Prosegue la maxi-panoramica di Riccardo Seremedi sui problemi della difesa e delle strategie geopolitiche in cui la meravigliosa "costruzione europea", il "sogno" di pace con tanto di premio Nobel, sta precipitando l'Italia.
Mi pare importante sottolineare questi passaggi:
- "...applichiamo questo modus
operandi alla miriade di analoghi progetti in ambito militare,
moltiplichiamolo per tutti i quadri normativi comunitari concernenti energia,
agro-alimentare, settore automotive, ecc. e possiamo renderci conto del
guazzabuglio di conflitti d' interesse che alberga a Bruxelles";
- ...“rimilitarizzazione della politica estera”, un progetto con un sempre più
accentuato carattere egemonico che i movimenti sociali tendono a ignorare,
essendo concentrati sulle conseguenze di austerità e depressione economica;
- Nei
sogni di alcuni think tank di Bruxelles, l'obiettivo minimo è il
controllo di una zona che comprenda la metà superiore dell'Africa, con l'Oceano
Indiano fino in Indonesia e ad est abbraccia l'intero continente europeo fino
ai giacimenti di gas nella Penisola di Yamal in Russia; un'Unione Europea così
concepita vivrà in uno stato di guerra permanente e necessita pertanto di un esercito ben
strutturato che sostituisca quello attuale troppo frammentato, non adatto a
guerre di tipo neocoloniale.
Da ultimo l'inquietante strategia della "tensione dei mercati" attivata su Finmeccanica, con un meccanismo tristemente già noto. Con ulteriori implicazioni che vedremo nella prossima "puntata".
Come al solito i grandi broadcast networks mondiali sono “abili e arruolati” e dovranno dare il loro contributo alla costruzione della Grande Società e alla creazione del “terrorismo sintetico”, dalla definizione di Alessandro Lattanzio; il box collocato nella stessa pagina (77) non può essere più chiaro: “L'influenza dei media sull'opinione pubblica nell'accettazione delle operazioni di difesa”.
Il
concetto è questo: nell'era delle tecnologie e dell'informazione globale, i
diversi modi di fruizione delle notizie – soprattutto grazie a Internet – hanno
reso le persone molto più consapevoli sui reali effetti delle operazioni
militari, come ad esempio i bombardamenti su Bagdad; questo crea nell'opinione pubblica una
profonda impressione e porta al rifiuto di tali operazioni.
Viceversa,
le immagini del Darfur, dello Zimbabwe e altre mostruosità creano pressioni
sociali sui governi per l'avvio di operazioni umanitarie.
Quindi?
Quindi,
il compito dei media è trasformare operazioni a carattere prevalentemente
militare in operazioni filantropiche, magari in quei Paesi che possiedono
quelle famose “terre rare”, di cui la Commissione tanto si
preoccupa.
Trattasidi 17 elementi indispensabili per lo
sviluppo economico e il cui approvvigionamento richiede l'uso di tecnologie
avanzate nonché costi di estrazione elevati.
Grazie alle proprietà magnetiche, le terre rare sono usate nelle calamite permanenti di tipo neodimio-ferro-boro utilizzate nei motori delle auto elettriche, nei generatori a pale eoliche di elevata potenza, nei processi per la raffinazione del petrolio, superconduttori ad alta temperatura, nanotecnologie e altre innumerevoli applicazioni.
Grazie alle proprietà magnetiche, le terre rare sono usate nelle calamite permanenti di tipo neodimio-ferro-boro utilizzate nei motori delle auto elettriche, nei generatori a pale eoliche di elevata potenza, nei processi per la raffinazione del petrolio, superconduttori ad alta temperatura, nanotecnologie e altre innumerevoli applicazioni.
Negli
ultimi decenni diverse nazioni si sono alternate nell'egemonia produttiva di
tali elementi; dagli anni '90 la
Cina controlla circa l'87% del mercato mondiale e nel
frattempo le frizioni con Stati Uniti e Unione Europea si sono accentuate.
Tra
il 2010 e il 2011, la Cina
ha irrigidito le restrizioni all'esportazione, inasprendo il carico fiscale e
diminuendo le quote destinate all'export; queste misure – prese in realtà per
salvaguardare il mercato interno da un eccessivo depauperamento – hanno
provocato rilevanti aumenti di prezzo: il costo dell'europio, ad esempio, è
passato dai 500 dollari per kg del
giugno 2010 a
5000 dollari del giugno 2011, rivelando la vulnerabilità del sistema
economico-industriale americano ed europeo.
A
riprova di quanto sia spinosa la questione, nel marzo del 2012 Stati Uniti, Unione
Europea e Giappone si sono rivolti congiuntamente all'Organizzazione Mondiale
del Commercio (OMC), chiedendo consultazioni riguardo le restrizioni di
Pechino; per contro la risposta cinese non si è fatta
attendere, con il Ministro dell'Industria, Miao Wei, che ha dichiarato: “La Cina prepara la sua difesa,
nel caso che gli USA e altri Paesi depositino una denuncia riguardante la
questione delle 'terre rare' davanti all'OMC” .
La
restrizione cinese all'esportazione non è contro alcun Paese specifico ed è
giustificata, come detto poc'anzi, dalla necessità di sfruttare le risorse in
maniera sostenibile; viceversa la posizione occidentale, che ha preferito
aprire un contenzioso internazionale in luogo di negoziati, ha indispettito non
poco Pechino.
L'irritazione
USA-UE si giustifica anche con le ripercussioni – dovute all'incertezza in
termini di tempo e soldi – che tale controversia potrebbe cagionare allo
sviluppo dei cosiddetti “droni” - ossia il programma RPAS (Remotely
Piloted Aircraft Systems) - la nuova frontiera militare europea, di
chiara ispirazione statunitense.
I
droni - chiamati anche “Unmanned Aerial Vehicles “ (UAV) - sono velivoli
senza pilota, comandati a distanza e guidati tramite joystick – come in
una moderna“console” per scopi ludici - da militari appositamente
addestrati e spesso operanti in basi situate anche a migliaia di chilometri di
distanza dal teatro degli eventi; è il caso, ad esempio, della base Creech nel
Nevada, dalla quale sono teleguidati i velivoli che
colpiscono i territori tra Pakistan e
Afghanistan dove si troverebbero alcune delle più importanti cellule di Al Qaeda; solo le fasi di decollo eatterraggio vengono gestite in loco.
La loro dotazione è di altissimo livello tecnologico e comprende sofisticati computer, laser, GPS, telecamere, intensificatori d'immagini, visori ad infrarossi e i micidiali missili a guida laser “Hellfire” ; ciò consente una completa mappatura ad immagini della situazione sul campo 24 ore su 24, permettendo anche di "captare" conversazioni telefoniche e, va da sé, annichilire “chirurgicamente” il nemico.
Con un'opinione pubblica, come abbiamo visto in precedenza, fortemente contraria all'invio di soldati in costose – sia in termini di budget che di vite umane - “operazioni umanitarie”, l'uso di queste nuove capacità belliche risulta essere “l'uovo di Colombo”; da un lato si accrescono i profitti delle multinazionali USA - incrementandone le vendite, anche in ambito europeo – e dalI'altro si diminuisce la presenza dei marines in prima linea, tacitando le rimostranze della società civile e presentando la guerra – tanto all'opinione pubblica quanto ai soldati stessi - come un asettico videogame: come stiano le cose, a tal proposito, ce lo racconta un ex striker USA, Brandon Bryant. L'amministrazione Obama ha potenziato l'uso strategico degli UAV che , nella lotta del Bene contro il Male, devono portare ad una serie di “azioni letali mirate” con l’obiettivo di “smantellare specifiche reti di estremisti violenti che minacciano l’America”; in realtà, tali “azioni mirate” hanno mostrato un'elevata propensione all'errore se consideriamo che, secondo la Commissione per i diritti umani del Pakistan, solo nel 2010 sono stati uccisi 957 civili e che anche gli altri Paesi posti “sotto la lente USA” vedono un numero assai considerevole di “incresciosi incidenti”: uno degli ultimi casi si è avuto il 13 dicembre scorso a Radda, nello Yemen, dove un corteo nuziale è stato attaccato, per errore, da un drone americano provocando la morte di 17 persone.
La stessa ONU, di fronte allo stillicidio di vittime civili, ha duramente condannato l'uso dei droni con la divulgazione di 2 rapporti redatti dall'avvocato internazionale inglese Ben Emmerson e dal giurista sudafricano Christof Heyn. Sebbene vi siano palesi violazioni del diritto internazionale (intrusioni nello spazio territoriale di nazioni sovrane) e diritti umani (esecuzioni sommarie in paesi stranieri, senza un giusto processo e sulla base di sospetti aleatori e insindacabili) e da più parti se ne chieda un drastico ridimensionamento, la progettazione degli UAV per impieghi militari va avanti a tappe forzate, con un filone di ricerca parallelo che è stato indirizzato verso una crescente miniaturizzazione dei manufatti: la BBCha reso noto che dal 2012, in Afghanistan, le truppe britanniche stanno usando dei mini droni-elicottero (10 cm), dotati di sensori, per monitorare la disposizione dei Taliban sul campo di battaglia; parimenti incredibili sono gli studi condotti alla “Wright Patterson Air Force Base” a Dayton (Ohio), dove si stanno sviluppando minuscoli droni che possano volare in sciami come le api o strisciare come ragni, con l'intento di trasformarli in letali killer invisibili.
Queste formidabili premesse ci portano dritti al documento conclusivo del Consiglio Europeo , redatto al termine dei lavoridel meeting di dicembre,
in cui si pone l'accento sullo sviluppo e utilizzo di modelli aventi caratteristiche operative di “media altitudine e lunga autonomia” (pag.6), con il reperimento di “fondi adeguati” già nel 2014: in realtà, tali “fondi adeguati” hanno – come ci apprestiamo a scoprire - una lunga storia alle spalle e lo stesso iter attuativo è paradigmatico delle modalità e dei contesti para-istituzionali in cui tecnocrati e oligarchie economico-finanziarie – in un rapporto democraticamente incestuoso – operano “al riparo dal processo elettorale”.
“Eurodrones Inc.” è un minuzioso rapportoredatto da “Statewatch” - un “watchdog” europeo su libertàe diritti civili - e divulgato lo scorso febbraio, nel quale vengono analizzate in profondità le varie fasi comunitarie nell'approccio agli UAV. Lo studio evidenzia il considerevole appoggio – politico, ma soprattutto economico – dato dall'Unione Europea all'industria dei droni con almeno 500 milioni di euro già a partire dalla fine degli anni '90, caratterizzato dall' abituale mancanza di un qualsivoglia dibattito pubblico e dalla natura opaca ed elitaria del progetto.
Se in alcuni settori come - ad esempio - l'agricoltura o il monitoraggio di ampie aree l'utilizzo di tali tecnologie non può che trovarci assenzienti, in molti altri scenari sviluppati dall'UE, i droni “sembrano più una soluzione che sta cercando un problema anziché viceversa” : nel merito, è rivelatore un aneddoto che ha visto come protagonisti gli autori di “Statewatch” e un produttore di UAV che, in uno scambio di battute durante una conferenza sul tema, lo ha pacificamente riconosciuto: “Avete ragione, attualmente non sappiamo qual'è il problema; sappiamo solo che la soluzione sono gli UAV”. L'analisi propostaci è davvero pregevole e offre argomenti molto interessanti; nei paragrafi 2.2 e 2.3 (pag.12 e seg.) apprendiamo che nel 2001 la Commissione Europea ha finanziato progetti R&S (Ricerca e sviluppo) sui droni con l'utilizzo di denaro del “5th Framework Research Programme” (FP5), e tra i primi progetti sovvenzionati dai contribuenti europei troviamo un workshop sulle “Civilian Application of Unmanned Airborne Vehicles” ; il fatto singolare è che tale progetto avesse come guida le competenze della “Israeli Aerospace Industries” (IAI), la compagnia dello Stato con la Stella di David, produttrice dei velivoli da combattimento teleguidati “Heron” e “Hunter”.
Gli israeliani – leader con gli USA in questo settore – avevano evidentemente “pizzicato” le corde giuste, visto che quattro anni più tardi la Commissione Europea decide di “investire” 15 milioni di euro in cinque progetti UAV e in questi programmi la già citata Israeli Aerospace Industries fa la parte del leone, considerando che due di questi - UAV-NET e CAPECON – la vedono direttamente a capo, e altri due – IFATS e USICO – ne riportano la presenza come compartecipante: nello studio viene citato – tra i promotori più assidui – tale Mark Okrent, un senior official della IAI e chairman del progetto UAV-NET, cosa che porta gli autori del rapporto a scrivere: “ […]Europeans may be shocked at the extent to which early EU thinking on drones was steered and honed by defence contractors from Israel – not an EU member state – looking for a civil market for their war robots [...]”.
E' del tutto superfluo far notare che la politica sui droni è stata modellata attraverso un processo interamente tecnocratico e rimane largamente invisibile ai parlamenti e alle popolazioni europee; tutto viene fatto passare attraverso le “roadmap”, che “ [...]purtroppo, a differenza di testi legislativi o 'white paper', non invitano ad un più ampio contraddittorio. Infatti, il loro stesso uso appare esattamente progettato per evitare discussioni e dibattiti[...]” (pag.13) e inoltre “[...]queste ambiziose 'roadmap' non solo hanno l'effetto di ridurre il processo decisionale del Parlamento a mero timbro certificatore, ma creano l'impressione che lo sviluppo dei droni sia imminente e inevitabile[...]”, con “[...]il processo che sembra essere stato quasi interamente esternalizzato all'industria[...]” (pag.14).
Tra le innumerevoli “roadmap” delle quali viene dato conto, il fattore costante e unificante è rappresentato dalla pervasiva presenza della “UVS International”. Fondata nel 1995 da Peter Van Blyenburgh – attuale Presidente - come “Euro UVS” e registrata in Olanda come organizzazione no-profit, la UVS International è - in realtà - una lobby internazionale (250 membri in 34 paesi) che rappresenta gli interessi dei principali costruttori del settore (BAE Systems, EADS-Cassidian, Thales, ecc.) e conta, oltre ai 150 “corporate members” a libro paga , anche 109 “honorary members” - appartenenti ad autorità nazionali di regolamentazione, autorità militari, NATO e governi - che hanno il compito di aggirare ”i canali ufficiali, rendendo in tal modo la circolazione delle informazioni molto più veloce e allo stesso tempo creando rapporti vantaggiosi”. (Box 1 pag.17).
La loro dotazione è di altissimo livello tecnologico e comprende sofisticati computer, laser, GPS, telecamere, intensificatori d'immagini, visori ad infrarossi e i micidiali missili a guida laser “Hellfire” ; ciò consente una completa mappatura ad immagini della situazione sul campo 24 ore su 24, permettendo anche di "captare" conversazioni telefoniche e, va da sé, annichilire “chirurgicamente” il nemico.
Con un'opinione pubblica, come abbiamo visto in precedenza, fortemente contraria all'invio di soldati in costose – sia in termini di budget che di vite umane - “operazioni umanitarie”, l'uso di queste nuove capacità belliche risulta essere “l'uovo di Colombo”; da un lato si accrescono i profitti delle multinazionali USA - incrementandone le vendite, anche in ambito europeo – e dalI'altro si diminuisce la presenza dei marines in prima linea, tacitando le rimostranze della società civile e presentando la guerra – tanto all'opinione pubblica quanto ai soldati stessi - come un asettico videogame: come stiano le cose, a tal proposito, ce lo racconta un ex striker USA, Brandon Bryant. L'amministrazione Obama ha potenziato l'uso strategico degli UAV che , nella lotta del Bene contro il Male, devono portare ad una serie di “azioni letali mirate” con l’obiettivo di “smantellare specifiche reti di estremisti violenti che minacciano l’America”; in realtà, tali “azioni mirate” hanno mostrato un'elevata propensione all'errore se consideriamo che, secondo la Commissione per i diritti umani del Pakistan, solo nel 2010 sono stati uccisi 957 civili e che anche gli altri Paesi posti “sotto la lente USA” vedono un numero assai considerevole di “incresciosi incidenti”: uno degli ultimi casi si è avuto il 13 dicembre scorso a Radda, nello Yemen, dove un corteo nuziale è stato attaccato, per errore, da un drone americano provocando la morte di 17 persone.
La stessa ONU, di fronte allo stillicidio di vittime civili, ha duramente condannato l'uso dei droni con la divulgazione di 2 rapporti redatti dall'avvocato internazionale inglese Ben Emmerson e dal giurista sudafricano Christof Heyn. Sebbene vi siano palesi violazioni del diritto internazionale (intrusioni nello spazio territoriale di nazioni sovrane) e diritti umani (esecuzioni sommarie in paesi stranieri, senza un giusto processo e sulla base di sospetti aleatori e insindacabili) e da più parti se ne chieda un drastico ridimensionamento, la progettazione degli UAV per impieghi militari va avanti a tappe forzate, con un filone di ricerca parallelo che è stato indirizzato verso una crescente miniaturizzazione dei manufatti: la BBCha reso noto che dal 2012, in Afghanistan, le truppe britanniche stanno usando dei mini droni-elicottero (10 cm), dotati di sensori, per monitorare la disposizione dei Taliban sul campo di battaglia; parimenti incredibili sono gli studi condotti alla “Wright Patterson Air Force Base” a Dayton (Ohio), dove si stanno sviluppando minuscoli droni che possano volare in sciami come le api o strisciare come ragni, con l'intento di trasformarli in letali killer invisibili.
Queste formidabili premesse ci portano dritti al documento conclusivo del Consiglio Europeo , redatto al termine dei lavoridel meeting di dicembre,
in cui si pone l'accento sullo sviluppo e utilizzo di modelli aventi caratteristiche operative di “media altitudine e lunga autonomia” (pag.6), con il reperimento di “fondi adeguati” già nel 2014: in realtà, tali “fondi adeguati” hanno – come ci apprestiamo a scoprire - una lunga storia alle spalle e lo stesso iter attuativo è paradigmatico delle modalità e dei contesti para-istituzionali in cui tecnocrati e oligarchie economico-finanziarie – in un rapporto democraticamente incestuoso – operano “al riparo dal processo elettorale”.
“Eurodrones Inc.” è un minuzioso rapportoredatto da “Statewatch” - un “watchdog” europeo su libertàe diritti civili - e divulgato lo scorso febbraio, nel quale vengono analizzate in profondità le varie fasi comunitarie nell'approccio agli UAV. Lo studio evidenzia il considerevole appoggio – politico, ma soprattutto economico – dato dall'Unione Europea all'industria dei droni con almeno 500 milioni di euro già a partire dalla fine degli anni '90, caratterizzato dall' abituale mancanza di un qualsivoglia dibattito pubblico e dalla natura opaca ed elitaria del progetto.
Se in alcuni settori come - ad esempio - l'agricoltura o il monitoraggio di ampie aree l'utilizzo di tali tecnologie non può che trovarci assenzienti, in molti altri scenari sviluppati dall'UE, i droni “sembrano più una soluzione che sta cercando un problema anziché viceversa” : nel merito, è rivelatore un aneddoto che ha visto come protagonisti gli autori di “Statewatch” e un produttore di UAV che, in uno scambio di battute durante una conferenza sul tema, lo ha pacificamente riconosciuto: “Avete ragione, attualmente non sappiamo qual'è il problema; sappiamo solo che la soluzione sono gli UAV”. L'analisi propostaci è davvero pregevole e offre argomenti molto interessanti; nei paragrafi 2.2 e 2.3 (pag.12 e seg.) apprendiamo che nel 2001 la Commissione Europea ha finanziato progetti R&S (Ricerca e sviluppo) sui droni con l'utilizzo di denaro del “5th Framework Research Programme” (FP5), e tra i primi progetti sovvenzionati dai contribuenti europei troviamo un workshop sulle “Civilian Application of Unmanned Airborne Vehicles” ; il fatto singolare è che tale progetto avesse come guida le competenze della “Israeli Aerospace Industries” (IAI), la compagnia dello Stato con la Stella di David, produttrice dei velivoli da combattimento teleguidati “Heron” e “Hunter”.
Gli israeliani – leader con gli USA in questo settore – avevano evidentemente “pizzicato” le corde giuste, visto che quattro anni più tardi la Commissione Europea decide di “investire” 15 milioni di euro in cinque progetti UAV e in questi programmi la già citata Israeli Aerospace Industries fa la parte del leone, considerando che due di questi - UAV-NET e CAPECON – la vedono direttamente a capo, e altri due – IFATS e USICO – ne riportano la presenza come compartecipante: nello studio viene citato – tra i promotori più assidui – tale Mark Okrent, un senior official della IAI e chairman del progetto UAV-NET, cosa che porta gli autori del rapporto a scrivere: “ […]Europeans may be shocked at the extent to which early EU thinking on drones was steered and honed by defence contractors from Israel – not an EU member state – looking for a civil market for their war robots [...]”.
E' del tutto superfluo far notare che la politica sui droni è stata modellata attraverso un processo interamente tecnocratico e rimane largamente invisibile ai parlamenti e alle popolazioni europee; tutto viene fatto passare attraverso le “roadmap”, che “ [...]purtroppo, a differenza di testi legislativi o 'white paper', non invitano ad un più ampio contraddittorio. Infatti, il loro stesso uso appare esattamente progettato per evitare discussioni e dibattiti[...]” (pag.13) e inoltre “[...]queste ambiziose 'roadmap' non solo hanno l'effetto di ridurre il processo decisionale del Parlamento a mero timbro certificatore, ma creano l'impressione che lo sviluppo dei droni sia imminente e inevitabile[...]”, con “[...]il processo che sembra essere stato quasi interamente esternalizzato all'industria[...]” (pag.14).
Tra le innumerevoli “roadmap” delle quali viene dato conto, il fattore costante e unificante è rappresentato dalla pervasiva presenza della “UVS International”. Fondata nel 1995 da Peter Van Blyenburgh – attuale Presidente - come “Euro UVS” e registrata in Olanda come organizzazione no-profit, la UVS International è - in realtà - una lobby internazionale (250 membri in 34 paesi) che rappresenta gli interessi dei principali costruttori del settore (BAE Systems, EADS-Cassidian, Thales, ecc.) e conta, oltre ai 150 “corporate members” a libro paga , anche 109 “honorary members” - appartenenti ad autorità nazionali di regolamentazione, autorità militari, NATO e governi - che hanno il compito di aggirare ”i canali ufficiali, rendendo in tal modo la circolazione delle informazioni molto più veloce e allo stesso tempo creando rapporti vantaggiosi”. (Box 1 pag.17).
Come
se questo non fosse già abbastanza disdicevole, si viene a sapere che l'UVS
ha istituito un premio – il “Catherine Fargeon Price” - che gratifica le
individualità che hanno profuso “l'impegno personale e il contributo alla
promozione per l'inserimento degli UAV nello spazio aereo 'non-segregato'[...]”
, e dal 2005 - anno di nascita del premio –
più di una dozzina di regolatori e responsabili politici dell'UE ne
impreziosiscono con i loro nomi l'albo d'oro: applichiamo questo modus
operandi alla miriade di analoghi progetti in ambito militare,
moltiplichiamolo per tutti i quadri normativi comunitari concernenti energia,
agro-alimentare, settore automotive, ecc. e possiamo renderci conto del
guazzabuglio di conflitti d' interesse che alberga a Bruxelles, “ [...]
l’empia Babilonia, ond’è fuggita ogni vergogna, ond’ogni bene è fori, albergo
di dolor[...]”.
Tra la moltitudine di burocrati che affollano i vari panel e workshop destinati alla promozione dei “nuovi giocattoli” comunitari troviamo anche il parlamentare europeo Vittorio Prodi (PD), fratello del più noto Romano: sembra che la saga europea della casata emiliana non sia destinata ad esaurirsi tanto facilmente, poiché al declinare dell'uno corrisponde l'ascesa dell'altro. L'eurodeputato italiano è il Presidente dell' “European Parliament’s Sky and Space Intergroup”, per il quale riceve “risorse umane” - in forma di “funzioni di segretariato” per un massimo di 3 giorni al mese – da ASD Europe, la lobby delle industrie militari europee; in un suo discorso Prodi ha auspicato l'adozione dei droni, prospettando misteriosi benefici per i cittadini europei ed ha “confermato il supporto del Parlamento europeo per lo sviluppo dell'uso civile degli UAS” , frase questa che ha dato agli autori del rapporto la possibilità di portare un elegante colpo in punta di fioretto, quando osservano che “[..]must have come as news to other members of the European Parliament, who have not yet had the pleasure of discussing EU drone policy[...]”. Touché!
Uno dei maggiori problemi che l'élite pro-UAV si trova ad affrontare riguarda l'aura sinistra che aleggia loro intorno, e su come porre in essere un “Brain-washing”, anzi un “Drone- washing” atto a condizionare l'opinione pubblica, portandola a mostrare più indulgenza verso queste nuove macchine generatrici di “crescita e lavoro” .
In tal senso, la Commissione Europea – da sempre disinteressata all'apertura di un reale dibattito comune - sta invece sviluppando un programma di “public relations” : “[...]La Relazione sulla “approvazione sociale” raccomanda la compilazione – redatta da un gruppo 'ad hoc' – di “una strategia per favorire l'accettazione pubblica” e suggerisce di intraprendere un sondaggio al fine di ottenere informazioni “direttamente dal pubblico” su “ciò che deve essere fatto per ottenere un consenso collettivo[...]”- (pag.25) ; qui il procedimento è mutuato da metodologie “data mining” e funziona come una ricerca di marketing , ovvero si analizzano le motivazioni e i processi mentali della “massa” - estrapolandoli dai campioni demoscopici - e quindi si ricalibrano il tipo di propaganda e le modalità di presentazione del “prodotto” indirizzandole - solo superficialmente - verso “quello che la gente vuole”, mantenendone invece intatte – nella sostanza - le iniziali prerogative gradite alle élites: pura cosmesi comunicativa.
Rimanendo in tema, nel Regno Unito, la “Unmanned Aerial Vehicle Systems Association” ha suggerito che i droni impiegati in Gran Bretagna dovrebbero essere mostrati come “un beneficio all'umanità in generale” , ricoperti da annunci umanitari e verniciati con colori vivaci per prendere le distanze da quelli utilizzati in zone di guerra.
Al di là dei bizantinismi della Commissione Europea, l' uso potenziale di video e altri sensori per la sorveglianza aerea ha serie implicazioni sulle libertà civili e dovrebbe essere un serio obiettivo di discussione, ponendo anche il problema della custodia e riservatezza dei dati ottenuti, considerando le differenti legislazioni nazionali in materia.
tuttavia è importante notare che i droni non sono semplicemente “telecamere volanti”; tra i vari tipi di “payloads” (carichi utili), l'esempio più preoccupante è rappresentato dagli armamenti: negli Stati Uniti ci sono già indicazioni sul fatto che i produttori stiano offrendo alle autorità di polizia droni equipaggiati con armi sia “letali” che “meno letali”, e si parla – in un futuro prossimo - di dotare i “Predator”, che presidiano il confine USA-Messico, con un bagaglio di “less-lethal weapons”.
Tra la moltitudine di burocrati che affollano i vari panel e workshop destinati alla promozione dei “nuovi giocattoli” comunitari troviamo anche il parlamentare europeo Vittorio Prodi (PD), fratello del più noto Romano: sembra che la saga europea della casata emiliana non sia destinata ad esaurirsi tanto facilmente, poiché al declinare dell'uno corrisponde l'ascesa dell'altro. L'eurodeputato italiano è il Presidente dell' “European Parliament’s Sky and Space Intergroup”, per il quale riceve “risorse umane” - in forma di “funzioni di segretariato” per un massimo di 3 giorni al mese – da ASD Europe, la lobby delle industrie militari europee; in un suo discorso Prodi ha auspicato l'adozione dei droni, prospettando misteriosi benefici per i cittadini europei ed ha “confermato il supporto del Parlamento europeo per lo sviluppo dell'uso civile degli UAS” , frase questa che ha dato agli autori del rapporto la possibilità di portare un elegante colpo in punta di fioretto, quando osservano che “[..]must have come as news to other members of the European Parliament, who have not yet had the pleasure of discussing EU drone policy[...]”. Touché!
Uno dei maggiori problemi che l'élite pro-UAV si trova ad affrontare riguarda l'aura sinistra che aleggia loro intorno, e su come porre in essere un “Brain-washing”, anzi un “Drone- washing” atto a condizionare l'opinione pubblica, portandola a mostrare più indulgenza verso queste nuove macchine generatrici di “crescita e lavoro” .
In tal senso, la Commissione Europea – da sempre disinteressata all'apertura di un reale dibattito comune - sta invece sviluppando un programma di “public relations” : “[...]La Relazione sulla “approvazione sociale” raccomanda la compilazione – redatta da un gruppo 'ad hoc' – di “una strategia per favorire l'accettazione pubblica” e suggerisce di intraprendere un sondaggio al fine di ottenere informazioni “direttamente dal pubblico” su “ciò che deve essere fatto per ottenere un consenso collettivo[...]”- (pag.25) ; qui il procedimento è mutuato da metodologie “data mining” e funziona come una ricerca di marketing , ovvero si analizzano le motivazioni e i processi mentali della “massa” - estrapolandoli dai campioni demoscopici - e quindi si ricalibrano il tipo di propaganda e le modalità di presentazione del “prodotto” indirizzandole - solo superficialmente - verso “quello che la gente vuole”, mantenendone invece intatte – nella sostanza - le iniziali prerogative gradite alle élites: pura cosmesi comunicativa.
Rimanendo in tema, nel Regno Unito, la “Unmanned Aerial Vehicle Systems Association” ha suggerito che i droni impiegati in Gran Bretagna dovrebbero essere mostrati come “un beneficio all'umanità in generale” , ricoperti da annunci umanitari e verniciati con colori vivaci per prendere le distanze da quelli utilizzati in zone di guerra.
Al di là dei bizantinismi della Commissione Europea, l' uso potenziale di video e altri sensori per la sorveglianza aerea ha serie implicazioni sulle libertà civili e dovrebbe essere un serio obiettivo di discussione, ponendo anche il problema della custodia e riservatezza dei dati ottenuti, considerando le differenti legislazioni nazionali in materia.
tuttavia è importante notare che i droni non sono semplicemente “telecamere volanti”; tra i vari tipi di “payloads” (carichi utili), l'esempio più preoccupante è rappresentato dagli armamenti: negli Stati Uniti ci sono già indicazioni sul fatto che i produttori stiano offrendo alle autorità di polizia droni equipaggiati con armi sia “letali” che “meno letali”, e si parla – in un futuro prossimo - di dotare i “Predator”, che presidiano il confine USA-Messico, con un bagaglio di “less-lethal weapons”.
Gli
autori di “Statewatch” sospettano, non a torto, che si stia andando
verso una nascente “militarising Europe” (par. 4.4 ; pag.43), in
ossequio agli ultimi dettami USA-NATO;
essi fanno notare che la politica della Commissione Europea sta virando
verso un approccio dinamico che tende a usare i droni civili come un “Cavallodi Troia” per finanziare – in base a supposte sinergie – anche progettimilitari che vedrebbero l'impiego di UAV
armati :
come
abbiamo osservato in precedenza, la Comunicazione n°542 della CE utilizzava i termini
“cross-fertilisation” e “hybrid standards” riferendosi proprio a
questa possibilità. Uno dei
progetti più ambiziosi prevede la costruzione ex-novo di un drone
europeo “a lunga autonomia” (MALE – Medium Altitude Long Endurance)
attraverso una joint-venture continentale (http://www.formiche.net/2013/06/17/eads-dassault-finmeccanica-drone-ue/), utilizzando
il nuovo programma di finanziamento HORIZON 2020 che – lanciato
nel dicembre scorso – può contare sul più che ragguardevole budget di 77
miliardi di euro; nella fattispecie, è rappresentativo il compito svolto dall'EDA
(European Defence Agency) che - fin
dalla sua fondazione, nel 2004 - ha
investito tempo e svariati milioni di euro (almeno 190 , tra il 2005 e il 2011)
in progetti che cercano di modificare gli aspetti ostativi all'operatività
degli UAV fuori dallo “spazio aereo segregato” : tale
definizione vuole precisare lo spazio aereo pensato per l'uso militare, che è
soggetto a differenti controlli e legislazione rispetto a quello civile.
E' esattamente questo tipo di “segregazione” che i “drone-enthusiasts” desiderano abbattere per assicurare loro massima libertà di movimento sui cieli europei; una tra le principali migliorie tecniche su cui stanno lavorando in sede comunitaria è legata allo sviluppo del sistema “sense and avoid” (“percepisci ed evita”) che consenta ai droni di individuare altri aeromobili e – alla bisogna – cambiare rotta per evitare la collisione: va peraltro rilevata la poco confortante serie storica relativa ai “drone crashes” , come si può facilmente verificare dal database di “Dronewars-net” che - sebbene sconti la proverbiale reticenza militare e appaia sottodimensionato – riporta un'impressionante casistica che pone ulteriori interrogativi sul loro forzato inserimento in aree densamente popolate come quelle europee.
La conduzione politica dell'EDA si fa poi “apprezzare” per l'esclusiva indipendenza e per una sospetta impermeabilità al controllo democratico: “[...]non c'è nessuna regolare, formale supervisione nei confronti dell'EDA da parte di altre istituzioni UE, e l'Agenzia non rispetta pienamente le norme comunitarie in materia di accesso a documenti ufficiali, rendendo ancora più difficile[...] indagare e capire quello che sta facendo e perché[...]”. (pag. 40).
E' esattamente questo tipo di “segregazione” che i “drone-enthusiasts” desiderano abbattere per assicurare loro massima libertà di movimento sui cieli europei; una tra le principali migliorie tecniche su cui stanno lavorando in sede comunitaria è legata allo sviluppo del sistema “sense and avoid” (“percepisci ed evita”) che consenta ai droni di individuare altri aeromobili e – alla bisogna – cambiare rotta per evitare la collisione: va peraltro rilevata la poco confortante serie storica relativa ai “drone crashes” , come si può facilmente verificare dal database di “Dronewars-net” che - sebbene sconti la proverbiale reticenza militare e appaia sottodimensionato – riporta un'impressionante casistica che pone ulteriori interrogativi sul loro forzato inserimento in aree densamente popolate come quelle europee.
La conduzione politica dell'EDA si fa poi “apprezzare” per l'esclusiva indipendenza e per una sospetta impermeabilità al controllo democratico: “[...]non c'è nessuna regolare, formale supervisione nei confronti dell'EDA da parte di altre istituzioni UE, e l'Agenzia non rispetta pienamente le norme comunitarie in materia di accesso a documenti ufficiali, rendendo ancora più difficile[...] indagare e capire quello che sta facendo e perché[...]”. (pag. 40).
In
“prospettiva UAV” , assumono grande rilevanza i profondi
legami che quest'ultima ha instaurato con l'European Space Agency (ESA)
: “[...]nonostante un impegno per
l'uso esclusivamente pacifico dello Spazio, negli ultimi 10 anni il lavoro
dell'ESA si è orientato verso le tecnologie militari. Per questo scopo ha
cooperato, sempre più strettamente, con la Commissione Europea
e l'EDA nello sviluppo di satelliti e infrastrutture di comunicazione
necessarie ai droni per volare nello spazio aereo civile[...], una
componente necessaria affinché gli UAV possano volare oltre la visuale
dell'operatore (beyond-line-of-sight data transmission)[...]” (pagg.
54-55).
L'evoluzione
delle metodiche connesse alle comunicazioni satellitari sta portando a una escalation
nella militarizzazione dello Spazio, obiettivo che gli Stati Uniti perseguono
ostinatamente fin dai tempi dell'amministrazione Reagan; quattro anni fa gli
USA hanno annunciato i primi test sul Boeing X -37B , un aereorobot di
dimensioni ridotte (2,9
metri di altezza, 8,9 di lunghezza e un'apertura alare
di 4,5 metri)
che decolla spinto da un razzo e
(http://www.lastampa.it/2010/04/24/blogs/finestra-sull-america/obama-lancia-il-drone-spaziale-vUuHi3hk4jhbdZIda7jftN/pagina.html) torna sulla terra
planando come un aliante, con un'autonomia massima di 270 giorni in orbita e abilitato a missioni
di intelligence e al trasporto di armi; a tal riguardo, in un discorso
all'ONU il 17 ottobre 2013, Mikhail Uljanov - direttore del dipartimento per
gli Affari della Sicurezza e il Disarmo presso il ministero degli Esteri russo
- ha informato il pubblico che la
Russia e la
Cina hanno deciso di presentare un documento da sottoporre
alle Nazioni Unite: il diplomatico ha sottolineato che la ragione
dell’iniziativa era “la carenza di obblighi di legge che vietino il posizionamento di arminello spazio [...]”.
Ricapitoliamo:
(1) la nuova strategia geopolitica degli USA si sta spostando verso l'Eurasia e il Pacifico – nel Mare Cinese Meridionale - e necessita della “collaborazione” fattiva dell'Unione Europea.
(2) come visto poc'anzi, alti esponenti della NATO e degli Stati Uniti pressano per una decisa “militarizzazione” dell'UE che, cooperando con l'Alleato, aiuti a prevenire quelle minacce che “spesso arrivano dall'altra parte del globo” e insidiano il “primato della civiltà occidentale”.
(3) come si evince anche dal documento conclusivo del Consiglio Europeo, l'appello all'improcrastinabile “militarizzazione” non è generico ma segue coordinate precise, ossia droni a ”media altitudine e lunga autonomia” ; lo sviluppo della capacità di rifornimento in volo (aerei cisterna) ; satelliti ad alta risoluzione e, soprattutto, satelliti di comunicazione che consentano la funzionalità BLOS (Beyond-line-of-sight) che permette latrasmissione dati su lunghissime distanze (essenziale per i droni), tutte capacità tecnologiche che rivelano future attività militari extra-europee. (4) “Il mondo ha bisogno di un'Europa che sia capace di dispiegare missioni militari per aiutare a stabilizzare la situazione in aree di crisi[...] abbiamo bisogno di rinforzare la nostra Politica Estera e di Sicurezza Comune e un approccio condiviso alle questioni relative alla difesa, perché insieme abbiamo la forza e le dimensioni per plasmare il mondo in un posto più equo, dove le regole e i diritti umani sono rispettati”.
J.
Barroso – Discorso sullo stato dell'Unione, settembre 2012.
Un
intrigante libro spagnolo, uscito lo scorso anno, offre eccellenti spunti di
riflessione sulla costruzione oligarchica e dispotica dell'Unione Europea e del
suo ruolo futuro, assieme alla NATO, nella costruzione e gestione di crisi
militari che portino all'accaparramento delle materie prime necessarie alle
grandi industrie statunitensi e tedesche.
Il
tomo in questione si intitola “La Quinta Alemania” ed ha come estensori Rafael
Poch – de – Feliu, Angel Ferrero e Carmela Negrete.
Come
il titolo lascia presagire, lo studio dei tre autori spagnoli analizza la
profonda crisi economica e democratica europea, che è poi la crisi speculare di
un Paese preso – a torto – come modello.
Rafael
Poch identifica nella storia dell'Europa contemporanea cinque “Germanie”; la
prima è quella frammentata e pre-industriale anteriore al XIX secolo; la
seconda appare con l'unificazione di Bismarck, successiva alla guerra
franco-prussiana e giunge fino alla Prima Guerra Mondiale; la terza incarna la
follia di Hitler e si conclude con la fine della Seconda Guerra Mondiale; la
quarta è la doppia Germania del dopoguerra, una miscela di capitalismo e
democrazia ad Ovest e una miscela di socialismo e dittatura ad Est.
La Germania attuale nasce dalla
riunificazione del 1990 e la rigenerata sovranità e potenza la vede subito
protagonista di un lento ma deciso interventismo militare, nei Balcani in
quegli stessi anni fino alle odierne missioni in Afghanistan e Africa; oggi –
con la disapprovazione passiva dei suoi cittadini – l'establishment teutonico
giustifica il dominio imperiale dell'Occidente nel mondo, parlando apertamente
della necessità e legittimità di accedere a risorse energetiche e materie prime
globali.
Nel
2° capitolo Angel Ferrero parla di
una “rimilitarizzazione della politica estera”, un progetto con un sempre più
accentuato carattere egemonico che i movimenti sociali tendono a ignorare,
essendo concentrati sulle conseguenze di austerità e depressione economica.
I
combustibili fossili e altri materiali necessari per la produzione industriale
devono essere costantemente reperibili e sfortunatamente la penisola europea
non ne è particolarmente
ricca;
di qui discende la necessità di arrivare a una dissimulata strategia
neocolonialista per il controllo del loro sfruttamento e delle vie di
trasporto; le modalità di attuazione del progetto vanno dalla corruzione delle élites
locali fino all'utilizzo di mezzi più coercitivi.
Nei
sogni di alcuni think tank di Bruxelles, l'obiettivo minimo è il
controllo di una zona che comprenda la metà superiore dell'Africa, con l'Oceano
Indiano fino in Indonesia e ad est abbraccia l'intero continente europeo fino
ai giacimenti di gas nella Penisola di Yamal in Russia; un'Unione Europea così
concepita vivrà in uno stato di guerra permanente e necessita pertanto di un esercito ben
strutturato che sostituisca quello attuale troppo frammentato, non adatto a
guerre di tipo neocoloniale.
Le
richieste di un esercito ridotto e moderno sono aliene da considerazioni
economiche o pacifiste; quest'idea viene dalla maggioranza della NATO e si basa
sulla strategia “una organizzazione, due pilastri” (USA e UE) che postula il
dispiegamento della massima forza nel più breve tempo, un “braccio armato” che
intervenga dove gli interessi occidentali vengono minacciati, fosse anche
all'altro capo del mondo.
Questa
è la linea d'azione del fedifrago Hollande che vorrebbe, fin da subito, una maggiore
condivisione nelle politiche “umanitarie” in Africa, e il suo intervento al
vertice di dicembre è stato una “chiamata alle armi” nei confronti degli altripartner; tra i Paesi più recalcitranti e ostili a questo
progetto vi è senza dubbio Londra che è decisa a mettere il veto sul progetto
di integrazione e cooperazione.
Quale
sia la reale motivazione della presenza francese in Africa lo si evince da un
articolo del nostro Stato Maggiore della Difesa; la fine del
colonialismo, vi si legge, non ha visto un rallentamento delle ingerenze
francesi nelle politiche interne di questi Paesi: mediante grandi aziende
attive nel settore minerario, petrolifero e infrastrutturale, Parigi controlla
i ricchi giacimenti locali di minerali strategici (uranio, cobalto, bauxite,
manganese, rame e ferro), beneficia di importante commesse e appalti.
Lo
strumento militare è strettamente correlato al raggiungimento di tali fini,
come lo è in altre nazioni africane; dietro alla tragedia nella Repubblica
Democratica del Congo vi è la lotta sotterranea degli USA e delle
multinazionali (con i loro alleati Uganda e Ruanda) per lo sfruttamento del
coltan (elemento essenziale per l'industria hi-tech, missilistica, aeronautica
ecc.) e il conflitto nel Kivu è fomentato con
l'arruolamento di mercenari e pseudo-ribelli. (http://www.cesi-italia.org/africa/item/279-l%E2%80%99instabilit%C3%A0-del-congo-orientale-e-il-ruolo-dell%E2%80%99m23-e-delle-milizie-etniche.html)
Lo
scrittore e giornalista francese Charles Onana - autore del libro “Europe,
crimes et censure au Congo. Les documents qui accusent” - rivela in
un'intervista esclusiva all'AntiDiplomatico la cifra della
selettività democratica occidentale nel bacino del Congo e dintorni; questo un breve estratto: “ [...] Quello
che ho capito dalle mie indagini è che l’UE è succube della politica estera di
Stati Uniti e Gran Bretagna nella regione dei Grandi Laghi, una
politica favorevole al Presidente Paul Kagame. Per la cronaca quest'ultimo
aveva seguito una formazione accelerata al Pentagono per operare un colpo di
Stato nel 1990[...]”.
Nel
paragrafo 3.3.9 (pagg.53-54) dello studio batavo arriviamo al problema dei
problemi: la proprietà dell'industria militare.
Si
constata che molte delle attuali principali aziende europee sono ancora parzialmente
possedute dai governi, soprattutto per mezzo della golden share, ma che
attraverso il processo di liberalizzazione questo trend sta scemando; le
compagnie USA hanno incrementato la loro presenza in Europa attraverso
acquisizioni (principalmente nel Regno Unito, Germania e Svezia) ma “...in
France, Italy and Spain, governments are still reluctant to sell majority
stakes in defence company”.
Il
punto di arrivo è quello di portare alla nascita di grosse multinazionali che
acquisiscano, tassello dopo tassello, i residui pezzi pregiati, infatti: “less
government ownership and more private ownership may led to increased efficiency
and will make it easier to create
larger
multinational firms[...]”.
Più
chiaro di così!
E'
evidente come l'Italia sia, da questo punto di vista, un bocconcino succulento
che attende docilmente di essere svenduto dalla sua classe politica, non più così “riluttante”.
La
chiave del successo di un'operazione del genere passa attraverso i mercati
azionari (“Private ownership and operation on the stock market will create
pressures for further restructuring actions to improve competitiveness and
financial performances; pag.54) e il piano d'azione è stato sperimentato
innumerevoli volte con i Bond sovrani dei paesi periferici: si diffondono delle
notizie allarmistiche o delle “casuali” fughe di notizie (sovente sotto forma di report riservati) che
fanno dubitare gli investitori sulla solvibilità del Paese che, privato della
propria politica monetaria, è costretto ad assistere all'impennarsi dello spread,
alla fuga dei capitali verso i paesi core e al progressivo peggioramento
dell'economia che richiederà misure drastiche di aggiustamento.
Questa
necessaria premessa è l'incipit che ci consente di ragionare sul destino di Finmeccanica
e di come le vicende che la vedono protagonista negli ultimi mesi ricalchino in
maniera impressionante lo schema appena visto.
Giusto
un anno fa, l'allora AD di Finmeccanica – Giuseppe Orsi – è raggiunto da
un'ordinanza di custodia cautelare con l'accusa di corruzione internazionale,
peculato e concussione; la magistratura ipotizza il pagamento di una presunta
tangente a membri del governo indiano per una fornitura da 556 milioni di euro
per 12 elicotteri Agusta.
L'effetto
è devastante, con il titolo che non riesce a far prezzo negli scambi iniziali,
arrivando a cedere successivamente l'8,4%; a seguito di queste vicende, l'UBS
decide di abbassarne ( http://www.piazzaffari.info/titoli-hot/finmeccanica-titolo-bocciato-da-ubs-dopo-arresto-orsi.html) il giudizio da “buy”
a “neutral”, adducendo a giustificazione della decisione presa la
probabile incapacità di portare avanti il NECESSARIO PIANO DI DISMISSIONI E
RISTRUTTURAZIONI (necessario a chi?) da parte del nuovo amministratore delegato
Alessandro Pansa, incapacità dovuta all'ottenimento di un sufficiente consenso
politico.
A
luglio, Belgio e Olanda accusano l' Ansaldo Breda (una controllata) di
aver venduti loro dei treni non corrispondenti agli standard qualitativi là in
uso e quindi blocco delle consegne e azione legale per il recupero delle quote
già pagate; infine – ciliegina sulla torta – arriva il fuoco di fila deldeclassamento del rating, prima con Fitch (luglio)
e – in un secondo tempo
– Moody's (settembre), entrambe con giudizio
JUNK (spazzatura): gli analisti americani motivano la loro scelta con “il
ritardo rispetto alla tempistica indicata nella vendita delle attività non più
strategiche nei trasporti ed energia”.
Stupisce
assai l'apprendere che le scelte e le opzioni commerciali di un'azienda debbano
essere dettate da organismi in palese conflitto di interessi (http://it.wikipedia.org/wiki/Moody%27s) , essendo essi stessi
controllati da fondi di investimento (BlackRock, Vanguard Group, State
Street) e banche che detengono cospicui pacchetti azionari di Lockheed
Martin, uno dei principaliconcorrenti di Finmeccanica.
Sembrerebbe
che, a quanto ci raccontano, per la factory italiana valga il famoso detto “L'è
tutto sbagliato, l'è tutto da rifare” dell'indimenticabile “Ginettaccio”.
Sembrerebbe.
A
leggere nel già citato studio TNO si ricava un'impressione ben diversa; dal box
dedicato a Finmeccanica (pag. 67) si trae un giudizio molto
lusinghiero sulla nostra azienda, che viene definita “il principale gruppo
italiano che opera globalmente nel settore aerospaziale, nei settori della
sicurezza e della difesa e uno dei leader mondiali nel campo degli elicotteri,
della difesa elettronica, nonché leader europeo nei satelliti e servizi
spaziali”, tutte competenze di primaria rilevanza nell'odierno mercato
militare; aggiungiamo al postutto che “la crescita organica” di Finmeccanica
è orientata nel Regno Unito e negli Stati Uniti e il cerchio si chiude.
Nel
mercato dominato dalle grandi multinazionali anglo-americane, la presenza di Finmeccanica
tra le prime 10 aziende mondiali dà sicuramente fastidio, non meno di quanto ne
desse l'ENI di Mattei: sarà un caso che proprio ENI-Saipem (per
presunte tangenti all'Algeria) e Finmeccanica si trovino nell'occhio del
ciclone, con crolli in Borsa e declassamenti di rating che vanno di
pari passo con le richieste di privatizzazioni?
No,
non è un caso; come già evidenziato precedentemente, il fine – a saperlo
decifrare – è chiaro: destabilizzare un'azienda per abbassarne il valore
patrimoniale e d'immagine che ne consenta l'acquisizione a prezzo di saldo,
confidando anche nel miserrimo quadro macroeconomico italiano.
Chi è Riccado Seremedi, l'autore di questi interessantissimi articoli ? In rete non c'è niente su di lui .
RispondiEliminaRispetto al caso Finmeccanica: Quando vi fu l'apertura dell'inchiesta per le tangenti indiane Berlusconi disse più o meno che così va il mondo,sopratutto quel mondo.
Si suggerisce che le informazioni siano state una "soffiata ".
Ma (forse sono ancora troppo ingenuo) è possibile credere ancora ad una indipendenza della Magistratura, a credere che non deva essere quello il modo in cui va il mondo e che le indagini siano cosa "buona e giusta "?
Spero ti risponda lo stesso Riccardo.
EliminaLa magistratura deve attivarsi perchè l'azione penale è obbligatoria. Il punto è come si arriva alla notitia criminis in tanti anni di format "corruzione-svendite" in Italia. Questo, in fondo, è un problema di sovranità e di simultaneità e leale reciprocità dell'atteggiamento dei vari esecutivi europei sui rispettivi interessi "industrial-difensivi"...
Sono mesi che ho per la testa proprio queste domande.
EliminaAggiungo ILVA (sono trent'anni che inquina ma la cosa viene fuori solo a fine 2012) e il fatto che oltre alla "crisi" eravamo in piena campagna elettorale (peraltro una delle più particolare di sempre - non foss'altro perché si votava a febbraio).
E la stessa tecnica usata nel 1992, qualcuno fa le soffiate e l'obbligatorietà dell'azione penale fa il resto (così magari dopo qualcuno potrà scaricare la colpa sulle toghe rosse).
@piperinik
EliminaTi svelo l'arcano: sono un comunissimo bibliofilo a cui capita di scrivere, qualche volta, dei piccoli resoconti sul "mondo che ci circonda", un semplice lettore di questo blog a cui Quarantotto, con la sua proverbiale generosità, ha concesso uno spazio di espressione.
Tutto qui.
PS: Grazie dell'apprezzamento.
In alcuni (molti?) casi l'intervento della magistratura è un po' "pigro" (es. Mps, Penati, Malpensa/Gamberale)
EliminaUna domanda forse stupida (penso che la cosa sia stata già trattata ma io a modelli economici sto davvero a zero) da ignorante in materia economica:
RispondiElimina- ma visto che ogni cavolo di report ogni report ogni paper ogni documento ufficiale venga partorito da questi think tank negli ultimi 30 anni ha come giustificazione a tutto, e spesso in realtà come sola giustificazione sostanziale, il perseguimento di una "maggiore efficienza"....ma esiste almeno una stracavolo di prova, un teorema dimostrato, un qualcosa di riconosciuto scientificamente oppure si basa tutto su modelli che partono da postulati inventati all'uopo? e mai messi in dubbio?
ormai quando sento parlare di maggiore efficienza mi viene l'ulcera.
quanto alla magistratura direi che credere in una sua indipendenza è abbastanza ingenuo.
Siamo sempre al modello neo-classico, applicato col pilota automatico.
EliminaIl "segreto" viene dalla "fissazione", all'inizio del secolo scorso, del modello di Marshall che non distingue tra micro e macroeconomia, adottando una spiegazione "universale" (una specie di versione della teoria della relatività in chiave economica) basata sulla legge dell'utilità marginale e corollari. Da qui la costruzione dei macro e "meso" (di settore) equilibri in base alle stesse "scoperte" di equilibrio relativo alla singola impresa singola proiettati sull'intero sistema (c.d. equilibri walrasiani, variamente proposti).
La quantistica del caso fu rappresentata dalla teoria keynesiana della domanda aggregata, per come da lui sviluppata.
Per molti aspetti di suo adeguamento alla realtà successiva alla correzione della crisi del '29, le critiche, pur apportabili al suo "modello", sono state usate per una restaurazione del Marshall e, sempre più, dei suoi antecedenti "ideologici" liberisti.
Questa è ormai una forza inerziale, in cui la "scientificità" è ritratta dall'uso su larga scala della matematica, divenuta sistema di validazione che PRESCINDE DALLE PREMESSE e, facilmente, dalla stessa rilevazione storica COMPLETA dei dati. Cioè si agisce a priori in via deduttiva e si pensa che siccome si esprimono proposizioni matematicamente rappresentate, ciò impedisca di evolvere ogni revisione delle proposizioni di equilibrio marginalista, corrispondenti inevitabilmente alle (mere) idee liberiste (quelle che la scuola di Chicago e prima austriaca fissano su un piano culturale di recupero considerato ormai consolidato).
Non so se ho chiarito il punto...
(umilmente richiedo mi si perdoni questo mio esercizio di "pratica nella sintesi" , sicuramente banalizzando lo svolgimento e trattazione ; lo faccio per "addimesticarmi" in vista di un progetto "speranzosamente" futuro)
Eliminaè "solo" politica
è fondamentalmente politica
è una questione di scelte politiche , con a corollario teoremi che si tengono in piedi l'uno con l'altro
chiedo scusa per l'arroganza , non è mia intenzione banalizzare nè tediare l'eccellenza presente in questo blog
ehhhh non è proprio tutto chiarissimo. ma non importa, ringrazio lo stesso per la spiegazione. evidentemente dovrei approfondire di persona se volessi capirlo dato che mi mancano le basi.
Elimina@Stefano
EliminaCerto che è "solo" politica!
Ed è anche "solo" economia - le due cose sono strettamente e necessariamente legate.
La chiave del discorso, tuttavia, sta nella parolina "scelte": ci sono o non ci sono?
Se non ci sono, allora TINA. There Is No Alternatives (il grido di guerra di madama Thatcher), la politica è finita ed è stata sostituita da una scienza economica "molto hard", molto fisica, che spiega tutto una volta per sempre, e dopo si possono solo affinare i decimali dopo la virgola. In questo senso, mi perdoni 48, è una scienza molto più affine alla fisica ottocentesca che continuava fiduciosamente la fisica newtoniana.
Solo che oggi la scienza economica NON è a questo stadio: il dibattito ESISTE e il modello neoclassico è oggetto di critiche radicali e corrosive. E le risposte per alzata di spalle e per autorità non sono scientificamente rilevanti. Non sono certo un economista, ma so leggere un dibattito scientifico.
L'altro punto fondamentale è che i media, ahimè proprio tutti, ci raccontano una storia opposta: che il modello economico "ultimo, perfetto e definitivo" esiste e che QUINDI e NECESSARIAMENTE le scelte politiche sono ridottissime: i provvedimenti necessari sono rigidamente definiti, si possono giusto scegliere modi e tempi - e anche questi entro limiti rigidi.
Ci dicono, insomma, che la politica è diventata solo la scelta di un "brand": gli ingredienti della bibita nella lattina (sterile! e marcata CE) saranno sempre gli stessi. Ci sono le Norme Europee, possiamo stare tranquilli.
P.S. Dato che si è affacciato a questo blog un mio omonimo (benissimo che il giro si allarghi!), per distinguermi ho deciso di metterci la faccia, o insomma, qualcosa...
Il parallelismo tra teoria neo-classica (pretesamente della relatività) e teoria di Keyens (come quantistica), per motivi di contemporaneità nel manifestarsi storico, è di Galbraith. Ma ti perdonerà dall'alto dei cieli :-)
Elimina@Frank IMHO (sottolineo in my humble opinion ) l'inghippo sta proprio lì : far credere che non ci sono "scelte" , che c'è Tina che pensa a tutto lei , in virtù della sua legittimazione "scientifica"
EliminaSe non sbaglio , il commento di 48 in risposta a Luca , tende a sfatare questo "mito scientifico" , perchè in definitiva in economia di scientifico non c'è proprio nulla : sono solo scelte politiche, (attualmente)imposte da una elitè autoritaria e meschina , che con la "pretesa scientifica" cerca solo di disinnescare possibili reazioni e contromisure (politiche appunto)
Scientifico è il range e le condizioni secondo cui ti viene diagnosticato il diabete (ed anche se ad un primo campanello di allarme rientri nel range , si va con i piedi di piombo prima di iniziare una terapia ; si fanno altri controlli fino a che non si ha la certezza ; in economia invece quasi quasi basta un paio di grafici e sembra che hai dimostrato la qualunque )
per scherzarci su e sdrammatizzare dico questo : qualche tempo fa su un noto social dissi ad un "economista titolato" (con tutta l'arroganza ed astio che solo la disperazione può coltivare )
"spesso gli "economisti" confondono la sintomatologia con l'eziologia ; foste dei medici , sareste in carcere già da molto tempo"
nn ricevetti risposta (ed è un economista troll , che adora perculare gli altri , quando ci riesce)
se mi è ulteriormente concesso l'abuso della Vostra pazienza , vorrei integrare e completare il messaggio precedente con le seguenti considerazioni
Eliminalo faccio non certo perchè ritengo che questo esercizio sia di Vostro gradimento , ma bensì perchè vorrei scongiurare possibili futuri inconvenienti causati dalla mia lacunosa esposizione
preciso quindi che non è assolutamente mia intenzione offendere , sminuire o denigrare il pensiero , il lavoro nè la professione di alcuno
l'arte non è scienza eppure è una fra le cose più degne di questo mondo
una nota particolare vorrei porla in merito all'"IMHO" : non volevo sottolineare il "in my" ma piuttosto il "humble" ; di quanto ho scritto non vi è alcunché di mio ; avevo un certo "sentore di bruciato" già da qualche tempo , ma è solo grazie all'opera di divulgazione del Dottor Barra Caracciolo , e non finirò mai di ringraziare per questo , che sono riuscito recentemente a metabolizzare e "fare mia" l'opinione che ho espresso precedentemente ;
va detto , o almeno io credo vada detto ( e spero di venir smentito prontamente qualora io abbia travisato il "senso del discorso" ) , che ho maturato ed affinato questo pensiero (con nuovi e corroboranti risvolti storico-giuridici) leggendo questo blog , quindi se quanto ho scritto è corretto , è solo merito e "farina del sacco" di questo blog e del suo Autore ; se invece ho detto una cosa "non corretta" , me ne assumo la paternità in quanto è mia la "scorretta" interpretazione e rielaborazione
ora chiedo scusa per essermi dilungato , ma la ritenevo una postilla doverosa
credo che mi autocensurerò , poichè le mie quisquilie nn meritano spazio in questo blog
cordiali saluti
Stefano, va tutto bene. I tuoi commenti sono del tutto ben accetti e riflettono interessanti opinioni
EliminaUn sentito grazie a Riccardo per quest'ampia panoramica e anche agli utenti, in particolare saint simon, per gli interessanti commenti. Parrebbe si possa allargare la battuta di Robert Pollin, cioè che gli USA una politica industriale ce l'hanno, solo che la fa il Pentagono: a quanto pare si fa generosamente carico pure di quella europea...
RispondiEliminaMi unisco ai complimenti per i bellissimi articoli di riccardo e ricambio quelli di arturo: non e' piaggeria quella che mi porta a dire che ho solo restituito un ventesimo di quello che ho avuto in termini di conoscenza da questo blog e dalla sua comunita'.
EliminaIl quadro che si dettaglia con gli articoli di riccardo e' veramente impressionante, personalmente colma una grossa lacuna che avevo sulla nascitura (o maturanda) difesa europea. Il progetto orwelliano in cui siamo intrappolati avanza in modo integrato su tutti i fronti, mentre noi ci dedichiamo molto spesso ad analizzare "solotanto" la parte economico-giuridica (come se fosse poco)...
ma no dai, decide tutto l'onnipotente Genny 'a carogna....pure al FMI lo temono.....sembra così stando ai giornali ed anche boccaloni di taluna sedicente "controinformazione"....
RispondiEliminaDa ignorante, mi verrebbe da dire che con Bush è finita la dottrina delle guerre di invasione militare tra stati, perchè le guerre tra stati ora sono economico/finanziare . Invece mi sembra che la dotrina Obama sia per le rivoluzioni/primavere con annessa guerra civile. E in questo caso i droni fanno parte del gioco.
RispondiEliminaOttimo articolo, complimenti all'autore.
RispondiElimina“... un'Unione Europea così concepita vivrà in uno stato di guerra permanente...”
che però non si può permettere perché fuori menano. Russi e cinesi ne hanno le tasche piene da anni dei nostri avventurismi e da tempo si stanno riorganizzando sul piano militare con esiti impensabili fino a dieci anni fa. In parole povere, è altamente sconsigliabile pensare di confrontarsi con loro sul piano militare.
Come si sarà notato, Putin reagisce freddamente alle minacce Nato perché, in fondo, con una superficie di oltre 17 milioni di kmq la Russia è il Paese più vasto del pianeta, è ricco di risorse, e dispone di un apparato militare tale da sconsigliare a chiunque di fornire a Mosca suggerimenti non richiesti.
«“Nessuno si illuda di poter ottenere la superiorità militare sulla Russia. Noi non lo permetteremo mai ", ha detto Vladimir Putin in un discorso all'Assemblea federale, la sessione congiunta delle due camere del parlamento russo» lo scorso dicembre.
C'è da credergli, visto che il 10 aprile, nel Mar Nero, un Sukoj 24 russo ha sorvolato per una dozzina di volte il cacciatorpediniere Donad Cook “accecandone” il sistema di difesa antimissile.
«I radar americani hanno tracciato la traiettoria di avvicinamento al bersaglio. Improvvisamente tutti gli schermi si sono spenti, Aegis ha smesso di funzionare, i missili non erano in grado di ricevere segnali di puntamento. SU-24 invece nel frattempo ha sorvolato il ponte del cacciatorpediniere, ha fatto una virata da combattimento, simulando una attacco sul bersaglio. Poi ha fatto un'inversione, ripetendo la manovra. Ciò è stato ripetuto per ben 12 volte.
A quanto pare tutti i tentativi di rianimare Aegis e impartire l'ordine di puntamento per il sistema di difesa antiaerea hanno fatto fiasco».
Dopodiché il cacciatorpediniere è rientrato d’urgenza in porto rumeno dove 27 membri dell’equipaggio hanno fatto richiesta di congedo non volendo mettere a rischio le proprie vite.
Inoltre, va sottolineato che i leader europei sembrano del tutto incapaci di comprendere la gravità del momento e continuano a rilasciare dichiarazioni tra l'assurdo e il ridicolo, imperniate prevalentemente sulle minacce di sanzioni alla Russia, glissando sulla circostanza che l'interscambio commerciale tra Europa e Russia è di tale portata da non poter certo essere azzerato dall'oggi al domani, e che le sanzioni avrebbero pesanti conseguenze negative non già per l'economia della Russia, che si rivolgerebbe ai mercati ad oriente, ma per quella europea, Germania in primis.
Quanto ai droni, i militari americani fanno partire i droni sulla base di informazioni prese il più delle volte a casaccio, come se si trattasse di un videogioco. I droni arrivano sull’obiettivo, sganciano i loro ordigni, ammazzano qualcuno e tornano da dove sono venuti, mentre a terra contano i morti, spesso e volentieri civili.
Ma a Washington non sembrano preoccuparsene molto. «"Abbiamo ucciso 4.700 persone, inclusi civili", ha detto il senatore repubblicano Lindsey Graham, un convinto sostenitore dell'uso dei droni.
"A volte si colpiscono persone innocenti, cosa che odio, ma siamo in guerra, e ci siamo sbarazzati di alcuni membri molto importanti di al-Qaeda"
[...]
Un rapporto della New America Foundation di Washington ha rilevato che ci sono stati 350 attacchi dei droni statunitensi dal 2004, per la maggior parte durante la presidenza Obama. La fondazione ha stimato il numero di morti tra 1963 e il 3293, tra cui 261-305 civili.
(segue)
RispondiEliminaSecondo il londinese Bureau of Investigative Journalism, tra 2.627 e 3.457 persone sono state uccise dai droni Usa in Pakistan dal 2004, compresi tra 475 e circa 900 civili». Qui in occidente facciamo finta di niente, ma nelle aree interessate l'ostilità verso il modo di agire degli Usa cresce ogni giorno di più.
Più prima che poi gli Usa dovranno rivedere anche l'attività dei droni perché anche Russia, Cina e Iran se ne stanno dotando, mentre Pakistan e altri paesi li stanno sviluppando.
Quindi, anche a causa dell'iper attività del Pentagono la corsa agli armamenti subirà ulteriori accelerazioni in ogni parte del globo.
E non può sfuggire l'ipocrisia dei burocrati e politici Ue che da un lato si propongono come garanti di un futuro di pace, mentre al contempo lavorano alacremente per trascinarci in una serie di conflitti neo-coloniali.
Il seguito dell'episodio del cacciatorpediniere non lo conoscevo. Fa il paio con la dichiarazione del senatore rep. Ma gli USA, a questo punto, con gente così, hanno le risorse culturali per uscire dalla crisi?
EliminaUbriachi di politically correctness alla Hilary e di neo-liberismo darwinista tea-party, hanno un enorme bisogno di lasciar governare qualcuno (una nuova classe dirigente) che abbia tracce di "umanità" e senso della Storia.
Ma solo Roosevelt ebbe la meglio sui media liberisti. E sui fake attuali "liberal" non farei molto affidamento (i danni irreversibili del clintonismo...under the counter)
“hanno le risorse culturali per uscire dalla crisi?”
EliminaMah, l'America è un grande paese e diversi tra i più accesi critici della sua politica estera sono cittadini statunitensi. Non è infrequente trovare le loro opinioni sui media russi e iraniani.
Secondo lo scrittore John Kaminski, ad esempio, «L'America è una nazione di assassini. Lo è sempre stata, dai primi pellegrini che misero piede in Massachusetts e in seguito uccisero le stesse persone che li avevano salvati dalla morte per fame.
L'intera popolazione americana è intrappolata nell'auto-illusione di essere eroi che combattono una serie infinita di nemici malvagi.
[…]
ultimamente, almeno per la gran parte del secolo scorso, […] sono sempre gli americani che commettono la maggior parte delle uccisioni. Questo è qualcosa - da Sand Creek a Dresda a My Lai a Falluja - che li rende molto orgogliosi
[…]
A causa della nostra profonda ignoranza, le nostre famiglie dovranno presto subire la stessa sorte di quelle persone innocenti che sono morte, perché non abbiamo avuto il coraggio di confrontarci con le bugie che ci hanno detto, e che tuttora ci dicono».
Quello che non riesco a comprendere è che l'America è pur sempre un continente ricco di risorse. Gli americani potrebbero spendere il loro denaro e le loro energie all'interno dei loro confini e trarne maggior giovamento. E invece spendono centinaia di miliardi di dollari per imporre il loro modello di sviluppo laddove nessuno glielo ha chiesto e anche a costo di accoppare una parte rilevante di popolazione, avendo cura di etichettare ipocritamente le loro ingerenze negli affari altrui come “umanitarie”.
Ma, obiettivamente, chi di noi vorrebbe essere aiutato così come è stato fatto in Afganistan, Iraq, Libia, Siria e Ucraina?
Come mai non si parla più della Libia, ad esempio, mentre fino a due anni fa le gesta del tirannico Gheddafi riempivano i palinsesti tv? Perché non abbiamo mai visto un reportage tv che sia uno a testimonianza dei progressi compiuti in Afganistan sulla strada della democrazia?
Perché da oltre dieci anni a questa parte in Iraq quotidianamente si susseguono attentati, di cui da noi si parla fugacemente solo quando le vittime sono oltre le 30/40? Perché su youtube ci sono centinaia di filmati che mostrano i nazisti in azione in Ucraina, ma che le tv occidentali non mostrano?
L'altro giorno un lettore di altro blog ha colto la minaccia insita nel modus operandi che ha condotto al golpe ucraino, ossia “che lo schema ucraino verrà replicato ovunque, non è solo una questione di guerra alla Russia”.
Questa, infatti, è la minaccia che pesa su ogni governo che pensi di discostarsi dalle linee guida “suggerite” da Washington. Compreso il nostro, ovviamente.
Il che, guardando a quanto accade in Ucraina - aggiornamenti continui si trovano qui - rende inquieti.
Ricordo quando, più giovane, leggevo Kerouac, F. S. Fitzgerald, Hemingway, Faulkner, Dos Passos, Steinbeck, ecc., e guardavo con simpatia ai film di Billy Wilder, Black Edwards, Robert Altman, ecc.
Oggi mi mi chiedo dove sia finita quell'America.
Parafrasando Varvara Petrovna in un suo colloquio con Stepan Trofimovič ne I demoni, a Washington dovrebbero prendere atto che non sono “le sole persone intelligenti al mondo, ma che esistono persone più intelligenti di loro”.
Ma questo non riescono ad accettarlo.
Siamo d'accordissimo.
EliminaAlla fine concordi che i fatti si evolvono inesorabilmente, quantomeno, COME SE gli USA non avessero le risorse culturali per uscire dalla crisi. Anche perchè, analogamente all'UE, la classe dirigente politico-finanziaria (sono un tutt'uno, ormai) non ne vuole riconoscere l'essenza.
Stiglitz e Krugman o la Yellen, o molti commentatori giornalistici, sono una cosa; il senso comune diffuso ben altro. Eppure è un popolo, a livello di uomo comune, profondamente orientato non solo alla libertà ma al riconoscimento della stessa in capo agli altri. E tutti percepiscono la disumanità del big business che considerano semitruffaldino o criminale.
Sospetto che questo concetto di solidarietà atipica, in "negativo", derivi da una Costituzione essenzialmente anti-liberoscambista-colonialista e non avesse alcun sentore delle mera potenzialità del "conflitto sociale". Una sorta di superfetazione che viene esaminata solo come episodio ciclico, altrimenti da rimuovere dalla coscienza. Proprio per la Costituzione e la mistica che ci costruiscono su non lo "poteva" contemplare.
Questa, oggi, vicini al collasso di un imperialismo balbuziente, mi pare la radice della mancanza delle specifiche risorse culturali che dovrebbe dispiegare
Potrebbe essere anche utile ricordare che gran parte delle risorse culturali per il New Deal furono europee .
EliminaGli USA hanno sempre avuto cuore e muscoli, ma mai gran cervello (a differenza dei russi che contribuirono maggiormente alla cultura occidentale degli USA stessi).
La stessa Costituzione Jeffersoniana fu "suggerita" da un intellettuale napoletano (prima che i nipotini traslocassero a Little Italy).
Peggio dell'asimmetria del sistema monetario internazionale abbiamo quella "culturale".
l'Europa è l'unica terra ad aver conosciuto sia la libertà che la cultura: questo non può essere detto in lontana misura ne' per gli USA ne' per i russi.
È esiziale che i popoli europei tornino a guidare culturalmente e politicamente l'occidente e che siano punto d'incontro tra Occidente ed Oriente, non semplice vaso di coccio: è necessario guidare culturalmente la resistenza USA ed iniziare una dialettica con l'intellighenzia russa per esportare il modello europeo di democrazia costituzionale.
Non mi sembra assolutamente un progetto velleitario, no?
(Non ho capito bene in che termini: la Carta USA è contro il liberoscambismo e il colonialismo degli altri, freedom from, giusto?)
Sì, è tale la loro Costituzione in quanto dovette riaffermarsi contro il liberoscambismo-coloniale (cioè protezionistico del vantaggio industriale mediante imposizioni alle colonie). Perciò l'affermazione territoriale del "proprio" protezionismo a tutela dell'infant capitalismo industriale gli parve essenziale, territorializzando in senso pro-capitale tutto lo sviluppo successivo (finchè potevano credere che lo sviluppo incessante data ampiezza del territorio stesso e delle risorse avrebbe automaticamente risolto il problema della distribuzione del valore)...
Elimina@ Bazaar (7 maggio 2014 15:21)
Elimina“è necessario guidare culturalmente la resistenza USA ed iniziare una dialettica con l'intellighenzia russa per esportare il modello europeo di democrazia costituzionale.
Non mi sembra assolutamente un progetto velleitario, no?”
A me sembra un ottimo progetto. Ma il segretario alla Difesa Chuck Hagel si mostra di diverso avviso. Parlando ieri al Consiglio di Chicago per gli affari globali, Hagel, rivolto al 47% degli americani che pensano che gli Usa dovrebbero assumere un ruolo meno attivo nei conflitti globali, ha detto che il massiccio apparato militare americano è volto in primo luogo a beneficio del popolo americano, sottolineando che mantenere un impegno con il mondo non è un atto di"carità", ma una questione di interessi pratici nazionali.
Nonostante l'esperienza degli ultimi anni dica il contrario, «Hagel ha detto che gli investimenti per la presenza militare globale dell'America, che comprende 400.000 soldati in 100 paesi, è necessaria per aiutare a costruire un mondo pacifico, libero e stabile. Egli ha inoltre messo in guardia dei pericoli di isolazionismo, che inevitabilmente si ritorcono contro gli Usa».
Hagel lamenta che il budget per le spese militari si è ridotto negli ultimi anni, ma sembra non tenere in alcun conto l'esito fallimentare delle iniziative militari che hanno caratterizzato questo XXI secolo: "Non sono interessato a una lotta giusta, e io non voglio essere in grado di combattere solo l'ultima guerra".
Ecco, la visione di Hagel è quella di un mondo in guerra permanente. E nonostante i 7 miliardi di popolazione e l'abnorme dispiego di materiale bellico ad elevatissimo potenziale distruttivo ormai in possesso anche di nazioni sino a ieri marginali, la vuole anche vincere, la guerra.
HARD & SOFT POWER
RispondiEliminaCi sarebbe da spolverare la biografica di Cusài l’Archita, l’intelligente e fedele consigliere di Re David, secondo re d’Israele che venuto a conoscenza del progetto di Assalone, figlio di David, di usurparne il trono, simula di tradire re David per conquistare la fiducia di Assalone, l’usurpatore, fino a “consigliarne” decisioni strategiche nella battaglia che portò alla sconfitta definitiva di Assalone.
Quello che appare dalla tragedia ucraina è certamente l’irragionevole gestione dell’inevitabile declino USA, sia economico che finanziario e anche militare.
Le alleanze tra i paesi emergenti, gli interessi espressi dai BRICS ridisegnano nuovi rapporti internazionali instaurati su equilibri di reciprocità e non ingerenza nelle reciproche aree di influenza.
Sarebbe ragionevole, come fecero gli inglesi, accettare i cambiamenti inevitali della Storia ricavando un nuovo ruolo internazionale nello scacchiere internazionale ma quello che spaventa è questa Europa dell’Unione Europea succube di una politica scellerata e suicida, come mai lo è stata neppure durante la Guerra Fredda, che sta portando le intere comunità europee come bestie al macello militare e economico del TTIP.
Ad maiora : "Finmeccanica: prosciolti Orsi e Spagnoli".
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