1. Torniamo sulla traiettoria culturale di Einaudi per fornire, specialmente a lettori aggiuntisi di recente o "distratti" circa i numerosi post sul tema (accompagnati da approfondimenti fondamentali nei commenti), un quadro di fatti storici e di testimonianze dirette che chiariscano il punto.
2. Cominciamo dal "principio" (la fonte di questo e delle citazioni seguenti è questa ed era già linkata nel post precedente): "Einaudi scrive il primo articolo sul tema dell’unità europea nel 1897, a ventitrè anni, e sin da questo articolo individua nell’esigenza di superare il principio della sovranità assoluta degli Stati la via verso cui incamminarsi alla ricerca di un ordine internazionale meno primitivo. Già in questo primissimo scritto giovanile sul tema, Einaudi intuisce che il superamento del principio della sovranità assoluta degli Stati dovrà passare attraverso un lungo graduale processo, nell’ambito del quale una forma di confederazione degli Stati Uniti d’Europa potrebbe segnare un passaggio fondamentale 9"
Vediamo la nota 9:
"E’ impressionante notare che in questo scritto il giovanissimo Einaudi anticipa, per vari aspetti, tesi contenute negli scritti federalisti di Lionel Robbins, redatti nei tormentati anni della seconda guerra mondiale, scritti che, come testimonia A. Spinelli nelle sue memorie, furono da Einaudi stesso inviati agli autori del Manifesto di Ventotene (vedi Lionel Robbins, Il federalismo e l’ordine economico internazionale, scritti vari a cura di Guido Montani, il Mulino 1985)."
3. Abbiamo dunque stabilito una oggettiva connessione tra la continuità e la coerenza del pensiero federalista, e anti-Stato sovrano nazionale, di Einaudi (ben anteriore alla stessa nascita dell'URSS e alla stessa prima guerra mondiale) e le successive proiezioni nel manifesto di Ventotene (ovviamente non si fermano qui, perchè esistono tracce di comunicazione e di "guida" einaudiana dei "giovani" del Manifesto ulteriori e consistenti e, peraltro, non negate da chiunque si sia interessato seriamente della questione).
Per brevità rammentiamo che Einaudi si tace nel 1925: aveva partecipato al dibattito successivo alla prima guerra mondiale sempre sostenendo le posizioni federaliste, mondiali e, intermedie, europeiste, ma, fino a quella stessa epoca, come ci riporta una vasta letteratura storica, aveva anche sostenuto l'avvento del fascismo con una serie di articoli sul Corriere della Sera:
"Idee analoghe (a Croce, Albertini, Salvemini, ndr.) ebbe Luigi Einaudi che nel primo fascismo riconobbe
una forza in grado di esercitare una funzione schiettamente liberale,
dal momento che si dirigeva contro lo statalismo invasivo, contro le
leghe rosse che violavano le regole della libertà del lavoro, contro
l'anacronismo sociale dei popolari, contro i rivoluzionari che
minacciavano la proprietà, contro la debolezza dei governi. Secondo
Salvadori, Einaudi «fece allora un uso quanto mai spregiudicato del
liberalismo». Nel settembre del 1922 scriveva che il pericolo di «una
marcia fascista su Roma per dissolvere il Parlamento e mettere su una
dittatura» non aveva fondamento; che «il programma del fascismo è
nettamente quello liberale della tradizione classica»; che il fascismo
si poneva il lodevole obbiettivo di sostituire la vecchia, «stracca»
classe politica giolittiana con una nuova classe che però non aveva
bisogno di nuove dottrine e non doveva mirare a costruire «nuovi regimi
politici». «Desideriamo ardentemente», fu l'auspicio di Einaudi, «ci sia
un partito, e sia quello fascista, se altri non sa far di meglio, il
quale usi mezzi adatti per raggiungere lo scopo che è la grandezza
materiale e spirituale della patria»."
4. Dunque, dobbiamo tenere presente che sia che si parli di fascismo sia che si cerchi la più "definitiva" soluzione federalista, Einaudi ha sempre di mira il "liberalismo", ossia, al netto della distinzione tutta crociana e interna al lessico italiano, il liberismo.
Vediamo la connessione unificatrice di queste coesistenti tendenze su strumenti apparentemente diversi.
Essa passa anzitutto per una reinterpretazione positiva della prima guerra mondiale (!), vista in questi termini (che potrebbero apparire singolari, ma che sono perfettamente coerenti con l'ostilità verso gli Stati nazionali che, come abbiamo visto, è ben anteriore alla stessa Grande Guerra):
“La via da seguire suggerita da Einaudi non consiste né nel ritorno alla tradizionale politica dell’equilibrio, incapace di garantire una pace sicura, né nell’effimera Società delle Nazioni, di cui illustrò i limiti prima ancora della sua costituzione, ma nel superamento della sovranità assoluta nei settori di interesse generale e nella creazione di organi sopranazionali capaci di gestire i problemi comuni… Individuando nella prima guerra mondiale lo sforzo verso la creazione di unità statali superiori, Einaudi avvia una nuova interpretazione di questo periodo storico, che impiega come principio esplicativo fondamentale il concetto di crisi dello stato nazionale.
Tale interpretazione sarà ripresa e approfondita dalla scuola federalistica inglese negli anni trenta, in particolare da Lionel Robbins, Lord Lothian e Barbara Wootton, e dallo stesso Einaudi e dai federalisti italiani durante la seconda guerra mondiale e negli anni successivi. Dopo l’analisi dell’insufficienza degli stati sovrani a rispondere ai problemi posti dalla crescente interdipendenza economica, è questo il secondo contributo rilevante di Einaudi al chiarimento della tematica riguardante l’unificazione europea”.
5. Questo passaggio potrebbe lasciare nell'ombra quali fossero gli esatti contenuti istituzionali e funzionali delle "unità statali superiori" auspicate da Einaudi.
E che, sotto la sua influenza sono le stesse oggetto della visione del Manifesto di Ventotene, che si impernia su questo pensiero saliente, esplicitamente tributario di Einaudi (cui viene dedicato il Manifesto in persona del suo alias Junius, cfr. pag.7):
“La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistando il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.
6. Sul punto dell'assetto politico e socio-economico del Grande Stato sovranazionale pacificatore, soccorre, quasi coevo alla seconda serie di elaborazioni einaudiane sul tema ("Per una federazione economica europea", pubblicato nella collezione clandestina del Movimento liberale italiano a Roma nel settembre 1943: fu datato 15 settembre), il noto saggio di von Hayek (Friedrich A. Hayek, “The Economic Conditions of Interstate Federalism,” New Commonwealth Quarterly, V, No.2 (September, 1939), ristampato in F. A Hayek, Individualism and Economic Order, Chicago, Chicago Press University, 1948, pp. 255–72).
Il passaggio fondamentale di questo saggio lo abbiamo più volte riportato in questo blog (ed anche nel libro "Euro e/(o?) democrazia costituzionale"):
Il passaggio fondamentale di questo saggio lo abbiamo più volte riportato in questo blog (ed anche nel libro "Euro e/(o?) democrazia costituzionale"):
“L'assenza
di barriere doganali e la libera circolazione di persone e capitali fra
gli Stati hanno alcune importanti conseguenze che spesso sfuggono: riducono notevolmente le possibilità di intervento dei singoli Stati nella politica economica.
Se le merci, le persone e il denaro possono muoversi liberamente
attraverso le frontiere interstatali, gli Stati membri non posso più
influenzare i prezzi attraverso l'intervento pubblico. [...]
Ora, praticamente ogni politica economica odierna volta ad assistere particolari industrie procede tentando di influenzare i prezzi:
lo faccia attraverso marketing board, regimi vincolistici,
“riorganizzazione” obbligatoria o distruzione di eccesso di capacità
produttiva di certe industrie, lo scopo è sempre quello di limitare
l'offerta e quindi aumentare i prezzi.
Tutto ciò diverrebbe chiaramente impossibile per il singolo Stato all'interno dell'unione:
l'intero armamentario di marketing board e altre forme di
organizzazioni monopolistiche cesserebbero di essere a disposizione dei
governi degli Stati.”
Ma
anche rispetto a interferenze meno profonde nella vita economica di
quelle che comporta la regolamentazione della moneta e dei prezzi, le
possibilità aperte ai singoli Stati sarebbero pesantemente limitate.
Se
è vero che gli Stati potrebbero ancora esercitare un controllo sulla
qualità delle merci e dei metodi di produzione impiegati, non dev'essere
trascurato che, posto che lo Stato non possa vietare l'ingresso di
merci prodotte in altre zone dell'unione, ogni obbligo posto dalla
legislazione statale su una particolare industria la svantaggerebbe
seriamente rispetto alle attività simili in altre zone dell'unione.
Come è stato dimostrato dall'esperienza nelle federazioni esistenti, anche norme come la restrizione del lavoro infantile diventano difficili da imporre per i singoli Stati.”
“E' anche chiaro che gli stati dell'unione non saranno più in grado di perseguire una politica monetaria indipendente. Con
una moneta unica, l'autonomia delle banche centrali nazionali sarà
ristretta almeno quanto lo era sotto un rigido gold standard – e forse anche di più
dal momento che, anche sotto il tradizionale gold standard, le
fluttuazioni dei cambi tra paesi erano più ampie di quelle fra diverse
parti di uno Stato o di quanto sarebbe comunque desiderabile consentire
nell'unione.”
“Inoltre,
nella sfera puramente finanziaria, i mezzi per raccogliere tasse
sarebbero in qualche modo ridotti per i singoli Stati. Non soltanto la
maggiore mobilità fra gli Stati renderebbe necessario evitare ogni sorta
di tassazione che possa indurre il capitale o il lavoro a spostarsi
altrove, ma insorgerebbero difficoltà anche con parecchie forme di
tassazione indiretta.”
“Non
intendiamo intrattenerci oltre su queste limitazioni che una
federazione imporrebbe sulla politica economica degli Stati membri:
probabilmente l'effetto generale è stato sufficientemente chiarito da
quanto si è detto. In effetti è probabile che la prevenzione di
elusioni della normativa fondamentale in materia di libera circolazione
di persone, merci e capitali renda desiderabili restrizioni federali
alla libertà degli Stati membri ancora più incisive di quanto si è fin
qui ipotizzato e una ulteriore limitazione della possibilità di azioni indipendenti.”
E qui arriva il punto cruciale del ragionamento:
“La pianificazione o la direzione centrale dell'economia presuppongono l'esistenza di ideali e valori comuni; il grado in cui questa pianificazione può essere realizzata dipende dalla misura in cui è possibile ottenere o imporre un accordo su questa scala di valori comuni.”
7. Per chi avesse dei dubbi, poi, sulla connessione tra il pensiero sostanziale di Hayek e quello einaudiano (a parte l'evidente cerniera della figura di Bruno Leoni), basti rammentare che lo stesso Einaudi fu tra i soci della prima ora della Mont Pelerin Society (appunto insieme allo stesso Leoni), associazione legata sì alla Scuola austriaca, ma con ampie connessioni con gli stessi ordoliberisti ed ambienti statunitensi di ispirazione liberal-liberista (per capirci al di là delle distinzioni crociane). Questi, oltre ai due italiani appena menzionati, alcuni dei soci fondatori eminenti:
- Maurice Allais
- Salvador de Madariaga
- Walter Eucken
- Milton Friedman
- Friedrich August Von Hayek
- Bertrand de Jouvenel
- Frank H. Knight
- Walter Lippman
- Ludwig von Mises
- Michael Polanyi
- Karl Popper
- Wilhelm Roepke
- George Joseph Stigler
Rimarrebbe da analizzare quanta parte del pensiero federalista (preesistente alla prima guerra mondiale con una continuità di cui abbiamo mostrato l'evidenza) e, - per naturale evoluzione geo-politica in sede continentale-, ordoliberista, sia risultato prioritariamente costitutivo dell'assetto dei trattati succedutisi dagli anni '50 (si può anche facilmente ricostruire la continuità evolutiva tra costruzione europea, Mont Pelerin, e la stessa pan-european society di Kalergy, alla quale fu significativamente associato lo stesso Konrad Adenauer, che insieme a Einaudi e a De Gasperi è pacificamente riconosciuto come padre fondatore dell'originario nucleo della costruzione europea).
E lo diciamo in relazione all'articolo di Paolo Pini e Alessandro Somma, che non appare cogliere questo fondamentale aspetto: al riguardo ci pare sufficiente rinviare, per ora, al post "Verso la schiavitù" verificando il ruolo di soluzioni apparentemente "sociali" (in specie le tutele dell'ambiente e del consumatore e della piena occupazione neo-classica, cioè deflazionista) che, in realtà, dissimulano delle interpolazioni dei relativi diritti costituzionali "sociali", per privilegiare esclusivamente il ruolo "residuale" dello Stato nella regolazione del libero mercato (tanto più se assunto a istituzione massima "sovrana", quale ordine internazionale dei mercati).
Ma, ci riserviamo di approfondire questi aspetti in un secondo momento.
8. A conclusione di questo excursus chiarificatore, (sintetico, ma confermabile con qualsiasi ulteriore approfondimento delle fonti), possiamo perciò riprodurre lo splendido commento riassuntivo di Bazaar al precedente post, che nella sua eloquente capacità riassuntiva dovrebbe apparire ancora più nitido:
"Francamente non capisco il senso:
Einaudi, a differenza di Spinelli, sapeva quello che diceva. Era una
figura assolutamente contigua - anche per spessore - ai grandi
reazionari antidemocratici e antisocialisti che auspicavano un ordine
liberale del mercato e i rapporti di classe conseguenti.
A inventare "famo l'Europa grande perché fuori c'è la Cina" è, in effetti, un frame nazieuropeista di cui il neoliberista Einaudi è stato il primo spin doctor.
Non credo neanche che a Einaudi avrebbe fatto "ribrezzo" Monti, se non per la patente scarsa intelligenza: avrebbe, invece, provato una sincera simpatia per Draghi, che è di tutt'altra pasta e, non a caso, Luigino viene citato spesso dal nostro nasuto "vile affarista" (Cossiga riteneva che Marietto avesso un sensibile "fiuto" per gli affari).
Ma il punto che non mi sembra chiaro è: che differenza c'è tra il capitalismo sfrenato della dittatura finanziaria e il "liberismo [...] concorrenziale e produttivo [che parte] dal piccolo"?
Provo a risponderti io: il primo è la realtà intorno a noi e la naturale conseguenza del "liberismo" da secoli, poco prima che vada tutto in vacca e si contino i morti. Il secondo si trova solo nei libri di testo del primo anno.
L'EURSS è solo il passo necessitato prima delle liberalizzazioni:
a) fase uno: propugnare il federalismo per la pace dei popoli facendo la guerra alla Russia e alla Cina
b) fase due: abbatti dogane e frontiere per il superstato federale e ti ritrovi il liberoscambio sfrenato, ingestibile e incontrollabile dalle comunità sociali sovrane (chiamate "Stati")
c) fase tre: il potere "disperso" dalle comunità sociali viene raccolto tramite un sistema di "scatole cinesi" in qualche consiglio di amministrazione con sede all'isola di White (in cui i banchieri da ggiovani ballavano nudi).
d) fase quattro: il liberoscambismo, con l'apporto degli usuali vincoli esterni (euro, gold standard, Marina Britannica, Bomba atomica Yankee, ecc.), deindustrializza tramite i vantaggi comparati, rende il mercato vulnerabile agli shock asincroni, risolve gli sbilanci con austerità e spirali deflattive, e liberalizza il liberalizzabile: il liberismo segue, quindi, il liberoscambismo dell'EURSS.
e) fase cinque: tutto viene privatizzato in favore della classe dominante dei Paesi dominanti.
Questo è l'ideologia di cui era portatore Einaudi, e di quell'odiatore di piccole imprese e sindacati di Spinelli: lo Stato, espressione di volontà collettiva, va distrutto."
ADDENDUM: pare utile incorporare nel post il commento di Arturo che, su temi specifici come la moneta unica, che elimina inflazione e flessibilità del cambio, nonchè la connessa libera circolazione dei capitali, ci riporta il diretto pensiero di Einaudi.
Notare che l'inflazione, legata al fattore dell'emissione di moneta - evidentemente abbracciando, come già Hayek e Roepke, le teorie monetariste, poi poste alla base dello SME e del trattato di Maastricht-, fa formulare a Einaudi, nel 1944, la locuzione "la peggiore delle imposte" ("gravante assai più sui poveri che sui ricchi"), che verrà poi, ai nostri giorni, fatta propria dalle forze politiche e mediatiche sostenitrici dell'euro, con un "misterioso" accoglimento di tale formula a sinistra (nonostante la notoria immediata critica che di tale "mutamento di prospettiva" farà subito Federico Caffè):
"E' una citazione notissima, comunque ripetiamola:
“Il vantaggio del sistema [di una moneta unica europea] non sarebbe solo di conteggio e di comodità nei pagamenti e nelle transazioni interstatali. Per quanto altissimo, il vantaggio sarebbe piccolo in confronto di un altro, di pregio di gran lunga superiore, che è l’abolizione della sovranità dei singoli stati in materia monetaria. Chi ricorda il malo uso che molti stati avevano fatto e fanno del diritto di battere moneta non può avere dubbio rispetto alla urgenza di togliere ad essi cosiffatto diritto. Esso si è ridotto in sostanza al diritto di falsificare la moneta (Dante li avrebbe messi tutti nel suo inferno codesti moderni reggitori di stati e di banche, insieme con maestro Adamo) e cioè al diritto di imporre ai popoli la peggiore delle imposte, peggiore perché inavvertita, gravante assai più sui poveri che sui ricchi, cagione di arricchimento per i pochi e di impoverimento per i più, lievito di malcontento per ogni classe contro ogni altra classe sociale e di disordine sociale. La svalutazione della lira italiana e del marco tedesco, che rovinò le classi medie e rese malcontente le classi operaie fu una delle cause da cui nacquero le bande di disoccupati intellettuali e di facinorosi che diedero il potere ai dittatori. Se la federazione europea toglierà ai singoli stati federati la possibilità di far fronte alle opere pubbliche col gemere il torchio dei biglietti, e li costringerà a provvedere unicamente colle imposte e con i prestiti volontari, avrà, per ciò solo, compiuto opera grande. Opera di democrazia sana ed efficace, perché i governanti degli stati federati non potranno più ingannare i popoli, col miraggio di opere compiute senza costo, grazie al miracolismo dei biglietti, ma dovranno, per ottenere consenso a nuove imposte o credito per nuovi prestiti, dimostrare di rendere servigi effettivi ai cittadini.” (L. Einaudi, I problemi economici della federazione europea, saggio scritto per il Movimento federalista europeo e pubblicato nelle Nuove edizioni di Capolago, Lugano, 1944 ora in La guerra e l’unità europea, Milano, Edizioni di Comunità, 1950, pagg. 81-82).
Nelle Prediche inutili afferma (la citazione è talmente nota da essere riportata anche su wiki)
"Gli esportatori illegali di capitale sono benefattori della Patria, perché i capitali scappano quando i governi dissennati e spendaccioni li dilapidano, e allora portandoli altrove li salvano dallo scempio e li preservano per una futura utilizzazione, quando sarà tornato il buon senso."
Insomma, cambio fisso, pareggio di bilancio e libertà di circolazione dei capitali. Quanto gli stava antipatica la finanza! :-) "
A inventare "famo l'Europa grande perché fuori c'è la Cina" è, in effetti, un frame nazieuropeista di cui il neoliberista Einaudi è stato il primo spin doctor.
Non credo neanche che a Einaudi avrebbe fatto "ribrezzo" Monti, se non per la patente scarsa intelligenza: avrebbe, invece, provato una sincera simpatia per Draghi, che è di tutt'altra pasta e, non a caso, Luigino viene citato spesso dal nostro nasuto "vile affarista" (Cossiga riteneva che Marietto avesso un sensibile "fiuto" per gli affari).
Ma il punto che non mi sembra chiaro è: che differenza c'è tra il capitalismo sfrenato della dittatura finanziaria e il "liberismo [...] concorrenziale e produttivo [che parte] dal piccolo"?
Provo a risponderti io: il primo è la realtà intorno a noi e la naturale conseguenza del "liberismo" da secoli, poco prima che vada tutto in vacca e si contino i morti. Il secondo si trova solo nei libri di testo del primo anno.
L'EURSS è solo il passo necessitato prima delle liberalizzazioni:
a) fase uno: propugnare il federalismo per la pace dei popoli facendo la guerra alla Russia e alla Cina
b) fase due: abbatti dogane e frontiere per il superstato federale e ti ritrovi il liberoscambio sfrenato, ingestibile e incontrollabile dalle comunità sociali sovrane (chiamate "Stati")
c) fase tre: il potere "disperso" dalle comunità sociali viene raccolto tramite un sistema di "scatole cinesi" in qualche consiglio di amministrazione con sede all'isola di White (in cui i banchieri da ggiovani ballavano nudi).
d) fase quattro: il liberoscambismo, con l'apporto degli usuali vincoli esterni (euro, gold standard, Marina Britannica, Bomba atomica Yankee, ecc.), deindustrializza tramite i vantaggi comparati, rende il mercato vulnerabile agli shock asincroni, risolve gli sbilanci con austerità e spirali deflattive, e liberalizza il liberalizzabile: il liberismo segue, quindi, il liberoscambismo dell'EURSS.
e) fase cinque: tutto viene privatizzato in favore della classe dominante dei Paesi dominanti.
Questo è l'ideologia di cui era portatore Einaudi, e di quell'odiatore di piccole imprese e sindacati di Spinelli: lo Stato, espressione di volontà collettiva, va distrutto."
ADDENDUM: pare utile incorporare nel post il commento di Arturo che, su temi specifici come la moneta unica, che elimina inflazione e flessibilità del cambio, nonchè la connessa libera circolazione dei capitali, ci riporta il diretto pensiero di Einaudi.
Notare che l'inflazione, legata al fattore dell'emissione di moneta - evidentemente abbracciando, come già Hayek e Roepke, le teorie monetariste, poi poste alla base dello SME e del trattato di Maastricht-, fa formulare a Einaudi, nel 1944, la locuzione "la peggiore delle imposte" ("gravante assai più sui poveri che sui ricchi"), che verrà poi, ai nostri giorni, fatta propria dalle forze politiche e mediatiche sostenitrici dell'euro, con un "misterioso" accoglimento di tale formula a sinistra (nonostante la notoria immediata critica che di tale "mutamento di prospettiva" farà subito Federico Caffè):
"E' una citazione notissima, comunque ripetiamola:
“Il vantaggio del sistema [di una moneta unica europea] non sarebbe solo di conteggio e di comodità nei pagamenti e nelle transazioni interstatali. Per quanto altissimo, il vantaggio sarebbe piccolo in confronto di un altro, di pregio di gran lunga superiore, che è l’abolizione della sovranità dei singoli stati in materia monetaria. Chi ricorda il malo uso che molti stati avevano fatto e fanno del diritto di battere moneta non può avere dubbio rispetto alla urgenza di togliere ad essi cosiffatto diritto. Esso si è ridotto in sostanza al diritto di falsificare la moneta (Dante li avrebbe messi tutti nel suo inferno codesti moderni reggitori di stati e di banche, insieme con maestro Adamo) e cioè al diritto di imporre ai popoli la peggiore delle imposte, peggiore perché inavvertita, gravante assai più sui poveri che sui ricchi, cagione di arricchimento per i pochi e di impoverimento per i più, lievito di malcontento per ogni classe contro ogni altra classe sociale e di disordine sociale. La svalutazione della lira italiana e del marco tedesco, che rovinò le classi medie e rese malcontente le classi operaie fu una delle cause da cui nacquero le bande di disoccupati intellettuali e di facinorosi che diedero il potere ai dittatori. Se la federazione europea toglierà ai singoli stati federati la possibilità di far fronte alle opere pubbliche col gemere il torchio dei biglietti, e li costringerà a provvedere unicamente colle imposte e con i prestiti volontari, avrà, per ciò solo, compiuto opera grande. Opera di democrazia sana ed efficace, perché i governanti degli stati federati non potranno più ingannare i popoli, col miraggio di opere compiute senza costo, grazie al miracolismo dei biglietti, ma dovranno, per ottenere consenso a nuove imposte o credito per nuovi prestiti, dimostrare di rendere servigi effettivi ai cittadini.” (L. Einaudi, I problemi economici della federazione europea, saggio scritto per il Movimento federalista europeo e pubblicato nelle Nuove edizioni di Capolago, Lugano, 1944 ora in La guerra e l’unità europea, Milano, Edizioni di Comunità, 1950, pagg. 81-82).
Nelle Prediche inutili afferma (la citazione è talmente nota da essere riportata anche su wiki)
"Gli esportatori illegali di capitale sono benefattori della Patria, perché i capitali scappano quando i governi dissennati e spendaccioni li dilapidano, e allora portandoli altrove li salvano dallo scempio e li preservano per una futura utilizzazione, quando sarà tornato il buon senso."
Insomma, cambio fisso, pareggio di bilancio e libertà di circolazione dei capitali. Quanto gli stava antipatica la finanza! :-) "