1. Che "Il Giornale" sia critico sugli esiti del "vertice" Merkel-Renzi, in un certo senso, è (quasi) logico:
"...per mettere un tappo al flusso di disperati che
affolla le strade della Germania. «L'attuazione dell'accordo con la
Turchia è urgente», dice Angela. Così quello che è un problema sociale e
politico tedesco, lo pagheranno tutti i Paesi europei. Come avvenne per
la riunificazione delle due Germanie. Renzi, al contrario, non ha
ottenuto alcuna apertura in termini di flessibilità di bilancio: vero
obbiettivo della missione del premier.
«Non
mi immischio - ha detto Angela - in queste cose. É compito della
Commissione decidere le interpretazioni» su tempi e livello di riduzione
del debito pubblico. La Merkel, insomma, davanti a Renzi veste i panni
di Ponzio Pilato: si lava le mani del problema italiano del mancato
rispetto del fiscal compact.
Tocca
a Juncker decidere, dice. E Juncker ha già fatto sapere come la pensa. I
suoi uffici hanno già detto che la manovra di bilancio del governo
Renzi non rispetta il fiscal compact per quanto riguarda la riduzione
del debito (l'avanzo primario è un terzo di quello promesso) e non onora
il Patto di Stabilità, in quanto non riduce il deficit strutturale
dello 0,5% all'anno.
E
tra breve, bisognerà aspettare all'incirca un mese, la Commissione
europea dovrà fornire un parere completo sulla Legge di Stabilità,
approvata sub judice da Bruxelles."
2. Ma la criticità del momento è talmente grave che criticare il premier per qualcosa che hanno fatto tutti, ma proprio tutti, i nostri capi di governo (cioè fare acquiescenza totale non appena la Germania si trincera dietro l'applicazione, da parte della Commissione, delle regole che noi abbiamo accettato, normalmente con entusiasmo, senza obiettare nulla al fatto che le stesse fossero poste nell'esclusivo interesse della stessa Germania), appare quasi ingeneroso.
Basta rammentare cosa avvenne tra il 2010 (cioè ben prima della famosa "lettera") e il 2011 (anche qui in gran parte prima ma anche dopo la "lettera", in zelante acquiescenza) per ricordarsi che esiste un PUD€, ovvero, secondo la più evoluta definizione, un P.U.O. (partito unico ordoliberista), saldamente al potere in Italia e mandatario-margravio degli €-poteri centralizzati a Berlino e, in via sollecitamente esecutiva, a Bruxelles.
La linea dura con l'Europa spinge #Renzi nei sondaggi. Il Pd al 33,9% e gli altri... https://t.co/F5qUqMvveo
— L'HuffPost (@HuffPostItalia) 29 Gennaio 2016
3. L'idea, scritta sull'acqua di effimere intenzioni ad usum politica interna, che il nostro Premier intendesse realmente aprire un contenzioso con la Germania, cioè col cuore (nero) del new-Sacro Romano Impero e, inevitabilmente, col suo "Bargello" costituito dalla Commissione, si è rilevata per quello che era.
Effimera e destinata, sul piano della navigazione interna, a eccitare (coloro che pian pianino vogliono riposizionarsi sull'€uropa, senza dover ammettere le proprie enormi responsabilità) o in alternativa, a tacitare (coloro che dall'€uropa ora ritraggono, tardivamente, una seria minaccia alle posizioni che ritenevano perennemente favorite dall'euro).
Ma poi, di fronte alla realtà materiale delle cose, è importante seguire gli opportuni consigli, non quelli di chi, per legittimarsi a darli, non può portare alcun altro risultato che un'acquiescenza ancor più zelante di quella rimproverata ora a Renzi (anche se addossata ad altri).
http://scenarieconomici.it/monti-al-corsera-mi-sono-sacrificato-io-al-posto-della-troika-per-la-ue-durante-il-complotto-del-destino/
4. Ora, Renzi ha opposto fondamentalmente due ragionamenti, all'algida sufficienza della Merkel.
"Durante l'incontro, il presidente del Consiglio deve aver compreso il
«muro di gomma» (od il gioco di specchi) della Merkel, così ha invocato
il rispetto dei patti. «La commissione europea ha adottato a gennaio del
2015 una comunicazione sulla flessibilità», ha ricordato Renzi. «Questo
per noi è il punto di riferimento. Noi non stiamo chiedendo che le
regole siano cambiate ma che siano applicate senza equivoci, la
flessibilità era una condizione per l'elezione di Juncker»."(Tratto sempre da "Il Giornale" sopra citato).
Ma anche, più in dettaglio sulla questione "elezione di Juncker" (tratto da "Il Messaggero" odierno, pag.2, e ripreso da molti altri media): "La flessibilità è una condizione necessaria all'accordo che ha portato all'elezione di Juncker: io non ho cambiato idea sulla flessibilità, spero non lo abbia fatto Juncker".
5. Ma questi ragionamenti sono sia contraddizione tra loro che in contraddizione con la realtà operativa, cioè col vincolo, dei trattati.
Sono in contraddizione tra di loro perché una cosa è richiamarsi alle regole scritte e trasposte nelle variegate fonti del diritto europeo, cioè a regole formate col metodo intergovernativo che, più o meno, viene attuato in base alle trattative precedenti e "intorno" all'operato della Commissione; altra cosa, è richiamarsi a un accordo informale, di tipo esclusivamente politico, come quello che precede la formazione della Commissione in esito alle elezioni per il parlamento europeo.
Se queste elezioni avevano condotto a un risultato che rendeva decisiva la partecipazione al voto di fiducia della compagine italiana facente capo all'europarlamento, questo potere negoziale avrebbe dovuto condurre a un patto ben dettagliato, almeno quanto lo sono le regole del fiscal compact: un patto che, secondo un'elementare logica degli equilibri e delle convenienze che si intendevano garantire a favore dell'interesse italiano, avrebbe dovuto essere trasposto immediatamente in un accordo formalizzato in seno al Consiglio dei ministri e, in aggiunta, ribadito dall'Eurogruppo.
6. Cioè si sarebbe almeno potuto tentare di ottenere una fonte giuridica europea, a ratifica del patto di fiducia a Juncker, che avesse una formalizzazione e una vincolatività (politico-giuridica) "comparabile" alle regole del fiscal compact.
In assenza di ciò, i rapporti di forza imposti dalla Germania sarebbero rimasti intatti e il potere negoziale sarebbe stato, ed è stato, sprecato invano.
Quello che si è ottenuto, (cioè, la Comunicazione della Commissione del gennaio 2015), è invece la realtà operativa con cui occorre avere a che fare: richiamare l'intesa negoziale informale in sede di fiducia alla nuova Commissione è inutile, perché è null'altro che un'intenzione espressa durante una trattativa, vista dalla parte italiana, superata dall'effettivo accordo raggiunto.
Ripetiamo: se poi l'accordo finale (essendo quello "politico-fiduciario, evidentemente molto, troppo, informale), e quindi il suo prodotto (la "Comunicazione") si rivelano insufficienti, ciò è determinato dall'aver negoziato in modo imperfetto e incompleto al momento in cui si disponeva del potere negoziale "interdittivo".
Rimane il fatto che riferirsi alla fase pre-accordo e alle intenzioni negoziali, sulla concessione di flessibilità, ormai assorbite e riflesse nella Comunicazione, non ha più alcuna rilevanza giuridica e, ovviamente, di "buona fede" (c.d. precontrattuale).
7. Ma, nel complesso, le dichiarazioni di Renzi sono in contrasto (a questo punto dovrebbe essere chiaro) col quadro giuridico e vincolante della stessa flessibilità: la Comunicazione evidentemente, calata nei prevedibilissimi "rapporti di forza" non contiene ciò che intende il governo italiano.
Comunque, al di là della insufficiente formulazione letterale (a fini di tutela dell'interesse italiano a garantirsi una ragionevole ripresa economica), la sua applicazione, com'era prevedibilmente scontato, è rimessa anch'essa a tali scontati rapporti di forza interni alla UEM: rapporti di forza che con la negoziazione "a monte", non si poteva realisticamente mutare (altrimenti, non avremmo dovuto accettare il fiscal compact nei suoi contenuti attuali nè eseguirlo anticipatamente con l'introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio).
La Comunicazione della Commissione sulla flessibilità, in ogni modo, e questo non dovrebbe sfuggire ad ogni livello, politico e mediatico, nazionale, è una fonte debole, di ragno inferiore allo stesso fiscal compact, e inidonea perciò a mutarne il quadro.
La stessa, poi, proprio per tale sua natura di fonte inferiore, non contiene affatto clausole che si possano obiettivamente intendere come restrittive della durezza del fiscal compact, visto che non solo l'applicazione omogenea e paritaria di quest'ultimo è, fin dall'inizio, lasciata a una totale discrezionalità (v. i casi Francia e Spagna) della Commissione stessa, talmente estesa da sconfinare putualmente nell'arbitrio, ma che la Comunicazione aggiunge discrezionalità arbitraria a quella precedente, lasciando intatto, il quadro "estorisvo" nei confronti dell'Italia (soltanto).
8. Avrebbe avuto alternative il nostro premier di fronte a questo quadro, comunque gestito in base ad un serie apparentemente senza fine di erronee valutazioni e fatti compiuti, imposti da una controparte più forte?
Probabilmente no.
Ma questo solo perché, nella realtà dei fatti, non è mai esistita o emersa, nella continuità dell'atteggiamento istituzionale italiano, alcuna vera consapevolezza della essenza economica dei problemi effettivamente legati all'adesione e alla permanenza nella moneta unica.
Si naviga a vista, affrontando come fossero degli iceberg imprevedibili, e mandati da una meteorologia inclemente, ostacoli e pesanti attacchi in realtà orchestrati (Bail-in, ESM, OMT) e programmati (ERF, TTIP) da anni, e con una chiarezza inequivocabile, anche nei loro inasprimenti più recenti: ci riferiamo alla già ben avviata manovra che porterà, (finora persino col voto degli europarlamentari italiani!) al rating sui titoli del debito pubblico dell'area UEM e alla definitiva devastazione dei bilanci della banche italiane e degli stessi conti pubblici.
9. Della discussione di tutti questi fondamentalissimi aspetti non c'è traccia nei resoconti dell'incontro Merkel-Renzi: e non si dica che l'eventuale loro trattazione sia necessariamente coperta da riservatezza diplomatica.
Un'obiezione del genere scadrebbe nel ridicolo: anzitutto perché, il governo italiano dovrebbe aver imparato (in teoria), quanto i rapporti di forza attuali consiglino di prevenire il fatto compiuto di provvedimenti €uropei contra Italiam dopo una lunga, ben manifesta, e mai contrastata gestazione.
Non basta la questione dell'Unione bancaria (quale ormai chiaramente denunciata anche da Bankitalia)? Non basta la sostanziale e ormai plateale "presa in giro" sulla "flessibilità"?
E prevenire il fatto compiuto, e l'imbarazzo del "perdente", si può tentare di ottenerlo proprio appellandosi alla rispettiva opinione pubblica; e questo, se non altro, per non doversi poi trovare a fare salti mortali e giri di parole per trovare delle giustificazioni (come fa Padoan nel frangente attuale, ma anche prima..).
10. Ma poi c'è un altro motivo che fa ritenere che su questi argomenti non avrebbe senso non discutere in un vertice con la Germania e, poi, renderne conto all'opinione pubblica italiana.
La pubblica ostensione di questa circostanziata continuità €-aggressiva rispetto all'Italia, per una conduzione intelligente delle nostre relazioni internazionali, è essenziale per far comprendere agli USA che se vogliono confidare sulla nostra qualità di alleati sempre fedeli, molto più affidabili e rispettosi dell'atlantismo della Germania, il loro intervento non può essere ignaro delle difficoltà distruttive che ci impone l'appartenenza alla moneta unica.
Se ha un senso appoggiarsi a chi si ritiene il "più forte" è proprio per evitare che i rapporti di forza interni all'eurozona, - sbilanciati a favore della Germania in un modo che gli ambienti statunitensi denunciano apertamente ma in modo generico (da anni)-, rendano l'Italia una vera e propria polveriera di instabilità economica e finanziaria (determinata dal crescendo demenziale dei diktat €uropei).
Cosa che assume contorni ben più rilevanti della (pessimamente "non" risolta) questione greca e pone, ora e non chissà quando, un'urgenza che gli USA non si possono permettere di ignorare....