venerdì 31 luglio 2015

UEM, FEDERALISMO, ORDOLIBERISMO, EINAUDI E VENTOTENE: LA CONTINUITA' DELLA COSTRUZIONE EUROPEA.

http://abcdeuropa.com/wp-content/uploads/2015/03/The-Great-European-Disaster-Movie.jpg

1. Torniamo sulla traiettoria culturale di Einaudi per fornire, specialmente a lettori aggiuntisi di recente o "distratti" circa i numerosi post sul tema (accompagnati da approfondimenti fondamentali nei commenti), un quadro di fatti storici e di testimonianze dirette che chiariscano il punto.

2. Cominciamo dal "principio" (la fonte di questo e delle citazioni seguenti è questa ed era già linkata nel post precedente): "Einaudi scrive il primo articolo sul tema dell’unità europea nel 1897, a ventitrè anni, e sin da questo articolo individua nell’esigenza di superare il principio della sovranità assoluta degli Stati la via verso cui incamminarsi alla ricerca di un ordine internazionale meno primitivo. Già in questo primissimo scritto giovanile sul tema, Einaudi intuisce che il superamento del principio della sovranità assoluta degli Stati dovrà passare attraverso un lungo graduale processo, nell’ambito del quale una forma di confederazione degli Stati Uniti d’Europa potrebbe segnare un passaggio fondamentale 9
Vediamo la nota 9: 
"E’ impressionante notare che in questo scritto il giovanissimo Einaudi anticipa, per vari aspetti, tesi contenute negli scritti federalisti di Lionel Robbins, redatti nei tormentati anni della seconda guerra mondiale, scritti che, come testimonia A. Spinelli nelle sue memorie, furono da Einaudi stesso inviati agli autori del Manifesto di Ventotene (vedi Lionel Robbins, Il federalismo e l’ordine economico internazionale, scritti vari a cura di Guido Montani, il Mulino 1985)."

3. Abbiamo dunque stabilito una oggettiva connessione tra la continuità e la coerenza del pensiero federalista, e anti-Stato sovrano nazionale, di Einaudi (ben anteriore alla stessa nascita dell'URSS e alla stessa prima guerra mondiale) e le successive proiezioni nel manifesto di Ventotene (ovviamente non si fermano qui, perchè esistono tracce di comunicazione e di "guida" einaudiana dei "giovani" del Manifesto ulteriori e consistenti e, peraltro, non negate da chiunque si sia interessato seriamente della questione).
Per brevità rammentiamo che Einaudi si tace nel 1925: aveva partecipato al dibattito successivo alla prima guerra mondiale sempre sostenendo le posizioni federaliste, mondiali e, intermedie, europeiste, ma, fino a quella stessa epoca, come ci riporta una vasta letteratura storica, aveva anche sostenuto l'avvento del fascismo con una serie di articoli sul Corriere della Sera:  
"Idee analoghe (a Croce, Albertini, Salvemini, ndr.) ebbe Luigi Einaudi che nel primo fascismo riconobbe una forza in grado di esercitare una funzione schiettamente liberale, dal momento che si dirigeva contro lo statalismo invasivo, contro le leghe rosse che violavano le regole della libertà del lavoro, contro l'anacronismo sociale dei popolari, contro i rivoluzionari che minacciavano la proprietà, contro la debolezza dei governi. Secondo Salvadori, Einaudi «fece allora un uso quanto mai spregiudicato del liberalismo». Nel settembre del 1922 scriveva che il pericolo di «una marcia fascista su Roma per dissolvere il Parlamento e mettere su una dittatura» non aveva fondamento; che «il programma del fascismo è nettamente quello liberale della tradizione classica»; che il fascismo si poneva il lodevole obbiettivo di sostituire la vecchia, «stracca» classe politica giolittiana con una nuova classe che però non aveva bisogno di nuove dottrine e non doveva mirare a costruire «nuovi regimi politici». «Desideriamo ardentemente», fu l'auspicio di Einaudi, «ci sia un partito, e sia quello fascista, se altri non sa far di meglio, il quale usi mezzi adatti per raggiungere lo scopo che è la grandezza materiale e spirituale della patria»."

4. Dunque, dobbiamo tenere presente che sia che si parli di fascismo sia che si cerchi la più "definitiva" soluzione federalista, Einaudi ha sempre di mira il "liberalismo", ossia, al netto della distinzione tutta crociana e interna al lessico italiano, il liberismo.
Vediamo la connessione unificatrice di queste coesistenti tendenze su strumenti apparentemente diversi.
Essa passa anzitutto per una reinterpretazione positiva della prima guerra mondiale (!), vista in questi termini (che potrebbero apparire singolari, ma che sono perfettamente coerenti con l'ostilità verso gli Stati nazionali che, come abbiamo visto, è ben anteriore alla stessa Grande Guerra):
La via da seguire suggerita da Einaudi non consiste né nel ritorno alla tradizionale politica dell’equilibrio, incapace di garantire una pace sicura, né nell’effimera Società delle Nazioni, di cui illustrò i limiti prima ancora della sua costituzione, ma nel superamento della sovranità assoluta nei settori di interesse generale e nella creazione di organi sopranazionali capaci di gestire i problemi comuni… Individuando nella prima guerra mondiale lo sforzo verso la creazione di unità statali superiori, Einaudi avvia una nuova interpretazione di questo periodo storico, che impiega come principio esplicativo fondamentale il concetto di crisi dello stato nazionale
Tale interpretazione sarà ripresa e approfondita dalla scuola federalistica inglese negli anni trenta, in particolare da Lionel Robbins, Lord Lothian e Barbara Wootton, e dallo stesso Einaudi e dai federalisti italiani durante la seconda guerra mondiale e negli anni successivi. Dopo l’analisi dell’insufficienza degli stati sovrani a rispondere ai problemi posti dalla crescente interdipendenza economica, è questo il secondo contributo rilevante di Einaudi al chiarimento della tematica riguardante l’unificazione europea”.

5. Questo passaggio potrebbe lasciare nell'ombra quali fossero gli esatti contenuti istituzionali e funzionali delle "unità statali superiori" auspicate da Einaudi.
E che, sotto la sua influenza sono le stesse oggetto della visione del Manifesto di Ventotene, che si impernia su questo pensiero saliente, esplicitamente tributario di Einaudi (cui viene dedicato il Manifesto in persona del suo alias Junius, cfr. pag.7):
La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistando il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.

6. Sul punto dell'assetto politico e socio-economico del Grande Stato sovranazionale pacificatore, soccorre, quasi coevo alla seconda serie di elaborazioni einaudiane sul tema ("Per una federazione economica europea", pubblicato nella collezione clandestina del Movimento liberale italiano a Roma nel settembre 1943: fu datato 15 settembre),  il noto saggio di von Hayek  (Friedrich A. Hayek, “The Economic Conditions of Interstate Federalism,” New Commonwealth Quarterly, V, No.2 (September, 1939), ristampato in F. A  Hayek, Individualism and Economic Order, Chicago, Chicago Press University, 1948, pp. 255–72). 

Il passaggio fondamentale di questo saggio lo abbiamo più volte riportato in questo blog (ed anche nel libro "Euro e/(o?) democrazia costituzionale"):
L'assenza di barriere doganali e la libera circolazione di persone e capitali fra gli Stati hanno alcune importanti conseguenze che spesso sfuggono: riducono notevolmente le possibilità di intervento dei singoli Stati nella politica economica. Se le merci, le persone e il denaro possono muoversi liberamente attraverso le frontiere interstatali, gli Stati membri non posso più influenzare i prezzi attraverso l'intervento pubblico. [...]
Ora, praticamente ogni politica economica odierna volta ad assistere particolari industrie procede tentando di influenzare i prezzi: lo faccia attraverso marketing board, regimi vincolistici, “riorganizzazione” obbligatoria o distruzione di eccesso di capacità produttiva di certe industrie, lo scopo è sempre quello di limitare l'offerta e quindi aumentare i prezzi.   Tutto ciò diverrebbe chiaramente impossibile per il singolo Stato all'interno dell'unione: l'intero armamentario di marketing board e altre forme di organizzazioni monopolistiche cesserebbero di essere a disposizione dei governi degli Stati.”
Ma anche rispetto a interferenze meno profonde nella vita economica di quelle che comporta la regolamentazione della moneta e dei prezzi, le possibilità aperte ai singoli Stati sarebbero pesantemente limitate.  Se è vero che gli Stati potrebbero ancora esercitare un controllo sulla qualità delle merci e dei metodi di produzione impiegati, non dev'essere trascurato che, posto che lo Stato non possa vietare l'ingresso di merci prodotte in altre zone dell'unione, ogni obbligo posto dalla legislazione statale su una particolare industria la svantaggerebbe seriamente rispetto alle attività simili in altre zone dell'unione Come è stato dimostrato dall'esperienza nelle federazioni esistenti, anche norme come la restrizione del lavoro infantile diventano difficili da imporre per i singoli Stati.” 
“E' anche chiaro che gli stati dell'unione non saranno più in grado di perseguire una politica monetaria indipendente. Con una moneta unica, l'autonomia delle banche centrali nazionali sarà ristretta almeno quanto lo era sotto un rigido gold standarde forse anche di più dal momento che, anche sotto il tradizionale gold standard, le fluttuazioni dei cambi tra paesi erano più ampie di quelle fra diverse parti di uno Stato o di quanto sarebbe comunque desiderabile consentire nell'unione.”
“Inoltre, nella sfera puramente finanziaria, i mezzi per raccogliere tasse sarebbero in qualche modo ridotti per i singoli Stati. Non soltanto la maggiore mobilità fra gli Stati renderebbe necessario evitare ogni sorta di tassazione che possa indurre il capitale o il lavoro a spostarsi altrove, ma insorgerebbero difficoltà anche con parecchie forme di tassazione indiretta.”
“Non intendiamo intrattenerci oltre su queste limitazioni che una federazione imporrebbe sulla politica economica degli Stati membri: probabilmente l'effetto generale è stato sufficientemente chiarito da quanto si è detto. In effetti è probabile che la prevenzione di elusioni della normativa fondamentale in materia di libera circolazione di persone, merci e capitali renda desiderabili restrizioni federali alla libertà degli Stati membri ancora più incisive di quanto si è fin qui ipotizzato e una ulteriore limitazione della possibilità di azioni indipendenti.”   
E qui arriva il punto cruciale del ragionamento:  La pianificazione o la direzione centrale dell'economia presuppongono l'esistenza di ideali e valori comuni; il grado in cui questa pianificazione può essere realizzata dipende dalla misura in cui è possibile ottenere o imporre un accordo su questa scala di valori comuni.”


7. Per chi avesse dei dubbi, poi, sulla connessione tra il pensiero sostanziale di Hayek e quello einaudiano (a parte l'evidente cerniera della figura di Bruno Leoni), basti rammentare che lo stesso Einaudi fu tra i soci della prima ora della Mont Pelerin Society (appunto insieme allo stesso Leoni), associazione legata sì alla Scuola austriaca, ma con ampie connessioni con gli stessi ordoliberisti ed ambienti statunitensi di ispirazione liberal-liberista (per capirci al di là delle distinzioni crociane). Questi, oltre ai due italiani appena menzionati, alcuni dei soci fondatori eminenti:
Rimarrebbe da analizzare quanta parte del pensiero federalista (preesistente alla prima guerra mondiale con una continuità di cui abbiamo mostrato l'evidenza) e, - per naturale evoluzione geo-politica in sede continentale-, ordoliberista, sia risultato prioritariamente costitutivo dell'assetto dei trattati succedutisi dagli anni '50 (si può anche facilmente ricostruire la continuità evolutiva tra costruzione europea, Mont Pelerin, e la stessa pan-european society di Kalergy, alla quale fu significativamente associato lo stesso Konrad Adenauer, che insieme a Einaudi e a De Gasperi è pacificamente riconosciuto come padre fondatore dell'originario nucleo della costruzione europea)
E lo diciamo in relazione all'articolo di Paolo Pini e Alessandro Somma, che non appare cogliere questo fondamentale aspetto: al riguardo ci pare sufficiente rinviare, per ora, al post "Verso la schiavitù" verificando il ruolo di soluzioni apparentemente "sociali" (in specie le tutele dell'ambiente e del consumatore e della piena occupazione neo-classica, cioè deflazionista) che, in realtà, dissimulano delle interpolazioni dei relativi diritti costituzionali "sociali", per privilegiare esclusivamente il ruolo "residuale" dello Stato nella regolazione del libero mercato (tanto più se assunto a istituzione massima "sovrana", quale ordine internazionale dei mercati).
Ma, ci riserviamo di approfondire questi aspetti in un secondo momento.

8. A conclusione di questo excursus chiarificatore, (sintetico, ma confermabile con qualsiasi ulteriore approfondimento delle fonti), possiamo perciò riprodurre lo splendido commento riassuntivo di Bazaar al precedente post, che nella sua eloquente capacità riassuntiva dovrebbe apparire ancora più nitido:

"Francamente non capisco il senso: Einaudi, a differenza di Spinelli, sapeva quello che diceva. Era una figura assolutamente contigua - anche per spessore - ai grandi reazionari antidemocratici e antisocialisti che auspicavano un ordine liberale del mercato e i rapporti di classe conseguenti.

A inventare "famo l'Europa grande perché fuori c'è la Cina" è, in effetti, un frame nazieuropeista di cui il neoliberista Einaudi è stato il primo spin doctor.

Non credo neanche che a Einaudi avrebbe fatto "ribrezzo" Monti, se non per la patente scarsa intelligenza: avrebbe, invece, provato una sincera simpatia per Draghi, che è di tutt'altra pasta e, non a caso, Luigino viene citato spesso dal nostro nasuto "vile affarista" (Cossiga riteneva che Marietto avesso un sensibile "fiuto" per gli affari).

Ma il punto che non mi sembra chiaro è: che differenza c'è tra il capitalismo sfrenato della dittatura finanziaria e il "liberismo [...] concorrenziale e produttivo [che parte] dal piccolo"?

Provo a risponderti io: il primo è la realtà intorno a noi e la naturale conseguenza del "liberismo" da secoli, poco prima che vada tutto in vacca e si contino i morti. Il secondo si trova solo nei libri di testo del primo anno.

L'EURSS è solo il passo necessitato prima delle liberalizzazioni:

a) fase uno: propugnare il federalismo per la pace dei popoli facendo la guerra alla Russia e alla Cina

b) fase due: abbatti dogane e frontiere per il superstato federale e ti ritrovi il liberoscambio sfrenato, ingestibile e incontrollabile dalle comunità sociali sovrane (chiamate "Stati")

c) fase tre: il potere "disperso" dalle comunità sociali viene raccolto tramite un sistema di "scatole cinesi" in qualche consiglio di amministrazione con sede all'isola di White (in cui i banchieri da ggiovani ballavano nudi).

d) fase quattro: il liberoscambismo, con l'apporto degli usuali vincoli esterni (euro, gold standard, Marina Britannica, Bomba atomica Yankee, ecc.), deindustrializza tramite i vantaggi comparati, rende il mercato vulnerabile agli shock asincroni, risolve gli sbilanci con austerità e spirali deflattive, e liberalizza il liberalizzabile: il liberismo segue, quindi, il liberoscambismo dell'EURSS.

e) fase cinque: tutto viene privatizzato in favore della classe dominante dei Paesi dominanti.

Questo è l'ideologia di cui era portatore Einaudi, e di quell'odiatore di piccole imprese e sindacati di Spinelli: lo Stato, espressione di volontà collettiva, va distrutto.


ADDENDUM: pare utile incorporare nel post il commento di Arturo che, su temi specifici come la moneta unica, che elimina inflazione e flessibilità del cambio, nonchè la connessa libera circolazione dei capitali, ci riporta il diretto pensiero di Einaudi. 
Notare che l'inflazione, legata al fattore dell'emissione di moneta - evidentemente abbracciando, come già Hayek e Roepke, le teorie monetariste, poi poste alla base dello SME e del trattato di Maastricht-, fa formulare a Einaudi, nel 1944, la locuzione "la peggiore delle imposte" ("gravante assai più sui poveri che sui ricchi"), che verrà poi, ai nostri giorni, fatta propria dalle forze politiche e mediatiche sostenitrici dell'euro, con un "misterioso" accoglimento di tale formula a sinistra (nonostante la notoria immediata critica che di tale "mutamento di prospettiva" farà subito Federico Caffè):

"E' una citazione notissima, comunque ripetiamola: 
“Il vantaggio del sistema [di una moneta unica europea] non sarebbe solo di conteggio e di comodità nei pagamenti e nelle transazioni interstatali. Per quanto altissimo, il vantaggio sarebbe piccolo in confronto di un altro, di pregio di gran lunga superiore, che è l’abolizione della sovranità dei singoli stati in materia monetaria. Chi ricorda il malo uso che molti stati avevano fatto e fanno del diritto di battere moneta non può avere dubbio rispetto alla urgenza di togliere ad essi cosiffatto diritto. Esso si è ridotto in sostanza al diritto di falsificare la moneta (Dante li avrebbe messi tutti nel suo inferno codesti moderni reggitori di stati e di banche, insieme con maestro Adamo) e cioè al diritto di imporre ai popoli la peggiore delle imposte, peggiore perché inavvertita, gravante assai più sui poveri che sui ricchi, cagione di arricchimento per i pochi e di impoverimento per i più, lievito di malcontento per ogni classe contro ogni altra classe sociale e di disordine sociale. La svalutazione della lira italiana e del marco tedesco, che rovinò le classi medie e rese malcontente le classi operaie fu una delle cause da cui nacquero le bande di disoccupati intellettuali e di facinorosi che diedero il potere ai dittatori. Se la federazione europea toglierà ai singoli stati federati la possibilità di far fronte alle opere pubbliche col gemere il torchio dei biglietti, e li costringerà a provvedere unicamente colle imposte e con i prestiti volontari, avrà, per ciò solo, compiuto opera grande. Opera di democrazia sana ed efficace, perché i governanti degli stati federati non potranno più ingannare i popoli, col miraggio di opere compiute senza costo, grazie al miracolismo dei biglietti, ma dovranno, per ottenere consenso a nuove imposte o credito per nuovi prestiti, dimostrare di rendere servigi effettivi ai cittadini.” (L. Einaudi, I problemi economici della federazione europea, saggio scritto per il Movimento federalista europeo e pubblicato nelle Nuove edizioni di Capolago, Lugano, 1944 ora in La guerra e l’unità europea, Milano, Edizioni di Comunità, 1950, pagg. 81-82).

Nelle Prediche inutili afferma (la citazione è talmente nota da essere riportata anche su wiki

"Gli esportatori illegali di capitale sono benefattori della Patria, perché i capitali scappano quando i governi dissennati e spendaccioni li dilapidano, e allora portandoli altrove li salvano dallo scempio e li preservano per una futura utilizzazione, quando sarà tornato il buon senso."

Insomma, cambio fisso, pareggio di bilancio e libertà di circolazione dei capitali. Quanto gli stava antipatica la finanza!
:-) "

mercoledì 29 luglio 2015

MONTI, KALERGY, EINAUDI E LA SCOMPARSA DELLE NAZIONI: GLI STATI DA RIDURRE IN POLVERE


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1. Le ultime vicende del "caso Italia" sono state ben descritte e commentate negli ultimi post di Alberto; in specie quello sulla coincidenza, a prima lettura, delle posizioni sostanziali di Monti e Pikkety e quello sulla "splendida" cavalcata finale (liquidatoria) delle nuove privatizzazioni, indispensabili e salvifiche. In particolar modo nel settore della sanità pubblica.

Alberto ha svolto le stesse osservazioni che avrei autonomamente proposto in argomento...se non le avesse già svolte lui, rendendo superfluo, per me, fare un post ripetitivo (e proprio perchè rivolto ad un pubblico in buona parte coincidente).
Altrettanto Alberto ha rammentato come, su questi argomenti di stretta ortodossia "montiana", - in sostanza l'attacco ai fondamenti del modello socio-economico costituzionale (diritto al lavoro, all'abitazione, protezione della famiglia mediante il welfare) e tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni (svendite) come strumenti funzionali al nuovo modello della "competitività"- tutto era stato già analizzato e preannunziato.

2. Come sapete, aggiungendo all'illustrazione dell'ideologia "economicistica" sottostante il profilo della violazione costituzionale sistematica, abbiamo cercato altrettanto di analizzare e preannunziare.
Va però sempre rammentato che Monti è un apripista, il portatore della "profezia apocalittica", che viene mandato avanti perchè "notifichi", - in contesti mediatici tali per cui non "possa" essere contraddetto-, il preavviso di estinzione seriale dei diritti costituzionali. 
A prescindere da chi, sempre su diktat oligarchico sovranazionale €urocratizzato, sia in Italia l'effettivo realizzatore di tale estinzione seriale.

3. La cosa vagamente divertente è che Monti, con queste uscite così esplicite e prive di qualsiasi pudore tattico, conferma di essere il titolare generazionale di quella ideologia che, basata su teorie alla lettera  coincidenti con quanto da lui affermato, fa capo a Coudenhove-Kalergy e, sul piano del federalismo pacificatore, a Einaudi (volendo soffermarci sul più "titolato" sostenitore italiano dell'ordine sovranazionale dei mercati, ostile agli Stati nazionali anche quando siano moderne democrazie costituzionali).
Basti rammentare questo "sunto" del pensiero kalergico e compararlo con la mobilità competitiva e sradicata da famiglia e territorio di nascita auspicata da Monti:
Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa... ...Eliminando per prima la democrazia, ossia il governo del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale, la razza bianca deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente dominabile. Abolendo il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge e evitando qualunque critica alle minoranze con leggi straordinarie che le proteggano, si riuscirà a reprimere la massa."

Oppure basta comparare il fine ultimo della mobilità-competitiva montiana con  queste parole di Einaudi ( cfr, pag.10), tratte dalla nota, formulata come Presidente della Repubblica, al tempo della ratifica della CED il 1° marzo 1954:
Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli stati esistenti sono polvere senza sostanza.
...Esisterà ancora un territorio italiano; non più una nazione, destinata a vivere come unità spirituale e morale solo a patto di rinunciare a una assurda indipendenza militare ed economica”.

4. Tutto questo, si manifesta ora nelle sue conseguenze ultime, da lungo tempo programmate attraverso la stessa Unione monetaria, ma adesso fortemente percepibli nella loro geometrica potenza di smantellamento del patrimonio delle famiglie e dei diritti costituzionali di prestazione che caratterizzano la democrazia sostanziale del dopoguerra; perchè, dunque, di fronte a tutto questo non c'è alcuna reale e significativa reazione? 
Perchè il popolo-Nazione italiano detentore della sovranità ma, invece, destinatario della espropriazione annunciata di patrimonio, risparmio, lavoro, salute, pensioni, con  l'aggiunta di un'auspicata diaspora migratoria, non reagisce?

Altre volte ho tentato di dare spiegazioni (che ritengo tut'ora plausibili), e persino di immaginare un imminente "riscatto" (eufemisticamente parlando) della coscienza e dei valori democratici di questa Nazione (di cui, come abbiamo visto poco sopra, si auspicava la "scomparsa" da parte di un Presidente della Repubblica che aveva giurato di essere fedele a tale Repubblica e di osservarne la Costituzione, art.54 Cost., e perciò aveva giurato di assumersi il ruolo primario di "rappresentare l'unità"- 87 Cost.- di quella stessa Nazione di cui auspicava...la dissoluzione).

5. Ma quel che è certo è questa torrida estare del 2015 sta segnando non tanto la crisi sistemica dell'euro-regime, resa evidente dalla ingovernabilità del "territorio", che parte dai Comuni e che presto non sarà più mediaticamente occultabile neppure a livello centrale, sotto il peso del fallimento economico e dell'assenza della mitologica crescita (...?); piuttosto, si ha l'impressione di un'autentica "resa" della base sociale italiana ad ogni forma di vessazione distruttiva, sistematicamente contraria alla Costituzione, che gli viene inflitta.
A parte una minore componente consapevole e attivamente informata della popolazione italiana, la incapacità delle masse nel reagire di fronte alla spettacolare spoliazione subita su diktat di potenze e interessi stranieri, e di fronte alla sfacciata incongruenza politico-mediatica delle giustificazioni addotte, è forse la tragedia annunciata della democrazia più eclatante cui si sta assistendo, in Italia, dai tempi dell'occupazione tedesca  e del suo sostegno al governo fantoccio di Salò...

lunedì 27 luglio 2015

PIU' FILOGERMANICI DI SINN (che è "quasi" d'accordo con Stiglitz): IL 25 LUGLIO E LA NEO-SALO' GIA' INTRECCIATI

http://cronologia.leonardo.it/storia/a1943zzz.jpg

1. Dialogavamo via mail con Sergio Govoni:
"...dovendo fare il punto frattalico della questione quali elementi vedresti  a conferma dell'attualità del 25 luglio (tra situazione interna e internazionale)?"

Ed ecco la risposta di Sergio:
"Schematicamente, questi elementi (o suggestioni) mi vengono in mente:
- Alla riunione del Gran Consiglio corrisponde il riposizionamento pubblico dei vari Gallino etc, come da post di Bagnai.
- Alla consapevolezza che la guerra è ormai persa da parte tedesca corrisponde la proposta di Schäuble alla Grecia di uscire dall'euro, così come all'inasprimento militare la proposta di "ministero delle Finanze della zona euro" uscita, mi sembra, ieri.
- A Radio Londra corrisponde, in maniera vagamente sotterranea, il New York Times: pensiamo agli interventi di Krugman e di Stiglitz e ad altri suggestivi articoli, come quello che hai citato a Milano in cui si diceva tranquillamente che i media greci sono controllati oligarchicamente.
- Allo sbarco in Sicilia: una linea di credito USA per il debito short term italiano sull'estero (quello che Francesco Lenzi aveva quantificato l'anno scorso in 580 miliardi, http://orizzonte48.blogspot.it/2014/05/le-incerte-opzioni-di-salvezza-italiana.html).
Del resto Stiglitz in un'intervista su Repubblica ha parlato di una linea di credito della Fed per la Grecia (però per evitare la Grexit: "E visto che la Bce non vuole adempiere alle sue responsabilità, la Federal Reserve deve creare una linea di credito speciale per la Grecia."
http://www.repubblica.it/economia/2015/07/11/news/joseph_stiglitz_america_in_prima_linea_bisogna_evitare_grexit_e_quel_referendum_non_e_stato_inutile_-118865539). 
Più in generale, qualche altra misura che possa sembrare una mano tesa sul lato finanziario, forse anche soltanto annunciata.
- Allo sbarco in Normandia che cosa può corrispondere? Forse un bailout delle banche francesi quando esploderà la Deutsche Bank?
Viene anche da pensare che alla NATO possa poi corrispondere frattalicamente il TTIP
". 

2. Apro e leggo l'International New York Times di oggi, alla pagina degli "autorevoli commenti" e, a conferma delle intuizioni di Sergio, mi ritrovo due articoli, rispettivamente di Stiglitz e del "mitico" Hans-Werner Sinn (/pag.8). 
Il primo lo trovate in rete qui, essendo del New York Times (edizione USA) di due giorni fa. Titolo: "Greece, the Sacrificial Lamb".
Il secondo anche; e ha un titolo ancora più interessante, considerato che si tratta di Hans-Werner in persona (e non "semplicemente" di Herr Schauble): "Why Greece Should Leave the Eurozone"

Il "succo" del primo (per chi facesse troppa fatica a leggere in inglese), è una certa conferma che Radio Londra in effetti, continua a trasmettere: nonostante qualche cedimento sul fronte "inglese"
A pagina 18 dello stesso "International" c'è infatti un articolo di un giornalista inglese, Hugo Dixon, - che si qualifica, non a caso, per essere pro-permanenza di UK dentro l'UE-, secondo il quale in Grecia le cose potrebbero andare "benissimo" a posto. Ciò in quanto la Grecia applichi tutte le misure di riforma chieste dall'ultimo accordo coi creditori e ottenga un nuovo accordo entro la fine di agosto, cioè credito aggiuntivo senza ulteriori condizionalità  (!), sicchè, divenuta la Grecia credibile (insomma, Mario Monti style), si giunga all'inclusione della stessa Grecia nel programma BCE di acquisto di titoli, cioè nel QE da cui è ora esclusa. 
Per Dixon, il clima di fiducia così restaurato e gli interessi ridotti sul debito pubblico, consentirebbero - coi fondi aggiuntivi apprestati dai creditori (dopo il nuovo accordo fattibile per fine agosto),  sotto la supervisione della BCE- di ricapitalizzare il sistema bancario greco per un ammontare tra i 10 e i 25 miliardi di euro. Ciò consentirebbe di rimuovere i limiti attualmente imposti alla circolazione dei capitali e di evitare un bail-in prevenendo l'ulteriore rush dei depositanti in corso (da anni) in Grecia. 
Fatto questo, la Merkel consentirebbe di ristrutturare, quanto a scadenze e livello degli interessi, il debito greco verso le "istituzioni". Il tutto, secondo una visione in cui si afferma esplicitamente che la crescita dipende essenzialmente dalla "fiducia", a partire da ottobre (quando cioè si farà il consuntivo della realizzazione credibile dell'austerità da parte dei creditori-€urogruppo).

3. Capite bene che questa approssimativa visione macroeconomica, tutta incentrata sul lato finanziario-monetarista e neo-classico delle "aspettative", è esattamente quanto ha portato la Grecia all'attuale disastro: una totale, ostinata e sconnessa (da qualsiasi considerazione del funzionamento dell'economia reale), fede nell'austerità espansiva e un'indifferenza totale ai meccanismi di crescita della domanda. Basti dire che il sistema bancario greco, alla fine di questo "valzer", sarebbe in mano ai creditori esteri ma con la garanzia creata dalla tassazione crescente sui contribuenti greci che, invece, saranno sempre meno, dato che i disoccupati, attuali e futuri (in sicura crescita), le tasse non possono semplicemente pagarle.

La visione di Dixon, è esattamente quella del mainstream italiano, che oggi si riversa, sfruttando l'onda mediatica del...Comune di Roma, sull'utilità di indispensabili privatizzazioni del patrimonio pubblico e  di drastici tagli della spesa pubblica per abbassare le tasse; tutto questo, proprio in un momento in cui ciò significa svendita di asset strategici sotto-sotto costo, a mani estere, fallendo per di più ogni obiettivo di riduzione.

4. Ma tale visione è smentita dalla ennesima lucida ricostruzione di Stiglitz, nell'articolo sopra citato, relativa agli effetti dell'austerità. 
Stiglitz, sottolineando per l'ennesima volta che l'austerità è alla base della prolungata depressione greca (e, ovviamente, non solo di quella greca), rammenta come già le condizionalità del FMI negli anni '90 (nel caso dei paesi asiatici che ebbero la malaugurata idea di rivolgersi ad esso), si risolsero in una miriade di riforme strutturali che, lungi dall'essere funzionali ai "grandi cambiamenti" richiesti, finivano per favorire un interesse particolare su quelli generali
Per la Grecia, Stiglitz fa l'esempio del "latte", laddove la trojka ha imposto di favorire ulteriormente il latte a lunga conservazione importato (in primis olandese), senza che però, data la struttura oligopolistica degli operatori stranieri, ciò porti alcun vantaggio di prezzo ai consumatori greci (la trojka ha infatti chiesto di abolire l'identificabilità del latte fresco con scadenza a 5 giorni...). 
Fa poi il caso della abolizione, imposta dalla Trojka, della ritenuta alla fonte, trans-frontaliera, sulle tasse dovute dagli investitori esteri, per redditi prodotti in Grecia; in contrapposizione a ciò, però, le imprese medie e piccole nazionali, greche, dovrebbero anticipare all'inizio del periodo di imposta tutte la tasse dovute sui redditi futuri. 
Stiglitz evidenzia così che non solo l'austerità non può funzionare di per sè (e non ha minimamente funzionato), ma che essa finisce per favorire la definitiva liquidazione della democrazia, che si accompagna a l' "inclusive capitalism", e il rafforzamento delle oligarchie locali che non verrebbero minimamente coinvolte nelle misure di austerità (in cambio della consueta complicità alla colonizzazione, e liquidazione a prezzi di saldo, della struttura produttiva residua dei pochi non oligarchi rimasti in piedi: una tendenza che in Italia le PMI dovrebbero conoscere ma...sembrano totalmente ignorare).

5. Dunque, la neo-Radio Londra qualche segnale continua a darlo: e non trascurerei quanto segnalato da Paolo Corrado, e qui già anticipato nel corso dei mesi scorsi, circa una "certa tendenza", in USA, a promuovere nuovamente la domanda, cercando di innalzare i salari reali di un mercato del lavoro eccessivamente deflazionista e controproducente per gli investimenti: "Ai dipendenti di ristoranti fast food sarà alzato il salario minimo da $8.75 a $15. Altri settori dovrebbero seguire in tutto il paese."


6. Ma veniamo a quanto ci dice Sinn, che ci conferma che i tedeschi, come dice Sergio, abbiano la consapevolezza che la guerra (nella versione tutta finanziaria, pubblica e privata, frattalicamente rilevante) ormai sia persa, ma non per questo rinunciano alla lotta, utilizzando ogni possibile contromisura ed espediente a disposizione per non dichiarare la resa (cioè per non essere loro a porre fine all'euro, uscendo dall'eurozona e perdendo il colossale vantaggio competitivo a cui si riduce sostanzialmente, oggi ed ormai, la loro convenienza).
Alla faccia dei libbberisti spaghetti-tea party, che continuano a negare (a reti TV more solito unificate) ogni evidenza, Sinn ammette che: "un terzo del credito pubblico di "salvataggio" fluito verso la Grecia è stato usato per salvare i creditori privati; un terzo è andato a finanziare il deficit delle partite correnti greche (cioè sempre a creditori privati, per crediti insorti successivamente, per consentire ai greci di continuare a importare prodotti esteri da cui dipende totalmente la loro sopravvivenza, ndr.); e un terzo si è vaporizzato per finanziare la fuga di capitali dalla Grecia (cioè sempre per via bancaria e sempre come conseguenza delle aspettative legate alla irrisolvibilità dei primi due aspetti; per quanto in Italia il sistema mediatico non voglia ascoltare neppure...Sinn, ndr.).

7. L'articolo è sostanzialmente in linea con quanto detto da Stiglitz: il credito accordato alla Grecia condizionato dall'austerità è servito ad evitare la bancarotta (cioè la non recuperabilità dei crediti esteri) ma ha fallito nel revitalizzare l'economia
Per Sinn, la svalutazione interna residua che la Grecia deve ancora operare (a differenza dell'Irlanda, in ben altre condizioni sul lato dell'offerta, però), è ancora troppo elevata: fino ad un 22%, oltre il 9% già realizzato, e ciò per allinearsi ai livelli salariali dei vicini bulgari, rumeni e...turchi. La "sinergica" soluzione della reflazione nel resto dell'eurozona, secondo Sinn, potrebbe realizzarsi per via del QE di Draghi: ma lo definisce solo un "tentativo" e ci dice che comunque avrebbe effetto solo tra una decina di anni: ammesso che il resto dell'eurozona si attesti prontamente sull'inflazione al 2% (ipotesi ormai piuttosto remota), e che la Grecia rimanga a inflazione 0 per tutto tale periodo!

8. Insomma, Sinn, pragmaticamente, esclude che la correzione keynesiana di espansione della domanda ipotizzata originariamente da Tsipras, porterebbe a risultati positivi perchè allontanerebbe senza fine la correzione competitiva, cioè la svalutazione interna e porterebbe le Grecia a riaccumulare debito privato estero, costringendo a nuove linee di credito della Trojka solo per pagare, COI SOLDI DEI CONTRIBUENTI DEGL ALTRI PAESI UEM, le ulteriori inevitabili importazioni.

Perciò Sinn, arriva alla conclusione che "la migliore alternativa è la Grexit, accompagnata da ristrutturazione del debito, aiuto umanitario per l'acquisto dei beni IMPORTATI indispensabili (e siamo sempre lì...ndr.), con una "opzione" per il ritorno nell'euro. La Grecia potrebbe reintrodurre la dracma come unica valuta a corso legale. Tutti gli attuali prezzi, salari, contratti e saldi di bilancio, incluso il debito interno ed esterno, sarebbero convertiti in rapporto 1 a 1 con la dracma, che declinerebbe immediatamente di valore.
La svalutazione indurrebbe i greci a comprare prodotti domestici, piuttosto che importati. Il turismo avrebbe un'enorme spinta, e la fuga di capitali sarebbe invertita. I ricchi greci farebbero tornare i capitali fuggiti, comprerebbero immobili e li ristrutturerebbero, alimentando un boom delle costruzioni. Via via che il deficit commerciale divenisse un surplus, i creditori avrebbero indietro parte dei loro crediti..."

"E' vero che la Grexit chiarirebbe che l'appartenenza all'eurozona non è irreversibile (
come abbiamo visto, ormai la proposta stessa di Schauble l'aveva chiarito, ndr.), e potrebbe esporre i paesi membri ad attacchi speculativi. Ma ciò è poco probabile, come dimostra la calma reazione dei mercati al controllo dei capitali e al no al referendum in Grecia..."

9. Insomma, dopo il "forza Schauble!", dovremmo auspicare che i nostri governanti si prendessero Sinn come consulente economico.

Ma lo sviluppo degli eventi non è così lineare: anzi, è proprio frattalico.
La classe dirigente (oligarchica e pro-oligarchica) italiana, è più fedele alla...convenienza tedesca degli stessi economisti neo-classici tedeschi. Una linea "antisovrana", (chissà perchè...), che non pare disposta ad alcun compromesso, neppure quando i tedeschi, - che non possono ignorare il valore paradigmatico di quanto detto come accettabile sulla Grecia-, lo sarebbero. 
Certo, una cosa è consentire a una Grecia, da sempre inoffensivo "agnello sacrificale" sull'altare dell'€uro-sogno, di riprendersi la sovranità; altra cosa è consentirlo ai principali concorrenti sui mercati UE, cioè all'Italia. Anche ora, cioè anche se l'apparato italiano è stato in buona parte "bombardato" a tappeto.

La condiscendenza tedesca sulla salvezza italiana fuori dall'euro non sarebbe probabilmente altrettanto concedibile: eppure, se "l'Italia" si ridestasse, a questo punto, ammessa la reversibilità dell'euro da parte tedesca, la Germania non avrebbe quasi nessuna arma, giuridica e nemmeno realisticamente economica, per impedire la Ital€xit.

10. Per questo, allo stato dell'evoluzione della questione del rabbioso tramonto dell'euro, si può dire che la transizione tra il 25 luglio e l'instaurazione della neo-Salò, prona autodistruttivamente ai tedeschi, (contro ogni evidenza ben nota persino ai tedeschi!), non è ben distinguibile nei fatti
Si può tentare di capirne più, in dettaglio, lo svolgimento in questi giorni convulsi di presa d'atto del collasso dell'euro-follia, come dimostra la ormai conclamata ingestibilità di TUTTI I COMUNI ITALIANI.

Quello che è certo è che, stante la granitica negazione delle VERE CAUSE DEL FALLIMENTO IN ATTO, sia il 25 luglio - cioè il tentativo ultimo del regime di salvare il salvabile trovando un capro espiatorio per autoperpetuarsi- che la neo-Salò (in tempi di guerra non guerreggita ma monetaria-finanziaria), non ce li toglierà nessuno.
Aspetto le vostre analisi con interesse...

sabato 25 luglio 2015

OMNIBUS E IL DRIFT DEL MAINSTREAM SUL NEO 25 LUGLIO: "ARI-FATE PRESTO"?

Incipit "by the way":
A proposito (Mieli-Rutelli), il "civismo" di Milano, fuori dal c€ntro, che è un grand€ giardino:

Degrado, il prefetto in campo:Milano ha nove zone a rischio

http://milano.repubblica.it/images/2014/01/15/214412382-357256f0-aba7-421a-a3cd-1c10b3851c41.jpg

Come Milano ha abbandonato le sue periferie




Ex multis...


1. Dunque, dicevamo...Questo è il link alla trasmissione Omnibus a cui ha partecipato oggi Alberto Bagnai

http://www.la7.it/omnibus/rivedila7/omnibus-25-07-2015-159691


Al di là del merito della questione, una cosa mi è parsa veramente significativa: OGGI E' IL 25 LUGLIO.
E' il 25 luglio e si vedono eminenti rappresentanti del super-mainstream italiano mettere in campo tutti gli elementi indicati come tipici del 25 luglio frattalico sul versante della "politica italiana", anche (e proprio) nella sua versione attuale "al rallentatore"
In tal senso, veramente impressive gli interventi di Mieli. E tutto questo, in attesa di una rielaborazione attualizzata dell'ipotesi, va considerato al netto dei ricalcoli cronologici e rammentando che si tratta di un divertissment.

2. Al pari di Rutelli, sono anche io curioso di capire come mai si siano seccate le piante sulla "Cristoforo Colombo": magari c'è che un appalto non può essere rinnovato, alla sua scadenza, perchè, semplicemente, hanno agito le norme di taglio lineare sui trasferimenti alla finanza locale; magari per pagare i debiti verso le imprese e... non accumularne altri. Magari c'entra pure qualcuna delle numerose norme di "ricontrattazione al ribasso-o-risoluzione" sugli affidamenti di appalto in corso. 
Come in tutta Italia. Ma proprio tutta: basta cercare (altro che "civismo, signora mia!").
Magari, si scoprirebbe, (a parte gli eccessi di affidamenti a trattativa diretta: ma se il sindaco deve essere plebiscitariamente eletto, il consenso da qualche parte va ricompensato...), che, essendo la burocrazia tecnica servente il vertice capitolino (organizzativamente e funzionalmente), in pratica, sempre la stessa, Rutelli non avrebbe probabilmente potuto ottenere risultati molto diversi da quelli dell'Amministrazione attuale

3. Chissà: i "problemi che non si riescono a risolvere" (cit.Mieli) forse dipendono da qualcosa che ha a che vedere con la neo-struttura €uro-imposta dell'amministrazione pubblica italiana ("Alberto...lo nascesti!"). 
Solo che, al tempo di Rutelli, l'effetto restrizione della liquidità (cioè l'uccidere la domanda interna per via di consolidamento fiscale), e quindi della possibilità di azione politica, non aveva ancora agito, semplicemente perchè i nodi non erano ancora venuti al pettine in termini di "crisi (€uropea) di bilancia dei pagamenti". 
E' chiaro come il sole che se non puoi effettuare scelte, - e le poche che fai sono talmente rarefatte che la corruzione "si vede" pure molto di più!-, le NON SCELTE DIVENGONO "RESPONSABILITA'" ma per omissione, per asfissia delle finanze pubbliche (anche se mal gestite e "biscottate", ma non peggio che in altri paesi del mondo...). 
Che i partiti subiscano senza reagire questa situazione di impedimento alla scelta politica è, ovviamente, un effetto programmatico del vincolo esterno ("internazionalizzazione"): sappiamo pure che questo significa che i partiti di massa, come ci illustra bene Rodrik (che forse Mieli dovrebbe leggersi) non esistono più.

4. Alla fine, tranne che per gli spunti lanciati da Alberto, naturalmente raccolti con aplomb impassibile (forse, a quanto pare, nel backstage pubblicitario, "meno"), tutti gli altri parevano d'accordo sul fatto che la soluzione fosse: "PRIVATIZZIAMO", TUTTO E "FATE PRESTO!".

Insomma, al di là del dettaglio delle analisi, il drift del mainstream sull'orlo (?) del neo-25 luglio, si può così riassumere (brutalmente? Sinteticamente? Ormai non fa differenza): 
a) questa classe politica non sa gestire l'ordoliberismo, cioè l'intervento, anche ampio, dello Stato, limitato a garantire le regole di funzionamento del mercato. 
Non si può dimenticare, in proposito, il colloquio Lippmann (qui, P.6), laddove Miksch, dice: “in questa politica neoliberale è possibile che gli interventi economici siano tanto ampi e numerosi quanto in una politica pianificatrice, ma sarà la loro natura a essere differente”.
b) La democrazia idraulica tradisce il suo mandato, che è di garantire il risultato avuto di mira, fin dall'inizio, dalle oligarchie finanziarizzate. 
c) Quindi, essendo irreversibile il modello del mercato, finanziarizzato e sovranazionale, togliamo il "sociale" (cioè la versione "strategica" che caratterizza l'ordoliberismo, come Roepke ben ci spiega, v.P.6, confermando Hayek) e...
d) passiamo direttamente alla dittatura benefica e indispensabile auspicata da Hayek...nell'interesse della libertà (degli operatori di mercato).

5. Solo che la dittatura, oggi, in pieno internazionalismo federalista a trazione germanica, si chiama Trojka: ed è tanto liberatoria. Se si sfiducia l'attuale politica e si anéla a questo assetto, la differenza con la Salò del post 25 luglio non è poi tanta.
Estote parati...


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giovedì 23 luglio 2015

LA LOTTA AL FETICCIO E L'INDIFFERENZA SU BANCA CENTRALE INDIPENDENTE E COSTITUZIONE

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1. In margine all'analisi critica compiuta da Alberto Bagnai su Goofynomics, relativa alla presa di posizione di Luciano Gallino, così come ai tentativi di dialogo che, con grande pazienza e disponibilità, partono da Sergio Cesaratto, vale la pena di fare alcune riflessioni ulteriori.

In termini pratici, l'azione critica di Alberto e Sergio visualizza la radiografia di una sinistra non più riconoscibile come tale (proprio se riferita alle sue tradizionali coordinate: cioè comprensione dell'assetto dei rapporti di produzione e tutela effettiva della classe lavoratrice): il massimo che si può ottenere (faticosamente e con bassa probabilità di successo) è che da sinistra non  si aggredisca e non si rifiuti chi propone analisi razionali di recupero della democrazia sociale!

2. E' chiaro che chi si identifica, a livello di base, con queste ormai consolidate pulsioni e se ne sente rappresentato/a, soffre della stessa dissonanza cognitiva che abbiamo qui più volte illustrato e che risulta figlia del combinato tra antiberlusconismo inerziale come unico punto autolegittimante identitario e internazionalismo antisovranista, avulso da ogni comprensione effettiva della radice del fenomeno. 
Questi due fenomeni confluenti, infatti, hanno una radice comune: l'induzione mediatica che fa capo all'idea che i nostri problemi siano la corruzione, il clientelismo e le mafie, come fenomeni generatori incontestabili di una disoccupazione, e di una degenerazione del benessere, inarrestabili. 
E tutto ciò ovviamente,  insieme con la contraddittoria spiegazione che il capitalismo sia in sè, in modo generico e avulso dalle concrete condizioni storiche ed istituzionali in cui si manifesta, il male da estirpare. 
Si avversa così, in modo ingannevolmente identitario, un capitalismo astratto, un feticcio nominalistico, al massimo connotato dall'aggiunta "finanziario", avendo solo di  mira le remote ondate di Wall Street. 
Perciò il capitalismo "sfrenato" effettivamente risultante dal disegno di Maastricht, può godere del vantaggio politico, schiacciante, di non essere mai collegato (per precisa scelta politico-ideologica, non certo di sinistra nella sostanza) alle sue forme normativamente imposte dal "vincolo esterno": cioè le forme che effettivamente dobbiamo fronteggiare e che nella realtà agiscono come cause dei problemi che si denunciano, però, in tale modo generico.

3. Ma siccome è invece chiaro, sul piano storico, economico e costituzionale, che queste parole d'ordine esplicative della realtà sono le stesse tradizionalmente promosse dalla strategia ordoliberista - che è poi, appunto, ormai divenuto un liberismo sovranazionale "strategico"- ne dovremmo dedurre che la sinistra formalmente "in campo", non può, nella sostanza, più essere assunta come tale.
La mutazione è arrivata a un tale punto di (paradossale) coesione interna, nella contraddizione rispetto ai suoi originari presupposti e valori identificativi, che è la sua funzione storico-politica a non essere più materialmente presente. E d'altra parte, le condizioni dei lavoratori in Italia, come pure la tipologia di soluzioni messe in campo, forniscono l'evidente riscontro della concreta assenza di una tale funzione.
Rammentiamo, che la prova di questo, - cioè anzitutto, del venir meno di partiti di massa, capaci di rappresentare intere e organiche classi sociali tradizionali- è offerta dal livello di astensionismo nell'elettorato. Così come, anche, dal livello di "apertura" internazionale (avulsa dal saldo delle partite correnti!) di un'economia, allorché questa sia raggiunta attraverso la sistematica scelta politica di aderire a organizzazioni internazionali e ad assetti da trattato in assenza di comprensione del loro contenuto giuridico-economico.

Non è possibile parlare più di democrazia sostanziale, secondo i dettami della nostra Costituzione, e, a maggior ragione, di "sinistra", se non si collocano al primo posto il problema della sovranità costituzionale e del concetto di "indipendenza" della banca centrale.

"...Il grafico più sotto mostra come l'astensionismo sia un presupposto decisivo per consentire l'affermazione dello "Stato minimo", che disattiva la democrazia dei diritti sociali e del "pieno impiego" quali affermati dalle Costituzioni.
Non mi dilungherò oltre su questo fenomeno che rende operativa la dittatura del bis-linguaggio mediatico e la democrazia idraulica, servente del controllo totalitario del liberismo sulle (depotenziate) istituzioni costituzionali.
Sottolineerò, piuttosto, che l'astensionismo diviene, a un certo punto, un effetto perseguito sistematicamente. Esso rappresenta un sintomo dell'efficacia della strategia €uropea dell'ordoliberismo
Un indicatore la cui dimensione è direttamente proporzionale al rafforzamento di questa strategia.

Non a caso, l'astensionismo nasce, in Italia, proprio in relazione alle elezioni per il parlamento europeo, un falso parlamento che non ha alcun potere di effettiva determinazione dell'indirizzo politico, non controlla e non legittima alcun Esecutivo, corrispondente alla maggioranza formatasi in seguito alle elezioni - anche perchè i gruppi politici al suo interno non raccolgono il consenso a seguito di programmi comuni e omogenei in tutti i paesi coinvolti: i gruppi parlamentari sono formati tra forze che si riuniscono ex post, sulla base della mera convenienza dettata dal poter proseguire in sede europea una linea di (mera) visibilità, essenzialmente funzionale a convenienze politiche rivolte alla competizione elettorale interna. 
Quello €uropeo, poi, è un parlamento deprivato di effettivo potere di iniziativa legislativa e di determinazione vincolante dell'agenda politica della stessa Commissione. Prima ancora, tale parlamento non ha avuto alcun ruolo nella determinazione (rigidamente intergovernativa) del quadro dei trattati che, pur essendo accordi di natura liberoscambista, pretendono di assurgere a livello di super-Costituzione, prevalente su quelle nazionali (formatesi a seguito di Poteri Costituenti che riflettono la sovrana volontà popolare).

Dunque, il parlamento europeo, in termini di perseguimento dei valori democratici sostanziali, risulta inutile se non dannoso: dannoso se non altro perchè ha la funzione cosmetica di "ratificatore" - falsamente co-deliberante, cioè solo su aspetti secondari dell'agenda, essenzialmente elaborata al di fuori della sua limitata sfera di indirizzo- di un inesorabile programma liberoscambista, autoritario, a cui il voto euro-parlamentare non apporta alcun contributo sostanziale.

Stando così le cose, - e ciascun cittadino europeo è ormai abituato a constatarlo ogni giorno- è perfettamente spiegabile perchè proprio nelle c.d. elezioni europee si sia per la prima volta massicciamente manifestato l'astensionismo. Si è trattato dell'occasione primigenia ed eclatante a cui, giustamente, si è applicata quella reazione dell'elettorato incentrata sulla "constatazione della invariabilità delle politiche che qualunque maggioranza uscita dalle urne sarebbe scontatamente "vincolata" a perseguire."

Ora è ovvio che questo effetto percepito porta a una reazione, appunto l'astensionismo, che non ha alcuna efficacia neutralizzatrice del disagio sociale che provocano le politiche "invariabili" che vengono imposte dall'€uropa
Neppure quando, questa stessa imposizione di €-politiche, si afferma, assorbendole del tutto, rispetto alle scelte dei governi nazionali dei singoli paesi aderenti all'Unione; l'astensionismo è solo una reazione difensiva "automatica", disperata (nel senso più stretto della parola), alla riduzione di tutti i parlamenti nazionali al modello del parlamento europeo
Cioè all'attribuzione, anche ad essi, di un mero ruolo di "ratificatori cosmetici" degli assetti perseguiti dalle elites che hanno scritto i trattati e designano i "rappresentanti" governativi nelle istituzioni europee; tali rappresentanti, infatti, eseguono fedelmente in sede europea i desiderata delle stesse elites (che sono in effetti le uniche forze sociali che hanno la legittimazione e la forza di compiere tale designazione).

Una reazione inefficace e impotente che, d'altra parte, è solo il riflesso di un congegno che trascende la capacità di comprensione dell'ex cittadino/elettore
La crisi di identità di quest'ultimo, che porta ad un conflitto interiore da cui sorge la scelta di non votare, è perfettamente ragionevole: non è però "razionale", dato che il primo anello della catena dell'esproprio della volontà esprimibile dal corpo elettorale è l'istituzione delle banche centrali indipendenti.


5. Insomma, una sinistra effettiva sarà riconoscibile solo quando si porrà il problema del non senso (tra l'altro storicamente ed economicamente datato) della banca centrale indipendente e si porranno le condizioni tangibili affinchè si esca dalla situazione qui sotto rappresentata: