluto? Credo si sottovaluti il senso del "socialismo scientifico", magari in qualche modo confondendolo con lo storicismo e l'escatologia relativa.

      Ma perché lo sottolineo in Losurdo?

      Perché, mi sia consentito, mi pare che di questa mancanza di "praticità" e di "praticabilità", sia affetto anche il pensiero foucaultiano. Come accennato prima, è fondamentale a livello "cognititivo", ma è fondamentale per indirizzare la prassi?

      Ecco: i grandi pensieri "utili" che hanno saputo orientare il dibattito efficacemente a livello politico, sono stati portati da quei filosofi che avevano forti competenze nelle scienze sociali: si pensi a Schmitt (scienze giuridiche), a Strauss (scienze politiche) o ad Hayek, che poneva le sue premesse ideologiche tanto nelle scienze giuridiche quanto in quelle economiche. Non erano solo "techne": né solo economico-giuridica, né solo storico-filosofica.

      A Sinistra, a beneficio degli interessi del lavoro, quali personalità con queste caratteristiche hanno avuto abbastanza seguito da guidare partiti di massa? (A "destra" non c'era bisogno, bastava mandare una lettera alla "Thatcher"...).

      Ecco, secondo me è questa la grande differenza tra Foucault ed Hayek, al di là delle grandi differenze di pensiero. E credo che sia il dramma della post-modernità, in cui i dominati annegano soli nella palude del relativismo e del nichilismo a cui nessuno ha saputo reagire efficacemente. Con un po' di posività... sostenuta da un briciolo di positivismo.

      Elimina
    2. Concordo su molti punti (ma non so se Losurdo ha analizzato il lato economico del colonialismo nelle sue opere, oltre che in quell'intervista, quindi su questo non so dirti, non sono un esperto del suo pensiero), in particolare sull'esigenza di più scientificità/economia dal "socialismo scientifico" (altrimenti non sarei qui a leggere 48 o Goofynomics... ma allo stesso tempo chiedere a un filosofo di essere economista mi sembra eccessivo, come chiedere a un economista di essere filosofo! Mi sembra già un impegno degno di stima quello di leggere gli economisti e citarli correttamente come hanno fatto spesso questi francesi, che quindi mi sembrano tutto fuorché imprecisi e privi di coscienza storica), ma non mi convince il tuo finale.
      I “post-strutturalisti” non volevano guidare/fondare un partito di massa per il semplice motivo che nel periodo in cui hanno scritto il "partito di sinistra di massa" c'era già (e aveva fatto anche numerosi danni da poco tempo) e si trattava quindi di criticarlo, per non sostenerlo aprioristicamente né pensare di poterlo superare senza ricostruire un paradigma realmente innovativo (è ciò che Foucault rimprovera a Chomsky in questa nota intervista: https://www.youtube.com/watch?v=8dgtXCTmAoI ed è anche uno dei motivi per cui è ingenuo ritenere che egli avesse banalmente "virato" verso il neoliberismo, ed è il fine che guida l'opera di Althusser): il problema a cui reagivano non era quindi (scusa se ricordo cose banali) il relativismo/nichilismo odierno, considerando che prima di questi autori (e dell'opera di Giorgio Colli, molto più elitario e “apolitico” dei francesi e quindi più utile su un piano non politico) un autore come Nietzsche era ancora considerato Nazista (per questo il post-strutturalismo nasce da/produce la "Nietzsche renaissance"), guarda caso la "reductio ad Hitlerum" che oggi si mette in bocca proprio a Foucault!
      Ma non voglio limitarmi a "giustificare" l'assenza di "manifesti politici" di questi autori: il mio fine è invece quello di mostrarne la conciliabilità con il piano scientifico che ho studiato su questi blog/libri negli ultimi anni: quindi, più in generale, penso sia utile chiederci cosa intendiamo per relativismo/nichilismo.
      Autori come Foucault e soprattutto Deleuze erano molto critici verso la "rappresentazione", e in senso politico ciò li portava a una critica della rappresentanza politica dei "partiti".
      Deleuze in certi testi era quindi più vicino a un'idea di democrazia diretta (che non mi sembra individualista/relativista ecc. e almeno nelle versioni serie è radicalmente diversa da Grillo che ha proposto una "pseudo-e-democracy del partito" giustificata come cavallo di Troia per portare la democrazia diretta in parlamento, senza alcuno sfondo tecnico/giuridico/filosofico, creando quindi un partito come tutti gli altri, quindi l'opposto dei post-strutturalisti) e chi ha letto "Millepiani" sa che, per quanto possa essere aspra la critica verso lo stato, il nemico principale dell'autore è, per dirla in breve, il "Capitale" (nemmeno Deleuze credeva infatti in un'omogeneità tra gli stati, nonostante criticasse il contingente ruolo di collaborazione tra stato e capitale e solo da questo punto di vista ritenesse stati democratici e nazismo/totalitarismi potenzialmente isomorfi, ma distinguendo entrambi dal socialismo... ad es p.676 https://books.google.it/books?id=i5n5yEzsghkC&pg=PA676&lpg=PA676&dq=millepiani+mercato+deleuze&source=bl&ots=VwlNNtZldQ&sig=EWkou5agUdnDPrHaF5tiJR33j6Y&hl=it&sa=X&ved=0CCoQ6AEwAmoVChMIxcf84IvRyAIVy5EsCh0_xQi4#v=onepage&q&f=false ).

      Elimina
    3. Certo, proprio perché il mondo è cambiato non basta “tornare a questi autori” (dirò di più: il “ritorno” nostalgico all'autore delle proprie ricerche è a mio parere il grande difetto degli studiosi di filosofia attuali, che invece di mescolare diversi piani in qualcosa di nuovo propongono sempre un regresso...) e sicuramente oggi il sistema europeo supera persino la rappresentanza e ci pone quindi altri problemi, considerando il carattere anti-democratico delle istituzioni europee, ma quando oggi diciamo che il potere si sta allontanando troppo dal popolo a causa di meccanismi di mercato, il senso del discorso mi sembra molto conciliabile con Deleuze e una parte della tradizione marxista.
      Concludo scusandomi per la lunghezza dei post (sarebbe da scriverci libri, sto semplificando tantissimo), e notando che il "pensiero post-strutturalista" è forse difficile, talvolta utopico o privo di proposte concrete, ma sicuramente è l'ultima (la più recente, che risponde a problemi spesso più simili ai nostri) corrente onesta e critica verso il potere, più aggiornata e sottile del marxismo e più conciliabile con la critica dell'euro di autori come Habermas (che ancora oggi difendono il "fogno"... che Derrida criticava nei primi anni '90!).
      Tutti però la criticano in quanto nichilista, e paradossalmente mi sembra questo gesto a... nichilizzarla!
      Grazie in ogni caso per l'attenzione, sono onorato di aver potuto sottoporre a tutti voi un pezzo dei miei studi e sono felice se tali risposte serviranno a differenziare le vostre idee sulla filosofia (anche i filosofi, come gli economisti, hanno spesso offeso la propria categoria durante questa crisi, quindi io per primo ho sentito il bisogno di mettere alla prova il mio percorso quando ho visto all'orizzonte il tramonto dell'euro...).

      Elimina
    4. Per charezza.

      Non si metteva in contrapposizione filosofi ed economisti: a ognuno la sua professione.

      Si ragionava sul contributo al pensiero politico, con quell'auspicio per cui «non basta interpretare il mondo, bisogna cambiarlo».

      Quando la teoria diventa propedeutica alla prassi. Ovvero quando si promuovono effettivamente le condizioni per cui la forma diventa sostanza: «Ogni scienza sarebbe superflua se l'essenza delle cose e la loro forma fenomenica direttamente coincidessero».

      Ora: se ci troviamo impotenti di fronte allo smantellamento della democrazie sociali, è possibile che qualcosa, rispetto alla cultura occidentale che ha permesso un benessere diffuso, è andato storto.
      Certo, un processo storico: ma la cultura non dovrebbe essere ciò che tempera le "asperità" dello sviluppo umano nella Storia?

      Ciò che si nota pare essere che, in ambito umanistico, quasi per evitare di non finire nell'estremismo positivista dello scientismo, si trascuri che la scienza, come parte del "sapere", non sia anch'essa parte della Filosofia.

      Poiché saprai meglio di me che filosofia e politica sono intimamente connesse (si pensi a Platone), e la complessità della modernità trova nel regolare l'organizzazione sociale supporto negli strumenti messi a disposizione delle scienze sociali, è facile ipotizzare che dal lato progressista questa sensibilità sia venuta meno. (Una delle cause storiche potrebbe essere la massiccia "fuga di cervelli" messa in moto dalla Germania nazista che han trovato rifugio negli USA... finanziati dalla fondazione Rockefeller).

      Pare, infatti, che siano più i grandi economisti a conoscere la storia del pensiero filosofico di quanto gli storici della filosofia abbiano compreso la storia del pensiero economico.

      Queste non sono in contrapposizione: sono complementari.

      Quindi, voglio dire, ben vengano gli studiosi di Foucault (o di Sartre) che si formino nei rudimenti delle scienze sociali (senza per forza diventare economisti o giuristi), perché, stando alla critica che si è provato a portare - non tanto a lui, ma genericamente ai grandi dotti che si ritiene portatori di etica progressista - i foucaultiani che si armano anche di questi mezzi potrebbero ottenere ciò che Foucault non ha ottenuto. (Il punto non è che gli Hayekiani rivendicano orgogliosamente lo smantellamento dello Stato sociale: il punto è che i focaultiani non possono rivendicare il mantenimento della Stato sociale).

      È un fatto.

      Allo stesso tempo, però, costoro portano come contributo al dibattito gli strumenti cognitivi forniti da questi grandi autori. (Losurdo compreso).

      Sul nichilismo ho espresso un'opinione personale: non credo ci possa essere un sistema di valori ed idee progressive che non si poggino su un forte contributo di carattere positivista: l'episteme...

      Grazie mille a te, rischio che Quarantotto mi butti nello spam. È che sono anch'io appassionato al taglio filosofico dei fenomeni sociali... :-)

      Elimina
  14. Intanto il nostro cinema italiano non ha meglio da fare che sfornare l'ennesimo film su uno dei più gravi problemi del nostro tempo: quello dei "bamboccioni" cresciuti nella bambagia che non hanno più voglia di lavorare e rimboccarsi le maniche. Perchè lo sanno tutti, da Michele Serra a Polito, da Padoa Schioppa alla Fornero, che il problema più grave degli italiani è l'opulenza e la ricchezza infinita che genera nei giovani, TUTTI I GIOVANI, una terribile apatia. Tra viaggi alle Maldive e cenette in ristorani super costosi, tra una cifra di 14.000 euro spesa dall'estetista una volta alla settimana e una nuova automobile da 100.000 euro al mese, la nostra società si sta sempre più avvitando in un opulento consumismo che farà precipitare la laboriosità dei nostri autoctoni traboccanti di benessere e vizi senza la necessità di lavorare. per questo avremo bisogno di energie fresche subsahariane che arriveranno a sostiuire gli autoctoni che non hanno più voglia di lavorare a raccogliere le arance nei campi per qualche euro al giorno.
    Ecco la recensione dell'ultimo capolavoro del Cinema Italiano:
    http://www.cineblog.it/post/657360/belli-di-papa-recensione-in-anteprima

    "Diego Abatantuono mattatore in questo spaccato su una fetta di gioventù cresciuta nella bambagia. Opera senz'altro leggera, Belli di papà non è però superficiale, riuscendo a coniugare qualche spunto di riflessione con i toni della commedia malgrado tutto spensierata.

    Vincenzo Liuzzi (Diego Abatantuono) è un imprenditore milanese di successo. Vedovo, con tre figli, si preoccupa della situazione di quest’ultimi, totalmente avulsi anche solo dal concetto di lavoro. Remake del messicano Nosotros Los Nobles, Belli di papà si sofferma su uno dei fenomeni meno discussi (sul serio intendo) ma al tempo stesso tutt’altro che marginali inerenti all’attualità, ossia una non meglio precisata “incapacità lavorativa” di una parte considerevole di nostri giovani.
    Definizione che ci sta, per quanto semplicistica, tesa a descrivere un problema che per certi versi precede la tanto decantata disoccupazione. E stavolta la Colorado Film indovina il registro adatto, attestandosi su altri livelli rispetto ai due film di Paolo Ruffini. Vuoi per il trascinante Abatantuono, vuoi perché Guido Chiesa non è esattamente l’ultimo arrivato, sta di fatto che Belli di papà regge, malgrado certa voluta leggerezza che però non è mera superficialità."
    Ripetiamo:"un problema che per certi versi precede la tanto decantata disoccupazione" secondo il recensore, cioè il carattere bamboccione degli italiani, frutto dell'immensa opulenza dei loro genitori, precede la disoccupazione; ogni altro discorso sul vincolo esterno e sull'euro sarebbe solo una scusa!

    RispondiElimina
  15. continua da http://www.cineblog.it/post/657360/belli-di-papa-recensione-in-anteprima
    "Vincenzo ha a che fare con tre figli a cui non è mai mancato nulla, la qual cosa li ha resi allo sbando: Matteo (Andrea Pisani) fa finta di lavorare in azienda, uscendosene ogni due per tre con idee bislacche, che nemmeno lui sa peraltro come realizzare, atteggiandosi ad imprenditore di ‘sto c***o quando invece spende più soldi in aperitivi che altro. Chiara (Matilde Gioli) è in procinto di sposare il «coglione», epiteto a cui Vincenzo tiene molto, tanto da non volere che si faccia in alcun caso il suo vero nome; che è Loris (Francesco Facchinetti), un ciarlatano la cui unica dote è quella di intrallazzare e che intende fare di Chiara sua moglie per via più che altro della ricca dote. Il più piccolo, Andrea (Francesco Di Raimondo), è iscritto da due anni in Psicologia, dove non ha dato alcuna materia ma in compenso si è schiacciato una serie di componenti femminili del corpo docenti.
    Troppo agio, troppa noncuranza, perciò Vincenzo decide inscenare una finta fuga dal Fisco e ripiegare, prole al seguito, in quel di Taranto, terra che gli ha dato i natali. Senza soldi, in un’abitazione fatiscente, i tre devono industriarsi a rimanere a galla. ... Si sorride di questi ragazzi che, messi alla prova, si (ri)scoprono carichi di risorse, ciascuno a proprio modo. Senza nemmeno scadere in certo giovanilismo, tanto in voga ultimamente, per cui d’improvviso questi ragazzi ne escono come figure angelicate vittime dello stesso sistema che gli ha allevati e pure bene....."

    QUI C'E' TUTTO IL RIASSUNTO DI QUELLO CHE QUESTO BLOG E QUELLO DI BAGNAI COMBATTONO DA ANNI: La manipolazione delle percezioni, l'utorazzismo nei confronto degli italiani ricchi, bamboccioni e svogliati che non lavorano NON PERCHE' MANCA IL LAVORO O ORMAI IL LAVORO E' DIVENTATO SCHIAVISTA, ma perché semplicemente vivono nel lusso per merito dei loro genitori che facilmente si arricchiscono; e la durezza del vivere alla Padoa Schioppa come stimolo alla laboriosità dell'italiano medio altrimenti inerte e viziato (Senza soldi, in un’abitazione fatiscente, i tre devono industriarsi a rimanere a galla). Stupendo capolavoro del cinema di propaganda contemporaneo. Tema attualissimo quello di una grossa fetta di gioventù "cresciuta nella bambagia", come dicono i recensori!!! Ci sarebbe da chiedersi in che paese vivano i registi e i recensori di tale spazzatura cinematografica, ma possiamo anche interpretare il film come un autentico autoritratto stesso della nostra classe dirigente italiana ben retribuita dai nostri banchieri e burocrati euroschiavisti: un ritratto, però, che il film proietta invece sull'intera popolazione italiana (o "su una fetta di gioventù cresciuta nella bambagia" vista come fenomeno diffuso, come dice la recensione). Però padre di questi ragazzi potrebbe essere benissimo un Padoa Schioppa o una Fornero, non certo il piccolo imprenditore medio affogato nella burocrazia e nell'eurolager e nei debiti. Capovolgere completamente la realtà è sempre stato l'obiettivo della propaganda più manipolatoria, e questo film ci riesce benissimo; nel momento in cui gli italiani stanno diventando sempre più poveri e la disoccupazione aumenta in conseguenza dei vincoli europei e ordoliberisti, ci viene detto che in realtà siamo sempre più ricchi e la disoccupazione aumenta perché i padri hanno lavori dove guadagnano milioni di euro al mese e mantengono i loro figli nell'inerzia; è per questo allora che i figli avrebbero bisogno di sane frustate per tornare al lavoro e faticare per guadagnarsi da vivere (la durezza del vivere). Io mi chiedo come la gente possa andare al cinema e ridere spensieratamente di simili cine-deliri propagandistici. Ricordiamoci che l'auto-immagine di una nazione si forma più spesso con opere audiovisive che con libri o blog di nicchia che leggono solo in pochi. E per distruggere l'auto-immagine di una nazione cosa c'è di meglio di opere cinematografiche come questa?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E altrettanto si può agevolmente attribuire alla maggioranza dei film fatti da Litizzetto, Bisio, persino (inevitabilmente, dato il suo fiuto, ormai specializzato), Verdone e via dicendo.

      L'altro filone è quello del giovane immigrato di seconda generazione che concentra ogni virtù morale e talento (professionale, artistico e sportivo), ma dovendo combattere contro la corrente avversa della criminalità e corruzione degli italiani che lo circondano.

      Gli ordoliberisti di ritorno (analfabeticamente parlando), intanto, cantano "bella ciao" in ogni occasione utile...

      Elimina
    2. Per non parlare di questi:
      "Lo stagista inaspettato. Chi ha detto che a 70 anni è troppo tardi per diventare stagisti?"
      "Suburra. Nell'antica Roma, la Suburra era il quartiere dove il potere e la criminalità segretamente si incontravano. Dopo oltre duemila anni, quel luogo esiste ancora. Perché oggi, forse più di allora, Roma e' la città del potere" (ma un filmetto su Bruxelles no?).
      "Gomorra - La serie" e "Pif. La mafia uccide solo d'estate".
      Insomma, il "cinema" è fermo a MAFIA/CRICCA-CORRUZIONE/PRECARIATO DIVERTENTE.

      Elimina
    3. Qui c'è l'altra faccia della medaglia (di latta). Per la serie anche i ricchi (si) piangono (addosso) Posh
      Interessante l'intervento di una puttana ("Escort prego") chiamata a rallegrare la serata dal presidente pasticcione, la quale si libera degli imbranati mocciosetti con notevole classe.
      Presunte Escort del parlamento italiano se ci siete battete qualche colpo!

      Elimina
    4. E che dire del cinema francese? Piddino, piddinissimo! Tra l'altro zeppo di attacchi al Front National, dipinto come un'aberrazione per vecchi bigotti o giovani ultras/neonazisti.

      Elimina
  16. Concordo al 100% e mi sembra un commento molto coerente con il post considerando che tale concezione della disoccupazione è proprio ciò che Foucault critica agli ordoliberisti nelle lezioni citate.
    Come dici tu il problema è come reagire a tale mostruosa mistificazione mediatica considerando la difficoltà delle analisi filosofiche e politico-economiche che difendiamo (io vorrei farne un documentario divulgativo ma che superi la banalità e la vuota retorica cospirazionista, "intervista-a-uomo-della-stradista", "immagini-di-bambinista" di quelli attuali, ma dovrei avere la supervisione di qualcuno più esperto e forse il "mediattivismo" da solo non basta mai).
    Per questo leggiamo centinaia di commenti di divulgatori disperati dopo l'ennesima discussione impossibile col piddino di turno... Quando anni fa guardavo Bagnai che che rispondeva con pazienza e professionalità alle obiezioni più stupide (e sempre uguali! Cina, inflazione...) dei piddini presenti alle sue conferenze mi saliva una profonda disperazione.
    Sono questi aspetti della realtà a generare (e a essere frutto del) nichilismo, di certo non i grandi filosofi.

    RispondiElimina