Post di Sofia
In
questo
post Antonio Martino lasciava questo commento:
L’interrogativo
è rimasto aperto, ma il dubbio (ascoltando i tg, leggendo i giornali così come
pubblicazioni e monografie varie) che la cerchia DI PERSONE CONSAPEVOLI sia ancora piuttosto isolata,
rimane.
Non
c’è giorno che non mi domandi - di fronte al monopolio della falsa
informazione, delle reazioni internazionali alle nostre politiche economiche,
di fronte ai disservizi che subiamo ogni sacrosanto giorno o ai servizi di cui
non usufruiamo, di fronte al totale dissesto del territorio, al senso di
smarrimento delle persone e alla perdita di prospettive future, di fronte alla
rassegnazione che si legge nelle parole e negli occhi dei più svariati
interlocutori – come abbiamo perso memoria di quello che siamo e valiamo (come
popolo, intendo).
Mi
chiedo perché subiamo sommessamente l’incuria e la devastazione, i disservizi e
la desolazione, la depredazione e la desertificazione, questa distruzione
intorno che non ci dà più il senso di casa, di quartiere, di popolo, di
appartenenza ad una comunità che
dovrebbe proteggerci, ad uno Stato che dovrebbe esserci di ausilio per lo
sviluppo delle nostre esistenze e di elevazione sociale, perché siamo tutti
costretti a lavorare sempre di più e a guadagnare sempre di meno, ad abbrutirci
per avere in cambio il “niente”, per pagare tasse che in cambio non danno
servizi e assistenza ma aumentano solo il nostro senso di impoverimento
generale e di ingiustizia e aumentano il senso di incertezza per il futuro.
Proprio
sull’onda di questi interrogativi, mi imbatto nella lettura di “La Nazione fatidica – Elogio politico e
metafisico dell’Italia” (Altaforte Edizioni 2018) scritto da Adriano
Scianca (filosofo), e prefazione di Mario Giordano.
La
parte più interessante del testo è l’introduzione, per arrivare alle
conclusioni che, a mio modesto parere, sono totalmente dissociate dalle ottime
premesse di cui l’autore si è fatto portavoce.
Ed
infatti, le prime pagine sono quasi un proclama a “questo
Paese così “anomalo”, questa nazione così “dispettosa”, questa patria che
nonostante tutto continua a produrre resistenze economiche, politiche culturali
ai progetti oligarchici mondiali; fanno riferimento
alle volontà internazionali di “eliminare la diversità degli
italiani, della loro intelligenza, della loro insopprimibile potenza creativa
(riportando parole di Ida Magli). Chiariscono che contro
l’Italia non si leva un piano (e qui i primi segni del virus) ma un insieme
convergente d’interessi geopolitici, tradizioni avverse e rancori storici. L’Italia,
questa penisola che qualcuno vorrebbe trasformare in bagnasciuga per le ferie
assolate di tutte le oligarchie, questo serbatoio inesauribile di folclore e
rovine, questo teatro ambulante vocato al sollazzo dei padroni del mondo, sconta
e sconterà sempre la colpa di esistere. Avrebbe dovuto essere solo un Paese di
simpatici pizzaioli e invece si è impuntata ad avere un ruolo storico, a fare
di testa sua. Asservita, umiliata, vilipesa, incatenata, pure essa resta
nonostante tutto scaturigine di eterni grattacapi per i Mangiafuoco
globali….tutta la storia dell’Italia come nazione unita è caratterizzata da
questo conflitto a intensità variabile: ogni volta che ha provato ad alzare la
testa, a pensare in grande, c’è stata una mano intervenuta dall’alto per
riportarla la posto che le compete secondo le gerarchie stabilite altrove….con
tanto di lezioni, da parte della quinta colonna accademica e giornalistica,
sulla necessità di dedicarsi esclusivamente al terziario, ai servizi, al turismo
e di lasciare andare la politica industriale, che è cosa da grandi e non ci
compete. Perchè sono proprio i nostri a dirlo. Gli stranieri tramano, ma sanno
anche di poter andare sul sicuro, grazie all’innata inclinazione al tradimento
da parte della nostra classe dirigente, soprattutto intellettuale…siamo noi ad
autodenigrarci, a considerarci inaffidabili, incostanti, vili. Noi, o meglio,
una parte di noi, che guarda caso è proprio quella a cui è affidato il compito
di riprodurre una narrazione nazionale in cui il nostro popolo possa
rispecchiarsi. Le nostre élite non credono nell’Italia, trasmettono lo
scetticismo e lo spirito di autosabotaggio a gran parte della popolazione;
siamo l’unico Paese che considera la locuzione “all’italiana” come negativa,
anziché connotante ciò che è bello, elegante, di buon gusto, piacevole,
intelligente, vivace e scaltro, come nel resto del mondo…siamo l’unico popolo
di cui si possono elencare impunemente difetti e malefatte, indiscriminatamente
attribuiti a un’intera collettività.
Scianca
non manca neppure di fare i dovuti riferimenti all’Italia nell’ambito dei rapporti con l’Europa.
Richiama
Herder, von Savigny e Hegel i quali ciascuno nel proprio
ambito hanno esplicitato il concetto di carattere nazionale presentandolo come Volksgeist, lo “spirito del popolo”, termine che riassume l’originalità e la
funzione di ciascun popolo nella storia del mondo e che dovrebbe fungere da
fonte del diritto al posto della “legge naturale” teorizzata dai
giusnaturalisti. Ogni popolo, insomma,
avrebbe il proprio sistema etico di riferimento e di conseguenza dovrebbe avere
anche un sistema di leggi a esso ispirato, e non invece ricalcato su principi
universali, uguali in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo.
Affronta
il tema del populismo, dei cambiamenti sociali (tra cui l’immigrazione),
della globalizzazione... “mentre
questi cicloni si abbattevano su popolazioni ignare, le nostre classi
politiche, ma ancor più quelle culturali e giornalistiche, non facevano che
tessere del mondo colorato e globalizzato, in cui popoli e culture si fondano
armoniosamente, un paese dei balocchi in cui ciascuno può godere di tutti i
vantaggi di un continuo scambio di saperi, valori, tecnologie, capitali, merci,
culture, senza in compenso dover scontare alcuna controindicazione. Una
narrazione che si è rivelata dolorosamente ingannevole, ma rispetto al cui
fallimento le élite al potere non hanno fatto alcuna autocritica, preferendo
invece colpevolizzare e deridere le grandi masse incapaci di cogliere i frutti
dell’Eden globalista. Le classi meno abbienti sono state apostrofate come
“deplorevoli” (Hillary Clinton), “sdentate” (Francois Hollande), “plebee”
(Eugenio Scalfari), con testate autorevoli e commentatori blasonati intenti a
maledire il suffragio universale e a ripensare la democrazia in modo che il
popolo non abbia l’intollerabile tentazione di votare diversamente da come
vuole il sistema dei mass media…ad essere
messi in discussione sono stati proprio i presupposti della democrazia.
Ma
sul finale, incredibilmente, Scianca passa dalla descrizione del fenomeno “populismo”
al “popolo”, dalla collettività alla “gente” (che non vuole sia confusa con la gens romana); quella
che non viene da nessuna parte, e non ha alcuna direzione, immersa in un eterno
presente fatto di contingenze prosaiche, che non ha una coscienza politica ma
che è solo stufa. Un modello sociale che ricorda l’associazione di consumatori
più che la polis, che ha solo diritti
e non ha doveri, in cui ogni forma di autocritica e di sacrificio le è
preclusa. Il cui sport preferito è l’autoassoluzione, che detesta la cultura,
con la propensione al materialismo, narcisistica, incapace di oggettività,
empatia, che subisce la dittatura delle emozioni e impone quella delle
opinioni. Il gentismo è tutto questo
ma soprattutto è l’esaltazione acritica di tutto questo, la massa che si
auto-elogia in quanto massa, il basso che si autocelebra in quanto basso, la
volgarità fiera di esserlo, il rifiuto di ogni verticalità, di ogni ascesa,
sociale o culturale, la precisa volontà di non mettere in discussione se stessa.
Ecco,
è proprio il passaggio dall’esaltazione del popolo italiano e dell’Italia
dell’introduzione, con la descrizione del popolo e del gentismo di queste
ultime pagine che non comprendo. Così come incomprensibili sono le conclusioni:
il
limite di ogni nazionalismo è infatti che ci costringe a scegliere tra la
nostra Nazione e l’avventura dei nostri fratelli. Un popolo è una personalità
storica collettiva, una civiltà è una famiglia di popoli in cui è necessario il
rapporto dialettico infinito. “ECCO
PERCHÉ NON C’È CONFLITTO TRA L’ITALIA E L’EUROPA”. Ed
aggiunge come gli italiani siano sempre stati convinti europeisti.
Richiama
Mazzini, Mancini, Cattaneo, Ferrari, Cavour nei quali vi era un senso
dell’individualità (la nazione), dell’universalità (l’umanità, più precisamente
ancora l’Europa), di guisa che l’espandersi dell’individualità trova un suo
naturale immediato limite nell’interesse degli altri e in quello generale
dell’Europa.
Insomma
si finisce per utilizzare un dato storico neutro ed un principio generale
(perché pare piuttosto evidente che gli interessi di un popolo debbano trovare
un limite nel rispetto degli interessi di altri popoli) per attribuire al
popolo italiano una sorta di incapacità a sentirsi parte di un progetto più
grande e più ampio, di comunanza e pacifica convivenza di popoli, come se
fossero gli italiani a vantare pretese mercantiliste su altri paesi (proprio
per effetto della ben studiata, a tavolino, costruzione europea, a conduzione
prioritariamente franco-tedesca), piuttosto che subirle, con effetti disastrosi
ormai sotto gli occhi di tutti.
Non
c’è Europa senza sintesi ghibellina, ovvero senza collaborazione
romano-germanica…amare la propria patria significa saperla trascendere, non
ovviamente, in fumoso e pericoloso cosmopolitismo che abbraccerebbe il mondo
intero, ma capacità di guardarla dall’alto, di amarla in una visione stellare,
dalla quale sia capace di scorgerne i difetti, le inclinazioni da correggere,
il suo posto nel mondo e i suoi limiti.
Amare
la propria patria significa vivificare il proprio popolo innanzitutto con la
forza dell’esempio, alimentare il nostro genio nazionale, coltivandone le virtù
e correggendone i vizi, senza imitare modelli a noi estranei, senza replicare
macchiette d’oltralpe, ma anche senza rinchiudersi in una accettazione passiva
e fatalistica di ciò che siamo.
Suscitare
l’immagine di quello che siamo stati e che possiamo ancora essere gli italiano
del XXI secolo è il nostro compito nell’era presente. Non è un compito dato una
volta per tutte, è il senso di una missione perenne.
La
nazione va continuamente conquistata, non va considerata un fatto, quanto
semmai un da fare.
Insomma,
dopo averlo esaltato nelle pagine iniziali, in quelle finali il popolo italiano
è ridotto a quello che non può vantare alcun diritto di egemonia o di
privilegio, quello che deve rientrare nelle righe e collaborare con gli altri popoli/nazioni, che dovrebbe
imparare a correggere i propri vizi e difetti e stare al proprio posto. Che
dovrebbe imparare a FARE come se stesse invece vivendo di rendita.
Libri
e conclusioni come queste, ovviamente non sono una novità. Nel post
citato all’inizio si affrontava proprio questo identico tema. Nel libro di
Perotti, così come in quello di Scianca, il problema è riconducibile alla “mitologia
della purezza originale” della costruzione europea (come ampiamente discusso nei
commenti). Questi autori ritengono che il conflitto TRA L’ITALIA E L’EUROPA non esista perché continuano ad
interpretare il disastro presente come deviazione, o addirittura “tradimento”, dei
programmi originari, mentre di altro non si tratta che di un “un
irrigidimento di una via seguita fin dai primi passi”.
Come correttamente aveva spiegato Quarantotto non
c'è mai potuto essere-, un "europeismo" diverso dall'Unione europea;
cioè, diverso da un "internazionalismo dei mercati", liberoscambista,
che non sia legato ad una rigida pianificazione della rivincita del capitale
sul lavoro. In
nome di una pace ab orgine contraddittoriamente brandita, ma solo, e
sempre, "contro" gli scenari naturali della democrazia (come persino
Togliatti aveva ben chiaro), fondati sugli Stati-nazione.
L'Unione europea non ha "tradito" alcuna originaria purezza del disegno federalista, ma ne è solo il punto di approdo di una fase: per passare poi, in assoluta coerenza col disegno originario, alle ulteriori fasi che stiamo vivendo.
Quelle fasi dalle quali la democrazia, e la Costituzione su cui essa si fonda in Italia, usciranno definitivamente "distrutte", per usare le parole di Calamandrei (ex multis, fra i Costituenti che avevano fatto avvertimenti fin dagli anni '40 del secolo scorso).
L'Unione europea non ha "tradito" alcuna originaria purezza del disegno federalista, ma ne è solo il punto di approdo di una fase: per passare poi, in assoluta coerenza col disegno originario, alle ulteriori fasi che stiamo vivendo.
Quelle fasi dalle quali la democrazia, e la Costituzione su cui essa si fonda in Italia, usciranno definitivamente "distrutte", per usare le parole di Calamandrei (ex multis, fra i Costituenti che avevano fatto avvertimenti fin dagli anni '40 del secolo scorso).
E, come ha aggiunto
Francesco Maiomone, la mitologia della purezza originale riuscirebbe a rendere
compatibili tensioni neoliberali e paradigmi keynesiani, quando invece sappiamo che
“il "pieno impiego" e la "giustizia sociale" sono sempre,
e senza alcuna esitazione, stati concepiti come obiettivi irrilevanti e
sacrificabili”.
In definitiva, se
non si riconosce la dialettica tra pensiero liberale e socialismo (ovvero
legalità costituzionale) e non si comprendono i diversi concetti sostanziali di
democrazia e di "piena occupazione" il problema nazionale e il suo rapporto con
quello europeo, è irrisolvibile.
Se manca la conoscenza storica fondamentale, se non si ha alcuna consapevolezza delle premesse e del percorso costruttivo della struttura europea (che quindi pare ancora patrimonio culturale di una nicchia troppo ristretta), i libri come quelli recensiti non possono che andare avanti per luoghi comuni e deduzioni da premesse totalmente incomplete,
se non infondate.
E intanto..l’incuria e la devastazione, i disservizi e la desolazione, la depredazione e la desertificazione continuano.
E ci dicono pure che è colpa nostra.
E intanto..l’incuria e la devastazione, i disservizi e la desolazione, la depredazione e la desertificazione continuano.
E ci dicono pure che è colpa nostra.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaPer evitare equivoci, correggo una frase del commento precedente che risulta quindi come segue:
RispondiEliminaIl libro sembra comunque interessante, e, al netto delle conclusioni non condivisibili, si colloca su quel versante ancora largamente minoritario di forte critica al frame dominante. Siamo circondati da presunti intellettuali che inondano televisioni e librerie dei loro deliranti pamphlet anti-italiani, carichi di colpevolizzazione denigratoria nei confronti di un intero popolo, da essi ormai schifato e detestato, soprattutto dopo il 4 marzo. Tra disgustosi fascistometri, racconti psicopatologici di scrittori pariolini che confessano di avere sognato la morte di qualche bambino africano per meglio attaccare il governo populista, invettive di cantanti rap miliardari che invocano morte violenta per gli analfabeti funzionali che hanno votato male, il panorama editoriale e pubblicistico è ancora oggi terrificante. Né possiamo aspettarci molto dal cambio di governance della RAI, visto che gli equilibri interni del carrozzone di viale Mazzini sono molto simili a quelli dei Ministeri e l’egemonia del pensiero unico globalista ed eurista è pressochè totale.
Ringrazio Sofia per avermi citato in apertura, commento che risaliva ormai a quasi un'era storica fa :)
RispondiEliminaNel punto, Scianca si potrebbe definire "l'ideologo" di una certa parte (non so se maggioritaria o meno) di casapound. Il campo di riferimento è quindi quello fascista, con l'aggiunta di tutto l'armamentario reazionario di un Evola e di certa fascisteria francese (Degrelle, La Rochelle): insomma, siamo nel pieno delirio- perché questo è- di chi cinquant'anni fa gridava "europa nazione, rivoluzione!" e da cui, non a caso, s'è preso lo slogan "europa dei popoli" (che taluni, ancora oggi, contrappongono fumosamente all'europa della finanza...).
In fondo, costoro non hanno mai perdonato al popolo italiano- cioè alle classi subalterne, cioè al popolo italiano nella sua prassi storica e non ideale- di aver...fatto perdere la guerra al fascismo vincendo invece la pace con la Repubblica della Resistenza e della Costituente.
Nessuna meraviglia dunque se, in perfetto stile littorio, a un popolo idealizzato (appunto perché non reale) si contrappone lo sdegno schifato verso la "gente", sulla scia del disprezzo mussoliniano per le masse (citofonare Pareto e un elitismo d'accatto).
Per finire, senza materialismo storico l'analisi sociale e le sintesi finali... o fanno ridere o fanno piangere.
I "filosofi" però sono bellissimi: quando si tratta di passare dall'interpretare il mondo a produrre idee pratiche per cambiarlo riescono ad essere conformisti come solo può essere una sovrastruttura del potere egemone.
RispondiEliminaChe la "filosofia moderna" sia in re ipsa poco più che una sovrastruttura del capitale?
Gli italiani sono stati sempre “convinti europeisti”… Quale europeismo? Come se la Costituzione non esistesse. Ma Lasciamo perdere.
Elimina“… L'unità dell'Europa è un'esigenza che si svilupperà positivamente soltanto se il movimento di classe saprà darle l'obbiettivo socialista di fare dell’Europa una nuova realtà diretta a unire e non a dividere il mondo a legare le classi lavoratrici europee con le forze progressiste di tutto il mondo, a cominciare dai paesi sottosviluppati. Soltanto allora l'unità dell'Europa non sarà più lo strumento di difesa dei privilegi della società capitalistica, sia nei confronti dei paesi socialisti che dei paesi arretrati dell'Asia e dell'Africa.
Essa è perciò un obbiettivo che rientra nelle lotte PER LA VIA NAZIONALE e pacifica al socialismo, con la quale non può ovviamente contrastare: ogni passo verso l’europeismo è un fatto di progresso reale soltanto se esso crea condizioni positive per l'avanzata verso il socialismo. Questo è il solo metro al quale devono rifarsi i partiti del movimento di classe in Europa nell'impostare e coordinare, come è necessario, la loro politica…” [L. BASSO, La relazione della minoranza al Comitato centrale, in Il Partito Socialista italiano, 35, Milano, Edizioni Avanti, 1964, 675].
Di converso, “… l’europeismo di cui si parla oggi nei congressi socialdemocratici…non sono che il riflesso dell’internazionalismo dei monopoli e dei cartelli, mentre l’interessamento e la volontà di aiuti che la socialdemocrazia manifesta verso i popoli in via di sviluppo non sono che la maschera del neocolonialismo…” [L. BASSO, Abbiamo imparato la lezione, Mondo Nuovo, 27 settembre 1964, n. 38, 1].
Le chiacchiere stanno a zero. I filosofi si chiariscano una volta per tutte le idee o ci risparmino i loro romanticismi. Se non basta loro, vadano in Francia a spiegare ai fratelli francesi “perché non c’è conflitto tra la Francia e l€uropa”, vadano a spiegare a loro cosa significherebbe “trascendere” la propria patria o lo spieghino ai milioni di disoccupati italiani
Nel migliore delle ipotesi avremmo una riedizione di Gentile (grande preparazione ma grossi equivoci nella lettura dei problemi sociali, quindi fascismo più o meno in buona fede), nel peggiore un fumoso metafisico senza arte né parte...
EliminaSono d'accordo.
EliminaArrivare pero' alla grandezza filosofica di Gentile e' utopico. Siamo lontani anni luce. Gentile, come sai, scrisse un libro sulla filosofia di Marx nel quale la parte sulla filosofia della prassi e' tutt'altro da disprezzare. Anzi. Ci sarebbe da accontentarsi che capisse quanto Gentile riusci' a capire, anche se poi Gentile aderi' all'altra parte della barricata.
Oggi domina il new realism. C'e' poco da fare, al di la' delle romanticherie che vengono distillate. Le universita' sono infette. Sono filosoficamente tutti positivisti allorche' ognuno a loro modo santificano il reale. Piu' o meno quanto mi pare disse, paradpssalmente, Marcuse proprio di Gentile.
La filosofia, allorche' da "cura per cio' che e' chiaro" diventa, in versione tecno-pop, "essere amici della saggezza", e' solo esercitazione intellettualistica. Non puo' essere arma rivoluzionaria, come la intendeva Marx per il proletariato, ma santificazione melassosa dello status quo
Se non erro quel libro su Marx fu molto apprezzato da un certo Lenin (giusto per capire le proporzioni). In effetti avvicinarsi alle vette di un Gentile o di uno stesso Croce (per trattare di autori non certo marxisti) oggi come oggi è pressoche impossibile, in specie nei canali dell'accademia ufficiale.
EliminaSantificzione melassosa, quella dello status quo, che- e torniamo a Scianca- di certo non tralascia di corrompere la storiografia: d'altronde, senza le lenti del materialismo storico come si può affrontare seriamente la realtà di ieri...e i riflessi di oggi?
Nessuna meraviglia allora che un tal Tajani riconosca alla UE...la vittoria sul nazismo e sul comunismo sovietico :D
ELEGIA DELL'UNTERMENSCHEN
RispondiEliminaMeno esametriche le consapevolezze di zia T.I.N.A., di babbo Natale, di zio Pasquale francobollato dalla devota zia Immacolata dai pentametrici convincimenti dei cultori della società aperta: “basket of deplorables” (H. Clinton), “sans dents” (F. Hollande), “plebei” (E. Scalfari) procreatori di “bamboccioni” (T Padoa Schioppa), ”sfigati” (M. Martone), di “choosy” (E. Fornero) invitati/relegati a vestire i cenci nuovi dello schiavo nella società nuova.
Tra legioni di intellettuali teoretici devoti a celebrare la separazione tra le sensibilità e le esperienze grezze di umanità zotiche divinamente costrette a naturali condizioni inferiori e urobori autoreferenti di democrazie idrauliche che mistificano interessi legittimi di classi sociali eradicate e divelte da illusori paradisi artificiali, che la consapevolezza delle naturali condizioni e l'apprendimento del metodo che ri/sveli “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo” torni a illuminare l'occhio glauco per separare struttura e sovrastruttura, ciò che è da ciò che non è.
E, comunque vada, ancor “t'amo pio bove” e ancor temo colui che ti porta al macello.
(ps: per commentare il post di '48 occorre autenticarsi a google con codice inviato con SMS sul proprio smartphone mentre arrestano Meng Wanzhoul con un "abbraccio" inconsapevole.
PUNTO)