Seconda parte dello studio di Francesco Maimone, che tira le somme sulle condizioni e le salvaguardie che dovrebbero essere rispettate nel concepire e imporre obblighi terapeutici.
“Ermes,
messaggero di Zeus, ti ha invitato a rinunciare all’autonomia, per ricercare la
saggezza del retto consiglio”
[ESCHILO,
Prometeo incatenato]
***
9. Quanto spiegato
nella parte precedente di questo lavoro appare a nostro avviso più che sufficiente,
in via di prima approssimazione, per smentire che le autorità preposte a
fronteggiare l’epidemia in Italia abbiano in primo luogo tenuto conto della complessità
ed importanza di tutti gli interessi che
gravitano intorno alla persona. Dette autorità hanno palesato, viceversa, di essere
state risucchiate esattamente in quella “suggestione pansalutistica” ed asettica, di stampo squisitamente medico, in nome della quale ogni altro interesse e correlativo
diritto costituzionale fondamentale sono stati e continuano semplicemente ad essere
compressi.
9.1 Autorevole
dottrina, al riguardo, anche recentemente ha dato un appropriato inquadramento
al problema, parlando di “MALINTESO
PRIMATO DELLA SALUTE”: “… Nel dibattito pubblico di questi
ultimi mesi, anche in quello che ha specificamente coinvolto i giuristi, si è
dato per scontato che il diritto alla salute si sia visto riconosciuto un
primato su tutti gli altri diritti costituzionali…Penso, invece, che occorra una maggiore prudenza…LA COSTITUZIONE, RIFIUTATA
UNA GERARCHIA GENERALE DEI VALORI COSTITUZIONALI (della quale non
esistono le tracce e della quale nessuno ha mai dato prova), definisce semmai …solo
plurime gerarchie settoriali nei singoli “campi di attività” disciplinati dalla
Costituzione…Evocando il lessico di un noto saggio schmittiano del 1960 la
stessa Corte costituzionale ha affermato che “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione
si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto
individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela
deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non
coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264
del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno
dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni
giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette...sent. 85 del 2013…” [così M. LUCIANI, Avvisi ai
naviganti del Mar pandemico, in Questione Giustizia, n. 2/2020,
7; gli stessi concetti sono stati ribaditi da Corte Cost. sent. n. 58/2008].
9.2 Sotto tale angolo visuale, l’oblio ha colpito il significato stesso di quella “salute” che avrebbe dovuta essere garantita a tutti (“stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”), a meno di non voler realmente sostenere che la gravi e perduranti limitazioni, tra le tante, alla libertà personale, alle relazioni sociali ed al lavoro (con conseguente e concreto rischio di desertificazione del tessuto economico, aumento esponenziale del tasso di disoccupazione e disperazione esistenziale diffusa), abbiano giovato o gioveranno al benessere psico-fisico degli italiani.
Il giudizio sulla gestione sanitaria fino ad oggi non può che risultare ancora
più impietoso se analizzato in particolar modo sotto il profilo di quel “bilanciamento storico e circostanziato” di cui si è detto e che, nelle vicende in parola,
È STATO DEL TUTTO OBLITERATO
COME MOMENTO DI RIGOROSA VALUTAZIONE GIUSPOLITICA. Sono infatti venuti
a mancare gli “ingredienti” che avrebbero dovuto sovraintendere al bilanciamento
medesimo, ovvero “… la coerenza, la logicità, la completezza,
la corrispondenza tra il mezzo e il fine, la fondazione su dati di fatto veridici…” [M. LUCIANI, Avvisi ai naviganti del
Mar pandemico, cit., 8].
9.3 Ciò ha dato la
stura – sotto la spinta di una crescente frenesia istituzionale e collettiva - a
misure oggettivamente irrazionali, e tra loro spesso contraddittorie, sia nella forma che nella sostanza; ciò, anzitutto, se si considera – soprattutto da un punto di vista
diacronico – la condizione in cui la classe politica italiana ha ridotto il SSN dopo decenni di politiche liberiste votate al taglio sistematico della spesa sanitaria pubblica,
l’adozione delle quali ha costituito senza dubbio alcuno la principale
negazione della tutela del diritto alla salute (è bene ricordare che diritto
alla salute e caratteristiche organizzative del sistema sanitario sono ovviamente
connessi, si veda per
tutti C. CASONATO, I Sistemi sanitari: note di comparazione, in
G.G. CARBONI (a cura di), La salute negli Stati composti, Torino,
2012, 10] e che, almeno dal 2012, sono divenute vieppiù incrementali e nefaste
(per un’analisi esaustiva, si rimanda al pregevole contributo di Sofia).
9.3.1 A tacer d’altro, il riferimento più prossimo ed eclatante è per
esempio al D.L. n. 95/2012 recante "Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini”, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 135 (c.d. spending review),
provvedimento – beninteso - votato
anche con il beneplacito di quei partiti politici all’interno dei quali militano
esponenti che oggi vorrebbero imporre il bavaglio. L’art. 15, comma XIII, della legge di
conversione, al fine di razionalizzare le risorse in ambito sanitario e di conseguire
una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi, alla lettera c) ha
imposto alle regioni la “riduzione dello standard dei posti
letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario
regionale, AD UN LIVELLO
NON SUPERIORE A 3,7 POSTI LETTO PER MILLE ABITANTI, comprensivi di 0,7
posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza
post-acuzie, adeguando
coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici” (cioè eliminare ospedali). Se a
ciò si aggiunge il blocco del turnover anche dei dipendenti del
SSN perpetrato ormai da vent’anni (qui un condensato della triste storia), tanto da
imporre il richiamo in servizio di personale sanitario in pensione, è evidente come la macchina sanitaria
fosse condannata al collasso.
9.4 Tale ultimo profilo storico-fattuale (che potrebbe essere esteso indifferentemente
ad ogni altro settore dello Stato-apparato italiano, selvaggiamente definanziato
in nome del paradigma €uropeista della “scarsità delle risorse”) rappresenta perciò l’occasione
per ripetere un punto di primaria importanza anche in ambito teorico: ovvero
che nessuna composizione “ragionevole” di conflitti
tra diritti costituzionali di pari rango può essere seriamente operato a posteriori
con la tecnica del bilanciamento qualora la Repubblica rinunci a monte - come suo dovere costituzionale- alla
massima tutela e realizzazione in egual modo di tutti quegli stessi diritti che poi si vorrebbero utopisticamente
ponderare. In questi casi, ad affermarsi – come è accaduto - può
essere solo la violenza del fatto-emergenza di volta in volta considerato, ancor meglio se
drammatizzato da campagne mediatiche infarcite di “fate presto”.
9.4.1 Ad ulteriore chiarimento, e per concludere in merito,
si deve dunque ribadire che solo la piena e fisiologica realizzazione del dettato costituzionale
secondo le intenzioni dei Costituenti e con gli strumenti dagli stessi approntati
(qui, p. 3, qui, p. 2, qui, e qui, punti 7.2., 7.3 e 14) è in grado, se non certo di eliminare,
quantomeno di attenuare in modo considerevole l’insorgenza di potenzali conflitti
tra diritti fondamentali, conflitti che, in caso contrario, sono destinati ad emergere in
tutta la loro drammaticità allorché siano stati creati gravissimi e consolidati
“scompensi” realizzativi ed asimmetrie nelle scelte di tutela delle situazioni
giuridiche fondamentali (per intenderci: se non è più possibile curare dignitosamente tutti i
cittadini, allora è giocoforza, con l’avallo posticcio di una pletora di “esperti”,
rinchiuderli in casa ed impedire loro semplicemente di vivere, lasciando che
tutto il resto vada in malora). In tali evenienze, la “tecnica del bilanciamento”, per quanto sofisticate possano
essere le sue elaborazioni, costituendo uno strumento non (in origine) costituzionalmente ortodosso, succedaneo
e recessivo, può solo intervenire
per sancire il sacrificio o la compressione di un diritto rispetto agli altri
o, nella più favorevole delle ipotesi, per offrire una pari ridotta tutela a
tutti i diritti da bilanciare.
10. Posto quanto sopra, e prima di tentare – sulla
scorta dei dati a dispozione – una “verifica” sulle possibilità a
disposizione del legislatore per introdurre un eventuale TSO vaccinale, è necessario
riassumere quali siano i margini di discrezionalità nella materia che ci occupa. La questione riguarda, nello specifico, il quadro dei rapporti
tra decisione normativa e scienza ed il correlativo potere di sindacato costituzionale da parte della Consulta sui corrispondenti
atti normativi.
10.1 E’ stato affermato, in proposito, come non vi sia “… dubbio che nella scelta degli interventi per tutelare l’interesse della collettivita alla salute ci sia spazio per la discrezionalita del legislatore” anche se “la dottrina e la giurisprudenza costituzionale hanno oramai da tempo messo in luce che la discrezionalita in questione puo dispiegarsi soltanto entro margini ben definiti…” [così D. MORANA, Diritto alla salute, cit., 54]. Tali margini, come è intuibile, derivano dal fatto che “… La discrezionalità del legislatore in materia di salute non può prescindere dal confronto con la discrezionalità tecnica di carattere medico, il cui apporto è indispensabile per attribuire un contenuto proprio e specifico all’ambito terapeutico che viene in gioco…” [così B. PEZZINI, Diritto alla salute e dimensioni della discrezionalità nella giurisprudenza costituzionale, in R. BALDUZZI (a cura di), Cittadinanza, Corti e salute, Padova 2007, 211].
La tutela
della salute – individuale e collettiva – si dibatte e
trova definizione mediante l’esercizio della DISCREZIONALITÀ
POLITICA da una parte
e quella TECNICO-SCIENTIFICA (medica, farmaceutica ed
epidemiologica) dall’altra.
10.2 I principi in materia sono ormai noti e consolidati,
sebbene molto fluidi: in campo medico, il Parlamento è limitato
dai risultati tecnico-scientifici, che fungono da “vincolo” nella scelta
legislativa. L’assunto
si ricava innanzi tutto dalla sent. n. 185/1998 (c.d. caso Di Bella) nella
quale la Corte ha ritagliato al dato tecnico-scientifico un ruolo di prevalenza
in ordine alle valutazioni sugli effetti terapeutici di un trattamento
sanitario: “ questa Corte non è
chiamata a pronunciarsi, in alcun modo, circa gli effetti e l'efficacia
terapeutica di detto trattamento…Non è chiamata, né
potrebbe esserlo, a sostituire il
proprio giudizio alle valutazioni che…devono essere assunte nelle competenti
sedi, consapevole com'è dell'essenziale
rilievo che, in questa materia, hanno gli organi tecnico-scientifici…”.
10.2.1 Con la sent. n. 282/2002 la Corte Cost. ha poi fissato compiutamente l’ambito di rilevanza della discrezionalità tecnica, affermando che “… non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni…un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l'elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi - di norma nazionali o sovranazionali - a ciò deputati…”.
Ciò non significa, tuttavia, che al legislatore sia lasciato un ruolo
del tutto marginale o subalterno, tutt’altro. E’
sul piano della politica, infatti, che vanno (melius, dovrebbero
essere) “… compiute tutte quelle operazioni di ponderazione e di
scelta che sono indispensabili... La decisione politica seleziona i mezzi di
tutela della salute attraverso un bilanciamento proporzionato che tenga conto
dei molteplici parametri in gioco (quali, ad esempio, la
gravità e la diffusione delle patologie, i costi diretti ed indiretti dei
farmaci e delle terapie, l’efficacia terapeutica, le modalità di somministrazione, l’appropriatezza)…” [B. PEZZINI, Diritto alla salute
e dimensioni della discrezionalità., cit.].
10.2.2 Insomma, come già approfondito teoreticamente in altra sede, mentre “… la discrezionalità c.d. tecnica non comporta ponderazione di interessi o valutazione di opportunità, bensì momento conoscitivo…costitu(endo) manifestazione di giudizio”, appartiene alla sfera della politica invece “… l'operare distinzioni e selezioni, il determinare priorità e bilanciamenti nel complesso delle relazioni sociali nel quale l'interesse si manifesta…”.
La discrezionalità
politica rappresenta infatti “… espressione di volontà…comporta
ricognizione, apprezzamento
e valutazione di dati di fatto, secondo operazioni che debbono essere
verificabili e logicamente e congruamente motivate…è
caratterizzata dalla opinabilità, soprattutto in presenza di una pluralità di
valutazioni alternative (quando esistenti)... in ogni processo decisionale relativo all’organizzazione
degli strumenti di tutela della salute è comunque esercitata…la
funzione di selezione di corposi interessi di comunità scientifiche ed
industriali, di gruppi e categorie professionali…” [B. PEZZINI, Diritto alla salute e dimensioni della
discrezionalità., cit.]. In maniera prosastica: se la scienza sa
(quando è in grado) dirci “come” si fa qualcosa, senza fissare scopi,
spetta però alla politica (come “tecnica regia”) valutare “se” e “perché”
quel qualcosa può o deve essere fatto.
10.2.3 Ciò comporta, sul versante processuale, che la
discrezionalità del legislatore in campo medico-scientifico sia soggetta di
solito ad un c.d. sindacato esterno, ovvero il sindacato della Corte
è diretto a verificare la ragionevolezza o meno delle misure adottate nel tutelare
la salute. Ora, in disparte i rilievi critici espressi sulla “ragionevolezza” (come tecnica decisionale e categoria estremamente
incerta) sia in questa sede che altrove (qui, p. 6.1), essa in ogni caso riassume alcuni principi che il
potere legislativo deve rispettare nell’esercizio della propria funzione, a
maggior ragione se in contesti di emergenza [si veda, nello specifico,
M. BONI, Le politiche
pubbliche dell’emergenza tra bilanciamento e “ragionevole” compressione dei
diritti: brevi riflessioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale
sul caso Ilva (N. 85/2013), in Federalismi.it, n. 3/2014].
10.2.4 Tra detti principi, oltre a quello storico di
uguaglianza (di solito formale), i più importanti sono sicuramente quello di “PROPORZIONALITÀ ED ADEGUATEZZA” che deve sussistere tra “mezzi prescelti dal
legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze
obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto
conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” [così
Corte Cost. sent. n. 1130/1988] e quello di corretto e coerente “BILANCIAMENTO DI INTERESSI” tra diritti costituzionali” (cfr. sent. n. 108/1994)
[per un’analisi approfondita sull’argomento ed sul modo in
cui i “fatti” di natura tecnico-scientifica entrano nel giudizio costituzionale,
si rinvia a S. PENASA, La ragionevolezza scientifica delle leggi nella
giurisprudenza costituzionale, in Quaderni costituzionali, Bologna, n. 4/2009,
817 ss., nonché a G. RAGONE, Scienza e
diritto nell’argomentazione della corte costituzionale, in Gruppo di Pisa (rivista), n. 3/2015, 1 ss.].
10.2.5 Deve annoverarsi poi, nel controllo di “ragionevolezza scientifica”,
anche lo specifico principio di “PRECAUZIONE” cui la descrezionalità del legislatore deve attenersi in
situazioni caratterizzate dalle incertezze intrinseche della scienza:
“… Una volta riconosciuto che il
carattere di opinabilità e relatività è un dato che caratterizza le definizioni
sul piano scientifico in via generale, quando le controversie scientifiche
intervengano e incidano in ambiti in cui viene in gioco la tutela di beni
giuridici rilevanti ed in particolar modo della salute, si impone al legislatore il principio
di precauzione che richiede l’adozione di misure di cautela
corrispondenti all’ipotesi di rischio per la salute (o per altri beni) e
commisurate alla gravità del rischio medesimo. Il principio di precauzione orienta
l’apprezzamento eminentemente politico del rischio…imponendo
al legislatore di attrarre alla sua competenza la definizione di oggetti che,
di per sé, sono direttamente toccati dalla discrezionalità tecnica …e non
possono essere totalmente sottratti alle valutazioni degli organi tecnici; ciò…impone, al legislatore di
sostituire la decisione politica (ispirata al canone politico della precauzione)
a quella esclusivamente
fondata su evidenze tecniche (giudizio)…” [così B. PEZZINI, Diritto alla salute e dimensioni della
discrezionalità., cit.; si veda anche S. GRASSI - A. GRAGNANI, Il principio di precauzione nella giurisprudenza costituzionale, in Biotecnologie e tutela del valore ambientale, a cura di L. CHIEFFI, Torino, 2003, 149 ss.].
11. Delimitato il campo di competenza riservato in
materia alla scienza ed al legislatore, bisogna a questo punto capire quale sia,
rebus sic stantibus ed al di là dei toni emergenzialisti, lo
scenario offerto alla discrezionalità delle forze politiche in vista dell’adozione
di un TSO anti-Covid. Ciò comporta, come ben si comprende, l’esigenza di
vagliare l’esistenza o meno dei severi presupposti di cui all’art. 32
Cost., comma II, come in precedenza analizzati. Ed allora il primo interrogativo da porsi è se veramente vi
sia un pericolo per l’incolumità
pubblica (interesse collettivo) tale da giustificare la
compressione o il sacrificio del diritto individuale dei singoli alla salute. La
domanda, se rapportata alle notizie fornite dalla unanime grancassa mediatica ed alla confusione che regna sovrana in ambito politico, potrà
sembrare quantomeno irriguardosa.
11.1 Ciò nonostante, sotto l’aspetto giuridico, essa va formulata
ed affrontata, ribadendosi che il pericolo per la collettività deve avere una potenzialità lesiva generalizzata in
grado di mettere a repentaglio la sua stessa esistenza fisica [il concetto di “epidemia”, sotto l’aspetto oggettivo,
viene parimenti interpretata “… come pericolo di pregiudizio alla salute di un indeterminato numero di persone…il pregiudizio deve possedere…il carattere della ulteriore espansibilità verso un
indeterminato numero di persone…”, S. ARDIZZONE, in Dig. Disc. Pen., Epidemia
(voce), Torino, 1990, 251]. Rispetto
all’ipotesi di un obbligo di vaccinazione generalizzato, quindi, dovrà considerarsi
un ragionevole rapporto di proporzionalità tra TSO e potenzialità lesiva della
malattia avuto riguardo ad alcuni parametri quali, per esempio, l’indice di diffusione
della stessa e, soprattutto, quello di mortalità. Si segnala, peraltro, che
sino al primo maggio 2009 la stessa OMS, nel definire il concetto di “pandemia”,
aveva mostrato di tenere in massima considerazione proprio il tasso di mortalità:
“Una pandemia influenzale si verifica quando compare un
nuovo virus influenzale contro il quale la popolazione umana non ha immunità,
provocando epidemie in tutto il mondo con NUMERO ENORME DI MORTI E MALATTIE”. Dal mese di settembre 2009, però,
l’OMS ha inspiegabilmente modificato detta definizione, eliminando
l’inciso “con numero enorme di morti e malattie”.
11.2 In ogni caso, secondo uno studio recente pubblicato dall’OMS ed aggiornato al mese di settembre 2020 (nell’ambito del quale sono stati analizzati 61 studi (74 stime) e 8 stime nazionali preliminari sull’Infection fatality rate (Ifr) di Covid-19), le stime del tasso di mortalità per infezioni da Covid variano dallo 0,00% all’1,63%.
Pur non essendo il tasso di mortalità
costante, potendo variare da una località all’altra, gli studi condotti su
località con tassi di mortalità superiori alla media globale mostrano come lo
stesso sia basso (0,09%), di gran lunga inferiore rispetto alle stime fatte
prima e durante la pandemia. Tra le persone di età inferiore a 70 anni, il
tasso di mortalità per infezione da Covid-19 varia da 0,00% a 0,31%, con un
tasso medio dello 0,05%. La categoria a più alto rischio di complicazioni
e morte include gli anziani e soggetti con una o più patologie. Rispetto all’ebola (con un tasso di mortalità del 50%),
al vaiolo (che ha causato il
decesso di circa il 30% della popolazione), alla tubercolosi (malattia grave
in grado di uccidere dal 20% al 70% dei contagiati) o alla difterite (che ha un
tasso di mortalità stimato tra il 5% ed il 10%), o ancora alla pandemia
influenzale del 1918 (con un tasso di mortalità del 2,5%), il virus COVID-19 si pone in
fondo alla scala di mortalità per malattie infettive.
11.3 In Italia, secondo i dati aggiornati al 31 dicembre 2020, le persone che risulterebbero complessivamente
decedute a causa del virus sono circa 75.000 che, rapportati all’intera popolazione,
rappresenta lo 0,13%. Sempre i dati ufficiali che si hanno a disposizione in
Italia aggiornati al 16 dicembre 2020 confermano inoltre le osservazioni contenute nel citato
studio dell’OMS. L’epidemia varia in modo considerevole fra le classi di età
della popolazione: sono pochi i bambini e gli adolescenti che si contagiano e nessuno corre rischi di esito letale. Lo stesso vale sostanzialmente per la classe di età
da 20 a 50 anni (dei pazienti deceduti di età inferiore a 40 anni e di cui si avevano
informazioni cliniche, la maggior parte presentava gravi patologie preesistenti).
I soggetti a più alto rischio di complicazioni e morte risultano ancora in
larghissima maggioranza gli anziani (l’età media dei pazienti deceduti e
positivi a SARS-CoV-2 è 80 anni) tutti portatori di una o più patologie pregresse
(malattie cardiache, polmonari o renali, ipertensione e diabete).
11.3.1 Non si intende in alcun modo sottovalutare o banalizzare il dramma delle morti, ma solo far notare che i giovani e gli adulti in salute corrono rischi molto limitati di ammalarsi e di morire. Di conseguenza, un quadro come quello descritto non può far parlare di “pericolo per l’incolumità pubblica” tale da imporre un TSO, ovvero non può sostenersi esistere pericolo di un pregiudizio alla salute per un indeterminato ed indistinto numero di persone in grado di mettere a repentaglio la stessa esistenza fisica della comunità. Per gli stessi motivi, ed ancor prima, i dati sopra evidenziati non possono razionalmente giustificare la paralisi sociale ed economica ormai permanente di un intero Paese. Non è un caso che qualcuno si sia correttamente chiesto: “… Chi decide delle nostre libertà personali al fine di proteggerci è a conoscenza del quadro disegnato dall’analisi dei dati istituzionali, così discordante dal racconto ufficiale dell’epidemia? … sussistono davvero i gravi motivi di sanità pubblica cui si riferisce l’art. 32 della nostra Carta Costituzionale in caso di limitazioni generalizzate alle libertà personali? Le conseguenze drammatiche sulle condizioni economiche e di salute della popolazione sono proporzionate ai motivi di sanità pubblica esistenti?...” [così M. L. BIANCO, COVID-19. Perché la sociologia può essere utile anche di fronte a un’epidemia: storia di una scoperta, in Cambio. Rivista sulle trasformazioni sociali, aprile 2020, 8].
L’inesistenza di un chiaro “interesse
collettivo” come voluto dall’art. 32 Cost. costituisce il principale
motivo ostativo (di per sé sufficiente) all’introduzione di un trattamento
sanitario imposto con compressione di quella autodeterminazione che inerisce
al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Un atto
normativo che prevedesse, allo stato, un obbligo vaccinale potrebbe quindi
rivelarsi irragionevole per mancanza dei requisiti di
proporzionalità ed adeguatezza e per incoerenza nel bilanciamento degli
interessi confliggenti.
11.4 Sempre sullo stesso profilo, ai fini di un TSO non varrebbe appellarsi nemmeno alla c.d. “immunità di gregge”, concetto spesso richiamato per sostenere un trattamento imposto, proprio come avvenuto per l’adozione del D.L. n. 73/2017 (si veda qui la Relazione illustrativa).
E’ il caso di rilevare
subito, peraltro, come nel mese di giugno 2020 l’OMS abbia pubblicato una pagina informativa sul Covid-19 nella quale viene riportata una
definizione di “immunità di gregge” che ha rappresentato per lungo tempo lo standard
per le malattie infettive: “protezione indiretta
da una malattia infettiva che si verifica quando una popolazione è immune attraverso la vaccinazione o l'immunità sviluppata attraverso precedenti infezioni”. Rappresenta
infatti una acquisizione scientifica quella secondo cui l'immunità di gregge possa essere raggiunta anche attraverso
l'infezione naturale. Ad ottobre 2020, tuttavia, l’OMS - per motivi non scientifici, ma “etici” - ha mutato
la sua definizione di immunità di gregge attribuendone alla stessa una nuova: "…
un concetto utilizzato per
la vaccinazione, in cui una popolazione può essere protetta da un certo virus se viene
raggiunta una soglia di vaccinazione", aggiungendo che “l'immunità
di gregge si ottiene proteggendo le persone da un virus, non esponendole ad esso” (in sostanza, pare di intendere
che all’immunità di gregge d’ora in avanti debba pervenirsi esclusivamente
attraverso i vaccini).
11.4.1 A parte questa ulteriore “nota di colore”, e pur ammesso che soggetti non vaccinati possano considerarsi malati e rappresentare un pericolo per la salute (si pensi ai positivi c.d. asintomatici, ovvero la stragrande maggioranza dei casi di Covid-19), nel caso che ci occupa – come si diceva – non potrebbe fondarsi il TSO sulla herd immunity, dal momento che il pericolo da omissione di vaccinazione non coinciderebbe propriamente con il pericolo per la salute della collettività nel suo complesso.
Il pericolo, semmai, e come si ricava dai dati sopra
indicati, continuerebbe a riguardare solo determinate categorie di soggetti che
versano in specifiche condizioni (per lo più, si è notato, anziani con
patologie e, in genere, soggetti fragili). In breve, sarebbe comunque assente “…
QUEL CARATTERE SOVRA-INDIVIDUALE CHE
DEVE INVECE CARATTERIZZARE UN PERICOLO PER LA SALUTE CHE POSSA CONSIDERARSI
DOTATO DI UNA REALE DIMENSIONE COLLETTIVA; se il pericolo per la
salute riguarda esclusivamente degli individui affetti da una determinata
patologia, tale pericolo non solo rimane ipso facto circoscritto a tali
individui, ma rappresenta anche un pericolo privo di potenzialità lesiva
generalizzata…” [così A. A. NEGRONI, Articolo 32 della Costituzione
e superamento delle vaccinazioni obbligatorie, in Forum di Quaderni Costituzionali,
n. 2/2020, 50]. In questo caso
verrebbero in rilievo, piuttosto, problemi di organizzazione della sanità
pubblica strettamente intesa, la quale sarebbe obbligata ad erogare le necessarie prestazioni per determinate
categorie di persone più deboli ed a rischio, con adozione di misure opportune in grado di
ridurre il più possibile pericoli per la loro salute.
12 Si è detto altresì che un TSO può essere introdotto solo per motivi di tutela della salute sia individuale che collettiva. Tale fondamentale presupposto, però, ad oggi si scontra con le opinioni riguardanti la sicurezza del vaccino approntato dalle case farmaceutiche, un vaccino sostanzialmente sperimentale che costituisce una deviazione significativa rispetto ai vaccini classici e di cui per ciò stesso non si conosce la reale efficacia immunizzante preventiva né gli eventuali rischi per la salute a breve e soprattutto a lungo termine (in proposito, si vedano qui i “non chiarimenti” forniti dall’AIFA).
Nel caso di optasse per un TSO, pertanto, si porrebbero evidenti problemi di ragionevolezza anche sotto il profilo del “principio di precauzione” che il legislatore non potrebbe eludere troppo a cuor leggero.
Sul punto ci sentiamo di concordare con quella parte
di dottrina dimostratasi più sensibile ed avveduta per la quale: “… Troppo
scontato… è il rilievo per cui … la scienza (procede) – come
suol dirsi – per successive falsificazioni di se stessa. Insuperabile sembra,
comunque, essere al riguardo l’obiezione,
pesante come un macigno sulle nostre coscienze, secondo cui non possiamo (anzi,
non abbiamo il diritto di) dar vita ad effetti irreversibili, letali, fosse
pure per un solo essere umano, in conseguenza di scelte ad oggi
(apparentemente) avvalorate dalla scienza (o, diciamo pure, dalla maggioranza degli
scienziati), che però potrebbero dalla scienza stessa essere, anche tra non
molto, smentite…”[così A. RUGGERI,
Il testamento biologico e la cornice costituzionale (prime notazioni), Testo
rielaborato ed unificato di due interventi agli incontri di studio su Il
rifiuto dei trattamenti sanitari, Messina 3 aprile 2009, e Testamento biologico
e rispetto della persona umana: profili etici, medici e giuridici, Lipari 6
aprile 2009, 4]. Mutuando con opportune modifiche una domanda posta dall’Autore
appena citato: è più grave il rischio di non vaccinare a dispetto delle
presunte “verità” scientifiche che oggi possediamo ovvero quello che si ha
sacrificando la vita stessa in nome di quelle “verità” che potrebbero un domani
rivelarsi non più tali?
12.1 Al fine, inoltre, di poter considerare ragionevole una legge adottiva del TSO sotto il profilo del corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettivà, il legislatore non potrebbe esimersi dal prevedere accertamenti preventivi volti alla verifica della sussistenza di eventuali controindicazioni alla vaccinazione.
In particolare - e secondo il monito rivolto al legislatore da Corte Cost. n. 258/1994 che, a quanto pare, sembra sia rimasto inascoltato già in sede di conversione del D.L. n. 119/2017 -, “… si renderebbe necessario porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico…che, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, individuasse con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, e determinasse se e quali strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità …”.
Una normativa
siffatta – pur con tutte le precisazioni formulate dalla Consulta in
ordine all’estensione degli accertamenti – inciderebbe inevitabilmente
sull’informazione da fornire al soggetto da sottoporre a
trattamento. Il personale sanitario sarebbe obbligato (ed il cittadino avrebbe
diritto di richiedere) dette indagini mediche preventive in quanto “… ogni
persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute …” [così M. GRAZIADEI, Il consenso informato e i suoi limiti,
in L. Lenti-E. Palermo Fabris-P. Zatti (a cura di),
I diritti in medicina, Trattato di Biodiritto, diretto da S. Rodotà-P. Zatti,
205].
13 Si è infine precisato nella I Parte del presente contributo
che, di regola, un TSO dovrebbe rappresentare misura di extrema ratio, da
evitare allorché sia possibile intervenire con terapie
alternative, aspetto
che in verità sembra attualmente sin troppo trascurato. E’ stato dimostrato che interventi
operati tempestivamente con terapia farmacologica e soprattutto plasmatica (in alternativa, ozonoterapia) si sono rivelati efficaci nel
trattamento dei pazienti. E’ incomprensibile (o forse lo è fin troppo) per
quale ragione ad oggi le Autorità competenti (sia a livello nazionale che €uropeo),
nonostante il pressing trasversale di molti scienziati, non abbiano ancora
formalmente autorizzato le terapie in parola.
13.1 Nel caso in cui un TSO fosse comunque adottato, i medici
chiamati a somministrare il vaccino sarebbero parimenti chiamati in causa in
sede di informazione da rendere circa l’esistenza di tali rimedi. Dottrina e
giurisprudenza, infatti, sono concordi nel ritenere che, affinché l’informazione
raggiunga quel minimo di completezza (al contempo rendendo
esente da responsabilità penale e civile il personale sanitario), la stessa debba essere estesa
anche: “… - alla diagnosi ed alla descrizione della malattia; - alla terapia farmacologica
praticabile e ad eventuali terapie alternative (sulla scia di quanto espressamente
statuito da Corte Cost. n. 438/2008); - alla prognosi nell’ipotesi
che si esegua o non si esegua la terapia suggerita; - ai vantaggi ed agli
svantaggi correlati al trattamento; - ai rischi ed alle possibili complicanze
insiti nel trattamento prospettato…” [così G. CASCIARO – P. SANTESE,
Il consenso informato, Milano, 2012, 75]. In tali evenienze sorgerebbe un
serio problema inerente al possibile rifiuto del soggetto di essere sottoposto
a vaccinazione, rifiuto che - ad avviso di scrive - non
potrebbe de plano archiviarsi come ingiustificato.
14. A questo punto del discorso, e sul piano del metodo, ci sia
consentito di svolgere alcune considerazioni conclusive che, anche nella materia
in parola, dovrebbero essere tenute in degna considerazione sia da parte del legislatore
che, eventualmente, della Corte Costituzionale. Ma in un Paese in cui le sacre
regole dell’ordoliberismo
e del vincolo esterno
hanno scalzato ogni traccia di democrazia sociale e dove, a causa di quella antica incomprensione dell’€uropa, il diritto alla salute (ma in realtà ogni altro diritto fondamentale)
è “finanziariamente condizionato” (qui, p.5),
nutriamo forti dubbi che ciò possa accadere.
14.1 In questa ennesima emergenza, che ha sempre più le
sembianze della hegeliana “notte in cui tutte le vacche sono nere” in cui la
scissione dalla realtà si mostra davvero delirante, ci viene chiesto di avere fiducia nella scienza e di difenderla. Tuttavia, chiedere di riporre fiducia nella
scienza prescindendo del tutto dal contesto storico-sociale nella quale essa è
prodotta, significa non cogliere l’estrema complessità del problema. Si è già approfondito
l’argomento in apposita sede
e non si vuole certo riproporne in questa l’intero ragionamento che lo supporta,
bensì ribadire soltanto che la SCIENZA È UNA CATEGORIA STORICA e che, come tale, sconta tutto il condizionamento dei rapporti di produzione
e di forza
storicamente costituiti, nonché gli scopi delle forze sociali egemoni di volta in volta considerate.
Perciò, in un contesto socio-economico globalizzato e capitalistico-finanziarizzato che “si esprime … nella subordinazione di ogni aspetto della
vita sociale a vantaggio del profitto” [sono parole di A. BARBERA,
Commento all’art. 2, in Commentario della
Costituzione, a cura di G. Branca, Principi fondamentali (art. 1‐ 12), Bologna,
1975, 112] chiedere di difendere questa scienza, più che un atto di fiducia, equivale
a pretendere l’adorazione di un feticcio.
15 Un’indagine conoscitiva relativa ai vaccini per uso umano licenziata dall’AGCM nel maggio del 2016 può fornire, al riguardo, una vaga idea su alcune peculiarità che connotano il mercato dei vaccini.
Come rilevato dalla dottrina, dall’indagine
si ricava per esempio che “… sono lontani i tempi in cui i vaccini erano l'anello
debole della catena farmaceutica, al punto da non consentire la profittabilità
delle imprese”, dal momento che “quello
vaccinale risulta essere ora il segmento con la
redditività più alta dell'intera
industria farmaceutica, e dalle dimensioni in forte crescita…” [così G. PITRUZZELLA – L. ARNAUDO,
Vaccini, mercati farmaceutici e concorrenza, in una prospettiva (anche) di
diritti umani, in Rivista Italiana di Medicina Legale, Milano, 1/2017,
4 ss.; si vedano i §§ 59 ss. dell’Indagine].
Ed ancora, dal punto di vista della mitica “concorrenza”, “…risulta persistente un oligopolio su
scala mondiale, con i primi
quattro operatori – GlaxoSmithKline, Merck Sharp & Dohme, Sanofi
Pasteur e Pfizer – che detengono complessivamente l'80% del mercato complessivo
in valore…” [G. PITRUZZELLA – L. ARNAUDO, Vaccini, mercati farmaceutici e
concorrenza, cit.; si vedano i §§ 61 ss. dell’Indagine],
caratteristica che frutta alle imprese ampi margini di profitto per la possibilità
di stabilire unilateralmente i prezzi. Non solo.
16 Dato lo stretto collegamento tra decisioni di politica
vaccinale adottate a livello sopranazionale (si veda qui il documento
redatto dall’OMS nel 2014) e politiche sanitarie locali basate (come in Italia)
sui Piani nazionali di prevenzione (PNPV), in una condizione di offerta sostanzialmente
accentrata, l’AGCM ha preso altresì in considerazione il problema delle modalità
con le quali viene decisa l'inclusione dei vaccini nei programmi di sanità
pubblica, sottolineando “… per gli organi competenti l'opportunità…di adottare PROCESSI DECISIONALI
TRASPARENTI, basati su EVIDENZE SCIENTIFICHE VERIFICABILI…” [G. PITRUZZELLA – L. ARNAUDO, Vaccini, mercati farmaceutici e
concorrenza, cit.].
17 Ora, sul versante dei “processi decisionali” pubblici, risulta purtroppo acclarato che le multinazionali, in ragione della loro potenza economica, siano in grado di condizionarli.
E’ sufficiente consultare i vari procedimenti intentati negli anni dalla SEC statunitense nei confronti delle principali case farmaceutiche per violazione del Foreign Corrupt Practices Act del 1977, il quale qualifica come illegali i pagamenti a funzionari stranieri al fine di procacciarsi affari. Paradigmatica è la controversia che nel 2012 ha riguardato la società Pfizer e che ha visto coinvolta, tra molti Paesi, anche l’Italia. Da qui si può accedere all’atto con il quale la SEC ha intentato il relativo procedimento e nel quale sono riportati fatti per niente edificanti (cfr; in particolare, pagg. 10-11). Pfizer ha pagato 45 milioni di dollari per definire la controversia.
18. Sul versante delle “evidenze scientifiche”, la realtà non può ritenersi più confortante, come si ricava già da quanto appena riportato. Ma, tra i tanti, si pensi altresì allo scandalo che ha coinvolto un ex membro sempre della casa farmaceutica Pfizer, il dott. Scott Reuben, che nel 2010 è stato messo sotto accusa per aver falsificato studi di ricerca pubblicati su riviste mediche (qui, qui e qui) o, ancora alla vicenda che ha visto implicata la casa farmaceutica Merck, accusata di aver falsificato i dati sull’efficacia di un vaccino contro la parotite, come debitamente documentato in un False Claims Act del 2010.
Tutto ciò non può stupire.
In un comparto merceologico contrassegnato dal progressivo disimpegno pubblico nel finanziamento all’attività di ricerca scientifica (per l’Italia, si veda qui p. 7) e caratterizzato da un mercato oligopolistico transnazionale che si avvia ad essere via via sempre più concentrato (si tratta di colossi imprenditoriali quotati in Borsa), è necessario essere dotati davvero di una straordinaria dose di immaginazione per ritenere che i fatti sopra riferiti siano stati posti in essere per “la tutela della salute” e nell’interesse collettivo. Lo stesso concetto di medicina basata sulla “evidenza scientifica” (così come l'intero processo di pubblicazione di articoli peer-review) meriterebbe una seria ed urgente rivisitazione (in primis per il bene e la credibilità della stessa Scienza) e ben più approfondite riflessioni che qui non sono tuttavia possibili.
Comunque, in un clima nel quale, insieme e più del Covid, domina incontrastato il “batterio pop del folle laboratorio liberista”, è questa Lascienza di cui dovremmo fidarci?