mercoledì 7 maggio 2014

FORTEZZA EUROPA 3- DAL BRITANNIA ALLE "DELENDAE" PMI LA CORRUZIONE AD ITALIAM NELL'€UROPA DELLA PAC€ (Tsunami su misura)

 
La situazione attuale ricorda molto quella del 1992, l'anno in cui sul panfilo “Britannia” si organizzò la più grande opera di spoliazione di ricchezza pubblica che un paese occidentale ricordi; aziende statali come IRI, INA e IMI vennero trasformate da enti pubblici in Società per Azioni con un decreto legge elaborato in 3 ore, come ha ricordato l'avv. Natalino Irti.
Seguì poi la stagione di Tangentopoli e l'industria statale italiana, esposta al pubblico ludibrio come un ricettacolo di corruzione e malaffare, venne smembrata e svenduta; nel suo libro Assalto alla diligenza”, Gianluigi Da Rold – storico giornalista del Corriere della Sera – scrive: “[...] il messaggio che arriva al grande pubblico è quello di una classe politica profondamente corrotta, che letteralmente saccheggia l'apparato industriale statale, con la complicità dei manager pubblici, e che impone balzelli ai 'bravi' industriali privati.[...] Da questa analisi schematica, nasce come risposta immediata l'urgenza di privatizzare, di smantellare il colosso industriale pubblico, di mettere in vendita le aziende dei grandi enti di Stato. Su quest'ultimo punto, che è realmente nevralgico, il dibattito mediatico si limita solamente a delle enunciazioni, a un dato di fatto inevitabile e scontato.
Oggi come allora, il nostro Paese è fatto oggetto della concupiscenza delle grandi multinazionali e banche d'affari straniere che hanno piazzato i loro avatar  nelle posizioni ottimali, sperando che ricalchino le gloriose vestigia di Prodi, Draghi, Ciampi, Amato e degli altri ardimentosi “padri della patria”.
Questa volta il compito si presenta più difficile per una serie di motivi: innanzitutto la presa di coscienza – ancorché confusa e frammentata – da parte di un'ampia fetta della popolazione sulla inanità delle privatizzazioni, quella salvifica medicina  che ha condannato il Paese a un declino industriale di cui non si riesce a intravedere la fine; rispetto a vent'anni fa, la possibilità di accedere alle informazioni – altrimenti sottaciute o depotenziate – è cresciuta esponenzialmente grazie al Web, con blogs e social networks che consentono la costruzione di potenziali movimenti d'opinione.
Proprio l'avvento di Internet ha consentito lo smascheramento della menzogna autoinflittaci dal circuito mainstream italico che ha sempre tratteggiato il Belpaese come incapace di decidere autonomamente della propria sorte, bisognoso delle amorevoli e disinteressate cure dei fratelli alemanni, la sola genìa capace di mondare i nostri atavici peccati, perché gli italiani sono corruttori irredimibili, Untermenschen per definizione.

“La realtà è il più abile dei nemici”, scrisse Marcel Proust ne “La Recerche”, un aforisma che – oggigiorno -  ben si attaglia al “Barnum” politico-mediatico nostrano, una colluvie di clowns e bagonghi riccamente assortita,  immemori prosseneti che continuano vanamente a nasconderla, considerando l'oramai facile reperibilità di notizie che vedono la Germania pagare - come e più di altri - tangenti; una vicenda di finanziamenti illeciti accumulati durante i suoi 16 anni di regno costarono la carriera politica ad Helmut Kohl: nei fondi neri del suo partito – la CDU – c'era anche la maxi-tangente del mercante d'armi Karl Heinz Schreiber, mediatore delle mazzette per la fornitura di 36 panzer tedeschi all'Arabia Saudita, una “trattenuta” da 1 milione di marchi.
Come ha ammesso lui stesso, l'attuale Ministro delle Finanze Wolfgang Schauble fece da tramite, nel 1994, per una tangente consegnata a Schreiber alla CDU.

Abbiamo poi la “pista greca” con il colosso Thyssen-Krupp che – attraverso la Howaldtswerke Deutsche Werft (HDW), leader della cantieristica navale rilevata nel 2005 – è al centro delle indagini elleniche sul fondo nero destinato alla corruzione di politici - non ultimo l'ex Ministro della Difesa Akis Tsochatzopoulos, condannato a 20 anni -  per l'aggiudicazione della commessa relativa a 4 sottomarini Type-214; sulla vicenda, dal 2011,  indaga anche la Procura di Monaco di Baviera, per presunte tangenti ammontanti a circa 55 milioni di euro.
 INCHIESTA BOMBA DEL NEW YORK TIMES / ''AZIENDE TEDESCHE HANNO CORROTTO FUNZIONARI GRECI PER VENDERE ARMI PER MILIARDI''

Dopo lo scandalo Siemens, un altro filone d'inchiesta si è aperto sull'asse Berlino-Atene.
L'ex numero uno della Direzione Armamenti della Difesa greca, Antonis Kantà, ha rilasciato alcune dichiarazioni che stanno facendo traballare la flemmatica sicumera teutonica: circa 18 milioni di euro sarebbero stati dirottati verso funzionari greci per “favorire” l'acquisto di sottomarini Poseidon; nel computo totale ci sono anche 170 carri armati Leopard 2A6 HEL della Krauss-Maffei Wegmann (KMW), per i quali Kantà avrebbe ricevuti un totale di 1,7 milioni di euro da un intermediario greco.
Intanto l'ex plenipotenziario di Siemens, Heinrich Von Pierer, è stato convocato dalla magistratura ateniese per essere interrogato: su di lui e altri 3 alti funzionari aziendali pende l'accusa di corruzione e riciclaggio di denaro.
Nel marzo 2012 invece, l'ex controllata Thyssen Rheinmetall di Dusseldorf è finita sulla “lista nera” dell'India, con l'accusa di tangenti ai vertici dell'Ordnance Factories Board (OFB), le fabbriche statali della Difesa di Nuova Delhi; anche in Portogallo si sta indagando su un presunto “contributo” di 30 milioni di euro pagati dalla MAN/Ferrostaal di Essen per l'acquisto – da parte di Lisbona – di 2 sommergibili.
Non si può dire che il governo tedesco stia lesinando risorse economiche e politiche di “pubbliche relazioni; la linea programmatica della Merkel è orientata alla più pura realpolitik e tutto il processo decisionale sulle armi è di competenza del Consiglio per la Sicurezza federale che, in modo piuttosto opaco, approva le vendite degli armamenti in riunioni ristrette, alle quali prendono parte il Cancelliere, alcuni ministri e agenti dei servizi segreti.
Il risultato vede Berlino esportare un po' dappertutto, con il 40% del totale venduto a Paesi  fuori dalla NATO, dal Brasile, all'Arabia Saudita passando perfino per Israele.
 
Anche i francesi – con il salapuzio Sarkozy e l'affaire “Karachi” – e gli inglesi – con Tony Blair (che bloccò questa inchiesta su BAE Systems  per “preservare la sicurezza nazionale e internazionale”) e i fondi neri per corrompere i dignitari sauditi (114 milioni di dollari) – hanno fornito le loro personalissime declinazioni del verbo “corrompere”.

Si potrebbe essere portati a pensare che, di fronte a un livello di corruzione così diffuso, la Commissione Europea si sia preoccupata di dare delle indicazioni o dei suggerimenti per contrastare un fenomeno tanto deleterio e distorsivo per la libera concorrenza, ma tutto si risolverebbe in uno sterile esercizio di ottimismo, considerando che nessun documento presentato reca un qualsivoglia accenno in proposito.

 

Passiamo ora in rassegna il “Bruxelles-pensiero” sul ruolo che dovrebbero avere le Piccole e Medie Imprese nella nuova architettura militare europea; dopo il consueto caleidoscopio di ovvietà -  sull'importanza che esse rivestono in termini di innovazione e competitività – che leggiamo nelle due Comunicazioni della Commissione Europea, contraddistinte da una verbosità leziosa e inconcludente, le notizie importanti ci arrivano invece dallo studio di Europe Economics “ Studio sulla competitività delle PMI europee nel settore della Difesa”.
Quale sia l'aria che tira per le PMI lo si capisce subito nell'introduzione a pag. 1, dove al punto 1.3 leggiamo: “L'adozione in Legge del Package Defence (le 2 Direttive ndr.) ha il potenziale di generare significativi cambiamenti strutturali nel settore delle industrie militari europee che hanno, fino ad ora, operato all'interno di mercati nazionali relativamente protetti[...] Alcune -  forse molte – delle attuali PMI non sopravviveranno, sia perché saranno sostituite da fornitori più grandi ed efficienti, sia perché saranno scomparse le stesse aziende più grandi da esse rifornite[...].
Tutti i proclami e il continuo salmodiare “crescita-competitività-occupazione” nascondono la cruda, futura realtà: in un mercato come quello della difesa che è rimasto – per motivi di sicurezza – relativamente protetto, l'apertura indiscriminata alle grandi multinazionali del settore -  politicamente orientato dalle Nazioni più forti verso massive fusioni -  porterà alla nascita di pochissimi operatori economici in regime di oligopolio e avrà l'effetto di uno tsunami sulle PMI.
A tutto questo aggiungiamo il peso della legislazione europea che – come ha più volte rimarcato il giurista Luciano Barra Caracciolo  – è stata costruita “pensando alle esigenze”delle grandi corporations, con una serie infinita di norme e adempimenti che sono assolutamente insormontabili per realtà semi-artigianali e di nicchia.
Lo studio continua con un profluvio di tabelle, acronimi e dati con cui, probabilmente, si vuole giustificare il costo della consulenza presso il committente.
I punti chiave arrivano a pag.104 : nel paragrafo 7.2 si ribadisce quanto già affermato nell'introduzione, parlando questa volta ancora più esplicitamente di non sopravvivenza in un mercato più aperto”; si nota altresì che le PMI “hanno un peso relativamente modesto – tra l'11% e il 17% - nelle vendite di materiale militare in Europa, operano essenzialmente nei loro rispettivi mercati domestici come subappaltatori, con relazioni di lunga data con i loro clienti ed esportano poco”.
E' evidente che si ripeterà in questo particolare settore quello che è già successo e succede tuttora, ovvero che gli squilibri strutturali all'interno dell'Eurozona giocheranno un ruolo decisivo a favore dei Paesi in posizioni di forza, il tutto aggravato dai vincoli di bilancio e dalla stretta creditizia che renderanno i Paesi periferici simili a dei protettorati.

E' oltremodo scorretto scrivere in centinaia di pagine che le PMI sono essenziali, che aprendosi migliorerebbero la competitività quando le conclusioni sono ben altre; del resto se il futuro della Difesa europea va verso grandi gruppi sovranazionali, questi ultimi “avranno le dimensioni e le risorse per far fronte alle esigenze e questo creerà una barriera allo sviluppo delle PMI” ; paragr. 7.5 (pag.105).
Per un paese come l'Italia che, dal Rinascimento ai giorni nostri, ha costruito le proprie fortune sull'evoluzione dell'artigianato e delle PMI – spesso osteggiati, se non trattati alla stregua di neoplasie – la situazione è destinata a deteriorarsi in maniera irreversibile; e pensare che anche codesto studio ne riconosce l'eccezionalità, come leggiamo al punto 3.14 (pag.35): “[...]La  sola differenza notevole tra i Paesi è che le PMI italiane assicurano delle quote di valore aggiunto molto elevate nelle armi e munizioni, nella costruzione di navi e relativa manutenzione; questo può far riflettere sul ruolo che le PMI giocano nell'economia italiana[...]”.
E' quindi politica suicida rimanere impantanati in un'Unione monetaria e commerciale così penalizzante per le caratteristiche italiane; nell'appendice n°4 (dal paragrafo A4.38 ; pagg. 148-149) dedicata all'Italia, vengono analizzate – più in dettaglio – le grandi potenzialità delle PMI italiane che operano sia come subappaltatori per le aziende più grandi, sia con produzioni di nicchia in equipaggiamenti speciali, materiali e supporto logistico: moduli abitativi (Cogim e Corimec), sistemi di decontaminazione (Cristianini), sistemi di navigazione (GEM Elettronica) ecc.
Un altro punto di forza che viene loro riconosciuto è l'abilità di rispondere a shock esterni, grazie alla struttura molto flessibile e alla capacità di operare più internazionalmente.
Questa sì che è una sorpresa!
Uno degli odierni miti pseudo-economici che ci viene artatamente somministrato riguarda proprio l'ordine di grandezza dei soggetti coinvolti che – per avere successo nel mondo globalizzato, Essi dicono – deve necessariamente essere orientato verso maxi-aggregati industriali; adesso, invece, apprendiamo che la miglior risposta a un evento esogeno sfavorevole viene da strutture produttive snelle e materiate di flessibilità, quella simpatica qualità che i parrucconi di Bruxelles lodano solamente se applicata al mondo del lavoro.
Sono risibili le soluzioni che la Commissione Europea pensa di adottare per risolvere i problemi derivanti dalla chiusura – Loro le definiscono “ristrutturazioni” - di centinaia di PMI; si parla, come al solito, di flessibilizzare il lavoro e di lenire temporaneamente le criticità attraverso il supporto dell'EUROPEAN SOCIAL FUND (ESF).
Una piccola visita al sito dell'ESF fuga ogni possibile dubbio; sotto il titolo “Carriere Flessibili” troviamo testuali parole: “Man mano che il cambiamento si trasforma in un vero e proprio stile di vita a causa della globalizzazione, i lavoratori dell'UE devono diventare più adattabili e aperti al nuovo, in modo da migliorare la propria occupabilità[...].
Lo scrivere simili idiozie, impensabili solo pochi lustri fa, in un contesto ufficiale è volto a istituzionalizzare e normalizzare agli occhi delle persone una situazione che normale non è; significativa è poi la fotografia di un lavoratore – apparentemente un over 70 – che ci ricorda, in una sorta di sinistro messaggio subliminale, che per sopravvivere dovremo lavorare fino alla fine dei nostri giorni: Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris.
Orbene, sembra che questo Fondo Sociale Europeo dovrà farsi carico di parecchie magagne: ne sarà all'altezza?
Parrebbedi no, visto che ad inizio ottobre 2012  il presidente della Commissione Bilancio del Parlamento Europeo – il francese Alain Lamassoure – denunciava: Il Fondo Sociale Europeo non ha più un euro, il programma Erasmus finirà i soldi dalla prossima settimana, i fondi UE per Ricerca e Innovazione resteranno senza risorse a fine ottobre”.
Con la deflazione già entrata dalla porta principale dell'Eurozona risulta poco credibile che oggi, a poco più di un anno di distanza, la dotazione del Fondo sia stata implementata in misura sufficiente; va poi sottolineato che – in base ai nuovi regolamenti e direttive approvati dal Parlamento Europeo – si potrà arrivare alla sospensione dei fondi in caso di squilibrio macroeconomico nazionale o di deficit di bilancio, reiterando le pratiche ricattatorie già in uso verso i Paesi in difficoltà.
Come accennato in precedenza, la Direttiva 2009/43 è quella più interessante del Package Defence, vediamone il motivo.
Il documento - “che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all'interno della
Comunità di prodotti per la difesa” - si occupa essenzialmente della realizzazione di un mercato interno che elimini gli ostacoli alla libera circolazione di merci e servizi, e consta di una serie di articoli e di un allegato comprendente l'elenco dei prodotti per la difesa.
Il fatto che rende così interessante questa Direttiva è che l'allegato in questione, oltre alle armi “convenzionali” (fucili, munizioni, carri armati ecc.), vede la presenza di agenti biologici, radioattivi e agenti per la guerra chimica, come i gas nervini (Sarin, Soman, Tabun, VX), gas vescicanti come ipriti (gas mostarda) e lewisiti ecc. (punto ML7 pag.14 e seg.), tutti elementi teoricamente messi al bando dalla Convenzione sulla Proibizione delle armi chimiche di Parigi del 1993, ed entrata in vigore a fine aprile 1997.
La presenza di armi chimiche all'interno di un registro omnicomprensivo che reca nell'intestazione “ELENCO DEI PRODOTTI PER LA DIFESA” deve indubitabilmente far pensare che tali sostanze soggiacciano alle modalità di commercio e trasferimento degli altri sistemi d'armamento dell'elenco stesso: l'articolo 2 – Ambito d'applicazione: “La presente Direttiva si applica ai prodotti per la difesa di cui all'allegato” e l'articolo 13 – Adattamento dell'allegato: “La Commissione aggiorna l'elenco dei prodotti per la difesa di cui all'allegato di modo che esso corrisponda ALL'ELENCO COMUNE DELLE ATTREZZATURE MILITARI DELL'UNIONE EUROPEA” non dovrebbero lasciare adito a dubbi.

13 commenti:

  1. http://www.ilnord.it/f-140_Leuro_ha_abbattuto_lItalia_ma_non_ha_sconfitto_gli_italiani_uccidiamolo_e_ricostruiamo_il_Paese

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    1. Oddio, l'idea della salvezza tramite gli IDE, specie se recuperata la sovranità monetaria, mi pare un pò contraddittoria...Specie se afferma che BOE è servita al sistema produttivo UK.
      La svendita, una volta usciti dell'euro non è più obbligatoria. SI può sostenere la domanda interna, ricapitalizzare (nazionalizzandolo) il sistema bancario e reinvestire nel settore industriale pubblico, rilanciando l'occupazione direttamente e nell'indotto. Poi in una strategia industriale si possono pure fare joint venture: ma per scambio di know how e senza perdere il controllo.

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  2. il pdf della direttiva 2009/43 sembra non essere più disponibile
    chi fosse interessato qui c'è l'html
    http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:02009L0043-20140303&rid=1

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  3. Quindi, l'attivismo dei nostri Magistrati sulle "politiche commerciali" delle imprese che esportano prodotti militari e similia, a cospetto dei comportamenti delle autorità degli altri Stati UE (Germania, UK, Francia su tutte) costituisce un'altra manifestazione di "autorazzismo", o la riprova che, in ambito UE, il principio di effettività delle regole non vale per tutti gli Stati e le imprese nazionali allo stesso modo?

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    1. Per qualche motivo la domanda di CorradoAugusto mi ha fatto tornare in mente questa citazione di qualche paper di qualche seminario made in BCE che leggo per masochismo:

      «Harder rules are not necessarily better rules. Rules are useful not because they are necessarily enforced – they are often violated – but rather because they alter the context in which bargaining takes place (The commonly made distinction between rules and discretion is a false dichotomy). Information, monitoring and bargaining among governments with stakes in cooperation across a number of issue areas, and therefore an interest in maintaining the confidence of their partners, is more important than enforcement of hard law to advancing integration. There is a danger that enforcement of hard legalization can produce domestic political backlash when rules conflict too strongly with domestic political imperatives (Goldstein and Martin 2000).»

      Ogni tanto, e non ne capisco il motivo, quando penso alla governance UE (no government) mi vengono in mente le amministrazioni USA degli ultimi 50 anni: il non plus ultra delle scienze tecniche con il non plus ultra dell'imbecillità e dell'inanità umana.

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    2. E haidavede quello che, in argomento, viene fuori dal prossimo post! :-)

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  4. Direi che l'ipotesi frattalica è morta e sepolta. Gli usa con una Ue forte e fortemente antidemocratica possono espandere l'influenza nato come detto nel post precedente e con l'approvazione del ttip in ballo non credo che vogliano mollare. Inoltre ecco che l'erf diventa strategico nello scenario di spoliazione dei beni italiani e la creazione di oligopoli.

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    1. Mi sa che non hai letto la risposta a questa tua valutazione nel precedente post!
      In ogni modo, si sarà rivelata ipotesi sbagliata se entro autunno 2014 non avremo caduta del regime PUDE (prima scissione interna e poi 8 settembre) e rivolgimento in Europa.

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    2. E' bello tornare e scoprire che è tutto come lo ricordavo! :D
      Comunque, se posso, vorrei dire che, per me, il frattale sta crescendo bene, diversamente uguale. Solo secondo me stiamo anticipando troppo le cose...
      La guerra non è ancora scoppiata, siamo ancora al Times che mette Adolfino in prima pagina e Bush e compagnia che fanno affari d'oro con i krukki (sappiamo com'è nata la Fanta vero?). Quest'asse €-$ è appunto un'asse tra due finanze, Roosevelt mica si è lanciato subito contro Hitler, non poteva.
      Soprattutto, molti si sono svegliati. Il problema è che si vergognano. Davvero, c'è gente che si vergogna a dire che non è convinta dell'U€ (figurarsi fare i sanculotti e volere la testa dell'ordoliberismo che l'ha partorita), Nino Gramsci direbbe che manca ancora una contro-egemonia dinamica che combatta il Pensiero PUD€-piddino-luogocomunista.
      Siamo insomma ad una Guerra di Spagna, quando ci si chiedeva perché farsi i fatti degli spagnoli ricoprendoli di aiuti (putacaso) ma il Duce era sempre il Conquistatore dell'Etiopia. Fortuna che paiono tutti ben decisi a combatterla questa guerra. Non ci resta che oliare Kar91 e Stern.

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    3. Beh ti è sfuggito che la tua ipotesi nel frattempo è stata più volte esaminata e assunta come alternativa.
      C'è anche chi arretra ulteriormente lo stadio dell'evoluzione frattalica attuale (inizio anni '20).
      Però non è detto che questo 2014 lasci il PUDE intatto al suo posto: certamente, alla fine degli anni '30 il regime non era in difficoltà come ora.
      E questo non può del tutto essere ignorato. Per ora non posso che ripetere: vedremo

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  5. Sì avevo seguito, però a fiutare il vento, almeno nel Triveneto, mi pare manchi massa critica. Ho visto leghisti della prima ora guardare dubbiosi Salvini per il suo impegno €-scettico: la cosa incredibile è che erano indipendentisti veneti (voglio la cittadinanza di Ortona), gente che vuole secedere dall'Italia per accedere all'Europa “dee regioni, ostia!”.
    Non posso che sperare che abbia ragione lei!
    Volevo però fare una domanda: riguardo il fatto che la Direttiva 2009/43 disciplini la libera circolazione di armi chimiche nell'UE vuol dire che ci sono armi chimiche da far circolare per l'UE? Scusate l'ingenuità, ma un conto è che i nostri cari tecnocrati si prendano avanti con gli arsenali, in assoluto spregio, come sempre, di quanto dicono (azione comune del Consiglio UE 2007/185/PESC http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2007/l_085/l_08520070327it00100021.pdf; alci che danno delle cornute alle lumache http://www.rivistaeuropae.eu/esteri/esterni/siria-il-contributo-ue-alla-distruzione-delle-armi-chimiche-e-lo-stallo-dei-negoziati/). Un'altra è che se ne discuta ora perché ci sono armi chimiche di proprietà o controllo di eserciti UE attualmente. Qualcuno sa qualcosa?

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    1. La prossima puntata di Fortezza Europa darà dati allucinanti su questo argomento :-)

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