Post di Francesco Maimone
delle
nostre società evidenziando il loro
contributo positivo”
(Global Compact for Safe,
Orderly and Regular Migration)
1 In
questi giorni sta tenendo banco sui Social
e nei media il tema riguardante l’approvazione
del Global Compact for Safe, Orderly and Regular migration (per brevità, GCSORM),
ovvero l’accordo promosso in sede ONU e che sarebbe finalizzato a dare una
risposta globale al fenomeno della migrazione. Tra le voci che si sovrappongono
a favore e contro detto accordo, sembra soprattutto passare inosservato il
fatto che il GCSORM
non è una misura estemporanea partorita improvvisamente dal nulla, ma
costituisce un documento inserito in una logica e ben congegnata “sequenza procedimentale”
per dare specifica attuazione ad un disegno molto più vasto che l’Ordine
sopranazionale dei M€rcati ha tracciato già da tempo.
2 In
questa sequenza, ed evitando di risalire troppo nel tempo (per esempio, alla International Conference on Population and Development tenutasi nel lontano 1994 al Cairo), bisogna innanzi tutto prendere
le mosse dalla distopica volontà di “trasformare
il nostro mondo” contenuto in quel capolavoro cosmetico chiamato “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”
adottata all’unanimità (quindi anche con il contributo del rappresentante italiano
pro tempore) dall’Assemblea Generale
dell’ONU con Risoluzione del 25 settembre 2015, entrata in vigore il 1° gennaio
2016 e che ha il compito di orientare i successivi sviluppi per i prossimi 15
anni. Come risulta da documenti parlamentari, l’Agenda “ha sostituito i precedenti Obiettivi di
Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che
avevano orientato l’azione internazionale di supporto nel periodo 2000-2015”. La nuova Agenda globale
si propone, in particolare, di raggiungere i seguenti 17 obiettivi pubblicizzati
alla stregua di un nuovo
e meraviglioso paese di Bengodi, obiettivi ai quali sono associati “169 traguardi … che sono interconnessi e
indivisibili” (così al punto 18, pag. 6, dell’Agenda):
2.1 Non
è il caso di addentrarsi in un esame dettagliato di detto documento. Si
evidenziano tuttavia alcuni principi generali che sono da considerare i pilastri
sui quali è stata congegnata la Road Map
elitista:
- “L’attività
imprenditoriale privata, gli investimenti e l’innovazione rappresentano i motori principali della produttività, di una
crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Riconosciamo
la varietà del settore privato, che varia dalle micro imprese alle cooperative,
e alle multinazionali. Promuoveremo un settore
imprenditoriale dinamico e ben funzionante, salvaguardando contestualmente i
diritti dei lavoratori e le norme ambientali e sanitarie…” (punto 67, pag. 29, dell’Agenda).
Lo Stato non è contemplato come “motore
della produttività”;
- “Il
commercio internazionale è il motore per una crescita economica inclusiva e per
la riduzione della povertà, ed esso contribuisce
alla promozione dello sviluppo sostenibile. Continueremo a promuovere un sistema multilaterale di commercio che
sia universale, basato sulle regole, aperto, trasparente, prevedibile,
inclusivo, non discriminatorio ed equo nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale
del Commercio, così come una liberalizzazione
significativa del commercio…” (punto 68,
pag. 29, dell’Agenda). Il Mercato sarà sempre più il nostro pastore;
- “… ogni Stato ha la primaria responsabilità della propria
economia e del proprio sviluppo sociale e che il
ruolo delle politiche interne e delle strategie per lo sviluppo non può essere
messo in discussione. Rispetteremo
lo spazio politico di ogni Nazione e la loro leadership per implementare
politiche per la lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile, pur rimanendo coerenti con l’importanza
delle leggi e dell’impegno internazionali. Allo stesso tempo, gli sforzi
per lo sviluppo nazionale necessitano del supporto di un contesto economico
internazionale favorevole, attraverso un commercio mondiale coerente e di
sostegno reciproco…” (punto 63, pag. 28, dell’Agenda). Nel caso dell’Italia,
per esempio, verrebbero “rispettate” le politiche deflazionistiche e di
impoverimento derivanti dall’appartenenza all’U€ ed al sistema della moneta
unica;
- “…
Riconosciamo il bisogno di fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo affinché
raggiungano la sostenibilità
a lungo termine del debito, attraverso politiche coordinate,
finalizzate a promuovere, a seconda dei casi, il finanziamento, la remissione, la ristrutturazione e la solida gestione
del debito. Molti paesi restano vulnerabili alle crisi del debito e alcuni
paesi, ivi inclusi alcuni dei paesi meno sviluppati, alcuni piccoli Stati
insulari in via di Sviluppo e alcuni dei paesi sviluppati, sono nel mezzo di
una crisi. Ribadiamo che i debitori e i creditori devono
lavorare congiuntamente al fine di evitare e allo stesso tempo
risolvere le situazioni di debito insostenibile. Mantenere
livelli di debito sostenibile è responsabilità dei paesi mutuatari …”
(punto 69, pag. 29, dell’Agenda). Detto altrimenti, nel farsi
sbranare, l’agnello dovrà cooperare al meglio con il lupo, dal momento che sua
è la responsabilità di essere la parte più debole del rapporto obbligatorio.
3. Quanto
delineato per sommi capi rappresenta a ben vedere il manifesto di un neoliberismo
incrementale, all’interno della cui cornice di “crescita sostenibile”, ovviamente, svolgono un ruolo non
indifferente anche le migrazioni di massa. A queste ultime, si
badi bene, viene infatti riconosciuto a
priori un:
“… contributo positivo [per] una crescita inclusiva e … uno
sviluppo sostenibile. Inoltre, [viene riconosciuto] che la
migrazione internazionale è una realtà … di grandissima rilevanza per lo sviluppo dei paesi d’origine, di transito
e di destinazione, che richiede risposte
coerenti e comprensive. [perciò si lavorerà insieme] … a
livello internazionale per garantire
flussi migratori sicuri, regolari e ordinati, secondo il
pieno rispetto dei diritti umani e il trattamento umano dei migranti, a prescindere dallo status di migrante,
rifugiato o sfollato...” (punto 29, pag. 8 dell’Agenda). Insomma, viene affermato in modo perentorio
e senza possibilità di smentita che le migrazioni sono un bene, una opportunità
di crescita e sviluppo globali.
3.1 E’ da sottolineare, quindi, che sin
dall’Agenda 2030 è sancito in nuce che
la realizzazione degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile debbano essere
realizzati “all’interno di una
struttura di Partnership Globale” (punto 40, pag. 10 dell’Agenda)
nell’ambito della quale non poteva mancare il riconoscimento del ruolo svolto
dal “variegato settore privato…dalle
micro-imprese…[dalle] multinazionali,
[dalle] organizzazioni della società
civile e… filantropiche
[cioè le ONG]” (punto 41, pag. 10 e punto 45, pag. 11 dell’Agenda).
4 Fissata
in generale l’Agenda nel 2015, l’oligarchia capitalistica mondiale si è ovviamente
mobilitata per dare esecuzione, in particolare, all’obiettivo n. 10 (“ridurre
l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni”), preoccupandosi di dettagliare
la disciplina al fine di rendere “… più disciplinate, sicure, regolari e responsabili la migrazione e la
mobilità delle persone, anche con l’attuazione di POLITICHE MIGRATORIE PIANIFICATE
E BEN GESTITE” (punto 10.7 pag. 21 dell’Agenda).
4.1 Tale disciplina è contenuta nel testo della
fondamentale Risoluzione dell’Assemblea
Generale dell’ONU del 19 settembre 2016 (“Dichiarazione di New York per i rifugiati ed
i migranti”, di cui non è stato possibile reperire il testo in lingua
italiana) anch’essa, ovviamente, adottata con il contributo dell’allora
rappresentante italiano pro tempore. Secondo
quanto previsto al punto 21 della citata Dichiarazione (pag. 5), anche se gli
Stati hanno approvato una serie di “impegni”
che si applicano indistintamente sia ai rifugiati che ai migranti, il GCSORM darà tuttavia specifica
attuazione all’Allegato II con il quale sono state stabilite proprio le “misure per l'adozione nel 2018 di un patto globale per la
migrazione sicura, ordinata e regolare”. L’assunzione di
un corrispondente patto globale per i rifugiati – oggetto dell’Allegato
I – sembra sia stata invece rimandata ad altre sessioni
intergovernative.
Ora, al di là delle pletoriche espressioni sparse a piene mani in tutto
il testo della Dichiarazione in
parola, è necessario passare brevemente in rassegna quelli che sono i principi
più importanti in essa sanciti in materia di “migranti economici”. Tali
principi sono contenuti nell’Introduzione,
nei punti da 41
a 63 (ovviamente in linea con quelli già formalizzati dell’Agenda
2030) e nel citato Allegato II il quale, più specificamente, ha la
funzione di anticipare nel dettaglio il contenuto sostanziale e soprattutto organizzativo
del GCSORM.
4.2 Ci viene innanzi tutto spiegato che gli
uomini si
stanno muovendo anche “per cercare … nuove
opportunità economiche… per fuggire … da povertà [e] insicurezza alimentare” (punto 1,
pag. 1), anche se non viene mai spesa una parola sulle reali cause della
povertà. Tale “movimento” di uomini è ribadito dall’ONU come opportunità per una
crescita inclusiva ed uno sviluppo sostenibile nonché per la distopica realizzazione
di un “mondo migliore”: “…
Quando abbiamo adottato un anno fa il
programma di sviluppo sostenibile nell’orizzonte 2030, abbiamo evidenziato chiaramente
il contributo positivo che i migranti
hanno apportato alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile. Questo
contributo rende il nostro mondo un posto migliore. I vantaggi e le
opportunità associati alla migrazione regolare, sicura e ordinata sono
considerevoli e generalmente sottovalutati...” (punto 4, pag. 2).
Di conseguenza, “… Il massiccio spostamento di …
migranti deve essere pienamente sostenuto… e protetto in conformità con gli obblighi del diritto
internazionale”, dovendo gli “… obiettivi
di sviluppo sostenibile [essere]
realizzati a beneficio di tutte le nazioni, dei popoli e di tutti i componenti
della società” (punto 11, pag. 3) e potendo i migranti “… contribuire
positivamente e profondamente allo sviluppo economico e sociale delle loro società
di accoglienza e alla creazione
di ricchezza su scala globale” nonché aiutare ad “… affrontare alcune delle
tendenze demografiche, carenza di manodopera e altre sfide che affliggono le società ospitanti e fornire competenze notizie
e rinnovato dinamismo nelle economie di questi paesi” (punto 46,
pag. 10).
4.3 Considerati
tutti questi presunti “benefici” apportati dalle migrazioni economiche di
massa, che “tutti gli esseri umani
nascono liberi e uguali in dignità e diritti [e che] tutti hanno il diritto di essere riconosciuti OVUNQUE come persone di fronte alla legge [a prescindere da
motivi di] fortuna, nascita o qualsiasi altra situazione” (punto 13,
pag. 3), la conclusione non poteva che essere scontata: “… tutti hanno il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso
il proprio, e di ritornare nel proprio paese” perché “la migrazione dovrebbe
essere una scelta” (punto 42, pag. 10). In sostanza, la
Dichiarazione di New York, sotto il paravento generalizzato e ipocrita dei “diritti
umani”, finisce per riconoscere il pieno
diritto dei “migranti economici” a lasciare il proprio Paese e ad essere
accolti da un altro, ricevendo un trattamento praticamente uguale a quello dei
rifugiati.
Gli Stati firmatari, d’altronde, si sono impegnati ad “adottare le misure necessarie per migliorare la loro integrazione, se del
caso, in particolare per quanto riguarda l'accesso
all'istruzione, all'assistenza sanitaria, alla giustizia…ai corsi di lingua”
(punto 39, pag. 9) ed a tutti i servizi sociali, assicurandosi così di
assestare forse la spallata decisiva a quello che è ormai rimasto del loro sistema
di Welfare.
4.4 Anche la Dichiarazione di New York ovviamente ribadisce che, essendo
quello delle migrazioni un fenomeno globale, esso “richiede
approcci e soluzioni globali” (punto 7, pag. 2), e ciò in
quanto nessuno Stato da solo può gestire questi spostamenti. Di conseguenza,
gli Stati si sono espressamente assunti l’impegno di “RAFFORZARE
LE STRUTTURE DI GOVERNANCE delle
migrazioni a livello globale” (punto 49, pag. 11), confermando chiaramente
il ruolo di primo piano che in tale governance
(a tutti i livelli) dovranno avere - anche per “colmare le lacune nel
finanziamento degli aiuti umanitari” (punto 38, pag. 9) - la
Banca Mondiale, “le organizzazioni della
società civile, comprese le
organizzazioni religiose, il settore
privato, le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e altre parti
interessate [e]… LE
ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE” (punto 39, pag. 9 e
punto 61, pag. 13).
4.5. Per
non farsi mancare proprio niente, e sul presupposto indimostrato che “la diversità arricchisce ogni società e
contribuisce alla coesione sociale”, gli Stati hanno tra l’altro dichiarato
di condannare “fermamente le
manifestazioni e gli atti di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia nei
confronti di rifugiati e migranti”, aggiungendo però alla condanna anche “l'intolleranza associata, nonché l'uso frequente di stereotipi”
(punto 14, pag. 3), cui segue l’impegno a combatterle. Non sia mai che ai cittadini
dei Paesi di accoglienza possa saltare in mente di esternare in qualche modo il
proprio legittimo e giustificato disagio.
5. Volendo
riassumere quanto detto sin qui, si può dire che, pianificata compiutamente nel
2015 un’Agenda con l’indicazione di 17 macro-obiettivi che la “Comunità
Internazionale” ha dichiarato di voler raggiungere nei prossimi quindici anni, l’ONU
sin da subito si è spesa con solerzia per la loro concreta definizione e, concentrandosi - come
detto - sull’obiettivo n. 10, ha fatto il modo che fossero sottoscritti
dagli Stati i principi e gli impegni di cui alla Dichiarazione di New York
del 19 settembre 2016. Da quest’ultima data è poi seguito “per fasi” un pervicace percorso
di negoziati che dovrebbe concludersi in Marocco con il meeting intergovernativo del 11 ed il 12 dicembre 2018 per l’adozione
del “Global Compact for safe, orderly and regular migration” il quale costituisce, dunque,
solo l’ultimo atto (anche se non definitivo) della citata sequenza ad “imbuto”.
6. Deve
essere subito chiarito che il GCSORM – in conformità alle indicazioni programmatiche inserite
nell’Allegato
II della Dichiarazione di New York (v. pagg. 24-27) – rappresenta
un deciso “salto di qualità” sia rispetto a quest’ultima che rispetto all’Agenda
2030, non tanto per la coerentizzazione e ulteriore specificazione di tutti i
principi contenuti in materia migratoria nei due documenti sopra commentati
(per esempio, viene dichiarato che “La
migrazione ha fatto parte dell'esperienza umana nel corso della storia, e
riconosciamo che è una fonte di prosperità, innovazione e sviluppo sostenibile
nel nostro mondo globalizzato”, punto 8,
pag. 2), quanto perché contiene vere e proprie norme organizzative
e procedurali-operative funzionali alla realizzazione di
specifiche soluzioni normative all’interno dei singoli Paesi membri (v.infra).
6.1 In primo luogo, il GCSORM
[nel quale si legge che è riaffermata la dichiarazione di New York e che lo
stesso “è radicato nell'agenda 2030”
(pagg. 1 e 2] specifica
come al solito di voler offrire “una
visione a 360 gradi della migrazione internazionale”
e ribadisce che è improntato ad “un APPROCCIO GLOBALE
per ottimizzare i benefici generali della migrazione” (punto 11,
pag. 3). Ciò, in termini organizzativi, si traduce coerentemente in un
impegno degli Stati “a proseguire il dialogo
multilaterale presso le Nazioni Unite attraverso un meccanismo periodico ed
efficace di continuazione e di revisione” al fine di assicurare che “le
parole [del GCSORM] si traducano in
azioni concrete a beneficio di milioni di persone in ogni regione del mondo”
(punto 14, pagg. 3 e 4).
6.2 A
tal fine, l’organismo di cooperazione multilaterale diretto a facilitare “un dialogo ad alto livello sulla migrazione”
è stato individuato nell’International Migration Review Forum, il quale fungerà
da “… principale piattaforma globale
per gli Stati membri per discutere e condividere i progressi compiuti
nell'attuazione di tutti gli aspetti del Global Compact…con la partecipazione
di tutte le parti interessate”. Il Forum
si riunirà ogni 4 anni a decorrere dal 2022 per discutere l’attuazione del Global Compact a livello locale,
nazionale, regionale e globale, nonché per consentire l'interazione con le “altre parti interessate” al fine
di individuare opportunità di ulteriore cooperazione (punti 48 e 49,
pagg. 33-34).
6.3 L’International Migration Review Forum si
avvarrà del Forum globale su migrazione e sviluppo, il quale avrà il compito di “fornire uno spazio per lo scambio
informale annuale sull'attuazione del patto globale e riferire i
risultati, le migliori pratiche e gli approcci innovativi”, mentre gli
Stati membri sono incoraggiati a sviluppare “non appena possibile, risposte nazionali ambiziose per l'attuazione del
patto globale e a condurre revisioni periodiche e inclusive dei progressi a
livello nazionale, ad esempio attraverso l'elaborazione e l'uso volontario di un
piano nazionale di attuazione” (punti 51 e 53, pag. 34).
In breve, pare evidente che il GCSORM formalizzi la creazione dell’ennesima
ORGANIZZAZIONE SOVRANAZIONALE e
mondialista in grado di dettare – sotto forma di immancabile Soft Law - vere e proprie direttive in
materia di migrazione in tutto simili a quelle provenienti dall’U€.
6.4 In secondo luogo, e facendo propri i
principi già contenuti nell’Agenda 2030 nonché nella Dichiarazione di New York
[in particolare, se quest’ultima ha sancito il diritto di emigrazione economica,
si dovrà “consentire ai migranti di diventare membri a pieno
titolo delle nostre società” punto 13,
pag. 3], sulla
scorta del principio del Whole-of-society approach (pag. 5), è dichiarato che
il Global Compact possa promuovere “… ampi partenariati
multi-stakeholder per affrontare la migrazione in tutte le sue dimensioni
includendo migranti… comunità locali, la
società civile, il mondo accademico, il settore privato, i parlamentari, i sindacati, Istituzioni
nazionali per i diritti umani, i
media e altre parti interessate nella governance delle migrazioni”,
ovvero gli stessi soggetti che, insieme alle “organizzazioni basate sulla fede”, dovranno cooperare
all’attuazione del Global Compact (v.
punto 15, pag. 5, e punto 44, pag. 33). A sostenere gli sforzi degli Stati membri
ed a rafforzare le capacità delle Nazioni Unite nell’attuazione del Global Compact saranno ammesse in modo
continuativo anche “le fondazioni filantropiche”
(punto 43, pag. 32) alle quali (insieme agli altri soggetti) è permesso perciò
di fornire contributi finanziari attraverso l’avvio, anche nell’immediato, di un
fondo start up.
A ben vedere, pertanto, in quest’approccio olistico di attuazione del Global Compact, qualunque organizzazione o soggetto abbia un interesse (di
qualsiasi natura) da far valere nell’ambito
delle politiche migratorie a livello globale, potrà senz’altro aspirare a
questi “partenariati” (si pensi, per esempio, alle imprese
multinazionali, alle Banche internazionali ed alle ONG ad esse direttamente o
indirettamente collegate, o addirittura alle istituzioni religiose. Oppure,
ancora, si pensi ai colossi delle telecomunicazioni che poi, paradossalmente, dovrebbero
fornirci anche una narrazione imparziale sull’argomento!).
Non c'è la prefigurazione di alcuna gerarchia di interessi, di alcuna distinzione, ricognitiva della sostanziale differenza di legittimazione, tra istituzioni democratiche (statali), rappresentative di interessi generali, e enti privati esponenziali dei più diversi interessi di settore, promossi da finanziatori altrettanto privati e spesso celati dietro le quinte di sigle altisonanti; interessi eticamente accattivanti nelle enunciazioni formali ma sostanzialmente opachi nelle loro finalità ultime. Finalità inevitabilmente riguardanti l'assetto del mercato del lavoro globalizzato e equalizzato verso il basso, della tutela e dei salari, per il tramite dell'evidente effetto dell'immigrazione come super-principio insediativo che riplasma le singole realtà statali, rese periferiche e subordinate dalla centralizzazione mondiale della governance.
6.5 Quanto
al ruolo (obiettivamente subordinato, in questo quadro istituzionale globalizzato e de-legittimante) degli Stati nell’attuazione delle migrazioni (economiche) di massa, esso
è condensato in ben 23 obiettivi che costituiscono la parte più
corposa e defatigante del Global Compact.
Veramente nulla è lasciato al caso. Ogni obiettivo contiene un impegno seguito
da una serie dettagliata di azioni considerate strumenti strategici rilevanti e
buone prassi per ottenere una migrazione sicura ed ordinata e sull’attuazione o
meno dei quali verranno giudicati gli Stati firmatari. Non è possibile in
questa sede analizzare nello specifico tutti gli obiettivi e gli impegni
concreti assunti dagli Stati per realizzarli.
Si segnala, per esempio, che
nell’ambito dell’obiettivo n. 15 (“fornire
accesso ai servizi di base per i migranti”) è addirittura prevista come
azione statale l’impegno ad “istituire o incaricare istituzioni
indipendenti a livello nazionale o locale…, per ricevere, indagare e monitorare le denunce relative a situazioni
in cui l'accesso ai servizi di base dei migranti è sistematicamente negato o
ostacolato”, istituzioni indipendenti che dovrebbero addirittura agevolare
l’ottenimento del risarcimento del danno da parte del migrante in casi di
disservizi, lavorando per un cambiamento della cattiva prassi (punto 31,
lett. d), pagg. 22-23).
6.6 Ed
ancora a titolo esemplificativo, si evidenzia come nell’ambito dell’obiettivo
n. 17 (“eliminare tutte le forme di
discriminazione e promuovere il discorso pubblico basato sulle prove per dare
forma alle percezioni della migrazione”) sia previsto che gli Stati si
impegnino a “Promuovere la
comunicazione indipendente, obiettiva e di qualità dei media, comprese le informazioni basate su Internet,
anche sensibilizzando ed educando i
professionisti dei media su questioni e terminologia relative alla migrazione,
investendo in standard etici e pubblicità” (punto 33, lett. c, pag. 24). Non è dato
intendere, però, come possa essere promossa una “comunicazione indipendente” ed
imparziale se, come detto sopra, agli stessi media è consentito di essere partners
nell’attuazione del Global Compact.
Tant’è.
8 Ora, gli atti dell'Assemblea generale dell’ONU
sono nella maggioranza dei casi denominati “risoluzioni”
che, sotto il profilo dell'efficacia giuridica, sono privi di forza vincolante in
quanto invitano, ma non obbligano – è vero - gli Stati a
uniformarsi al loro contenuto. E’ la Carta stessa, d’altronde, ad attribuire alle
risoluzioni dell'Assemblea generale il valore di raccomandazioni (cfr. artt 10-14).
Tuttavia, già alle risoluzioni
in generale deve riconoscersi un’efficacia giuridica, seppur limitata, “… consistente nel cosiddetto effetto di liceità… [che] opera … nel senso di creare una presunzione di legittimità nell'ambito del
diritto delle Nazioni Unite, del comportamento adottato dagli Stati
in conformità alla raccomandazione dell'Assemblea generale…” [S. MARCHISIO,
Digesto discip. pubbl., 1999,
voce, ONU, 520].
9 Alcune
risoluzioni dell'Assemblea generale dell’ONU, tuttavia, si presentano “…contenenti in annesso “DICHIARAZIONI DI PRINCIPI”,
atti di particolare solennità inquadrati nella categoria della soft law … molto spesso il loro
contenuto si colloca in una prospettiva de lege ferenda, vale a dire di
modifica del diritto internazionale vigente, consuetudinario o pattizio. È il
caso, tra gli altri, della Dichiarazione sul Nuovo ordine economico
internazionale (NOEI), annessa alla risoluzione 3201 (S-VI) dell'1-5-1974, in
parte ribadita dalla Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, annessa
alla risoluzione 3281 (XXIX) del 12-12-1974… le
dichiarazioni… possono tradursi nel contenuto di norme
convenzionali o assumere valore
dichiarativo rispetto a norme internazionali preesistenti, consuetudinarie e
pattizie, o, infine, presentarsi come autorevoli manifestazioni
della prassi degli Stati ai fini della formazione di norme del diritto internazionale
non scritto…” [S. MARCHISIO, cit., 521].
10. Orbene,
detto ciò, non può escludersi che già l’Agenda 2030 e soprattutto la Dichiarazione di New York esplichino
per gli Stati un’efficacia vincolante. Verificato, infatti, che le relative
risoluzioni non riguardano l'attività delle Nazioni Unite come organizzazione
(per esempio, l’elezione del Segretario Generale), è indubbio che in esse la
questione affrontata (quella dei migranti) “is
a matter of existing, or nascent, or potential customary law” e che,
quindi, le volontà dei singoli Stati devono considerarsi estremamente rilevanti
e tali da poter contribuire alla creazione o allo sviluppo del diritto [P. FOIS,
Le
organizzazioni internazionali e la formazione del diritto internazionale contemporaneo. Il ruolo degli
stati membri, in Rivista
di Diritto Internazionale, Milano, 2014, 650].
10.1 Si
consideri, in proposito, che con l’Agenda 2030 l’Assemblea
Generale ha ottenuto il consenso su principi generali, ma gli stessi sono inseriti
e collegati ad un quadro consuetudinario già fortemente consolidato e condiviso:
“…. La nuova Agenda è stata creata seguendo obiettivi e principi della Carta delle Nazioni
Unite, compreso il totale
rispetto del diritto internazionale. È fondata sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sui trattati internazionali sui diritti umani, la Dichiarazione del Millennio e i risultati del Vertice
Mondiale del 2005…11. Ribadiamo i risultati delle principali conferenze delle Nazioni
Unite e i risultati che hanno portato alla creazione di solide fondamenta per
lo sviluppo sostenibile e hanno contribuito a
dare forma alla nuova Agenda. Fra queste ricordiamo la Dichiarazione di Rio
sull’Ambiente e lo Sviluppo5, il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile,
il Vertice Mondiale per lo Sviluppo Sociale, il Programma d’Azione della Conferenza
Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo6, la Piattaforma di Azione di
Pechino7 e la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile.
Ribadiamo il seguito di queste conferenze, compresi i risultati della Quarta
Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi Meno Sviluppati” (così i punti 10 e 11
dell’Agenda, pagg. 4 e 5).
10.2 Lo
stesso, ed a maggior ragione, può dirsi per l’adozione solenne della Dichiarazione di New York, la quale può essere annoverata
proprio nell’ambito delle “Dichiarazioni
di principio”. Invero, in essa pare essere cristallizzata in versione più
dettagliata quella opinio
iuris ac necessitatis nell'àmbito della Comunità internazionale e che l'Assemblea “sente” come
matura per una disciplina di diritto internazionale [si veda in tal senso B. CONFORTI, Enciclopedia del diritto, Milano, XXXI, 1981, voce “Organizzazione Nazioni Unite”, 273 secondo
cui “… le dichiarazioni di princìpi
costituiscono una delle manifestazioni più autorevoli dell'opinio iuris ac necessitatis nell'àmbito
della comunità internazionale…”]:
“… Ribadiamo
gli scopi e i
principi della Carta delle Nazioni Unite. Riaffermiamo inoltre la Dichiarazione universale dei diritti
umani e richiamiamo i principali strumenti internazionali relativi a tali
diritti. Riaffermiamo
e continueremo a proteggere pienamente i diritti fondamentali di tutti i
rifugiati e migranti, indipendentemente
dal loro status; tutti hanno diritti. La nostra azione dimostrerà
il nostro pieno rispetto per il diritto internazionale e la legge internazionale
sui diritti umani e, se del caso, per la legge internazionale sui rifugiati e
il diritto internazionale umanitario...” (così al punto 5
della Dichiarazione, pag. 2).
10.3 Non
dovrebbe perciò disconoscersi che già gli atti dell’Assemblea Generale dell’ONU
sopra citati nella sostanza possano atteggiarsi - nella
loro specifica singolarità – a
vere e proprie fonti di diritto consuetudinario internazionale, ovvero “norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute” alle quali “l’ordinamento
giuridico italiano” afferma di conformarsi secondo quanto previsto dall’art. 10,
comma I, Cost. (c.d. adattamento
automatico):
“… con questa formula … si è voluto porre una “norma sulla produzione”,
cioè determinare il procedimento sufficiente a introdurre automaticamente la
regola di diritto interno che manca (o a sostituire quella esistente, ma in
contrasto con l’altra derivabile dal diritto internazionale) in virtù di deduzione della medesima, per
opera dell’interprete, dai principi del diritto internazionale. In questo
modo, mentre si conferma la posizione di autonomia dei due ordinamenti, si pone
il meccanismo affinché quello statale si uniformi all’altro, imponendo alle
autorità gli opportuni comportamenti e concedendo ai cittadini di poterne
richiedere l’adeguamento alla norma internazionale.
Si
dà vita, in altri termini, ad una specie di “ordine di esecuzione in bianco”,
valido cioè per tutte le norme presenti ed avvenire, che rende quindi non
necessario l’intervento del legislatore diretto ad imporre l’esecutività interna.
L’eventuale mancato funzionamento di
tale congegno di adattamento dà
vita ad un illecito internazionale e quindi all’assunzione della correlativa
responsabilità dello stato…” [C. MORTATI,
Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, II, 1344-1345].
10.4 “…
A nostro avviso, siffatti princìpi [contenuti nelle relative
Risoluzioni/Dichiarazioni] non sono altro
che delle norme consuetudinarie sui generis, a formare le quali
concorrono, da un lato, la loro uniforme previsione ed applicazione nell'àmbito
degli ordinamenti statali e, dall'altro, la circostanza che i valori che esse perseguono siano sentiti
come internazionalmente obbligatori, corrispondano cioè a valori di cui la comunità
internazionale si faccia inequivocabilmente assertrice…” [B. CONFORTI,
cit.]. Ed al riguardo, bisogna
considerare che tali norme, alle quali l’Italia si conforma in modo automatico,
sono fonti “paracostituzionali”, cioè hanno una efficacia gerarchica superiore
alle leggi ordinarie che alle prime devono quindi cedere. Di conseguenza, rilevata
un’ipotetica antinomia tra una norma di diritto internazionale consuetudinaria ed
una norma ordinaria interna, quest’ultima dovrebbe essere dichiarata incostituzionale
per violazione dell’art. 10, comma I, Cost.
.
11. Con
riferimento specifico al GCSORM,
poi, per gli Stati membri il quadro giuridico diventerebbe di certo ancora più rigoroso.
Ed infatti, il Global Compact non si
limita semplicemente a fissare “principi”,
ma introduce per i firmatari impegni che istituiscono
veri e propri standards di
regolazione nazionale (con correlativo obbligo di adeguamento, a
tutti i livelli, delle relative strutture giuridico-amministrative), standards che spaziano in modo totale dal
campo della legislazione sulle condizioni di entrata alle condizioni di
informazione e valutazione dell'immigrazione nel Paese di arrivo, dagli obblighi
di salvataggio (obiettivo n. 8) all’obbligo di adozione di norme tese alla
inclusione ed integrazione di ogni singolo migrante economico (obiettivo
n. 16) la cui sfera giuridica, in definitiva, risulta
ampliata mediante la previsione di dettagliate “posizioni pretensive” nei confronti dello Stato di accoglienza.
11.1 Bisogna altresì
considerare che le
conseguenti norme di recepimento (o di mancato recepimento) del Global Compact - potenzialmente
censurabili all'interno degli Stati con clausole costituzionali come il citato art.10
Cost. o, all’esterno, tramite il Rule of Law
della Corte internazionale di giustizia - sarebbero altresì sindacabili
dalle nuove organizzazioni sovranazionali di Governance globale collegate all’ONU mediante ulteriori
raccomandazioni/censure di sostanziale infrazione.
E se si tiene presente, in particolare, che la miriade di soggetti sopra
elencati, in quanto partners (finanziatori)
e parti direttamente interessate al fenomeno migratorio, avranno certamente diritto
a partecipare all’International
Migration Review Forum, al Forum
globale su migrazione e sviluppo e ad altri simili consessi, ne discende che
SOGGETTI PRIVATI (si pensi per tutti proprio
alle ONG di sorosiana memoria) avranno il potere di influire sulle decisioni e/o sanzioni da imporre agli Stati membri, sottraendo
loro ulteriore sovranità in una materia di così vitale impatto
per la vita di
milioni di cittadini. Insomma, ancora una volta “siamo di fronte, oggi più che mai, a quello che Lordon
chiama diritto internazionale provatizzato”.
11.2 Siamo cioè
in presenza di quel fenomeno purtroppo ormai usuale e patologico per cui “… i soggetti privati, facendosi legislatori, possono provare a parlare
non solo in nome di interessi provati, ma anche attraverso il linguaggio degli “argomenti” e dei “diritti…”, con “procedure di governance che
[li] vedono partecipare attivamente a
decisioni pubbliche, sia all’interno degli Stati, sia in ambito internazionale”,
dando così vita ad “assetti giuridici
creati del tutto privatamente” [M.R. FERRARESE, Enciclopedia del diritto, Milano, Annali, IV, 2011, voce “Globalizzazione giuridica”, 560-562].
12. E’
certo, in conclusione, che la mancata adozione del GCSORM costituirebbe veramente un
segnale forte di discontinuità (anche se del tutto in controtendenza rispetto alla
prassi purtroppo seguita sino ad oggi dall’Italia nella materia de quo), soprattutto se si considerano i
devastanti effetti che l’attuazione di tale Global
Compact è in grado di riverberare sul nostro Ordine costituzionale.
Pertanto: se fino ad oggi i
rappresentanti istituzionali dell’Italia hanno “errato” nell’adottare quanto di
meglio le oligarchie internazionali hanno saputo apparecchiare nel loro
interesse ed a danno della sovranità dei Popoli, al di là degli effetti che già
dispiegano l’Agenda 2030 e la Dichiarazione di New York, l’adozione del GCSORM non si rivelerebbe forse come
un diabolico perseverare?