giovedì 31 ottobre 2013

L'EURO-REPORT MEDIOBANCA: I DIPENDENTI PUBBLICI PRO-EURO E LA CREPA NEL MURO DEL PUD€ MEDIATICO.

Con questo post di Voci dall'estero, apprendiamo di un report di Mediobanca al quale la c.d. "informazione" italiana non ha dato particolare risalto nella autentica sostanza delle sue analisi. A riferirci di queste ultime è, infatti, il Telegraph.
Andrebbe soggiunto che in realtà del "rapporto" Mediobanca più d'uno in Italia se ne era accorto; ma parlandone a mezza bocca, in quanto asseritamente "top secret"!...Sì, quanto può esserlo un paper di una merchant che esercita pressioni sul governo per accelerare sulle privatizzazioni.
In sostanza, le voci mediatiche enfatizzavano la cosa ("Il Tempo") essenzialmente come il preannuncio di un default, dal quale implicare ("Huffington Post") che stabilità politica e politiche di austerità e massicce privatizzazioni, specificamente quelle di Monti, sarebbero l'unica salvezza.
Questione di interpretazioni...non a caso.
Le analisi omesse, o sminuite nella loro portata di "notizia", dal sistema giornalistico italiano, va notato, ricalcano fedelmente l'analisi di Alberto Bagnai, anche nel parallelismo con la crisi argentina innescata dal cambio fisso col dollaro, e persino nella citazione del "ciclo di Frenkel".
E dato che Mediobanca ha una gloriosa militanza pro-vincolo esterno, e che il report non solo assume l'insostenibilità dell'euro ma implica anche la sua irriformabilità tempestiva per evitare il disastro, ancora una volta sappiamo che il giornalismo italiano (nonostante i troppo tardivi e del tutto parziali recenti mezzi aggiustamenti), è "più realista del re". Di più: è il vero architrave che sorregge il residuo consenso alla dominazione finanziaria sovranazionale, liberista e colonizzatrice (via "indispensabili" privatizzazioni)che va sotto il nome di "costruzione europea".

E' logico assumere che questa monocorde macchina propagandistica possa proseguire la sua opera solo fondandosi sul mantenimento di una certa fetta di consenso sociale, in assenza del quale, al restrostante potere finanziario, mancherebbe un peso politico-istituzionale. Questo cruciale aspetto ci riporta...ai pubblici dipendenti.
E, in sostanza, al sondaggio, esposto a Pescara, che ci dice che la posizione "pro-euro" alberga compattamente, parrebbe, nelle fila degli stessi lavoratori pubblici.
Siccome il punto mi pare importante, sottopongo alla vostra attenzione la veloce analisi compiuta commentando questo interessante post di Barbara Tampieri (corretto e ampliato in quanto necessario):
"La spiegazione dell'atteggiamento dei dipendenti pubblici, però non è nel fatto che sono stati trattati comparativamente meglio. Specialmente a partire dall'inizio della crisi. In realtà, la via della riduzione di personale, e di deterrenza disocuppazionale deflattiva, perseguita è essenzialmente passata per il blocco del turn over unito a flessibilità e precarizzazione dei survivors...da decenni! E per una conseguente desertificazione di quei nuovi assunti, specialmente in livelli superiori, che riduce la qualità di un'organizzazione già deprivata del livello minimo di investimenti.

Insomma, per adesso, più che di licenziamenti si è trattato di mancate assunzioni necessarie unite a precarizzazione (di cui la "esternalizzazione" è un'altra forma), per una struttura che, per vincolo costituzionale, "deve" esistere e non può essere eliminata dal mercato.
Ovviamente von Hayek aveva pensato anche a questo e teorizzava uno Stato ridotto a fare le strade, le segnaletiche ed a controllare il sistema di "pesi e misure" per le contrattazioni del libero mercato. Il resto poteva essere privatizzato: compresa la difesa e la polizia.

ll problema della scelta pro-euro, però, per quanto conosco il mondo del pubblico impiego (non poco, in decenni di attività professionale "collaterale" alla gestione della cosa pubblica), è di tipo paradossale: l'odio verso il pubblico impiego profuso a piene mani da pdl e lega "di governo", ha giocato nel senso che tutto ciò che sia attribuibile a tali forze, in base a quanto narrato dal sistema mediatico, viene visto automaticamente come una cosa in odio a loro.
In altri termini, utilizzando una grottesca proprietà transitiva, identificano la posizione anti-euro, in base alla vulgata di TV-giornaloni, come una cosa di centrodestra e non, come mi sgolo a cercare di spiegare, come una spinta di liberazione dal liberismo che soffoca il modello costituzionale. E questo certamente perchè TV-giornaloni si guardano bene dal lasciar capire quanto di liberista e oligarchico ci sia nell'€urocostruzione. Addirittura, come emerse in un acceso confronto che ebbi con una giornalista Rai, l'€urocostruzione viene vista come salvaguardia (internazionalista) del valore autonomo della cultura rispetto sia all'economia che alla degenerazione berlusconiana.

Per accorgersi di questa grossolana falsificazione della realtà, dovrebbero avere dei mezzi culturali-cognitivi che in generale gli italiani (ma anche gli altri europei, vi assicuro) non possiedono. Neanche i laureati, che, nella realtà capitalista odierna (anche pubblica) sono "specializzati" e quindi, quanto alla visione culturale "di sistema" si affidano a Repubblica e Corsera (nella migliore delle ipotesi; perchè potrebbero guardare solo la TV e essere avviluppati nei TG e "approfondimenti" di La7 e Rainews24).
La battaglia PER la diffusione della cultura, se posta in termini di verità altrimenti nascoste, risulta alla fine abbastanza facile nei loro confronti, una volta vinta la diffidenza di cui ho cercato di spiegare le ragioni.
E lo dico sulla base dell'esperienza diretta.
Il problema, in ultima analisi, è, per gli impiegati pubblici più che mai, MEDIATICO e pone, ancora una volta il quesito: COME ARRIVARE A LORO, AVENDO IL GIORNALISMO CHE ABBIAMO?
Non so come ma, mettendocela tutta, si potrebbe espugnare anche tale roccaforte senza incontrare particolari resistenze. Ma occorre una strategia mediatica efficiente che, oggi, pare (pare) di difficile attuazione. Ma oggi: e quindi non si sa fino a quando..."

Già, fino a quando, la roccaforte di questo consenso - a questo punto essenziale- potrebbe tenere?
Beh, potremmo dire che sarà almeno fino a quando i "livorosi", militanti in svariate forze politiche (nuoviste e, come abbiamo visto, con grandi tradizioni in questo campo), continueranno ad agitare pulsioni antisistema, accomunando, nella loro generica denuncia, la "finanza globale" con la corruzione e la spesapubblicaimproduttiva (starring: l'intero sistema dei pubblici dipendenti), creando il substrato di reazione difensiva per cui continuano a utilizzare l'equazione da proprietà transitiva sopra detta. Che siano in azione i vecchi o i nuovi livorosi anti-pubblico dipendente, in ogni modo, questo agevola la recettività verso la tambureggiante vulgata mediatica pro-euro.

Tuttavia, proprio dal post di Carmen da cui siamo partiti, va sottolineato un passaggio:
Mr. Guglielmi (autore dell'analisi, ndr.) ha detto che il governo ha previsto per il prossimo anno una crescita dell'1% , passando dall' 1.7% , all'1.8% all'1.9% e così via. E' una finzione. (Citigroup ha detto che la crescita sarà più vicino allo zero sino al 2017) . "A mala pena siamo cresciuti dell'1% all'anno durante i migliori anni del boom globale. Come faremo a farlo ora in tempi molto più difficili? "
Il prof. Giuseppe Ragusa della Luiss Guido Carli di Roma ha detto che il governo si sta arrampicando sugli specchi, sperando che la ripresa mondiale riuscirà in qualche modo a portare l'Italia fuori dal guado. "Loro non stanno facendo nulla. La politica è completamente passiva, non funzionerà, perché siamo in una trappola del debito, ed a differenza della Spagna abbiamo continuato a perdere competitività nei confronti della Germania negli ultimi tre o quattro anni."
La crepa nella muraglia del PUD€, in effetti è aperta.
Tra il suo "crollo", cioè la definitiva "realizzazione" del problema da parte della totalità degli italiani, e la presupposta propagazione veloce della verità dei fatti, c'è solo un ostacolo in via di assottigliamento: il PUD€ MEDIATICO. Come ho già detto, le sue truppe di elite sono dentro a Report, ma pure quelli che abbiamo visto a Pescara (non tutti ovviamente) non erano...malaccio. Intanto ieri, il giornalista Giannino, a "la Gabbia", pareva aver iniziato a prendere "le distanze da se stesso"...
No dico: Saccomanni si sentirà più solo?

mercoledì 30 ottobre 2013

FLASH "MEDIATICO" E NEWS SU PRESENTAZIONE LIBRO DEL 13 NOVEMBRE.

Per cominciare, nel riprendere indirettamente il post sul Sarchiapone, una notiziola singolare: non diciamo divertente perchè noi rispettiamo, in epoca di curva di Phillips e deflazione salariale come "dogma mantrico", le difficoltà di ogni tipo di lavoratore e lavoratrice. Anzi, come sapete, specialmente delle "mamme-lavoratrici" alle prese col meraviglioso mondo di von Hay€k.

Poi una notizia più pratica: GLI INVITI PER LA PRESENTAZIONE DEL 13 NOVEMBRE - in cui mi dovrebbe affiancare Cesare Pozzi, magari terminando l'intervento di Pescara...per chi fosse incuriosito :-)-, STANNO PER PARTIRE.
Quindi non temete: chi si è registrato - O INTENDE ANCORA FARLO ENTRO BREVE- nei prossimi giorni dovrebbe avere l'invito (e se non lo avrà chiederò lumi, cognita causa e nominativamente, in base alle vostre segnalazioni).

A presto a tutti voi e...grazie!: il libro ha esaurito la prima stampa ed è in piena distribuzione della seconda. Dalla casa editrice mi hanno fatto i complimenti e assicurato che ci sarà una maggiore distribuzione diretta presso le librerie. Senza di voi - e gli amici bloggers che mi hanno rilanciato- non sarebbe stato possibile.

martedì 29 ottobre 2013

IL FUTURO PROSSIMO DI CONSUMI E INVESTIMENTI E COME CE LA RACCONTERANNO I MEDIA.

AVVERTENZA INIZIALE. Se vi piace e vi interessa procedete nella lettura; se vi pare arido il sistema dei calcoli, abbiate pazienza perchè NEL FINALE CI RIALLACCIAMO AL TEMA DELLA "INFORMAZIONE"...n.b.: IN FONDO TROVATE UN ADDENDUM DELLE 19.49)

La bilancia dei pagamenti di parte corrente, come già in settembre, si conferma, a ottobre 2013 con un attivo che sfiora i 9 miliardi, pari a quasi 0.6 punti del PIL, (allo stato ipotizzabile, in quanto a fine anno, il PIL stesso sarà ulteriormente calato anche in termini nominali rispetto al 2012, per via degli effetti recessivi "residui" del rientro per 0,1 punti- o forse più-, disposto a ottobre per rispettare il "programmatico" 3% di deficit).
Nel 2012 la correzione di parte corrente dei conti con l'estero era stata nel senso di passare da un -3,1 a un "lusinghiero" (eufemisticamente e certo solo per Monti), -0,6% del PIL, con una riduzione del deficit, rispetto al dicembre del 2011, di 2,5 punti (stavamo appunto al -3,1).
Va nuovamente evidenziato quanto rilevato in un post "anticipatore (ripreso un pò da tutte le parti), che questo risultato è stato raggiunto "austeramente" mediante un calo dell'occupazione sobriamente ricercato e a costo di un inevitabile calo dei consumi: per il 2012 questo è stato di circa -7,8, pari a circa 3,5 punti di PIL (56 miliardi di contrazione "assoluta" dei consumi). Quindi, una riduzione del deficit di parte corrente per 2,5 punti di PIL ci è costata una riduzione di 3,5 punti di PIL.
E nel 2013?
Il miglioramento sul 2012 di CA, ipotizzabile allo stato, che passa da -0,6 a +0,6, cioè 1,2 punti di PIL (circa e allo stato), e purchè i dati non peggiorino repentinamente a causa della rivalutazione dell'euro a 1,40 sul dollaro attualmente in corso, parrebbe, in base ai dati tendenziali della Confcommercio, essersi attestato "solo" sul 2%, e quindi su circa 1 punto di PIL (o poco meno). Il che vuol dire che quest'anno, dando per buona una recessione al -1,8, circa la metà della recessione è dovuta al calo dei consumi.
Il resto, però, è, necessariamente un calo degli investimenti per quasi un punto di PIL: ma considerato com'era già andata negli anni precedenti, ciò conferma che non si tratta più di mero stop ma di vera e propria prolungata distruzione di impianti che non solo non vengono più ampliati (nuove iniziative e rinnovi) ma neanche più manutenuti e riconvertiti. Esattamente come evidenziato da Nuti, citando Kaldor.

Rifacciamo, sotto il profilo qui segnalato, un conticino sul PIL 2014: partendo dal dato di correzione del deficit su basi programmatiche (cioè in base alla legislazione varata tra correzione di fine anno e legge di stabilità), la correzione complessiva, con effetti essenzialmente ormai sul 2014, dovrebbe andare dal fatidico deficit a -3,1 all'obiettivo di -2,5. Qui, a fine pagina, i dati del DEF che lo attestano.
Recentemente, avevamo ipotizzato che questa misura della correzione (ennesima, e in attesa della prossima imminente), pari a 0,6 punti avrebbe generato una recessione 2014, abbastanza certa, di 0,9 punti di PIL. E questo applicando un moltiplicatore di 1,4-1,5, suggerito da Sapir, su basi FMI, e che sconta l'inevitabile incremento tendenziale del moltiplicatore stesso in situazione recessiva.

Se mi avete seguito fin qui (fatemi un segno, please), va però fatta una ulteriore precisazione.
Questo scenario, infatti, presuppone:

a) di non applicare un moltiplicatore più alto in relazione alla prevalenza dei tagli alla spesa pubblica sia per effetti di trascinamento della "inefficiente" copertura dei pagamenti alle imprese (di effetto solo nullo sul PIL, e non negativo, a condizione che si abbia una corresponsione molto più veloce di quella che si sta verificando);

b) di non conteggiare una netta prevalenza di tagli alla spesa pubblica nei saldi della manovra 2013, in omaggio alla tendenza invocata a gran voce e
di cui si vanta anche il buon Fassina;

c) di ritenere sostenibile il mantenimento nell'attuale misura (o addirittura un incremento) del saldo delle partite correnti: infatti, da un lato, l'euro a 1,40, con possibile, anzi probabile, ulteriore apprezzamento, potrebbe peggiorare il quadro di "competitività di prezzo" scontato a cavallo tra fine 2012 e inizio 2013. Dall'altro, il calo prolungato e distruttivo degli investimenti (e anche dei consumi, cioè della domanda interna), potrebbe portare a una vera e propria eliminazione delle imprese italiane, per fallimenti diffusi, anche laddove queste abbiano una precedente quota significativa di export sul proprio fatturato. Infatti, nelle attuali condizioni, non è ipotizzabile che la loro offerta sia sostituita da nuove imprese che sostituiscano quelle definitivamente uscite dal mercato.

Detto questo, c'è un ulteriore fattore da sviscerare: i consumi.
Il calo di questi ultimi, specialmente in situazione di innegabile (almeno per osservatori in buona fede) calo distruttivo degli investimenti, sostiene l'attivo delle partite correnti (comprimendo le importazioni) ma deprime il PIL in misura quasi corrispondente se non superiore.
Abbiamo visto: nel 2012, per un miglioramento di 2,5 punti di CAB, abbiamo avuto 3,5 punti in meno di PIL imputabile a minori consumi. Mentre, nel 2013, è ipotizzabile una quasi parità a fine anno: 1,2 punti di PIL di miglioramento CAB contro poco meno di un punto in meno di PIL-consumi (al lordo degli effetti sui consumi stessi di prelievo fiscale sopravvenuto e del già citato cambio sul dollaro).
Al governo questo è interpretato come un segno di ripresa: ma, viste le condizioni sopra elencate, si tratta di una scommessa...sulla nostra pelle e sui corsi dell'euro che contraddicono la tendenza auspicata.

Va aggiunto, poi, che ai creditori bancari "core" che governano saldamente l'€uropa (avendo BCE e Commissione come passa-veline), sempre più in difficoltà per le loro magagne, il rafforzamento deflattivo dei loro crediti, via euro forte, sta molto bene.
E' facile prevedere che siccome i tagli della spesa pubblica corrente in forniture e servizi e anche in conto capitale, aumenteranno la disoccupazione, persino gli irrisori aumenti di defiscalizzazione del lavoro dipendente risulteranno di impatto inferiore al previsto sulla crescita, cioè sotto i pochi decimali previsti ottimisticamente dal governo.
Il che ci conduce per la consueta via "austera" e imposta dall'€uropa, a manovre correttive già nei primi mesi del 2014 e, quindi, a un aggravamento, rigorosamente fiscal-led, della recessione.
Ma, se ciò come appare sempre più probabile avvenisse, il governo potrebbe effettuare la correzione senza finire in crisi?
La cosa "buffa" (ma non divertente) è che la crisi sarebbe probabilmente provocata da quelli che avrebbero voluto più tagli alla spesa pubblica (diciamo praticamente tutti quelli che oggi hanno interesse alle elezioni anticipate).

IN SOSTANZA, NELLA OSTINATA IGNORANZA SPAGHETTI TEA-PARTY, RISCHIAMO UNA CRISI TRA POCHI MESI PER...NON AVER PROVOCATO ABBASTANZA RECESSIONE.
Ma ovviamente, qualche giornalista "economico", ci verrà a dire che la recessione era proseguita:
a) perchè non siamo stati capaci di tenere sotto controllo il debito pubblico...che in sè frenerebbe la crescita! ADDENDUM: UNA DICHIARAZIONE IN TAL SENSO E' STATA FATTA OGGI DAL MIN.SACCOMANNI ED E' STATA TAL QUALE ACRITICAMENTE RIPORTATA DAI MEDIA;
b) per via di corruzione-evasione-clientelismo-malagestione e quindi perchè non siamo capaci di fare "le riforme" - ADDENDUM: SACCOMANNI HA RIBADITO ANCHE L'ARGOMENTO "RIFORME", con un genericissimo rinvio alla semplificazione della legislazione sull'impresa, che, dovrebbe sapere, è dovuta al 90% a recepimento di norme europee- nonchè di liberarci della casta.
Attendiamo fiduciosi queste spiegazzzzioni illuminanti sul FQ e su Report.

lunedì 28 ottobre 2013

IL SARCHIAPONE DI PESCARA: LA "NON" NOTIZIA.

Si sa che sono logorroico, involuto (chiedo perdono, once and for all, per gli "incisi"), e che non si capisce bene quello che dico.
Perciò sono il meno indicato per fare un commento "a caldo" sul convegno di Pescara. E allora, non lo farò: questo dunque non è un commento. Chiamiamolo piuttosto un Sarchiapone, così non ci scervelliamo a definirlo.
Quindi non mi dilungherò nell'illustrare i vari interventi: mi limito a dire che sono stati tutti di un livello scientifico e di approfondimento che meritava...il prezzo del biglietto.
Di più: la sensazione generale era quella della, già esistente, forza di un movimento democratico di conoscenza critica e di opinione informata che, attualmente, in Italia non ha paralleli.
Per questo, ha risaltato il momento di "dibbbattito" fornitoci dagli esponenti della "informazione".
Questi, con qualche felice eccezione, - segnatamente Massimo Rocca e Vito Lops, che hanno rispettivamente offerto un quadro del "vincolo europeo" in salsa finanza al controllo dei media e della problematicità dei trattati (per quanto un pò "understated")- ci sono parsi un pò, come dire, "indietro".
E' il concetto di "notizia" che ne viene fuori a dir poco, eufemisticamente, ridimensionato, nel suo senso più autentico: offrire una rappresentazione del "fatto", per come si presenta nell'ordine sociale via via che accade e si connette ai suoi antecedenti ed alle sue (prevedibilissime) conseguenze.

L'impressione nettissima è che se si dice che il dissentire, attraverso una ormai stratificata accumulazione di dati e analisi impressionanti, dalla versione continuativa data dai media circa la "costruzione europea" sia una "non notizia", siamo al paradosso.
La notizia, in verità, a questo punto, la diventano loro, i media.
E infatti, il "sistema" dei blog (e non solo: diciamo il dibattito scientifico libero), ha decostruito la loro versione della crisi in modo tale che i "loro" concetti di "politica" e di "economia", assunti in una rigida separazione che renderebbe la prima un qualcosa che, anche solo in ipotesi, sarebbe separabile dalla seconda, sono la vera notizia.
La notizia sta nell'ostinazione di questa versione "scissa", che porta dritti alla totale incomprensione dei problemi. Una incomprensione semplificatrice, controfattuale, e come tale, inadeguata e, in definitiva, rozza.
La suggestione di questo circolo vizioso che si autoalimenta, creando fattoidi che vivono fuori dalla realtà, quindi simulacri esclusivamente a dimensione mediatica - italiana (nel resto d'Europa e del mondo le cose vanno diversamente) è tale che abbiamo sentito dire che l'euro, con la crisi industriale, comprese le questioni ILVA o Alitalia, non c'entra.
Basterebbe ricostruire la storia della privatizzazione dell'Alitalia, €uro-imposta (almeno nelle proposizioni dei nostri governi), o della competitività del manifatturiero italiano che UTILIZZA L'ACCIAIO (forse c'entrano le scelte della Fiat, e sicuramente la perdita da delocalizzazione e da chiusura definitiva, di larghi settori industriali che manifatturavano con macchinari e prodotti che utilizzavano l'acciaio), per capire la "singolarità" di questa affermazione.
Ma non entrerò ulteriormente nel merito: si fatica a pensare che un giornalista, per quanto "economico", liquidi con tanta apodittica sicurezza quanto esposto da Cesare Pozzi, uno dei più attenti e profondi economisti industriali italiani. Che, oltretutto, non era riuscito a completare la sua esposizione, che aveva delineato un poderoso quadro teorico proiettato a illustrare come dei modelli risalenti alla crisi del '29 e intrecciati con problematiche industriali, e sociali, sopravvenute nella contemporaneità, rendesse insostenibile la finanziarizzazione autoreferenziale dell'economia. E quella europea, dominata dal welfare bancario, quanto e più di quella USA, ne costituisce un esempio eloquente. Direi che, cercando le notizie...economiche, sarebbe stato naturale incuriosirsi per sapere come quelle linee strategiche arrivassero a porsi nelle dinamiche dei settori industriali italiani, cioè la parte dell'esposizione che Cesare, per motivi di tempo, non era riuscito a completare.

Tutto ciò pare figlio di un atteggiamento che, dichiaratamente, è ancora nella fase del dubbio. Dubbio se con la crisi italiana l'euro c'entri qualcosa. E, insieme, con l'euro, il liberismo incentrato sulla banca centrale indipendente pura, strumento di realizzazione "gold standard constrained", per usare le parole di Minsky, del tanto invocato e "progressivo" small government-lassez faire, che corrisponde al programma dei trattati europei, realizzato a colpi di shock economy..."un giorno ci sarà una crisi".
Questo dubbio, alla cui base sta un assetto di cui Massimo Rocca ha fornito una spiegazione velata ma allusivamente molto chiara, spiega come si possa dare alla "politica" ancora quello spazio autonomo e "scisso" - dall'€uropa-, che la nostra informazione continua a ritenere addirittura prioritario.
Ma, in fondo, come ho cercato di evidenziare, anche nel mio intervento, e come sottolineato da Claudio Borghi nella sua introduzione, seguita da quella di Alberto Bagnai, tutto ciò è figlio della non conoscenza dei trattati europei e della stessa nostra Costituzione. Esistevano (e ancora esistono) dei "valori non negoziabili". E, invece, sono stati negoziati, eccome. Solo che il mondo dei media non se n'è accorto.
Ma gli italiani, in una massa inarrestabilmente crescente, se ne stanno accorgendo: perchè negoziati e compromessi i valori fondanti della Costituzione, la politica è ridotta a guerra per bande per...il "nulla" del posizionamento di cariche e postazioni nelle istituzioni elettive, governative e paragovernative (poteri locali).
Postazioni e cariche in cui, lamentandosi genericamente contro un destino cinico e baro (di cui gli italiani sarebbero comunque "colpevoli"), la politica esegue i diktat europei, mentre non rinuncia, come dimostrano le stesse vicende politico-bancarie (sempre più palesi), a quel clientelismo e a quello scambiarsi le poltrone, in un infinito riposizionamento che viene chiamato "casta". Ma senza interrogarsi sulle ragioni che veramente stanno alla base del fenomeno.
Perciò, quando l'Italia continuerà ad oscillare tra stagnazione e recessione, in omaggio ai programmi €uropei di "risanamento", per i nostri media sarà sempre una sorpresa, dovuta all'effetto, cioè casta e clientelismo (concetto che, a ben vedere, oggi significa invocazione delle esigenze privatrizzatrici e organizzative volute dall'Europa), e non alla causa: la costruzione €uropea.
E saranno sempre lì a stupirsi che non agganciamo la ripresa ed a colpevolizzare questa o quella banda che lotta per questo nulla applicativo di veline sovranazionali.
Insomma, saranno sempre lì: rigorosamente indietro sulla "notizia".
Il problema, alla fine, sarà il debito pubblico. Che, secondo loro, non c'entra nulla con l'€uropa, neanche adesso.

sabato 26 ottobre 2013

REPETITA JUVANT-2. PER LA SALVEZZA DELLA COSTITUZIONE KEYNESIANA (da Pescara e oltre...)

Ho sentito l'esigenza di rimaneggiare, approfondendolo, il post "COSTITUZIONE, LAVORO E MODELLI N€OLIBERISTI INTERNAZIONALISTI", in quanto lo stesso riproduceva un canovaccio di un discorso più ampio e che esigeva l'espansione dell'analisi rispetto ai principi e punti di partenza originariamente "appuntati".
Di conseguenza, servendomi della struttura di tale canovaccio (che ho aggiornato anche nel post del 14 ottobre), ho ampliato taluni passaggi. E ho aggiunto dei links per coloro che vorranno riportarsi a parti presupposte dell'esposizione già svolta in passato.
In particolare sia nella parte iniziale, sulle premesse di rilievo costituzionale, che in quella finale, riguardante l'orientamento impresso da Maastricht alla funzionalità e finalità ultima dell'apparato amministrativo (e, se vogliamo, anche giurisdizionale, quantomeno sotto il profilo organizzativo e delle condizioni fiscali di accesso alla giustizia stessa).
Nel complesso, ciò consente di precisare e dare un'impostazione più complessiva a problemi di sostenibilità del debito quali quelli sollevati di recente dal prof. Ugo Arrigo.
Spero che ora il discorso risulti più comprensibile, anche, e specialmente, per gli eventuali "giuristi" che rimangono all'oscuro delle linee macroeconomiche disfunzionali che l'UEM ci costringe a subire.
Il principio REPETITA JUVANT, vale anche per acquisire la padronanza del libro, nella sua finalità di offrire strumenti di difesa democratica e costituzionale per resistere alla insostenibile deriva attuale.
Ci tornerà utile, dato che il discorso qui ampliato si connette direttamente all'impostazione del libro "Euro e(o?) democrazia costituzionale" e, quindi, ai "dibattiti" che si potranno svolgere in sede di sua presentazione. Non solo a Pescara, ma in proiezione sulle ulteriori presentazioni che auspichiamo di poterne fare nelle varie sedi...future (dipende anche dalla organizzazione che i volenterosi interessati riusciranno a compiere).


1. La Costituzione si fonda sul lavoro. Ma che cosa intendevano con ciò i costituenti?
E’ un modo per descrivere:
a) la natura del potere costituente primigenio e il fondamento della sovranità democratica;
b) e, dunque, una legittimazione ai diritti politici, del cittadino-lavoratore come soggetto di riferimento principale delle politiche pubbliche; una legittimazione, quindi, inerente a qualunque cittadino che eserciti un’attività che esprima la sua personalità e dignità sociali, non riducibile neppure al solo lavoro dipendente (negandosi, nelle intenzioni dei Costituenti, quali emergenti dagli stessi lavori preparatori della Carta, una pari legittimazione ai titolari di "rendite");
c) il contenuto e la funzione stessa di questa sovranità è quindi quello di tutelare i diritti fondamentali, imperniati sul diritto sociale del “lavoro” e sul principio redistributivo della eguaglianza sostanziale;
d) ciò spiega la seguenza logica degli artt. 1, 3 e 4 della Costituzione (il senso dell'art.2 Cost, sui diritti fondamentali della "persona", viene da sé, in questa cornice che, simultaneamente, consente di capire il legame con la Costituzione economica, come corollario inscindibile dei principi fondamentali: artt. 36, 38, 41, 43 e 47 Cost.). L'insieme di queste norme fondamentali delinea una Repubblica che è fondata su politiche pubbliche a sostegno della domanda aggregata (e non su politiche supply side, cioè esclusivamente a sostegno dell'offerta, nell'illusione neo-classica che, abbassando i costi di produzione, l'offerta, divenuta potenzialmente più conveniente, crei da sola la propria domanda; c.d. Legge di Say).
2. A seguito di Maastricht e, nel perseguire e mantenere i parametri fiscali che ciò impone, si verifica però un fatto scardinante di questa sequenza fondamentale del programma di democrazia insito nella Costituzione.
Da quando, cioè, siamo in saldo primario del bilancio pubblico (740 miliardi totalizzati in 20 anni), e in situazione di banca centrale indipendente “pura”, lo Stato non immette più un differenziale positivo di moneta che promuova il circuito economico produttivo. Cioè non immette più un “valore” aggiuntivo e non riesce a contribuire alla crescita del prodotto interno (riducendo anzi il livello di realizzazione dei compiti-obiettivi imposti dalla Costituzione nel campo economico e sociale e, di fatto, abolendo politiche fiscali autonome e il concetto stesso di politica industriale).
Semmai, dato che tale avanzo è insufficiente a coprire l’onere dilagante degli interessi passivi sul debito, dovuto appunto al regime di banca centrale indipendente (dal governo democratico), la tensione (creata dai privati mercati finanziari) ad accrescere tale saldo primario, fa sì che lo Stato, le politiche fiscali, frenino costantemente la crescita, e questo a prescindere dall’andamento del ciclo economico.

3. Gli interessi passivi, di un debito lasciato ai prezzi del mercato (ed espresso in una moneta non nazionale):
a- o vanno all’estero, cioè tramutano in redditi esteri il prelievo fiscale;
b- o si rivelano meri trasferimenti al sistema finanziario, che vanno ad accumularsi come risparmio bancario o di grandi soggetti economico-finanziari: che, in situazione di grave e perdurante debolezza della domanda, non si tramuta in credito erogato alle imprese ed ai cittadini e certamente non in investimenti (trappola della liquidità, per grandi imprese finanziarizzate, sempre che non siano, a loro volta, pesantemente indebitate).

Quindi, questi interessi, o diminuiscono il valore del PIL o comunque non vi si aggiungono, finendo nel “limbo” del risparmio che non alimenta gli investimenti.

4. Risultato; rispettare il tetto del deficit, imposto da Maastricht, e ancor più drasticamente, il pareggio di bilancio imposto dal fiscal compact, impedisce, da circa 20 anni, allo Stato di perseguire i suoi compiti costituzionalmente sanciti.
Le aree valutarie ottimali (o, peggio ancora, intenzionalmente imperfette, cioè prive di trasferimenti fiscali e di sostegno della banca centrale come prestatore di ultima istanza) non stimolano la progressiva “convergenza”, ma al contrario tendono ad accentuare o quantomeno a cristallizzare le differenze strutturali tra i paesi coinvolti (il loro presupposto, cioè la indispensabile condizione di partenza, è semmai una altissima convergenza di partenza, che, in pratica, ne rende inutile l’istituzione).

5. Ciò provoca output gap (cioè una continuativa minore crescita) o (come ora) recessione; questi fenomeni riduttivi del PIL, a loro volta, determinano contrazione della base imponibile, minori entrate fiscali rispetto a quelle necessarie al realizzare il dovuto saldo primario, difficoltà nel rispettare lo stesso tetto del deficit (per non parlare del pareggio di bilancio) e, come ulteriore conseguenza, AUMENTO DELLA PRESSIONE FISCALE unito a taglio della spesa pubblica corrente. DA QUI LA MORSA “EUROPEA” CHE STA STRITOLANDO IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO, astretto tra mancato sostegno della domanda pubblica e vincolo di cambio eccessivamente alto per la nostra struttura economica. E DA QUI, ANCHE L'INEVITABILE CONSEGUENZA DI UN'INARRESTABILE CRESCITA DELLA DISOCCUPAZIONE (e della sottocupazione).

6. L’unico modo di accrescere il valore-ricchezza nazionale, data la struttura rigida delle politiche fiscali, imposta dalla logica delirante della riduzione del debito e del deficit, sarebbe la domanda estera. Però, com’è noto, l’adozione della moneta unica, in sé, implica un livello di cambio nominale troppo alto per essere conciliato con questa stessa leva, mentre all’interno dell’area monetaria troppo alto è il livello cumulato dei differenziali di inflazione (tassi di cambio reale), non correggibile con trasferimenti federali di una fiscalità centrale (europea).

7. Risultato: la domanda interna è da un ventennio compressa per via del saldo primario; quella estera dal vincolo monetario e, per giunta, l’€uropa stringe ulteriormente i vincoli all’indebitamento e alla riduzione del debito.

8. E’ chiaro che la soluzione sarebbe fare tutto l’opposto di ciò che, in un crescendo demenziale, si fa da almeno 20 anni. Oltretutto perchè lo prevede la Costituzione, con il suo intero sistema dei principi fondamentali.

9. Ma il punto, in fondo, risiede in una idea mercantilista, a modello unidirezionale, che pervade incontrastata l’UEM (su "suggerimento" tedesco. Eufemisticamente parlando).
Si ipotizza cioè, attenendosi a questa verità accuratamente sottovalutata nelle pubbliche dichiarazioni, che l’Italia passi da un deficit CAB in riduzione, addirittura a una posizione (prolungata) di saldo positivo dei conti con l'estero.
Ovviamente ciò mediante contenimento dei costi dell’offerta (formalmente,con misure di dimensioni risibili, di altri aspetti dei costi fiscali) e, molto più, con il sacrificio della domanda interna via deflazione salariale. Che poi implica l'altrettanto prolungato mantenimento di un alto tasso di disoccupazione (o "piena occupazione naturale" neo-classica), essendo inevitabile che la riduzione di tale costo -legato alle dinamiche inflattive- sia realizzata mediante la relazione inversa tra occupazione e livello dei prezzi indicato dalla curva di Phillips.
Pare qualcosa di fin troppo detto, ma da Draghi a Schauble l’affermazione è ripetuta ossessivamente anche in tempi recentissimi.
L’ipotesi è pura utopia neo-classica; una lunghissima correzione tipo gold standard (cioè agente sulla quantità di moneta-valore circolante, mantenuta costante nell'ambito dei conti con l'estero, riducendo cioè l'indebitamento estero ormai accumulato), avrebbe tempi superiori al 2017 e, nel frattempo, il limitato vantaggio competitivo extra-UEM determinato dalla svalutazione dell’euro 2012, viene abbondantemente riassorbito (tranne che per la perdurante convenienza tedesca), mentre si innesca una crisi che coinvolge i BRICS (che dovranno correggere i loro saldi con l’estero e stanno già svalutando), il dollaro (e “sevedeva”), per non parlare del Giappone.

Ma il punto più controverso, se non apertamente irrealistico, è che:
a) si ignora che la domanda interna, nel medio-lungo periodo, è alla base del meccanismo risparmio-investimenti che giocoforza alimenta la vera e stabile competitività, – e certamente non può ipotizzarsi altro che un peggioramento, dato che le nostre imprese esportatrici dipendono pur sempre nella gran parte del fatturato dai consumi interni (in pratica è illusorio pensare che il "credit crunch" sia la causa della crisi e non, invece, uno dei suoi effetti, derivanti dal cambio fisso e dalle politiche fiscali);
b) se il paradigma export-led è generalizzato a tutta l’UEM, come pretende la Germania nel proporsi come modello euro-istituzionalizzato, la gara al ribasso salariale significa prolungato crollo (o stagnazione come si stanno con virulenza accorgendo i francesi, ricchi di “eccettuazioni” fiscali), della reciproca domanda estera intra-UEM.
Ma queste (apparenti) ovvietà, non paiono minimamente turbare i nostri governanti…

10. Su questo si innesta il problema della pubblica amministrazione, del sistema fiscale punitivo, della lentezza della giustizia. A ben considerare i fattori "strutturali" della costruzione socio-economica dei trattati, questi sono solo dei corollari di "questa" Europa.
La banca centrale pura, col costo del servizio del debito pubblico che diviene proibitivo, e la domanda estera che viene meno, comprimendo, appunto, il PIL e la base imponibile, (come s'è visto prima rispetto all'economia reale), determinano il sistematico ridursi degli investimenti nella stessa organizzazione pubblica ed anzi tagli progressivi e mai sufficienti a placare le esigenze dei mercati..."esteri" (in primis gli stessi paesi creditori UEM, come evidenziò a suo tempo De Grauwe). I quali "mercati", negli assunti delle teorie economiche dominanti in UE, sarebbero garantiti solo da una proporzionale crescita del rapporto pressione fiscale/PIL, con buona pace della formali dichiarazioni sull'allentamento dell'austerità, che viene ammessa solo in corrispondenza del taglio, più che depressivo, della spesa pubblica, cioè del sostegno statale all'economia.
Un circolo vizioso che fa ora dichiarare che si allenta la pressione fiscale (ma solo nascondendo le misure di allargamento della base imponibile per gli anni futuri, contenute nell'attuale legge di stabilità), quando in realtà essa deve necessariamente aumentare, e di fatto lo farà, dato che il gettito verrà forzato a rimanere (almeno) costante, ma il PIL oscillerà tra stagnazione e, più probabilmente, recessione (con picchi in occasione delle manovre che tenteranno, senza riuscirvi, di raggiungere il pareggio di bilancio)

L'apparato pubblico diviene così, invece che un erogatore di servizi-utilità conformi agli impegni costituzionali della Repubblica, solo uno strumento di politica fiscale restrittiva della domanda aggregata; e ciò sia sul fronte organizzativo interno (tagliandosi inesorabilmente il "perimento dello Stato") che su quello esterno, nell'economia reale, orientandosi a un crescente prelievo, in varie forme.
Ciò che significa una p.a. che sfrutta praticamente ogni occasione di contatto col settore privato per imporre una qualche forma di tributo o per arrivare a una qualche forma di riduzione dell'erogazione di risorse pubbliche, previste solo sulla carta di leggi ingannevoli.
Una tendenza inesorabile e "occultata" (come "illusione finanziaria" ed anche mediaticamente), magari occasionata da una normativa - rigorosamente voluta dall'€uropa- che, formalmente, ha un'altra e cosmetica, "giustificazione" (ambientale, anti-corruttiva, servente la logica della ossessiva lotta all'evasione fiscale e contributiva, nascente da una pressione ormai demenziale), ma che, di fatto, "deve" assiomaticamente creare un ostacolo agli effetti ampliativi verso il settore privato, con regole sempre più astruse, disseminate di poteri autoritativi di decadenza, revoca, rallentamento istruttorio, termini decadenziali ed eccettuazioni riduttive dell'erogazione dei benefici pubblici.

Uscendo dall’euro un risultato sarebbe agevolmente perseguibile su questo fronte. Quasi un riflesso "culturale" automatico. Per il solo fatto di ridare respiro al modello costituzionale (forzatamente sterilizzato).
Nell'immediato, non avremmo le competenze di governance e di capacità industriale, in effetti (le abbiamo "smontate" in 20 anni di smantellamento del sistema della formazione, istruzione e ricerca, pubbliche, nonchè di precarizzazione del lavoro, in sè "anti-innovativa" dei processi industriali).
Ma, pur essendo ciò un grave problema, si era riproposto anche nel 1943-45 (anche se, sul piano produttivo, al tempo la questione era più semplice).
Tuttavia, rispetto all'orientamento generale della pubblica amministrazione, il problema sarebbe minore: la complicazione normativa, procedurale e gestionale, lo stato di "eccezione" (e di "eccettuazione"), deriva essenzialmente dal caotico sovrapporsi di standards e forme di gestione UE, nonchè dall'ossessione fiscal-finanziaria, sempre €uro-trainata.

Insomma, senza l'€uropa, (e purché non si faccia come Cameron), e la sua filosofia applicata italian way, (che raggiunge il suo acme nelle politiche tremontiane-montiane del 2011-2012, fino al revival apparentemente "soft" di oggi), la tendenza a rendere la p.a. un interlocutore che freni, punisca, metta in stallo, pur di non dover erogare un pubblico beneficio - in modo da rispettare i parametri di Maastricht!-, dovrebbe venir meno.
E con esso pure le pletoriche strutture e sprechi legati alla cosmesi politically correct UE ed alla privatizzazione societaria delle forme di gestione degli interessi pubblici, tornando alla più economica e trasparente gestione in forma pubblica...

giovedì 24 ottobre 2013

LE FORME FRATTALICHE OPACHE E LA "FEDE" INCROLLABILE DEI GIANNIZZERI DEL PUD€

Mi avvedo che alcune interessanti e approfondite discussioni su questo blog e non solo, ripropongono l'esigenza di aggiornare l'ipotesi frattalica. O meglio quel che, alla luce delle forme "frattaliche" che si affacciano dagli eventi, ne può essere una interpretazione coerente con i fatti.
In questo post avevo fatto una precisazione che a molti, - che mi scrivono anche delle mail, rimanendo fermi a uno schema in cui l'8 settembre coincide con la fine dell'euro, come se ciò possa rappresentare in sè la svolta epocale (questione dibattutissima, nei termini di "uscita da destra o da sinistra"), pare sfuggire:
Sto cominciando a maturare la convinzione che, in assenza di stalinismo alle porte, è impossibile replicare la stagione keynesiana-costituzionale post 1943.
Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto.
La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell'informazione.
...la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre agì, in definitiva, molto più in Occidente e sul capitalismo che nell'est europeo e sul socialismo reale, il quale degenerò in stalinismo e, successivamente, in burocratismo centralista, sul piano interno, e imperialista puro (cioè a base essenzialmente nazionalista, come predicò espressamente Stalin) sul piano internazionale.
Il prodotto di tale "spinta" sui paesi capitalisti, altrettanto evidentemente, sfociò nelle democrazie pluriclasse redistributive, quelle cioè in cui il profitto non era l'unico fine ammesso e la struttura dei mercati non ipotizzata sulla libera determinazione della domanda e dell'offerta: cioè non vigeva (più) un'ipocrita idealizzazione dissimulatrice della superiorità del capitalista sul resto dell'umanità (al contrario di oggi, in cui questa ipocrisia è ridivenuta un dogma generalizzato per tutta la classe politica)
L'ipotesi frattalica, naturalmente, è imperniata sull'Italia e sui suoi rivolgimenti; ma di certo implica l'interdipendenza con uno scenario planetario in cui le forze più importanti agirono da cornice "attiva", anzi determinante. Gli USA, lo sbarco anglo-americano, gli eventi ad est, con l'avanzata russa in occidente, la stessa liberazione della Francia da parte degli alleati sempre anglo-americani.
Questi macroeventi di scenario, se riferiti all'euro-break o exit, non li ritroviamo. E quindi l'ipotesi frattalica, definita da taluni "atlantista", si rivelerebbe un vicolo cieco.

Ma se noi ci imperniamo sul diverso evento costituito dalla fine dell'ideologia "von Hayek" nelle sue complessive propaggini(non necessariamente della sua specifica dottrina economica), le cose cambiano alquanto.
La questione "Le Pen" in Francia, consistendo in un recupero dichiaratamente keynesiano dell'interesse nazionale, realizzato nell'interventismo socio-economico dello Stato, assume un senso del tutto diverso.
Allo stesso modo, la nostra alleanza con la valorosa "guida" alemanna, ci fa comprendere come, seppure in modo contraddittorio e imperfetto, la nostra dottrina ossessiva della "costruzione europea" costituisca lo strumento di dissipazione definitiva della stagione costituzionale dei diritti sociali.
Quindi, non certo la manifestazione di una fede "internazionalista" cooperativa che, come i fatti attestano prepotenti, in sostanza è l'ultimo dei problemi che si pone la Germania (e l'UEM in genere). Interessata piuttosto ad imporre la distruzione dello Stato "altrui" (il famoso von Hayek per fessi), la Germania instaura invece, al suo interno, un tipo di Stato nazional-liberista che, anche nei meccanismi assistenziali pubblici delle riforme Hartz, finisce per essere esclusivamente servente al mercantilismo imperialista.
Questi aspetti ci riportano ad uno strano quadro frattalico, ibridato di caratteristiche sia dello scenario che diede inizio alla prima guerra mondiale che di quello che, invece, pose fine alla seconda. Confesso, che elementi come il cerchiobottismo USA sull'Europa, riguardo al recupero della finalità di benessere democratico dell'intervento statale (quale definito da Minsky), frutto di un irrisolto scontro di potere al suo interno, tengono la situazione "in sospeso". Un indecifrabile e ormai surreale "sospeso".
E questo pur in presenza di prevalenti esigenze dettate dall'interdipendenza delle economie globali, che vedrebbero gli USA, come Stato-comunità, interessatissimi al recupero della crescita nell'area UEM, cosa che, per molte voci americane (parliamo dei premi Nobel Krugman e Stiglits, anzitutto), è chiaramente ottenibile solo con la dissoluzione dell'area euro ed il recupero di quella stessa capacità di intervento pubblico in deficit che, però, loro stessi si stanno precludendo.Un bel rompicapo, non c'è che dire.

Abbandonando, per attuale carenza di indizi sufficientemente chiari (almeno per ora) il riferimento frattalico alla seconda guerra mondiale, quello che risalta è la mancanza di un modello politico-economico, condiviso come praticabile a livello mondiale.
La teoria dello Stato "von Hayek", funzionale alla dissoluzione sovranazionale di ogni riconoscimento del conflitto sociale, è considerata (tranne che in Italia, dove peraltro si lamenta l'inefficiente ritardo nel realizzarla!), ormai recessiva, nei paesi avanzati. Gli USA stessi se ne rendono conto, pur avendone realizzate grosse porzioni; noi in Italia, non avendolo fatto, abbiamo classi di governo e dirigenti fanaticamente convinte di tale ideologia.

In generale, ci si sta rendendo conto che le implicazioni di una domanda sostenuta, e quindi l'occupazione e il connesso potenziale di consumi e risparmi che viene deprivato accogliendo la visione deflattiva e monetarista (gold standard shaped), svolgono (grande ri-scoperta!) un ruolo essenziale nella stabilizzazione del ciclo economico. E, anzi, persino, a essere realistici, rispetto alla stabilità finanziaria e bancaria, connesse, in definitiva, alla possibilità di ripagare i debiti e di ristabilire la fiducia, che non può più, ormai, essere sconnessa dalla crescita dei redditi degli esseri umani, e cioè, facendo di questi solo delle pedine seriali per i calcoli allucinati nelle stanze dei bottoni dei "mercati" prima e poi, a seguito della crisi, delle banche centrali, "catturate" dalle multinazionali del settore.

Si sa ormai, anche se viene dichiarato solo implicitamente nei G20, che la nuova macroeconomica classica non ha funzionato e ha prodotto solo danni ("lo si sa" sempre con l'eccezione dell'Italia e - ma con diversi presupposti- della Germania: questo restringendoci ai paesi economicamente più importanti nell'ambito delle democrazie "mature").
Tuttavia, una domanda: fino a quando l'Italia potrà continuare a fare "l'oca giuliva" che combatte con il massimo entusiasmo nelle fila di un esercito sempre più sfaldato, che appare potente digrignando i denti coi suoi comandanti, ma che nei ranghi è già sfaldato nel morale?Solo in Italia, sono così "gasati" e compattamente credono nella vittoria, contando su una falange mediatica e di orientamento politico che non ha pari.
Basti pensare a come è stato narrato, qui da noi, lo shutdown USA, senza mai menzionare che alla sua base c'era proprio l'attacco, abbastanza disperato, dei tea-party contro l'intervento pubblico a favore della crescita, nella ottusa fede nello spiazzamento a favore del privato come sistema di uscita dalle crisi.
Negli USA tutto ciò è oggetto di un dibattito aperto e violento.
In Italia neppure si sa che, a rigore (in tutti i sensi), tutte le nostre forze politiche sarebbero state decisamente sulla stessa linea dei tea-party. Molto più della classe politica della stessa Germania, che realizzando finora dei surplus esteri, ed avendo un basso livello di disoccupazione (certo, mascherata dalla sottoccupazione e definitiva emarginazione sociale di larghi strati della popolazione), si trova ben più lontana di noi -per ora- dalla situazione degli USA.

Ora questo vuoto di paradigma condiviso è certamente anche un fatto mediatico: la finanza sovranazionale controlla istituzioni di governo (finanziandone direttamente o indirettamente le forze politiche) e, più ancora, i media. Ma essa stessa è indecisa; tra backstop bancari, a carico pubblico, e deleverage - comunque a carico dei cittadini e proprio mediante la fiscalità statale-, sa di essere seduta sopra una bomba atomica e non vede come sfangarla.
O meglio, l'impressione è che coesistano diverse visioni. Ma tutte con lo stesso irrisolvibile dilemma (parliamo della classe oligarchica degli a.d. executive, che finora non ha visto dimunire i suoi vertiginosi compensi e, in paesi come l'Italia, ha visto anzi aumentare la propria "intangibilità" dalle conseguenze della congiuntura): posso sfangarla grazie allo Stato - includendo in ciò anche la natura essenzialmente pubblica dei POTERI lasciati alle banche centrali-, ma a fino a che punto lo Stato può sopravvivere ed avere queste dimensioni di intervento se ne distruggo il substrato comunitario e solidaristico?
Un mondo di disoccupati senza casa, e senza speranza, non può nè essere tassato, nè tosato dei suoi depositi bancari, nè essere ricattato su prospettive di lavoro che vengono definitivamente distrutte.
Non siamo ancora a questo punto, ma, specialmente in UEM, si rendono conto che è solo questione di tempo. Anche se non lo dicono.
Solo in Italia i giannizzeri del PUD€ credono ancora ad una realtà in via di dissoluzione (e che, in effetti, non è nemmeno mai esistita).

mercoledì 23 ottobre 2013

OPERAZIONE VERITA': REPETITA JUVANT-1

Vi segnalo, ove vi fosse sfuggito, questo post su Vocidall'estero "Operazione verità, a che punto è la notte italiana", che è stato pubblicato simultaneamente da un gruppo di blog in sinergia.
Il post, attraverso una serie di dati relativi agli indicatori reali o, invece, predittivi (secondo le originarie stime del governo), dello stato della finanza pubblica italiana, dimostra non solo la sistematica erroneità delle stime in base a cui sono effettuate le manovre finanziarie, presuntamente tese a "mettere in sicurezza" i conti pubblici, ma anche come gli effetti concreti di questi interventi "seri e credibili" producano sistematicamente effetti divergenti e peggiorativi rispetto agli stessi fini dichiarati.
Ma c'è di più, e di peggio: nel provocare effetti contrari agli obiettivi dichiarati, l'austerità espansiva peggiora le condizioni dell'economia reale, provocando e prolungando la recessione. Al punto che in questo blog (e in sedi scientifiche, compreso il libro "Euro e democrazia costituzionale") si è ipotizzata la illegittimità costituzionale delle manovre finanziarie ispirate all'adeguamento ai criteri di convergenza di Maastricht - che hanno determinato un durevole output-gap, cioè la minor crescita di un PIL da allora stagnante-, mentre la stessa contrarietà all'impianto fondamentale della Carta vale, a maggior ragione, per il "pareggio di bilancio".
Le stesse conclusioni cui perviene il post, - un'Italia destinata a oscillare tra stagnazione e recessione fino a che verranno applicate le politiche "austere", con la simultanea distruzione del welfare- le abbiamo già esposte in precedenti post, praticamente con parole quasi identiche.
Ve ne ripropongo un "montaggio", con l'avvertenza che alcune previsioni e cifre sono state date in base ai dati al tempo disponibili. In realtà la situazione si è poi persino aggravata.
Il primo post è del 30 aprile 2013, "
Il moltiplicatore, il pareggio di bilancio e i conti che non torneranno", e mostra il meccanismo in forza del quale si verifica ciò che è "constatato" nel post linkato ed a cui ci stiamo ricollegando.
Il secondo post è del 3 luglio 2013, "
Deficit, pareggio di bilancio e pseudo-ripresa", e illustra come, continuando senza alcuna esitazione sulle stesse politiche, a parte delle fasi di rallentamento strategico, l'agire dello stesso meccanismo escluda ogni possibilità di agganciare la ripresa, propagandisticamente mitizzata (ma solo per poter proseguire indisturbati nelle riforme di smantellamento dell'intervento statale a fini di strutturale deflazione salariale).
I due post contengono argomenti comuni che sono ripresi, a distanza di tempo, ma la ripetizione nella rispettiva esposizione, una volta accostatili, non risulta inutile (a sentire Fassina che parla a "la Gabbia" in questo preciso momento): in realtà, nell'osservazione dei fatti che essi sviluppano, si compendiano in una dinamica critica proporzionale alla cieca ostinazione con cui si sta provvedendo a distruggere l'Italia. Con risultati, aggiornati ad oggi e per il futuro, persino peggiori di quelli previsti, nelle linee generali, in quelle sedi
.


1° POST
Il moltiplicatore fiscale è una faccenda complicata. Infarcito di variabili su fattori rilevanti opinabili, secondo gli stessi ricercatori, quel che è certo è che esista. Ovviamente nessuno si azzarda più a usare quello originario Keynesiano, ma intanto, ci attestiamo sugli ultimi, ma non solo, studi di FMI-Blanchard.
E facciamo una semplificazione da praticoni come di consueto.
Con l'avvertenza che la prima parte dell'esposizione, quella relativa all'individuazione dei moltiplicatori utilizzati e alla ricostruzione dei calcoli "ufficiali" dell'Economia e di Bankitalia, è quasi un "divertissment", che mira a enfatizzare la confusione totale in cui sono piombati (al PUD€). Essenzialmente per celare la strategia di conservazione del potere e "temporeggiatrice" che stanno disperatamente adottando in attesa di vie d'uscita che, i più accorti tra "loro" (qualcuno forse ci sarà), si rendono conto essere molto scarse.
Quindi svolte badogliste sempre più probabili e calcoli di futuro riposizionamento opportunistico che dominano, come "retropensiero" che i media irregimentati non riescono più a ben dissimulare, tutto quanto sta accadendo.

Allora, rinunziando a distinguere tra moltiplicatore della spesa corrente e quello del public investment, e al periodo, breve o medio, di rilevazione, avevamo ipotizzato, un moltiplicatore di circa 1,6-1,7 per ogni punto di riduzione del deficit via tagli della spesa .
Sapir, usando lo stesso metro - riferimento al punto di PIL di minor ìndebitamento, però senza troppo distinguere nel mix di tagli e tasse-, ci dice che il moltiplicatore è "1,4, se non di più".
Quindi diamo per buono l'1,5 "medio" in relazione al tipo classico di mix in cui sono FINORA consistite normalmente le manovre; poi potremmo accreditare, sempre per semplificazione empirica, un moltiplicatore, ad origine FMI, di 0,8-0,9 per le misure di imposizione fiscale (nuove tasse o tagli delle stesse) e di 1,7 per la spesa pubblica.
E' ovvio che il sistema è, come detto, grossolano, ma vedremo poi come appaia ORA ragionevole tendere ormai a tarare il moltiplicatore "mediato" sul taglio della spesa piuttosto che sull'aumento dell'imposizione. E quindi il criterio omnicomprensivo mediato di Sapir ci appaga, confermato com'è dai calcoli qui in precedenza effettuati, poi asseverati dalle successive uscite dei nostri responsabili economici.

Con questi "grossolani", ma pragmatici e più realistici, mezzi a disposizione, la situazione sarebbe questa:
Quello stimato per il 2013 sarà del 2,9.
In precedenza, prima del provvedimento d'urgenza sui crediti delle imprese verso la p.a., abbiamo anche quantificato, - in base agli effetti dei tagli della spesa 2012 sul 2013 e alle operazioni di rifinanziamento di CIG, rimedi per gli esodati e contribuzione varia ai fondi e ai salvataggi europei, cioè alle voci "inevitabili"-un deficit intorno a 2,4/2,5 punti di PIL.
Che poi questo sarebbe l'indebitamento "ante-pagamento crediti alle imprese" ci è stato confermato dallo stesso governo e al centesimo in corso d'anno: l'indebitamento annuale sarebbe stato al 2,4% (evidentemente scontando gli oneri ineludibili indicati nella prima stima da noi effettuata), ma si aggraverà, a seguito del DL sui crediti alle imprese, fino al 2,9.

La Commissione UE, però, non si fida. Ma perchè non ha chiara la situazione contabile: non perchè creda nel moltiplicatore, nonostante gli studi di Blanchard abbiano stigmatizzato proprio il "loro" calcolo dello stesso, stimato a 0,4-0,5, livelli che, per l'ufficio studi del FMI, va bene per i paesi del terzo mondo e non per paesi a capitalismo avanzato e in vincolo di cambio fisso come l'area UEM.
Senonchè, e ovviamente lo diciamo sempre sulla base dell'approssimazione grossolana che il confuso balletto di cifre e di criteri "ufficiali", e ufficiosi, ci consente, i 20 miliardi da erogare come pagamenti alle imprese entro quest'anno, sarebbero pari a 1,3 punti di PIL abbondanti. Di cui solo una parte sarebbe già scontata, col criterio di cassa, nella spesa in erogazione e quindi non inciderebbe sul deficit. La parte che invece non solo agisce sul debito da emettere da parte del tesoro, ma ANCHE sull'indebitamento-deficit, avrebbe un effetto sul deficit (non sarebbe nell'ammontare) pari a, evidentemente 0,5 punti di PIL.
Ciò quindi non significa che l'ammontare "scoperto" dal criterio di cassa sia intorno ai 7,5 miliardi circa: per avere un effetto sul deficit di questa portata, infatti, deve essere ben superiore (il deficit è un differenziali tra flussi in entrata e in uscita).
Infatti, in termini contabili dare/avere, tutto ciò che non trova già coperura nella spesa programmata nel 2013, è stata fatta oggetto di previsioni apposite di ulteriore copertura per poco meno di un punto di PIL, da raggiungere, si noti, mediante tagli futuri, a carico degli enti locali erogatori, e comunque di tagli lineari a carico delle amministrazioni centrali.
L'ammontare di questa modalità di copertura non graverebbe però per intero sull'anno in corso, per cui non sarebbe indicativa per riquantificare con esattezza i dati 2013. Ma accontentiamoci del principio di copertura annuale immaginandolo corrispondente a pagamenti effettuati entro lo tesso termine, con sorprendente efficienza.
Dando dunque per scontata la solerte esecuzione dei pagamenti, senza eccessivi ritardi burocratici accuratamente disseminati nella disciplina di pagamento (un vero e proprio atto di fede), per avere un aggravio di 0,5 punti di PIL nel deficit 2013 vuol dire che dobbiamo risalire al moltipicatore utilizzato dall'Economia: questo risulterebbe, in base ai dati ricavabili dalle rilevazioni precedenti, di circa 1,3. Lo abbiamo desunto da come ha eseguito i calcoli previsionali correttivi della recessione 2013.
Quindi la spesa aggiuntiva per i pagamenti della p.a. dovrebbe avere un moltiplicatore di 1,3,  dando luogo a un differenziale positivo teorico di crescita di 1,69 punti di PIL.
Che, a sua volta, dovrebbe dare un gettito approssimativo, di nuove entrate, di poco meno della metà, calcolando la pressione fiscale annuale "media" attestatasi oltre il 46% (con le oscillazioni che registrerà trimestre per trimestre, a seconda degli adempimenti e dando per altrettanto scontato l'aumento dell'IVA per giugno o, in sua sostituzione inevitabile, una manovra sulle deduzioni/detrazioni fiscali).
Senonchè, per arrivare a un deficit aggiuntivo di 0,5 del PIL, questi 1,69x0,46= 0,78 punti di PIL di nuove entrate, dovrebbero portare, simultaneamente, a un calo del gettito determinato dalla anzidetta copertura mediante tagli alla spesa: supponendo infatti di attenersi al moltiplicatore "ufficiale ricostruibile" di 1,3 (che però è errato per difetto, perchè sarebbe in realtà 1,7, secondo i parametri del FMI), ciò vuol dire che l'ammontare della copertura avrà dato un risultato recessivo superiore a quello dell'effetto espansivo; "aggiustando" i calcoli deduttivamente, a ritroso, dovrebbe essere pari a un minor PIL per 2,5 punti circa, e quindi a minori entrate (da caduta della base imponibile) per corrispondenti 1,15 punti di PIL, sempre alla pressione fiscale ipotizzata di 0,46% sul PIL.
Ma allora i conti proprio non tornano: com'è possibile?
Una contrazione di PIL di 2,5, con un moltiplicatore di 1,3, dovrebbe essere corrispondente a tagli aggiuntivi di copertura per 1,92 punti di PIL, mentre invece parrebbe di capire, dalle cifre poste nel DL "crediti delle imprese",  che la copertura, in realtà  pure scaglionata a cavallo di questo e del prossimo anno, è pari circa a 0,8 punti di PIL!
E, tra l'altro, se così fosse, i differenziali tra spese aggiuntive effettuate e quelle tagliate porterebbero una recessione aggiuntiva di circa 0,8 e quella totale a fine anno a 2,1 punti di PIL (e non è detto che poi non sia così, ma per altre vie).
La verità? Non hanno usato alcun moltiplicatore: il calcolo effettuato per ricorreggere il deficit 2013, per come esaminato dalla Commissione, è stato basato sul fatto che si considera il solo fatto contabile di (ipotizzabile) cassa: al netto della copertura mediante tagli nel loro ammontare nominale ci sarà un'erogazione di spesa aggiuntiva di circa 0,5 punti di PIL, che si riflette in misura essattamente corrispondente sul deficit.
Cioè, non si applica in queste previsioni iniziali alcun moltiplicatore. Semplicemente se ne nega l'esistenza e si procede come se lo Stato fosse un'impresa, e non determinasse il meccanismo complessivo dell'intervento pubblico e della leva fiscale, cioè la sua influenza propagantesi sul PIL. Come se conseguentemente la contrazione-espansione della spesa pubblica, in base al moltiplicatore, non agisse a più livelli sui fattori aggregati della domanda.

Poi, quando si faranno aggiornamenti in base al consuntivo trimestrale, cioè dell'andamento reale dei conti pubblici, ci si accorgerà che il moltiplicatore esiste, se non altro perchè "è inutile discutere con i fatti".
Ma i calcoli saranno così sempre sbagliati.
Il fatto è che, se li facessero giusti, stimando un ragionevole moltiplicatore, le politiche suggerite si rivelerebbero in partenza sempre sbagliate
E non possono permetterselo. Devono prendere tempo: anche ora, anzi subito.
Ma questo perchè, come si legge abbondantemente sui giornali, si sono convinti che occorra dire che l'austerità va allentata.
Solo che non ci raccontano per bene come: ciò, infatti, sarebbe raggiunto mediante alcuni ventilati alleggerimenti di imposizione fiscale, ma anche spese "sociali", come il rifinanziamento della cassa integrazione straordinaria, possibili redditi di sostegno (cittadinanza a metà?) alle famiglie in difficoltà, soluzione del problema esodati, e via dicendo.
Vigendo tuttavia il "pareggio di bilancio", tutti questi saranno finanziati principalmente con tagli della spesa. Per 10 o 20 miliardi, non si sa bene, e non si neppure in che arco di tempo, a seconda di quali sgravi, tipo IMU, mancato aumento dell'IVA a giugno, allentamento del patto di stabilità coi comuni, saranno per primi dati in pasto alla propaganda della "Nuova era".
"Era" che nuova non sarà affatto: se per dare il sostegno alle famiglie taglierò, abolendoli o accorpandoli, altri sussidi sociali, nella migliore delle ipotesi avrò raggiunto un risultato neutrale.
Se invece, notate bene, per dare copertura a sgravi fiscali opereranno tagli alla spesa in misura corrispondente, il risultato sarà di aggiuntiva recessione.
Perchè, infatti, lo sgravio fiscale aumenta il reddito disponibile effettivo meno della spesa pubblica: il primo ha un moltiplicatore comunque inferiore, supponiamo, di 0,8-0,9, attenendoci alla semplificazione per il breve periodo del calcolo  del FMI; la seconda, "in media", di 1,5 (se non di 1,7: almeno, date le condizioni creditizie della nazione e la straordinaria rigidità della curva IS, che solo la spesa pubblica può sbloccare).
Quindi mentre la sostituzione di spesa sociale con altra è una mera operazione neutrale da punto di vista del PIL, cambiando soltanto, a seconda dell'individuazione dei beneficiari rispetto alla legislazione presistente, la distribuzione del reddito, la sostituzione di tasse con tagli a loro copertura è un'operazione recessiva. Cosa che molti di voi sanno benissimo.
Ma è proprio per questo che hanno bisogno di ignorare il moltiplicatore.
Ed è proprio per questo che in breve, attuati programmi fiscali del genere, si ritroveranno con recessione perdurante e amplificata sulle previsioni 2013 e 2014.
Basta attendere pochi mesi.
Ammesso, per concludere, che mentre comunque gli accantonamenti dei relativi fondi - creati mediante tagli- già operano, siano poi resi effettivi i pagamenti dei crediti alle imprese: cosa che pare proprio impossibile, dato il regime di "burocrazia a ostacoli" prescelto. Il che accelerererà sia la recessione, sia l'andamento dei conti fuori previsione, anche prima dell'effetto delle nuove manovre.
Insomma, a noi non danno scampo, ma pure "loro" non stanno tanto bene...

2° POST
Per chi se le fosse perse, e ad ogni buon conto, faccio il montaggio delle risposte date alle pertinenti osservazioni fatte da Lorenzo Carnimeo:
"Una cosa va detta: tecnicamente, se accettano di lasciare nel breve periodo il deficit al 3%, può in effetti verificarsi un periodo di assestamento con crescita poco sopra lo 0,...
Ma questa è un'ipotesi che non tiene conto della bilancia dei pagamenti: questa ha avuto un miglioramento "ante mortem", dovuto alla restrizione fiscale della domanda interna (aumenti dell'IVA e delle accise sui carburanti, con generale e drastica caduta dei consumi).
Tuttavia, la recessione (innescata dalle manovre dell'estate 2011 e seguenti) ha inciso in modo strutturale sull'offerta nazionale: la caduta simultanea e drammatica di investimenti e consumi, porterà alla incapacità di produrre quanto una "eventuale"domanda, non dico in crescita, ma anche solo "stabilizzata", potrà comportare.
Ecco allora che, dopo una fase di stagnazione (crescite 0,3...) che verrà salutata come ripresa, la bilancia dei pagamenti (in tutte le sue voci, non solo per la partita "merci", beninteso), ritrascinerà l'Italia in recessione e si procederà a nuova deflazione salariale (unico metodo di correzione conosciuto in UEM), nuova caduta della domanda, nuova deindustrializzazione da caduta della domanda;  e perciò calo del PIL, del gettito fiscale, acuito da furiosi tagli della spesa pubblica (in risposta) e quindi fallimento successivo dell'obiettivo di deficit.
SE SI RIMANE NELL'EURO, questo e solo questo ci attende; PER DECENNI.
Cioè il ciclo oscillerà sempre e solo tra stagnazione e recessione: e con una frequenza allarmante e distruttiva.
Esattamente come prefigura ciò che è accaduto dal 2002 ad oggi.
Quindi non avremmo una "ripresina";  in realtà sarebbe una "non recessione". Cioè crescita prossima allo zero, ma non negativa (sostanziale stagnazione).

Cerco di farla sintetica:
il margine di spesa pubblica è in realtà estraneo a ciò; come dice pure Munchau si tratta di programmi risibili. Quelli attuali e pure i futuri; gli sbandierati cofinanziamenti esigono pur sempre un concorso di spesa nazionale, contabilmente ridotto a essere simbolico;
- la "non recessione", nella visione paradossale e ormai fuori dalla realtà dei responsabili della nostra economia, è in realtà dovuta:
a) al fatto stesso di consentire il mantenimento di un deficit e di non perseguire con immediatezza il pareggio tecnico (-0,50, in assenza di congiuntura);
b) il che significa di non dover calibrare, con la stessa frequenza e dimensione degli ultimi 2 anni, manovre di austerity su questo obiettivo, lasciando, più o meno i conti come stanno e attendendo, secondo le "loro" previsioni, che la deflazione salariale aumenti la competitività e l'export;
- questa stessa aspettativa conferma che la recessione è dovuta tutta alle politiche fiscali!;
- poichè invece la crisi è di domanda, anche lasciando le cose come stanno (più o meno, e comunque per il 2014, perchè il 2013 è già di recessione), la domanda interna calerà lo stesso e non potrà essere sostituita da quella estera "aggiuntiva", perchè mancati investimenti e deindustrializzazione nazionali sono stati portati troppo in là, mentre i nostri vicini UEM soffrono di problemi analoghi e il livello del cambio non ci consente una vera espansione extra-UEM;
- differenziali di interessi, credit crunch, crollo del valore patrimoniale di assets finanziari e immobiliari, porteranno poi ad una ulteriore forte fuga di capitali, i cui rendimenti permarranno all'estero e non verranno reimportati (fenomeno simile alla fuga delle expertise migliori, cervelli e relativi redditi in fuga);
- siccome non sanno PERCHE' E DOVE SBAGLIANO, di fronte alla caduta della domanda (interna e estera), e quindi di gettito fiscale (e persino con innalzamento di spesa per disoccupazione), non sapranno far altro che tassare ancora e tagliare la spesa comprimibile (che si allargherà a dismisura, con acclamazione mediatico-livorosa). Nel tentativo di arrivare prima o poi al "pareggio di bilancio".

Risultato: brevi stagnazioni preluderanno a fasi recessive da ripresa della austerity.

Vorrebbero andare avanti così all'infinito gli ITALIAN-PUD€, non avendo capito il moltiplicatore e cosa non funzioni nel vincolo di cambio.
Perchè l'euro, per loro, è irrinunciabile e la deflazione salariale come prospettiva illimitata nel tempo li esalta troppo.

Ora, fresca di giornata, arriva la notizia ANSA che conferma al 100% questo quadro.

"La Commissione Ue ''consentira' deviazioni temporanee dal raggiungimento dell'obiettivo di medio termine'' che consentiranno ''investimenti pubblici produttivi'', cofinanziati dalla Ue. Lo ha annunciato il presidente Jose' Barroso e oggi il commissario Olli Rehn scrivera' ai ministri per spiegare il nuovo approccio.
La Commissione, ha spiegato Barroso, "ha esplorato ulteriori modi all'interno del braccio preventivo del Patto di Stabilità (cioé per chi è sotto il 3% di deficit e quindi fuori da procedura, ndr) per realizzare investimenti pubblici non ricorrenti con un impatto provato sulle finanze pubbliche". E oggi quindi Barroso ha annunciato che "quando la Commissione valuterà i bilanci nazionali per il 2014 e i risultati di bilancio del 2013, considererà di consentire deviazioni temporanee del deficit strutturale dal suo percorso verso l'obiettivo di medio termine (per l'Italia è il pareggio strutturale nel 2014-2015, ndr) fissato delle raccomandazioni specifiche per Paese". Tale deviazione "deve essere collegata a spesa pubblica su progetti co-finanziati dalla Ue nell'ambito della politica strutturale e di coesione, delle reti trans-europee e della 'Connecting Europe Facility' con un effetto nel lungo termine positivo, diretto e verificabile sul bilancio".

Puddo-piddini di tutte le "etnie" festanti. Un trionfo!
Ma la prospettive sono puntualmente quelle sopra enunciate. Il discorso è questo: "per il 2014 vi consentiamo di mantenere il deficit al 3%, ma solo se ci "piace" quello che fate in termini di spesa, chiamandolo "investimenti" (cioè supply side per produrre ma non si sa, per le ragioni dette, per vendere a chi).
Per il 2015, l'obiettivo deve essere il "prossimo al pareggio di bilancio", cioè l'obiettivo "strutturale" da cui non si può deviare. E lo ribadiscono.
Nella migliore delle ipotesi, per chi ha capito il moltiplicatore e il funzionamento del saldi settoriali: se non verrà impostata una riduzione del deficit "a consuntivo" del 2013, pseudo-ripresina nel 2014 e, alla fine di tale anno, massiccia manovra riduttiva del deficit per il 2015 (sul deficit che risulterà a fine 2014: e ci sarà da divertirsi, per così dire, dato che sarà molto difficile persino mantenere il deficit al 3%).
Quindi nuova inevitabile recessione...e manovre correttive per "promuovere la crescita" attraverso la "virtuosità" fiscale.