Questo post di Bazaar, nelle circostanze correnti, va considerato (come egli stesso suggerisce), un'occasione per "staccare un po'...". In apparenza può risultare impegnativo: ma, almeno per il lettore "seriale" del blog, molto probabilmente non sarà così.
Ve ne fornisco un abstract utilizzando quello fornito dallo stesso Bazaar:
"In realtà, dietro alla riflessione che allego, c'è il tentativo di
creare consapevolezza sulla necessità di fondare fenomenologicamente le
scienze sociali... anche solo come processo di "disintossicazione
cognitiva".
Quindi cerco di dare qualche
"stimolo enciclopedico" per capire il senso (e l'importanza)
dell'epistemologia nel formare coscienza critica.
Gli assunti e la tesi sono semplici:
1- la fondazione delle scienze sociali è legata "ad un atteggiamento
etico" e ad una Weltanschauung. (la Costituzione è in questo senso
chiarificatrice).
2- per via riduzionistica
possiamo individuare due grandi "atteggiamenti etici" e due grandi
"paradigmi": quello "naturalista" (che porta all'alienazione e alla
tecnocrazia) e quello "storicista" (che porta al Politico della
tradizione umanitarista)
3- il paradigma nelle scienze svolge quello che nel giornalismo è il "framework"
4- I due grandi atteggiamenti morali sono:
(I) "tutti
gli uomini sono uguali nella sostanza" quindi il classismo è una
stortura inumana (la vita umana non ha prezzo ed è inalienabile)
(II)
"Tutti gli uomini sono uguali nella forma ma nella sostanza sono
diversi": queste persone sono diverse per "natura", quindi l'ordine
sociale deve "conservare" la sua essenza "naturale" (a qualsiasi costo)
5
- poiché i due grandi paradigmi difendono quelli che sono anche
interessi materiali in dialettica, gli obiettivi per cui questi sono
strumentali sono opposti e, quindi, le stesse proposizioni logiche
fondamentali sono generalmente invertite: queste creano continuamente
"relativismo" a tutti i livelli del pensiero umano.
6
- questo "relativismo" è un fatto sociale che porta al nichilismo e, in
ultimo, come ci portano ad indurre sociologici moderatamente
conservatori, porta al suicidio e all'annichilimento
7
- Questa assenza di una precisa "normazione" che regola
l'intersoggettività a tutti i livelli, si manifesta come dissonanza
cognitiva (e disturbi psicologici di varia natura): si propone che
l'agente primo di questo disturbo che diventa un fatto sociale sta
proprio nel "paradigma", "nel framework" che è padre di qualsiasi
"precomprensione" e distorsione cognitiva dell'attualità (e del mondo
della vita in genere, creando le premesse per qualsiasi descrizione del
mondo)
8 - in pratica questa "anomia" porta
all'incomunicabilità tra individui atomizzati, irrelati e non
rapportabili a causa della mancanza di un vero linguaggio comune: la
solitudine esistenziale si manifesta come fatto antropologico e
strutturale. Ossia una malattia dell'umanità stessa che trova nella
"natura" la sua "alienazione" e, in definitiva, la morte".
Liberalismo
ed anomia: riflessioni intorno al suicidio.
«Il presupposto di razionalità ha in materia economica un
preciso significato.
Secondo la teoria neoclassica, in particolare, un agente
è razionale se, dopo aver considerato tutte le informazioni a sua
disposizione, agisce in modo tale da massimizzare la propria funzione
obiettivo.
Si tratta di una razionalità di tipo
strumentale: l'individuo definisce l'obiettivo da raggiungere e opera le
proprie scelte per ottenerlo senza trascurare di utilizzare tutte le
informazioni e le risorse disponibili.» [De
hominibus oeconomicis...]
«Ma cosa era del sole? Quale giorno portava sopra i latrati del buio? Ella
ne conosceva le dimensioni e l’intrinseco, la distanza dalla terra, dai
rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva
imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono
nella vacuità degli spazî senza senso[1]
l’ellisse del nostro disperato dolore »
«
Ebbene sì.
Sono
colpevole.
Non
assomiglio per nulla all'agente razionale. »
«
Sono colpevole perché non sono efficiente.
Sono
colpevole perché ho sprecato le mie opportunità.
Sono
un debole. Un perdente. Un fallito »
FENOMENOLOGIA
DEL SUICIDIO COME FATTO SOCIALE
«
[…] la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle
masse », Karl
Marx, “Per la critica della filosofia
del diritto di Hegel”
1
– Uno scarto esistenziale
Secondo
il fenomenologo marxista Cesare
Luporini, la base coscienziale del socialismo – inteso nel senso proprio di “pensiero volto alla
realizzazione sostanziale della democrazia” – è individuabile in uno «scarto
esistenziale», ossia in un «non completo
identificarsi dell’individuo sociale nel ruolo o nella funzione sociale che lo definisce, gli
imprime il suo carattere, ma unilateralmente lo limita», «potenzialmente acuto in quanto vissuto dagli oppressi e dagli sfruttati, ma
che si riflette o retroagisce sui dominanti e
sul loro produrre ideologia». Ovvero, «o si raccoglie in un qualche sforzo collettivo di
ribellione» o «si
disperde individualisticamente»
La mancanza di un qualsiasi partito di massa o di
un’organizzazione strutturata che abbia una missione politica o sindacale di
carattere socialista, e la pachidermica stazza, finanziaria e sociale,
dell’industria dell’evasione e dell’intrattenimento che propina globalmente la
sua cucina sedativa ai moderni lotofagi (come li chiamava Adorno) polverizza metodologicamente
questo disagio, fatto di solitudine, inadeguatezza ed insicurezza.
Il
liberale individuo astratto, l'agente razionale che microfonda
gran parte del paradigma economico egemone, è tornato a sostituire la
concezione umanistica propria del materialismo socialista, che identifica
la concreta persona umana come centro di rapporti sociali.
E
il rapporto sociale fondamentale, per motivi materiali e spirituali legati
indissolubilmente all'antropologia stessa, è quello che si sviluppa nella forma
del lavoro.
«
Tutte quelle pellicole hollywoodiane... quelle promesse... i soldi, il
successo, una casa spaziosa ammobiliata con raffinatezza borghese... una bella
moglie... i bambini felici che corrono in giardino... le vacanze da sogno... la
macchina, la carriera... il prestigio.
Exclusive
...
L'escluso
sono io: comincio ad essere brizzolato e, da sempre, non ho una casa, non ho
soldi per poter neanche portar a bere un aperitivo una donna... non ho la
macchina... ho sempre lavorato a tempo determinato e non mi sono fatto una
professione... i lavori più umili sono sempre più occupati da immigrati... ho
recentemente provato a fare il lavapiatti, ma bengalesi per 25 euro al giorno
soddisfavano ampiamente la domanda dei ristoratori... non posso avere una
famiglia... avere una prole.
Mi
è stata tolta pure la dignità di essere chiamato proletario.
Ora
mi umiliano invitandomi a mangiar insetti e cibo scaduto...
Non
mi sento di parlarne con nessuno. Mi vergogno. Sono solo »
2
– Definizione di anomia e alcuni spunti di riflessione
Il
termine (etimologicamente “mancanza di norme”) « è stato introdotto nel
linguaggio sociologico dal funzionalista É. Durkheim,
il quale, nell’opera La division du travail social (1893), definì anomiche
quelle società fondate sulla divisione del lavoro in cui non si dia solidarietà
sociale.
Per Durkheim una situazione di anomia è del tutto abnorme,
potendosi produrre solo in periodi di grave crisi, ovvero di boom economico («crises
heureuses»), durante i quali la rapidità del mutamento sociale non consente
alle norme societarie di tenere il passo con le molteplici sollecitazioni e
istanze emergenti nel sistema sociale, che lascia così senza direzione
normativa i propri componenti o buona parte di essi ».[2]
In
pratica, la mancata integrazione o l'impossibilità di dare un senso al proprio
lavoro parcellizzato nell'ineffabile logica dei processi produttivi, lasciano
l'individuo senza quei riferimenti morali della società, atomizzata ed
incapace di indirizzare gli individui solidaristicamente e predisporne un
atteggiamento volto all’inclusività, con la conseguenza di portare i lavoratori
a seguire le proprie pulsioni senza freni inibitori: aumentano così devianza,
agitazioni sociali, infelicità e stress.
Tutto
ciò diventa estremo nel caso, ad esempio, di crisi economica, dove, secondo
questa analisi dalla prospettiva funzionalista, l'inerzia ad adattarsi
delle istituzioni non riesce a produrre un adeguato sistema valoriale che aiuti
l'individuo ad adattarsi alla situazione sopraggiunta, tenendendo conto che –
secondo questa prospettiva – non sono le istituzioni che devono fare in modo di
adeguare la struttura sociale al lavoratore, ma è l’individuo che deve essere
indirizzato affinché si adatti alla struttura sociale.
Quanto
appena descritto rimane comunque una situazione generalizzabile a qualsiasi
grande cambiamento, durante il quale, anche in epoca o situazione di
abbondanza, quest'abbruttimento tende a manifestarsi: «Più
uno ha, più uno vuole, poiché le soddisfazioni ricevute semplicemente stimolano
invece di soddisfare i bisogni» (Durkheim [1897] 1951, 248)
«Quando
non c'è altro scopo se non superare costantemente il punto in cui si è
arrivati, quanto è doloroso essere respinti! […] Poiché l'immaginazione è
affamata di novità, e non governata, brancola a casaccio»(257).
«I desideri illimitati sono insaziabili per definizione e l'insaziabilità è
giustamente considerata un segno di morbosità. Essendo illimitati, costantemente
e infinitamente superano i mezzi sotto loro controllo; non possono essere
estinti. La sete inestinguibile e costantemente rinnovata, tortura»(247).
«Nella misura in cui l'individuo è lasciato a se stesso e liberato da ogni
costrizione sociale, è libero anche da tutti i vincoli morali»
L'anomia porterebbe alti tassi di
comportamento egocentrico, di violazione delle norme e conseguente delegittimazione e sfiducia nei confronti dell'autorità.
Secondo Durkheim, i desideri e gli
interessi personali degli esseri umani possono essere tenuti sotto controllo
solo da forze che hanno origine al di fuori dell'individuo.[4]
2.1
Prime riflessioni
Il significato di una condizione anomica
è il medesimo per qualsiasi classe sociale?
Il
rampollo di buona famiglia, che inizia la sua giovanissima carriera in qualche
società di consulenza anglosassone in cui vige l'egomania metodologica, è
sottoposto al medesimo smarrimento del precario, del sottoccupato o del
disoccupato?
(La
risposta è dentro ognuno di noi ed è probabilmente ovvia: meno a moralisti o a
buddisti che producono saggezze del tipo « i sentimenti che vive il barbone
scalzo, nel vedere il vicino con un paio di scarpe consunte, provocano il
medesimo malessere che vive il finanziere che attracca in un porto di fianco ad
uno yacht più bello e grande del suo » ...ecc...ecc... e via, con
microfondazioni di rivoluzioni interiori e amenità varie)
Ora:
dato poi il riferimento a queste necessitate “forze esterne” che dovrebbero
raddrizzare, con la forza o meno, il comportamento considerato sregolato
e deviante, la prospettiva paternalistica e, di conseguenza, intrinsecamente
classista, emerge con tutte le sue potenziali conseguenze: la risposta a questo
male sociale sarà tendenzialmente di carattere autoritario e punitivo.[5]
Eventualmente con l'aggravante di un appesantimento di pubblica condanna
morale, magari sospinta dalla motivazione per cui l’autorità intenderebbe
colmare questa carenza di guida morale; guida morale a cui la società moderna,
alle prese coi suoi ritmi frenetici, non riuscirebbe a rimediare.
Moralismo,
colpevolizzazione e repressione possono diventare importanti strumenti di
controllo sociale, di fatto funzionali al mantenimento dello status
quo.
Questa
è effettivamente stata prassi storica dello Stato liberale: quell’ordine
sociale che è tornato prepotentemente con l'europeismo ed il globalismo
finanziario e che, storicamente, ha
condotto ai regimi fascisti.
Ciò
può aiutare, quindi, ad intuire da quale paradigma di pensiero possa
aver trovato supporto quell'oppressione fisica e morale che, tramite
istituzioni e organizzazioni, è stata esercitata con violenza nei regimi totalitari.
(Non
tendete con naturalezza alla funzione a cui siete stati predestinati? Lo Stato
minimo, ossia lo Stato apparato, ci penserà lui a mettervi in riga, a
rimettervi a posto: con tanto di omelia clericale, religiosa o secolare)
3
– Funzionalismo sociologico: Durkheim e Merton
«Un
posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto »[6]
Se
per Durkheim la devianza è
il prodotto di questa incapacità delle
complesse società moderne di fornire indicazioni etiche adatte alla
realizzazione e all'inclusione dell'individuo, focalizzandosi invece sugli
obiettivi mal formulati nella cultura di una società industriale, il funzionalista
Robert Merton modifica il
concetto di anomia ponendo l'accento sull'incoerenza tra indicazioni etiche,
mezzi materiali ed obiettivi.
Questa
incoerenza, che porterebbe ad un diffuso “deragliamento morale”, tende nella
fase descrittiva ad assomigliare di più a quello scarto esistenziale
vissuto dalla persona umana che, a livello soggettivo, i teorici del
conflitto[8] imputano
all'alienazione dovuta allo sfruttamento classista.
I mezzi istituzionalizzati per
raggiungere gli obiettivi proposti da quella che, ricordando Guy
Debord, possiamo definire la società dello spettacolo, sono il duro lavoro e la sudata
istruzione. Di conseguenza è largamente accettato che, coloro i quali non
ce la fanno, sono intrinsecamente pigri o in qualche modo inetti.[9]
Se
le cattive condizioni sociali patite dai ceti meno abbienti diventano un
fattore rilevante, i comportamenti devianti sono “necessari” (inevitabili) in
quanto “funzionali” e, di conseguenza, diventa necessaria e funzionale la
repressione poliziesca. (Una risposta che viene data da questa scuola di
pensiero consiste nel suggerire il rafforzamento delle istituzioni “non
economiche” come le chiese o la scuola pubblica; in definitiva per motivi di
“indottrinamento”).
A causa del fatto che il successo
economico e lo status sono gli obiettivi fissati dalla coscienza
collettiva, come direbbe Durkheim, il sistema di giustizia penale
(già nei regimi liberali) ha cominciato a cercare nell'ambiente sociale iniquo
ciò che causa questa anomia, mettendo
conseguentemente pressione affinché le autorità bilancino i mezzi attraverso i quali il “successo” sia
effettivamente raggiungibile.
(“Deriva otto-novecentesca” verso il liberalismo sociale contro
il quale i liberali classici, dalla rivoluzione marginalista in avanti, si sono
scagliati con
grande dispendio di mezzi).
4
– Premesse di carattere epistemologico
«
[…] in ogni campo i fatti osservati e rilevati acquisiscono un significato
soltanto se organizzati e ordinati secondo un paradigma teorico » Carlo Cipolla,
1988
In
questa riflessione non ci interessano quindi – in se stessi – il paradigma
e la relativa interpretazione di Durkheim
del fenomeno anomico, proprio in quanto sociologo “funzionalista” e,
di conseguenza, epistemologicamente da relazionarsi all'organicismo naturalista
del liberalismo respinto in Costituzione.
Ci interessa il suo lavoro in relazione al paradigma conflittualista
accolto de facto nella Carta del ‘48, ci interessa la sua descrizione
positiva, basata su una ricerca empirica del fenomeno dei suicidi, mentre, a
livello teorico-coscienziale, ci interessano le categorie che possono essere
aggiornate per comprendere il framework concettuale dell'attuale ruling
class neoliberale.
Poiché
nell'organicismo del funzionalismo
sociologico, dato l'arbitrario atteggiamento
epistemologico, la devianza non è da
imputarsi alla struttura sociale classista che genera oppressione,
sfruttamento e conflittualità, ma è la
conflittualità stessa ad essere una devianza, un “malfunzionamento”
(della gestione politica?) di un ordine sociale che sarebbe naturalmente
corretto e “giusto”, il problema da affrontare, quindi, secondo una logica di
questo paradigma, non è la disfunzionalità ab origine[13]
dell'ordine sociale esistente rispetto ai fini generali pubblicamente
propagandati, ma è quello dei comportamenti devianti di gruppi sociologici che
non riescono ad adattarsi accettando il loro posto ed il loro ruolo
nella comunità.
In
brevissimo: nelle scienze sociali che
formano il paradigma “conservatore” – che trova fondamento nella morale elitista
e nel naturalismo positivista – la dialettica politica, tendendo a modificare in senso progressivo la
società, è ritenuta una devianza da un presunto “ordine naturale”, da ciò
che Hayek
chiama kosmos.
Poiché
l'attuale ordine è contraddistinto da una suddivisione concettuale che
struttura la società in due grandi
classi con interessi diametralmente opposti – quella dei proprietari dei mezzi di produzione in
posizione di oligopolio e quella di coloro che esercitano qualsiasi attività o
funzione per vivere – qualsiasi iniziativa politica volta a eliminare
condizioni di svantaggio sociale, politico ed economico per nascita, è
considerata innaturale, deviante.
Quest'ordine sociale,
come per qualsiasi oggetto indagato dalle scienze naturali, non deve essere interpretato
e significato, ma semplicemente
descritto.
Poiché
l'ordine sociale è dato – ovverosia non forgiato dall'Uomo che con la
potenza del suo ingegno porta la Storia –
dovranno essere le discipline che lo descrivono ad essere “interpretabili”,
ribaltando soggetto con oggetto, il fine con lo strumento per raggiungerlo, la
causa con l’effetto, significato con significante,
portando nell'esperienza a risultati grotteschi dove il “positivo” stesso viene
vilipeso insieme alla logica aristotelica, tanto che l'economia mainstream,
ad esempio, viene
diffusamente considerata una pseudoscienza.
Poiché
l’obiettivo ultimo della naturalizzazione dell’economico e del sociopolitico è
gettare falsa coscienza intorno all’oppressione e allo sfruttamento, è
consequenziale che lo stesso processo
divulgativo e mediatico abbatta l’unico vero tabù di una comunità scientifica
che si possa definire tale: il rispetto del dato empirico.
Quindi, poiché la Weltanschauung elitista porta ad
organizzare il pensiero fondamentale in modo “tolemaico”, la dissociazione
cognitiva sarà tendenzialmente pervasiva in relazione alla percezione di tutti
i grandi temi sociali che trovano fondamento fenomenologico nell'Etica,
rendendo strutturale l'anomia.
Poiché l'anomia stessa risulta essere funzionale, l'autorità
potrà “intervenire sul problema”, a discrezione, sulla falsa riga del principio
di sussidiarietà.
Che
di questo scarto esistenziale la classe egemone ne sia assolutamente
cosciente, e lo strumentalizzi e lo alimenti, lo dimostrano le
analisi sulla struttura della propaganda sviluppate da Goffman,
secondo il quale l'attualità viene
mostrata dagli organi di informazione tramite framework
“naturali”
che identificano gli eventi come fenomeni fisici che letteralmente si
verificano in modo naturale e a cui non viene associata la responsabilità di
forze sociali nella loro causazione.
Dalla
prospettiva funzionalista, segnatamente nella sua microfondazione
liberale, tutto ciò che interviene, come lo Stato, a modificare
(progressivamente) la norme sociali esistenti, è deviante, patologico,
da contrastare; non ci sono norme “ingiuste” da cambiare, semplicemente queste
non sono abbastanza impresse nella coscienza individuale.
Risulta
così utile, quindi, inserire un altro concetto sociologico, riscontrabile nella
teoria del
controllo[20],
per cui la devianza viene considerata il risultato di un'ampia esposizione a
determinate situazioni sociali per cui gli individui si lascerebbero andare a
comportamenti non conformi alle norme sociali. I legami sociali
sarebbero usati – nella teoria del controllo – per aiutare le persone a non
cedere a questi comportamenti devianti. (A non cedere alla “tentazione”...)
(Prestare
sempre attenzione alla questione etico-epistemologica: se l'agente primo del
malessere sociale non è da ascriversi allo sfruttamento di un ceto sugli altri,
gli sforzi politici sono volti a sedare moralisticamente, religiosamente,
mediaticamente, ipnoticamente, farmacologicamente gli sfruttati (v. Huxley);
oppure a reprimerli poliziescamente (v. Orwell) – sfruttati che, al
limite, possono essere riciclati per far lavori “sporchi”... non
necessariamente
in campi di lavoro forzato)
In
questo esempio di tipicamente liberale funzionalismo sociologico, non vi è
alcuna particolare considerazione che si articoli negli interessi contrapposti
tra classi, viene semplicemente descritta una situazione in cui il legame tra
anonimi individui e la generica società sono labili, non esiste un'attiva
partecipazione istituzionale e i vincoli morali che
trattengono l'individuo dall'agire in senso antisociale sono deboli.
Tutto ciò che non è funzionale
all'ordine naturale – il
residuum umano – e che non si adegua tramite i sistemi di
coercizione, viene gestito con le regole di ciò che l'epistemologia – in riferimento alla
fondazione morale elitista e al positivismo organicista – può mostrare
come scienza sociale parte del paradigma
reazionario: la
demografia di ispirazione malthusiana.
(Un
anello di collegamento immediato per comprendere il legame paradigmatico di
queste tre scienze sociali è, ad esempio, Herbert Spencer, (i)
liberale tra i padri fondatori
della (ii) sociologia funzionalista che dai lavori
di (iii) Malthus e Darwin diffonde il concetto di “darwinismo
sociale”)[22]
La
domanda fondamentale che da queste premesse si pone il sociologo funzionalista,
risulta essere: cosa permette agli individui di conformarsi?[23]
4.1
Un diagramma e brevi riflessioni
Si
noti come nel funzionalismo sociologico
della teoria del controllo si dia per scontato che il mercato si autoregoli
tramite il sistemi dei prezzi, la concorrenza e la quota di
mercato sia, in definitiva, assegnata per legge naturale.
Il mercato si autoregolerebbe in modo
provvidenziale grazie alla decentralizzata
generosità (v. self-command) dei virtuosi agenti razionali del
mercato. Lo Stato sociale può solo perturbare quest'ordine
naturale. (Gli oligopoli privati non sono tipicamente contemplati per fede)[24]
Si
noti anche come il clan control e il controllo burocratico siano
applicabili sostanzialmente alle organizzazioni private, che,
anch'esse, si dovrebbero autoregolare.
«Il
programma del liberalismo […] se sintetizzato in un'unica parola, sarebbe da
leggere: proprietà, che significa
il diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione […]. Ogni altra
istanza del liberalismo deriva da questa istanza fondamentale », Ludwig
Von Mises [25]
E
chi non è proprietario dei mezzi di produzione? È forse per nascita in un
contesto più anomico che altri? L’unica socialità sarebbe da ricercare
nell’appartenenza a organizzazioni private?
5
– Durkheim: il suicidio come fatto
sociale
Non
è nostra intenzione studiare la correlazione
in sé tra crisi economica e suicidi:
questa è studiata dalle prime pietre miliari della
sociologia moderna e, per la silenziosa brutalità del tema, si può
presentare un percorso di crescita tanto a livello cognitivo, quanto umano, per
l’estrema sensibilità che occorre raffinare per equilibrare quelli che sono i
risultati di un’analisi essenzialista, scientifica e adatta a produrre
una descrizione oggettiva, con ciò che ne è la sua interpretazione soggettiva.
L'obiettivo,
per un umanista ed un democratico, rimane sempre e solo socializzare la coscienza
critica.
Ci
focalizziamo sul lavoro di Émile Durkheim
perché propone la categoria di anomia in correlazione al suicidio
come fatto sociale.
Egli
raggruppa quattro diverse categorie: suicidio
per anomia, per egoismo, per altruismo e per fatalismo.
Le
quattro categorie possono essere anche utili nell'ambito della prospettiva
del conflitto in quanto, come risulterà da subito evidente, queste non sono
immediatamente applicabili a qualsiasi classe sociale, ma sono tendenzialmente funzionali – nella
società nel suo complesso – a descrivere
le dinamiche di quelle subordinate.
(Si
noti il rilievo che si dà all'aspetto morale come pure avverrà nella
prospettiva del conflitto weberiana: viene rimossa la
centralità del conflitto distributivo in quanto motore materiale del divenire
politico, e si pone staticamente, evidenziando con enfasi, ciò che nella teoria
del conflitto marxiana si limita ad essere una “sovrastruttura” dei rapporti di
forza originari dovuti alla struttura sociale: l'ideologia morale e religiosa)
5.1 – Il suicidio anomico riflette la
confusione morale di un individuo e la mancanza di direzione sociale, che è
collegata a drammatici sconvolgimenti sociali ed economici.
È
il prodotto della deregolamentazione morale e della mancanza di definizione di
aspirazioni legittime attraverso un'etica sociale vincolante, che potrebbe dare
significato e ordine alla coscienza individuale. Questo è sintomatico di un
fallimento dello sviluppo economico e della divisione del lavoro nel produrre
la solidarietà “organica” (necessaria nelle società industriali, contrapposta a
quella “meccanica” delle comunità sociali semplicemente strutturate), come
definita da Durkheim. Le persone non sanno come inserirsi nelle loro
comunità sociale. Durkheim spiega che questo è uno stato di disordine
morale in cui le persone non conoscono i limiti dei loro desideri e vivono
costantemente in uno stato di delusione. Questo può accadere quando le persone
attraversano cambiamenti estremi nei livelli di ricchezza; sicuramente questi
riguardano tanto lo scenario di rovina economica, quanto quello in cui sorgono
grandi guadagni imprevisti - in entrambi i casi, le precedenti aspettative della
vita vengono spazzate via e sono necessarie nuove aspettative prima che possa
essere valutata la nuova situazione in rapporto ai nuovi limiti.
5.2
– Il suicidio egoistico riflette un prolungato senso di non
appartenenza, di mancanza di integrazione in una comunità. Deriva dal senso di
suicidio per cui l'individuo non ha legami. Quest'assenza può causare
insensatezza, apatia, malinconia e depressione.
Durkheim definisce tale distacco “eccessiva individuazione”.
Quegli individui che non sono sufficientemente legati a gruppi sociali (e
quindi a valori ben definiti, tradizioni, norme ed obiettivi), saranno lasciati
con un limitato supporto e riferimento sociale, e saranno quindi più propensi a
suicidarsi. Durkheim ha inferito
che il suicidio si verifica più spesso tra le persone non sposate, in
particolare tra gli uomini non sposati,
relativamente ai quali ha concluso avessero meno legami e collegamenti a
norme ed obiettivi sociali.
5.3
– Il suicidio altruistico
è caratterizzato dal senso di essere sopraffatti dagli obiettivi e dalle
convinzioni di un gruppo. Succede nelle società in cui
l'integrazione è molto alta, dove i bisogni individuali vengono considerati
meno importanti dei bisogni della società nel suo insieme, ossia la situazione
opposta in cui si produce il suicidio “egoistico”. Poiché l'interesse
individuale non sarebbe considerato importante, Durkheim affermò che in una
società “altruistica” ci sarebbero poche ragioni che incentivino il suicidio.
5.4
– Il suicidio fatalistico si verifica quando una persona è eccessivamente
regolamentata, quando il suo futuro è impietosamente bloccato e le passioni
violentemente soffocate da una disciplina oppressiva.
È l'opposto del suicidio “anomico” e si verifica in società così oppressive che
i loro abitanti preferirebbero morire piuttosto che vivere. Ad esempio, alcuni
prigionieri in un campo di di lavoro potrebbero scegliere la morte piuttosto
che vivere
soggetti a costante vessazione e ad eccessiva regolamentazione.
Il
liberalismo – come pure l’anarchismo – influenzando la descrizione del mondo,
la coscienza, in modo da far percepire il potere istituzionale e delle
collettività organizzate (arché) come tendenzialmente ingiusta limitazione di una presunta libertà naturale,
e vedendo quindi nella regolazione un fattore non accentuativo ma
limitativo delle libertà, produce anomia. Chiaramente, poiché anche la
mancanza di una direzione morale è essa stessa già una forma di direttiva,
rimane libero da ogni intralcio il potere sociostrutturale – il kratos – espressione dei puri
rapporti di forza derivanti dalla classe di appartenenza. Appartenenza che è
tale per nascita o al limite per cooptazione.
6.1
– La legge di Hume
«In
ogni sistema di morale con cui ho avuto finora a che fare [...] all’improvviso
mi sorprendo a scoprire che, invece di trovare delle proposizioni rette come di
consueto dai verbi è e non è, non incontro che proposizioni
connesse con dovrebbe e non dovrebbe.
Questo mutamento è impercettibile, ma è della massima importanza. Poiché questi
dovrebbe e non dovrebbe esprimono una relazione o affermazione
nuova, è necessario che […] si adduca una ragione di ciò che sembra del tutto
inconcepibile, cioè del modo in cui questa nuova relazione può essere dedotta
dalle altre, che sono totalmente diverse da essa » David Hume, A
treatise of human nature, da cui la omonima Legge di Hume: «è logicamente impossibile passare
dall'essere al dover essere, dedurre prescrizioni da descrizioni, valori da
fatti».
Insomma,
il giusnaturalismo liberale (e cattolico) sono, nella loro fondazione
epistemologica, in pieno contrasto con la legge di Hume.
L'anomia può essere quindi
considerata un portato stesso del naturalismo applicato alle scienze sociali.
Non solo delle relative teorie che propongono l'individualismo metodologico
alla Menger, Weber, Hayek o Popper: ma anche di
chi, per quanto portatore di una visione olistica, analizza dalla prospettiva funzionalista
come studiosi del calibro di Durkheim o Merton.
In pratica la concezione naturalistica della società paluda con il
positivismo un paradigma che, in realtà, si propone di normare l'organizzazione
umana.
Questo
capovolgimento di ciò che è dell'Uomo (dello Spirito), con ciò che è alieno
all'Uomo (appartenente alla Natura),
ossia trattando ciò che è artificiale come se fosse naturale, porta ad una
inversione dei rapporti causali dei fenomeni sociali e – dal punto di vista
epistemologico – porta all'inversione
degli enunciati nomologici.
L'anomia può essere
considerata una malattia sociale, una malattia del
pensiero che conduce, in ultimo, a quella che è la sintomatologia della sociopatia; questa trova genesi negli
squilibri generati dai rapporti di produzione, e i suoi vettori di diffusione – in quanto sovrastrutture di questi rapporti
sociali che i ceti privilegiati lottano per
conservare – sono tanto le
comunità scientifiche, quanto i
mezzi di comunicazione di massa che permettono, non solo di divulgare acriticamente i differenti
paradigmi relativizzando i punti di vista in base alle differenti teorie
che concorrono a formare il dibattito scientifico, ma permettono di manipolare
e relativizzare i dati stessi.
Gli
effetti sulla comunità sociale sono totalitaristicamente nichilistici,
in quanto, oltre a paludare la violenza dell’oppressione e dello sfruttamento,
destrutturano psicologicamente le persone aggredite, in perenne stato di stress
psicologico e dissociazione cognitiva. Quindi l’anomia viene alimentata
dal ribaltamento della verità fattuale, dal ribaltamento del gusto estetico
proprio dell'arte e, in definitiva, dal ribaltamento dell'etica sociale secondo
un'assiologia “luciferina”.
Il
relativismo morale del liberalismo di cui il disagio anomico è
espressione, può trovare per definizione unico limite nella sovranità dello
Stato etico della tradizione democratica e sociale, non a caso sotto attacco
dalla tecnocrazia economicistica, cosmopolita e globalista.
La spoliticizzazione e le relative
liberalizzazioni e privatizzazioni, sono l’espressione del consolidamento di
egemonie tiranniche che, per perpetuarsi con sicurezza, hanno
bisogno di infliggere dolore psicologico, di cui il fatto anomico
è la manifestazione più eclatante in contesti di radicali trasformazioni e
ingegnerizzazioni sociali.
Fatto
sociale che, considerato nel suo distopico parossismo, diventa fatto
antropologico che porta con sé gravi ricadute deontolologiche, teleologiche e,
in definitiva, dal punto di vista della storia universale, propriamente
escatologiche.
Da
questa riflessione emerge come l’emancipazione dei gruppi sociali in posizione
subalterna, non sia semplicemente emancipazione di classe, ma – riconosciuta
nel suo profondo intimo la dinamica storica – questa risulta essere emancipazione della specie umana nel suo
complesso.
Lo
stesso assunto elitista per cui esisterebbe un gruppo umano razzialmente
superiore e destinato al godimento esclusivo del prodotto del lavoro, è un
infondato atto di fede (tanto assolutamente, quanto banalmente, interessato; per miopia, avidità e vigliaccheria).