martedì 21 maggio 2013

COSTITUZIONI, BANCHE E SOVRANITA'



 Raccordo disavanzo/debito in percentuale del Pil per i principali Paesi dell’UEM – Anni 2012-2013

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 Debito pubblico in percentuale del Pil per i principali Paesi dell’UEM – Anni 2012-2013
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 (Effetti finanziari pubblici della "austerità espansiva".)

1. C'è un solo caso in cui è vera la vulgata che uno Stato è come una famiglia e non deve "vivere al di sopra delle proprie possibilità"
E' il caso in cui questo Stato debba finanziarsi sui "mercati", cioè presso il sistema bancario: verso questi creditori, e verso questi soltanto, in relazione al proprio fabbisogno non coperto da entrate, è un debitore qualsiasi. E come tale non deve accumulare ulteriore debito creando nuove passività di gestione dei suoi affari, perchè altrimenti si troverà a pagare troppi interessi (aumentati per crescita della propria domanda di credito dovuta, a un certo punto, esclusivamente al maggior accumulo degli interessi da pagare). Si tratta dunque di un'affermazione ontologicamente "relativa", che assume senso solo se rapportata a una categoria sociale ben delimitata e solo nei termini della sua convenienza.

2. Ma questa non è una situazione che gli Stati siano costretti ad affrontare per loro natura e funzione: è una scelta politica che essi "possono" fare, se lo desiderano in quanto ritengano di beneficiare, col pagamento dei crescenti interessi, il sistema bancario (dato che questo è normalmente il "prestatore" operante e organizzato che dispone dei relativi capitali per tale tipo di operazioni).
Nessuno, in teoria, può obbligare gli Stati a farlo, ove conservino la sovranità monetaria.
Gli Stati, normalmente, hanno il potere di stamparsi la moneta necessaria, ordinandolo ad un soggetto pubblico creato ed organizzato per farlo: il "tesoriere" (v. par.5). Che è colui che ha il "potere" conferitogli dallo Stato (cioè delegatogli dal titolare "a titolo originario" della integrale sovranità, intesa come capacità incontestabile di suprema decisione per l'interesse generale, esercitata su una certa comunità di un certo territorio) di stampare la moneta "ufficiale", riconoscibile come tale e quindi, sempre in base a regole che lo Stato detta in autonomia, "avente corso legale".

3. Normalmente, il debito dello Stato, o meglio il suo indebitamento annuale, è determinato dalle minori entrate rispetto alle maggiori spese nello stesso periodo.
Solo che questa situazione che sembra così negativa, è in realtà, in termini di crescita della ricchezza della comunità che quello Stato rappresenta, esattamente invertita: tale ricchezza collettiva sarà esattamente accresciuta di tutta la spesa effettuata e diminuita di tutte le tasse prelevate.
E la spesa aumenta la ricchezza collettiva, il PIL, anche NELLA PARTE  che eccede le entrate pubbliche, cioè che costituisce deficit.
Questi elementi, quindi, assumono un senso diverso e di segno opposto sempre e solo dal punto di vista di un eventuale creditore "professionale" dello Stato.
Ma questo, come abbiamo visto, non ha bisogno di avere un creditore, perchè può benissimo emettere moneta in quantità esattamente corrispondente al fabbisogno determinato dalla differenza tra entrate e spesa.
Non dovendo corrispondere così interessi a nessuno. Se decide di consentire a taluno di prestargli la moneta invece di stamparsela è perchè ritiene di doverlo premiare attribuendogli degli interessi corrispettivi che potrebbe trovarsi, se lo volesse, a non pagare mai, ma che rispondono, appunto, ad una sua visione politica, cioè a come decide di redistribuire la ricchezza nazionale in un determinato momento storico.

4. Questo non significa che uno Stato può spendere quanto vuole e partire per la conquista di Marte per sfruttarne tutte le possibilità minerarie senza preoccuparsi dei costi dell'operazione.
La moneta di quello Stato, al di là della quantità stampata in un determinato anno, avrà un valore (variabile e relativo, cioè rapportato alle monete di altri Stati), correlato alla domanda che ne faranno sia l'insieme dei cittadini, provvedendo a regolare le transazioni che intervengono tra di loro, sia gli appartenenti agli altri Stati (operatori pubblici e specialmente privati). Tale domanda sarà, nel periodo considerato, corrispondente ai valori, cioè prezzi, dei beni e servizi oggetto delle complessive transazioni effettuate in quella moneta.
Cioè la quantità e il valore della moneta, saranno conseguenziali a "fatti" propri dell'economia reale (produzione, in base ai costi dei fattori della produzione, e scambio) di quello Stato, inclusivi del "quanto" vendono, agli operatori residenti in diversi Stati, i cittadini (imprese) residenti. (Nel caso di...Marte, è evidente che tecnologie, expertise e materie prime indispensabili potrebbero non essere disponibili in quello Stato, e che la quantità di moneta necessaria per procurarsele all'estero potrebbe essere in una misura ingentissima e tale da distruggerne il valore di cambio una volta emessa).
5. Se i cittadini con le loro attività, dimensionate per i più vari motivi, demografici, strutturali-tecnologici, politico-contingenti, danno luodo ad un'economia che non esige la quantità di moneta (aggiuntiva) stampata dallo Stato, questa sarà in eccesso di offerta e perderà di valore: notate è, grosso modo, il principio monetarista di Friedman, solo che considera il punto di partenza effettivo del fenomeno, cioè l'insieme della transazioni reali e le sue ragioni (costi di produzione, vicende socio-culturali, storiche e etno-demografiche), e non un astratto punto di vista istituzionale, cioè la creazione esclusivamente pubblica di moneta, da parte della banca centrale (che non può di per sè automaticamente trasmettersi all'economia reale e creare il predicato eccesso di offerta).
Analogamente, se i pagamenti invece sono prevalentemente verso l'estero, quella moneta sarà offerta e non domandata e il suo valore diminuirà, secondo una, ben nota, legge naturale dell'economia.
Solo che a tale fenomeno di sovraofferta, essenzialmente, non si accompagna automaticamente l'indebitamento dello Stato, ma quello "privato" dei cittadini che richiedono all'estero merci e servizi che non sanno o non trovano conveniente prodursi da soli. Mentre all'evenutale eccesso di moneta emessa rispetto alla domanda nazionale, non si accompagna automaticamente, di per sè, alcun debito, neppure privato, ma semmai la svalutazione della moneta e, in qualche misura, la crescita nominale dei prezzi.

6. Precisati questi aspetti generali, e senza volerne fare una esauriente cornice teorica, emerge che la quantificazione del livello di emissione monetaria di uno Stato dipende dalla sue capacità di previsione delle dinamiche dell'economia reale, e dalla sua capacità di influirvi, stimolando quei meccanismi sociali, storicamente identificabili in un certo momento, che inducano certi o tutti i consumi, sostenendo la produzione, nonchè investimenti che la aumentino e la modulino sui bisogni diffusi storicamente presenti.
E come fa uno Stato a capire quali siano questi elementi su cui agire, modulando i livelli della spesa pubblica che, se ben calibrata, è sempre fattore di crescita della ricchezza collettiva?
Come tutte le organizzazioni: segue un modello.
E dove lo rinviene, non potendo, per ragioni pratiche di "pace sociale", rimetterlo in discussione ogni anno, e ad ogni evenienza sopravvenuta in una realtà complessa, legata anche al sistema internazionale in cui lo Stato naturalmente si colloca?
Dalla Costituzione.
Questa delinea in modo stabile quali siano le ragioni, prima di tutto etiche, cioè di valore umano condiviso, che possono giustificare l'intervento dello Stato, i settori sociali in cui questo deve verificarsi, nonchè il loro livello "minimo" e anche il criterio, caratterizzante la forma stessa della comunità sociale, di massima espandibilità degli stessi. 
In definitiva, la stessa "quantità" e il valore "relativo" della moneta, conformi a una buona politica di uno Stato, dipendono da questo meccanismo: il perseguimento di un modello di società, dinamicamente imperniato sui suoi valori costituzionali.

7. Perciò ogni ragionamento sulla razionalità e "idoneità", cioè poi "sostenibilità", di un intervento pubblico, di un bilancio pubblico e della politica fiscale che esso presuppone (nel tempo), dipende, come in tutte le verifiche di razionalità, dalle premesse da cui si parte.
E quindi, affermatosi il valore normativo "supremo" proprio delle Costituzioni moderne, dipende dai fini istituzionali, irrinunciabili e fondativi del legame tra i cittadini, che si rinvengono nella Costituzione.
Non c'è spazio perciò per valutazioni in termini di "vivere al di sopra delle proprie possibilità" demandato alla mera logica contabile del "si spende più di quanto si incassa": primo, perchè questo fenomeno (deficit) non obbliga lo Stato a porsi nella condizione di debitore, secondo perchè se scegliesse di farlo non sarebbe per necessità, ma in seguito a una determinazione politica volta a beneficiare coloro che vengono legittimati alla condizione di creditori.
8. Talvolta, uno Stato, esponenziale di una società priva di un pregresso sviluppo di infrastrutture industriali e generali, può stabilire che, - invece di alimentare con emissione monetaria transazioni a prezzi crescenti, con incrementi puramente nominali in quanto superiori alla variazione della domanda storica di quella comunità statale-, sia più conveniente ed opportuno a prendere in prestito capitali stranieri (espressi in una moneta, dunque, diversa dalla propria). Ma ciò contando sull'ipotesi che lo sviluppo consentito dalla erogazione mirata di quei capitali ai propri citaddini, sblocchi il sub-strato produttivo e consenta di perseguire un modello auspicato (se effettivamente condiviso e non imposto per interessi esteri, cioè di "mercati" alla ricerca di sbocchi).
Il capitale straniero, in questo caso (teorico) consente di ottenere un "nuovo assetto" produttivo e sociale, non altrimenti raggiungibile, che aumenti la capacità di creare valore dell'economia locale, consentendo di restituire quel capitale e gli interessi normalmente garantiti ai prestatori esteri. Questo è un problema di vastissima portata, soggetto a variabili storico-politiche cui il capitalismo e la comunità internazionale hanno dato, negli ultimi due secoli (almeno), varie soluzioni.

9. Ma tralasciando questo aspetto, rimane il fatto che la valutazione delle politiche di bilancio pubblico, compresa la produzione di un deficit annuale, può essere legittimamente compiuta solo in termini di modello costituzionale perseguito da una determinata società. Non conta cioè se il livello della spesa pubblica, comunque produttiva di crescita, sia "eccessivo" rispetto alle entrate, proposizione che, abbiamo visto, è per definizione a validità "relativa", - cioè necessariamente completabile solo sul presupposto della scelta (redistributiva) di ricorrere al finanziamento da parte del sistema bancario e non mediante l'esercizio della sovranità monetaria: conta solo se ciò consente alla società, di cui lo Stato è ente "esponenziale" generale, di perseguire i suoi fini, sacralizzati in una Costituzione.
10.Il che ci consente anche di estrarre un corollario: la scelta politica di ricorrere al finanziamento privato per attribuire interessi, e cioè risorse pubbliche (normalmente procurate attraverso il resto delle entrate di bilancio), ai privati banchieri, deve essere compatibile, e anzi teoricamente giustificabile nel quadro del perseguimento degli interessi fondamentali sanciti nel modello costituzionale di società
Se la scelta in questione fosse, in parte o, come sempre più si sta ora manifestando, del tutto incompatibile con tali fini costituzionali vincolanti, avremo avuto un MUTAMENTO COSTITUZIONALE EXTRA ORDINEM.
Cioè una frattura della legittimazione delle stesse istituzioni, non più fondata sul "Potere costituente" originario che valida la Costituzione nelle sua sostanza di modello socio-economico democratico, ma su altre basi non più democratiche
E "non democratiche" le si può anzitutto qualificare in senso formale-giuridico, perchè non giustificabili in nessuna forma di deliberazione consentita dalla Costituzione che, all'art.139 Cost., vieta che la forma repubblicana, inclusiva dei diritti fondamentali (compresi i diritti umani sociali), sia soggetta allo stesso procedimento di revisione costituzionale.

11. Quello che abbiamo enunciato, d'altra parte, è un principio consolidato del "costituzionalismo" moderno, cioè una acquisizione della civiltà giuridica che assume un valore considerato incontestabile per tutti i paesi che si fondino sulle Costituzioni democratiche in senso moderno.
In cui la "sovranità" è vista come un mezzo vincolato di tutela e PERSEGUIMENTO ATTIVO dei diritti umani e i diritti umani includono, senza arretramenti, i diritti di prestazione sociale di "seconda" e anche di terza generazione.
Cioè includono sia le prestazioni sociali di sostegno ai bisogni primari individuati nelle stesse Costituzioni (sanità, previdenza, tutela del lavoro, del risparmio, della famiglia in proiezione di filiazione e abitazione), con una uniformità che si compendia con parallele enunciazioni del diritto internazionale generale, sia le prestazioni che implicitamente ma necessariamente ne sono considerate uno sviluppo storico legato all'evoluzione tecnologica ("cultura" in relazione alla evoluzione tecnologica dei mezzi di espressione del pensiero, "ambiente" in relazione alla sua consumazione, specialmente dovuta alla crescente pressione antropica caratterizzata dallo sviluppo industriale e tecnologico).
Sia chiaro: questa prevalenza dei bisogni individuati come "a soddisfazione primaria" nelle Costituzioni, è una prevalenza sulla economia e sulla sua intrinseca logica di perseguimento del profitto.
Non esiste, nella legittimità costituzionale, un livello di profitto che possa dirsi prevalente sul perseguimento di tali fini fondamentali
E questo eppure in via strumentale: nel senso che non si può affermare che l'espansione del profitto porti alla sua automatica distribuzione e quindi alla crescita del benessere, consentendo di raggiungere progressivamente tutti quegli obiettivi sociali a perseguimento costituzionalmente obbligatorio, proprio una volta che si siano ottenute le risorse necessarie.
Questo modello sociale non solo non è accolto nelle Costituzioni, e certamente non in quella italiana, ma non è neppure altro che una mera aspirazione teorica del capitalismo liberista.
Mai, però registratasi nella Storia; priva cioè non solo di riscontro nella realtà effettuale della storia del capitalismo, - che segnala costantemente le disastrose crisi dovute alla irrealizzazione pratica del presunto crescente beneficio collettivo ottenuto attraverso la "mano invisibile del mercato", cioè della ricaduta collettiva dell'egoismo individuale-, ma, sopratutto, privo di riscontro positivo nelle regole fondamentali del "patto sociale" che consente la pacifica convivenza.
Solo i trattati europei recano tracce evidenti -seppur deliberatamente disseminate con ambiguità- di questa ideologia "liberista" ma essi, come abbiamo più volte visto, non sono altro che trattati internazionali, e non possono prevalere sulle Costituzioni.
Per ora, finchè siamo in grado di ricordarcelo. E finchè la Costituzione sia quella che oggi conosciamo e dovremmo amare.

17 commenti:

  1. Mi riferisco al primo capoverso (cardine di tutta l'analisi economica UE : privatizzare tutto ciò che non è già privatizzato!)
    Ancora (e ovviamente sempre) secondo me.
    Se lo Stato si deve finanziare sul libero mercato diventa niente di più che un attore economico come tutti gli altri. Anzi. Il sistema
    economico imperniato su quello bancario assume le caratteristiche di uno Stato sovrano. Si finanzia guadagnandoci lautamente.
    Poi, quando fa casini troppo grossi (subprime e idioti di Duesseldorf) "obbliga" lo Stato (quello vero) a coprire le perdite impoverendo i
    cittadini. Quindi qual'è lo Stato operante? (domanda retorica)
    Anche dal punto di vista dell'impresa produttiva le cose vanno "a posto". Le aziende di privati possono imporre le regole sui costi e sui
    prezzi senza doversi confrontare con la "concorrenza" di un imprenditore che può comprimere i profitti tanto quanto si vuole. E,
    soprattutto, che non vive di quei profitti : ha le tasse. Quindi privatizzare la scuola, la sanità etc. significa, per i privati, ottenere
    i risultati ben evidenziati dal più volte citato rapporto della Corte dei Conti.
    E, infatti, basta il passaggio delle aziende private al pubblico per avere dimostrazione di quanto fondato sia il timore dei privati per lo
    stato imprenditore (ad es. quello organizzato dal Titolo III della Costituzione della Repubblica Italiana). Per avere idea di ciò basta vedere la vicenda della distribuzione dell'acqua nella città di Parigi.
    http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-914818/francia-parigi-acqua-torna-pubblica/

    (sembra che anche Berlino ci stia pensando ...)

    ps faccio grazia della dimostrazione di come il bilancio di una azienda privata non possa mai essere migliore di quello di una azienda
    pubblica

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  2. Ciao 48,
    è stato un piacere leggere questo post! Rende benissimo l'idea dell'importanza centrale della Costituzione e mette in fila le priorità da perseguire, da cui risulta evidente e solare perché "uno Stato non è una famiglia"
    Ti vorrei chiedere una cosa. Scrivi:

    "Talvolta, uno Stato, esponenziale di una società priva di un pregresso sviluppo di infrastrutture industriali e generali, può stabilire che, invece di alimentare con emissione monetaria transazioni a prezzi crescenti, con incrementi puramente nominali in quanto superiori alla variazione della domanda storica di quella comunità statale, si induca a prendere in prestito capitali stranieri. Ma ciò contando sull'ipotesi che lo sviluppo consentito dalla erogazione mirata di quei capitali ai propri citaddini, sblocchi il sub-strato produttivo e consenta di perseguire un modello auspicato (se effettivamente condiviso e non imposto per interessi esteri, cioè di "mercati" alla ricerca di sbocchi)".

    Puoi approfondire questo passaggio?
    Qual è il caso in cui per uno Stato può essere vantaggioso l'afflusso di capitali esteri e che cosa possono offrire questi ultimi che non offre lo strumento sovrano di approvvigionamento?
    Non so se sia inseribile nello stesso solco logico, ma mi è chiaro il perché uno Stato (che non abbia "divorziato") possa scegliere di piazzare i propri titoli sul mercato, permettendo così, in estrema sintesi, ai cittadini di accedere ad uno strumento sicuro di investimento (poco remunerativo, ma sicuro. Se non erro ne avevi già parlato), però qui fai riferimento specificatamente al capitale straniero e mi sono un pò perso....

    Come sempre,
    grazie!

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    1. E' evidente che non ogni livello di deficit pubblico sia sostenibile. Dipende, in pratica, dall'attivazione del moltiplicatore fiscale, che poi significa dalla risposta in termini di domanda sia interna che, appunto estera, che può correlarsi al possibile equilibrio dinamico (cioè indotto dal deficit stesso) con l'offerta-produzione, intesa come capacità degli "impianti" nazionali di corrispondere a quella domanda.
      In pratica, come viene confermato anche dal FMI in relazione ai paesi economicamente arretrati, il moltiplicatore è molto basso, e la curva IS particolarmente rigida in presenza di una carenza infrastrutturale di una certa società.
      Aumentare l'emissione monetaria statale ad libitum provoca...l'effetto pizza del Camerun.
      Oppure qualcosa di simile a quello che accade, per sistema produttivo "distrutto", in situazione post-bellica.
      In tali casi, l'afflusso di capitali esteri -erogati in una quadro di sostegno allo Stato nel suo insieme, e a condizioni concordate di sostenibilità della restituzione-, consente di attivare gli investimenti che altrimenti sarebbero impossibili, per aspettative giustificate di inflazione da fortissima svalutazione monetaria e da mancanza di fattori della produzione strutturati (mai presenti in una certa realtà o venuti meno).
      Si tratta dell'afflusso di finanziamento allo Stato tipo Piano Marshall, per capirci.

      Diverso è l'impossessamento, attraverso iniziative singole di soggetti finanziari privati esteri, della già esistente struttura industriale di un paese, che sia divenuta appetibile per depatrimonializzazione da scarsa liquidità nazionale dovuta, ad es; a livelli di cambio insostenibili, venir meno della domanda estera, indebitamento con l'estero per deficit prolungato della bdp: questo è l'IDE che sostituisce la proprietà estera del capitale a quella nazionale e determina il trasferimento all'estero, nella partita redditi CAB, della remunerazione di quel capitale.

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    2. nella situazione attuale Italiana, con una deindustrializzazione del 20/25% negli ultimi 20 anni, avremmo bisogno di capitali esteri per ripartire dopo aver rispreso sovranità monetaria oppure no?

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    3. Dal punto di vista finanziario, dire di no (di risparmio sui depositi, nonostante la gigantesca fuga di capitali comunque in atto, ed attestata dal saldo Target2, ce n'è abbastanza; circa il 100% del Pil stesso).
      I "capitali" esteri, piuttosto, possono entrare in gioco nella ricostituzione delle filiere, come joint-venture che apportano tecnologie e know-how che, rispetto ai settori produttivi ormai desertificati, divengono indispensabili.
      Ma questo in una logica industriale in cui il controllo (azionario o comunque del capitale legittimante alla gestione) delle imprese di nuova creazione, o di "rinascita", rimanga pur sempre nazionale, cioè in mano pubblica. Solo ciò garantirebbe l'effetto utile della "riapertura" poiché il controllante estero, tanto più quanto diviene l'ipotesi reale, assume su di sè il potere di fissare il livello di occupazione in funzione della sua strategia di gruppo NON riferita al territorio nazionale. E ciò in pratica, è l'effettiva ricaduta della foreign dominance sul capitale produttivo0 nazionale: il trasferimento, al di fuori dello Stato-comunità, del più significativo potere di decisione politica: quello di stabilire il livello di (piena) occupazione (piena occupazione che, come spiegato in altri post, è un concetto strettamente dipendente dal paradigma economico che si assume come dominante, in radicale alternativa a quello costituzionale)

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  3. Non ho mai commentato, ma ora non posso fare a meno di ringraziarti per il tuo lavoro. Secondo te sarà mai possibile un giorno che queste informazioni arrivino al grande pubblico?

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    1. Progressivamente accadrà che sempre più persone avranno capito. Ma temo che, purtroppo, nei tempi ristretti che abbiamo di fronte, il grande pubblico inteso come "generalità" non vorrebbe fare la fatica di cercare di capire, neanche se fosse scritto tutto sulle prime pagine di tutti i giornali e ripetuto in TV sulle reti principali. Cambierebbe pagina o canale.
      v. qui par.2, infine
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/01/la-fine-delleuro-giustizia-nel-diritto.html

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  4. Vedi, caro 48, questi folli esagitati che hanno disegnato l' europa di Maastricht, pensano che il mercato si riequilibri da se, ovvero non possa fallire.
    E' una follia ovviamente, si riequilibra si, tutto finisce in mano ad una ristretta oligarchia...
    Senza studiarsi Marx, molti vecchi del mio paese lo dicevano spesso:
    "I soldi vanno ai soldi". Ecco cosa e' il mitico libero mercato deregolamentato.

    Secondo me, chi ha pensato a questa eurozona era un appassionato di Monopoli (il gioco...e non solo)
    Ci hai mai giocato?
    Funziona cosi, vince chi fa fallire tutti gli altri (l' ultima volta che ci ho giocato ho vinto...mi sentivo un tedesco...:-) )
    Nota a margine: regolarmente a fine gioco ci sono meno soldi in circolazione tra i giocatori rispetto a inizio partita....ma la banca se ne ritrova di piu' ;-)

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    1. Oh sì certo, e l'oligarchia può sempre contare sull'"esercito di riserva dei disoccupati" (e precarizzati).
      Sempre che non si riesca a fare i CNL, prima che sia tardi

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  5. Buongiorno,
    grazie per i continui approfondimenti.

    Mi pare di capire che il punto cruciale di tutto il discorso é la questione dei vari moltiplicatori, che é sconosciuta al grande pubblico. O meglio l'idea comune é che la spesa pubblica sia meno efficiente di quella privata. Da qui discendono la richiesta di meno Stato, di controllo esterno attraverso l'Euro (se non ci fosse l'Europa chissà dove saremmo... etc etc). Ormai questo é un discorso comune anche tra chi si dice di sinistra.

    Leggendo anche i link proposti nei post (ad esempio uno del FMI, che non riesco a ritrovare), ci si rende conto che i moltiplicatori sono oggetto continuo di studi e dipendono da molti fattori (e in alcuni casi é vero che la spesa privata é meglio di quella pubblica), perciò é difficile con un messaggio semplice smontare i luoghi comuni. Ad esempio banalmente l'immagine del lavoratore pubblico che scava e riempie buche per rilanciare l'economia (non so se l'abbia davvero inventata Keynes) va evitata perché rinforza l'"odio" verso i lavoratori pubblici, non so se mi spiego.

    Nel mio piccolo sto cercando di approfondire la questione in modo da convincermi prima di tutto, e poi riuscire a convincere persone senza formazione economica o giuridica. Non so se contrattaccare sullo stesso piano degli avversari (il piano dell'efficienza) possa ripagare, o se sia meglio ribadire la fedeltà alla Costituzione, come fate con forza su questo blog (senza dimenticare l'altro aspetto), ma questo é l'approccio che mi é più congeniale e immediato.

    Con stima,
    Gian

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    1. L'argomento centrale non è incentrato sulla comparazione di "redditività" tra spesa pubblica e privata. Non c'è alcuna seria sostenibilità di competizione e alternatività tra le due: è vero anzi il ocntrario.
      A parte il fatto che se, per vincoli di cambio fisso, cade la domanda estera e per vincolo fiscale quella interna, gli investimenti privati non si fanno più, per mancata convenienza (a chi vendo? e con quale ritorno?) e quindi non sussiste proprio la comparabilità, il fatto è che la spesa statale COMUNQUE accresce la ricchezza nazionale in base al moltiplicatore, mentre la limitazione della spesa e del bilancio pubblico non garantiscono affatto che la (del tutto) presunta maggior disponibilità privata (perchè in effetti il PIL cade), si indirizzi agli investimenti.
      Questo è un mito costantemente smentito dai fatti e dai dati.
      Lo Stato effettua comunque una spesa che nel "se" e nel "quanto" il privato non effettuerebbe e che sostiene produzione e occupazione.
      Quindi la comparazione è un problema immaginario: anzi,il privato, data la rigidità della curva IS (quella riscontrabile nella realtà e non fantasticata dai neoclassici), si tiene liquido e investe finanziariamente, e per lo più, in regime di capitali liberamente circolanti, dove gli è più conveniente all'estero. Oppure, nella situazione attuale, dovuta all'euro, ripaga i debiti (estinguendo moneta circolante).
      Solo lo Stato in situazione congiunturale può dunque accrescere la ricchezza nazionale e stimolare anche gli investimenti privati che, senza il suo stimolo alla domanda, non verrebbero affatto effettuati...

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    2. Ritengo molto importante questa tua risposta , secondo me merita di essere approfondita in un Post.
      Smontare i velleitari appelli agli investimenti privati, che per le ragioni , da te sintetizzate, : NON possono verificarsi.
      Infatti gli unici privati che manifestano l'intenzione di investire sono, guarda caso, o stranieri o furbini italici che con connivenze politiche vorrebbero appropriarsi dei nostri beni pubblici in virtù di svendite. Il fatto è che che le aziende che si vorrebbe privatizzare non solo funzionano ma sono anche per loro natura strategiche (eni enel Finmeccanica),
      La costituzione all'art. 43 sostiene invece il contrario
      Le banche non finanziano i privati , anzi in trincea son tutte Keynesiane e si fanno salvare dallo stato. Come definire banche e imprenditori liberisti quando succhiano redditi e patrimoni statali? Liberisti? No, tecnicamente direi parassiti.

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    3. Grazie Sandrina.
      In effetti il post su Aso e Abe ("famoso") e quello sulla dottrina delle banche centrali indipendenti proprio di questo parlano, anticipando di mesi quello che ora trapela da tuti i media internazionali e un pò da quelli nazionali.
      E molti altri post ancora, elaborano sul fatto che l'intervento dello Stato non è alternativo ma "stimolante" dell'investimento privato (e dell'occupazione).
      Lo dice bene, se ci pensi, proprio il famoso passo di Kalecky citato nell'ultimo post di Flavio e lo sottintende, come abbiamo dimostrato anche parlando dell'art36 Cost e dell'art.18 SdL, in appositi post, anche la tutela del lavoro, che non è "nepotismo" di Stalin, ma il cuore del problema: mica è indifferente che ci sia la spesa pubblica corrente, in investimenti e persino quella di puro sostegno attivo alla disoccupazione, cioè i famosi scavatori di buche che sono sempre mooolto più produttivi, sostenendo la domanda, di una banca che perde scommesse sui "mercati" e poi si fa ripianare i conti dallo Stato, come ben evidenzi.
      E QUESTA, ANCHE SE NON LO VOGLINO CAPIRE (E TE CREDO) E' UNA CRISI DI DOMANDA, IN CORSO DI AGGRAVAMENTO PER IMBECILLITA' CONGENITA DELLA GOVERNANCE UEM (e italiana al seguito).

      Ma il nostro amico Giambe, forse non ha seguito il discorso del blog nella sua interezza.

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    4. Si lo so tu ne hai parlato praticamente in ogni post.
      In fase di recessione imprese e negozi non aprono, ma chiudono. Storicamente per supplire a ciò sono nati aiuti statali, per supplire ai crolli bancari nacque l'Iri. Ma questi ci raccontano che il mercato si autoregolamenta, basta aumentare l'offerta. Certo. In una crisi di domanda aumentare l'offerta è come somministrare cibo ad un malato di anoressia. Un organismo malato che non riesce a ricevere cibo, curato con overdose di cibi: geni del male.

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    5. Lo Stato; l'unica "impresa" che può trarre vantaggi anche da un bilancio negativo,
      l'unica impresa che, appunto, può avere interesse a investire in aziende e creare lavoro anche in "assenza" di profitto, e questi invece che fanno? pensano ai “scarsi” profitti dei capitali “privati” italiani e stranieri, (poverelli, fanno poco profitto, aiutiamoli a rimanere in Italia, ALTRIMENTI CHIUDONO E SE NE VANNO DA UN’ALTRA PARTE!).
      Io sono nessuno! Ma per pensare a questa semplice ovvietà, c’è mica bisogno di studi particolari?
      E le opportunità di investimento non mi sembra che mancano!
      Basti pensare all'alluminio della Sardegna, all'Ilva, all'Irisbus,ecc..., o all'energia alternativa e alle migliaia di km di autostrade e rete ferroviaria (suolo pubblico) che non aspettano altro che di essere coperte da fotovoltaico “prodotto in Italia” (nero (alternato con pannelli trasparenti) sopraelevato su altro nero....e dunque su suolo già "occupato e PUBBLICO"). Quanti anni di lavoro e quanta occupazione si creerebbe? Quanta energia si potrebbe produrre? E quanto combustibile in meno si potrebbe "importare"? (Credo che sarebbero anche più sicure, se coperte integralmente, soprattutto d'inverno.)
      Ma il punto quale è? E’ che ci vuole uno Stato con il potere di farlo. E ci vuole uno Stato con la volontà politica rivolta al benessere di tutti, e non all'interesse di pochi , “influenti”, ed “influenzati” privati.
      Adesso ci sono anche i SAGGI! Ma io penso che si dimostrano molto, ma molto, poco saggi. Perché alla lunga pagheranno le conseguenze delle “non loro” decisioni, anche loro, e dimostrano di non pensare a fondo nemmeno al bene dei loro figli.

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    6. Grazie per le risposte,
      non riesco a stare dietro a tutto, ma sto cercando di leggermi man mano tutto il blog. Tra l'altro sono nato dopo il cosiddetto "divorzio" e non ho studi di economia, quindi certe cose le leggo qui per la prima volta. Ad esempio non avevo mai pensato che fosse una scelta politica e ridistributiva (in un certo senso) quella per lo Stato di diventare debitore delle banche e pagare loro interesi, invece di emettere moneta.

      Mentre nei momenti di crisi di domanda mi é chiaro il ruolo centrale dello Stato, che in questo periodo storico si é deliberatamente eclissato, non mi é ovvio quale dovrebbe essere il suo ruolo nei momenti in cui la capacità produttiva é adeguatamente sfruttata. Adesso il padrone di casa mi tirerà di nuovo le orecchie dicendomi che ne ha già parlato...

      Gian

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  6. PLUTOCRAZIA

    Un "brutto" sostantivo che evoca i peggiori trentenni della Storia dell'umanità.
    Un vecchio "conio" ellenico" riemerso nei discorsi populisti anti-democratici di A Hitler, di B Mussolini e dell' Internazionale Comunista per definire il sistema "democratico" del capitalismo occidentale (allora USA, GB, F) che (ab)usava del popolo sovrano, inermi e prostrati "cappuccetti rossi" manipolati dalla "sovverchiante" comunicazione informativa, per più "moderni" interessi di haykeriano "piacere".

    Non oligarchia, ma più propriamente plutocrazia (ndr, predominio nella vita pubblica di gruppi finanziari che con la grande disponibilità di "ricchezza", endogena e esogena, influenzano "democraticamente" le scelte politiche degli Stati repubblicani).

    M'hanno costretto ad ascoltare l'intervento acerbo di C Sibilia che, con qualche "approfondimento" formativo, potrebbe riuscirebbe a dar qualcosa di meglio con una consapevolezza allargata altre le alule della Luiss.

    Per ora, "piutost che nient", "tirem innanz".

    ps: anch'io sottomesso a "procedura" darwinista forse riesco a linkare ... ellenicamente EUREKA !!


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