martedì 26 novembre 2013

APPENDICE DI PESCARA. LA PARTE "NON DETTA" DELL'INTERVENTO DI CESARE POZZI. C'è un futuro per l'economia italiana?

Sì lo so: il titolo può risultare angosciante. E mi scuso subito se non ho fatto sempre parlare Cesare fino in fondo: ciò è dovuto al mio volerlo "stanare" sulle soluzioni praticabili. Ma anche alla preoccupazione, tutta mia (e come tale discutibile, lo ammetto) di "proteggervi" dalla schiacciante evidenza circa gli effetti irreversibili della devastazione del know how e della capacità industriale provocati da 15 anni di euro.
Intanto potrete ritrarre dal filmato un notizia significativa: la Cina già nel 1820 aveva il primo PIL mondiale. E ciò non ha impedito certo nè la seconda rivoluzione industriale nè la stessa crescita europea (certo, ancorata alla visione colonialista del mercato di "sbocco"), portata avanti dagli Stati nazionali.
Nel complesso, il discorso focalizza una possibile prospettiva positiva.
La si intravede soltanto, e richiede una chiarezza strategica molto accurata e tempestiva, come evidenzia Cesare, ma c'è. Ci torneremo e, proprio con Cesare, ci stiamo lavorando, consci dell'esigenza che ciò coinvolga il ripensamento istituzionale dell'assetto italiano . Che è poi un recupero della Costituzione "primigenia", rispetto agli elementi "spuri" del pareggio di bilancio e della stessa riforma del Titolo V.
Aggiungiamo che, per le caratteristiche strutturali dell'economia italiana, è più che mai una scelta necessaria: ma solo avendo la guida dello Stato nazionale democratico, in definitiva, la si può realisticamente perseguire, collocandosi, notate bene, proprio all'avanguardia di uno sviluppo sostenibile, guidato dalle conoscenze prodotte dal territorio; da ciascun territorio democraticamente governato con il coinvolgimento dei cittadini nella loro piena dignità.
E anche: certamente, solo questo sviluppo sostenibile può evitare il suicidio planetario, ma solo se non serva come formula (ipocrita) per mascherare una nuova colonizzazione tecnologica su scala globale (e intrisencamente contraddittoria rispetto ai suoi fini apparenti, contrabbandati dai media).
Se si realizzerà questa anticipazione di modello "pilota", italiana, non solo avremo salvato la nostra democrazia, ma avremo anche sconfitto l'internazionalismo finanziario della delocalizzazione.
La reingegnerizzazione industriale, non distruttiva delle limitate risorse del "fondo" ambientale, di cui si parla ampiamente, mostra una difficile via che presuppone una coscienza culturale di cui le forze che oggi governano l'Europa sono completamente prive.
Per il semplice fatto che parlano di tutela ambientale, certo, ma solo in termini di politiche di imposizione sanzionatoria-fiscale e di incentivi (supply side), senza governare il processo in termini di risorse pubbliche effettivamente disponibili e incontestabilmente accettate nella misura razionalmente necessaria: e ciò per non interferire nel dogma della libera circolazione dei capitali, svincolandolo dalla assoluta priorità politico-fiscale dell'investimento in "conoscenze", vuotamente enunciato ma del tutto subordinato al deleverage e al consolidamento fiscale a favore del sistema bancario visto come attore principale, se non unico, del fenomeno economico.
Tant'è vero che la stessa governance europea se ne cura solo in via subordinata ad una strategia che mira sempre più al libero-scambismo orientato verso l'unificazione col mercato nordamericano e verso l'accelerazione dello "Stato minimo".
Su questi ultimi oggetti, la riflessione potrà essere ulteriormente estesa.

E poi, comunque, nonostante la lunghezza, sarà sempre meglio di Ballarò :-)




37 commenti:

  1. Ironicamente parlando: per l'economia forse no, ma per le banche, invece (e grazie al governo "popolare" a guida PD), sembra che un futuro ci sia (ed anche relativamente roseo...).

    http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/1357632/Letta-ci-ha-preso-gusto--ecco-i-sei-regali-del-governo-alle-banche.html

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  2. Ahhh! Finalmente! :)

    Appello ufficiale al prof. Pozzi! Torni a scrivere su Orizzonte 48! :)
    E quando la fanno parlare prima di pranzo finga un malore e si faccia spostare al pomeriggio ;)

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    1. Ah beh, quanto a scrivere non chiediamo troppo :-)
      Piuttosto spero di poter registrare further conversation

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  3. partendo dall'analisi delle quantità e costo delle risorse NON rinnovabili, si vede chiaramente che in futuro "La soluzione sta, principalmente, nel concetto di “economia circolare” : riciclare, riusare ed essere più efficienti. Riciclare ha un costo energetico, riusare anche – perché in pratica si deve riprogettare tutto. E persino essere più efficienti ha un costo e proprio adesso, le aziende italiane non possono permettersi di essere efficienti. Sembra una contraddizione in termini, ma pensateci: stanno lottando per sopravvivere, come possono investire in maggiore efficienza se il premio per questo arriverà solo fra diversi anni?" U.Bardi . Allora la soluzione può arrivare SOLO attraverso un intervento PUBBLICO a DEFICIT dello STATO a patto di avere la sovranità economica e monetaria.
    http://ugobardi.blogspot.co.uk/2013/11/esaurimento-dei-minerali-che-punto-siamo.html

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    1. Le "materie seconde" sono un giacimento fortemente exploitable. Ma non è senza costi energetici, ovviamente. Il problema ha soluzioni tecniche molteplici e in evoluzione: non solo si deve agganciare in dosi massicce la ricerca e lo sviluppo del know how (sia energetico sia di "secondarizzazione"), mentre invece oggi proseguiamo in un semideserto produttivo tout-court, ma occorre saper scegliere le tecnologie avendo il tempo di "decidere", cioè stabilire standards normativi flessibili e non decisi a Bruxelles dalle mano forti degli oligopolisti cnelle cui mani è la governance UE.

      Ovviamente, questo presupponte, che intanto che si pervenga a questo livello di ricerca e capacità decisionale, l'Italia esista ancora: il che pone il recupero del cambio flessibile e dell'intervento pubblico (passando per il controllo del "tesoriere" BC) come una condicio sine qua non.
      Insomma, occorre ora saper accettare la coesistenza tra modelli produttivi per il tempo necessario a ristabilire la democrazia ed a sviluppare una cultura condivisa che reindirizzi la politica industriale.
      Purchè, ovviamente cultura e apparato industriale esistano ancora.
      Altrimenti occorre importare tutto e solo in quanto possibile (un CAB strutturalmente negativo ci avvia alla condizione di colonia e di discarica per tecnologie distruttive) per un reddito e un risparmio che l'euro sta distruggendo, ogni giorno, inesorabilmente...

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  4. Eh eh. Si, si, gli anni 80 erano quelli in cui gli economisti andavano a studiare in America (e gli economisti "de sinistra" trovarono nuove ideologie per ripienare il loro vuoto umano, in sostituzione del decadente egualitarismo puro. Il libbbbero mercato con le "uguali" possibilità di accesso...la "meritocrazia"...eh eh eh...)
    Erano anche gli anni degli yuppies e di Sergio Vastano al "Drive in"; ve lo ricordate: "io ho studiato alla BBBocccconi".....

    tornado sul serio (insomma):
    Sono completamente d' accordo sul fatto di puntare sulla carta "materie prime di secondo utilizzo".
    Sicuro sarà la "parabola culturale" che guiderà il mondo nei prossimi decenni. e noi abbiamo un "vantaggio competitivo", voglio spararla grossa:

    1) per una questione culturale -sarà una bischerata ma- gli italiani che, ancora figli e nipoti delle generazioni che hanno patito la povertà e l' indigenza , dell' Italia contadina, sanno bene che "del maiale non si butta via niente".E' una battuta? E' luogocomunismo? Puo' darsi, ma vi ricordo che , per esempio, Riva, che è arrivato ad essere -se non ricordo male- il terzo gruppo siderurgico europeo (al di la tutto)- inizio' appena nella prima metà del secolo scorso con una ditta di una decina di persone di raccolta rottami. L' Italia, vado a memoria, figura tra le prime posizioni al mondo per percentuale di recupero/riciclaggio di materiali ferrosi e carta. Ansaldo Energia, vado sempre a memoria, ha almeno un paio di brevetti di una certa portata in nuovi materiali e procedimenti produttivi nell' ambito del riciclo.


    Oh, chiaramente il mio è l' ottimismo della speranza, ma; dai, insomma, credo tu condivida le straordinarie doti inventive degli italiani. Purtoppo, questo è verissimo, cadute in grave detrimento da quando ci siamo convnti di essere i peggiori del mondo e che dobbiamo adeguarci a modelli foresti che, a partire dal sistema di apprendimento memonico, didascalico, nozionistico, hanno seccato le nostre straordinarie peculiarità culturali che ci hanno sempre permesso di "dire qualcosa di interessante".
    Si, io credo che senza identità non c'è significato e senza significato non c'è valore (con un prodotto si compra SEMPRE una idea, uno stile, un immaginario).
    Per tornare a creare valore ci vuole identità (se vuoi chiamala: "parabola culturale")

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  5. ho seguito con interesse...ma non ho capito una cosa: per quale motivo Pozzi dice che non è più possibile basarsi sulle infrastrutture ferroviarie ad alta velocità? per quale motivo è da preferire la via aerea a quella ferroviaria?

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    1. Penso che si riferisse ai costi/benefici dell'alta velocità rispetto al trasporto merci; e d'altra parte, mi pare coerente affermarlo relativamente all'auspicare un sistema che ridisloca diffusamente sul territorio la produzione e la stessa "estrazione" delle materie seconde. Uno schema che presentandosi come radicalmente alternativo a quello della libera circolazione dei capitali=delocalizzazioni (e importazioni-riesportazioni nella stessa filiera) non è più costretto alla movimentazione materiale di così tante merci e punterebbe piuttosto "anche" ad aree del mondo più stabilmente in saldo di equilibrio delle partite correnti.
      Inoltre, anche il grande commuting di lavoratori dovrebbe attenuarsi, una volta che finisce la polarizzazione sulle megalopoli (schema che, invece, altri predicano nel senso di esasperarle lungo linee ferroviarie ad alte velocità, lasciando il "vuoto" antropico esternamente a tale sviluppo lineare-concentrato).
      Nel corso della conversazione mi era parsa immediata questa implicazione...

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    2. Si, anch'io l' ho legato al modello di sviluppo "policentrico" -chiamiamolo così- di cui ha parlato e anche alla volontà (per impossibilità e/o opportunità) di evitare ulteriore sfruttamento del territorio, di cui pure ha fatto cenno.

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    3. Da un punto di vista dei trasporti ferroviari, le merci non potranno MAI viaggiare ad alta velocità: ci vorrebbero molte unità di trazione per far viaggiare un così elevato peso a tali velocità. Senza contare la frenatura, la lunghezza dei convogli, la diversità dei vagoni che compongono il convoglio e rompono l'aerodinamica e mille altri motivi. Al massimo, si possono inserire i merci sulle linee AV, ma nulla di più e il guadagno è assolutamente risibile. Oltretutto, non ha proprio senso far arrivare le merci da A a B in 4 o 5 ore anziché in 8, al contrario del servizio passeggeri, dove il tempo di collegamento è una componente importante nel far incontrare domanda e offerta di trasporto.

      Anche per il servizio pendolare, l'AV è una cavolata tremenda: il servizio pendolaren viene svolto prevalentemente in un raggio di circa 50 km dal nodo centrale, ha molte fermate e la distanza tra due fermate è estremamente breve per cui anche Italo, con i suoi potenziali 300kmh, non avrebbe performance migliori delle motrici ALe dei convogli TAF che viaggiano a 80kmh. Cioé, non è che i pendolari abitano a Pescara e vengono a lavorare a Roma, come in Francia dove si è sviluppato questo tipo di trasporto.

      Le velocità che abbiamo vanno più che bene, al massimo, servirebbe ammodernare l'infrastruttura soprattutto al sud, dove ci sono realtà a semplice binario come la FG-BV o lentissime come il tratto calabrese.
      Non parliamo poi della Sicilia...

      In Italia, sarebbe anche interessante un commuter merci e passeggeri usando piccoli aerei come i Beech 1900 e i Twin Otter, tanto per citarne un paio, con capacità di decollo da aeroporti secondari (che ne so, viterbo, crotone, siena, urbe e via dicendo), che permetterebbe una buona versatilità e capillarità, bypassando comunque il problema orografico...

      Chiaro che, ancora, prevale l'interesse del gommato, com'è sempre stato in questo paese. Scusate la breve digressione.

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    4. Non è una digressione, ma una condisibile (e confermativa) analisi sulla superfluità e antieconomicità di certe strategie, rispetto ad elementi strutturali che non possono essere ignorati, e sull'esigenza di orientarsi verso altre...

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    5. Concordo perfettamente con l'opinione di Francesco.
      Anche io, a chi mi rammentava che l'AV Torino-Lione ci faceva "stare in Europa", obiettavo che i treni merci ad alta velocità non esistono, e che per arrivare a Parigi mi bastava prendere un volo low-cost. Senza contare che, a mio personale parere, se si voleva una linea passeggeri AV funzionale alle esigenze dell'Economia, era molto meglio una Milano-Monaco (che collega praticamente Nord Italia e Baviera, ossia il cuore pulsante del PIL europeo), che non una Torino-Lione......

      Concordo anche con l'idea di sviluppare un sistema interno di trasporti aerei a basso costo basato su economici e funzionali turboelica. Se fatto bene, si potrebbe realizzare con un costo infrastrutturale pressoché nullo (gli aeroporti -come giustamente sottolineato- ci sono già, e non ho bisogno di scavare dentro le montagne), e sarebbe molto più competitivo del treno. Per le merci, inoltre, non dimentichiamo il mare ed i porti che già abbiamo (Livorno, Civitavecchia, Napoli, Bari, Ancona.... per parlare solo del centro-sud).

      Quindi... si. Anche a mio avviso tutto questo accento posto sulla TAV per il "rilancio del paese" mi pare un'opera molto più "cosmetica" che reale (stiamo andando verso il sottosviluppo, ma oltre che le nozze gay, abbiamo anche il treno che va a 300 all'ora e "ci porta in Europa", quindi.... va tutto bene!).

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    6. Beh Lorenzo, il collegamento verso Monaco è quello, attualmente ancora in progettazione, tra Verona e Innsbruck senza passare per il Brennero.
      Ma ripeto, il problema principale, è l'assoluto isolamento nel meridione che non favorisce lo scambio interregionale: come puoi vedere da qui.

      Se noti, la rete ferroviaria a nord è estremamente capillare, favorendo sia il servizio merci che passeggeri, soprattutto pendolare.
      Al sud, la rete è assolutamente non capillare, oltre che lentissima tra SA e RC. E' chiaro che la domanda di trasporto crea l'offerta di trasporto, ma è pur vero che l'assenza infrastrutturale rappresenta un ulteriore elemento di isolamento del mezzoggiorno e una difficoltà aggiuntiva per l'imprenditore che deve poi ricorrere solo al gommato per il trasporto merci, subendo costi più elevati o tempi più lenti: che ne so, una che produce semilavorati e una che produce il bene finito hanno ben poche possibilità di competere col nord. Non so se riesco a spiegare quello che intendo.

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  6. Estremamente inquietante, non abbiamo perso 15 anni solamente, ma proprio non possiamo più recuperare quella traiettoria. Prima di recuperare sovranità sarebbe da capire cosa farsene, mi sembra dica Pozzi, o potrebbe essere anche peggio di così. O porterebbe a schiantarsi comunque. Urge sapere e condividere anche un programma per il dopo euro; contare solo sulla creatività tipicamente italiana, mitica o reale che sia, una svalutazione che spinga le esportazioni e uno stato che sostenga la domanda interna (presto detto insomma!) è antistorico. Grazie a Quarantotto di aver aperto un dibattito che è una voragine, e in attesa di approfondimenti.

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    1. Sulla preventiva focalizzazione del "cosa farsene", avrai visto come Cesare sia sostanzialmente d'accordo con quanto gli andavo via via prospettando (che è poi quanto proposto come road map qui sul blog e nel libro): ovviamente i dettagli di una politica industriale tempestiva e possibile, passano per le cose che abbiamo discusso anche qui, in particolare nella risposta ad Alberto Tarabella.
      Il pessimismo realistico di Cesare non toglie che il discorso sia aperto, tanto che ci stiamo lavorando nel senso di provare a prefigurare una cornice "interattiva" dell'aspetto istituzionale e di quello di un rilancio produttivo "sostenibile"...

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    2. Una osservazione impopolare... che mi ha colpito nel discorso di Pozzi. La necessità di questo cambio di traiettoria culturale-industriale col recupero delle materie seconde, le energie alternative, il sistema dei trasporti non invasivo del territorio, la rete , come sottolinea @ mauro gosmin, come avanguardia e motore della riscossa democratica, sono temi presenti in qualche modo a livello politico oggi solo nel m5s. In pectore c'è molto. O è un movimento allo stato nascente e perciò ancora "imperfetto" che punta lontano o lo specchietto per le allodole per chi è stanco di lottare, e cercare. Credo lo vedremo nei prossimi mesi e credo bisognerà essere pronti a riconsiderarlo, da qualunque posizione iniziale si sia partiti.

      Scusate tutti. Ho letto di una manifestazione negli intenti molto incisiva per il 9 dicembre. Che ne pensate?

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    3. Vedi Chiara, una cosa è dire che certe cose "ci vogliono", imponendole come standards normativi a carico dei cittadini e su tecnologie made in "purchessia" (ma quanto è importante essere soggetti economici forti per creare la RENDITA insita nella fissazione dello standard normativo!), e porle a carico della tasche di cittadini e imprese (che grazie all'euro non hanno più risparmi per investimenti)...
      Un conto è smetterla di dire che spesapubblica=corruzione e accettare che un tetto al deficit, avulso dal ciclo economico, è uno schiaffo alla tutela del lavoro ed alla Costituzione, accettando che il paradigma ecocompatibile della nuova politica industriale si possa realizzare solo facendo PIU' spesa pubblica e smettendo di regalare gli interessi sul debito alle banche, tramite lo strumento della BC indipendente...
      Quando sentiremo QUESTE ESATTE COSE (e altre ancora) NE RIPARLIAMO

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  7. Ciao Quarantotto, mi sembra di capire, correggimi se sbaglio, che prima di riprenderci, la sovranità monetaria, la sovranità fiscale, bisogna avere una traiettoria culturale, tradotto bisogna avere un progetto industriale per il paese. Se non si ha questo progetto l'uscita dall'eurofollia potrebbe essere un danno ancora peggiore.
    Però qui secondo il mio modestissimo modo di vedere si apre un problema politico enorme. Possiamo sperare che questo progetto industriale del paese sia patrimonio culturale di chi ci ha portato in questo eurodisastro?
    Uso le parole di Edda Mussolini rivolte contro il marito Galeazzo Ciano dopo il 25 luglio, più o meno suonavano così " una volta che estrometti dal Potere qualcuno quel potere te lo devi prendere tu e poi lo devi conservare"
    E qui si mette il dito nella piaga e vedo solo due possibilità:1) la rete (che nel suo sottoscala per anni ha analizzato, sviscerato, le follie che partono dall'ingresso dello Sme, passano per il Divorzio, per attraccare ai trattati di Maastricht e Lisbona), si organizza in Movimento politico per sottrarre il potere a chi lo ha gestito negli ultimi trent'anni e nella gestione del potere c'è una ricaduta dal punto più alto al punto più basso di chi ha combattuto in rete questa follia.
    2) Le punte più avanzate di questo Movimento nato spontaneo, escono dal sottoscala della rete per approdare alle reti televisive, riescono ad imporre al dibattito nazionale le tematiche sviluppate in rete, diventando opinion ledaer, e lasciano sostanzialmente alle forze che hanno distrutto il paese il compito di ricostruirlo.

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    1. Entrambe le soluzioni sono praticabili ed entrambe presentano problemi non indifferenti.
      La 1) esigerebbe uno "spirito" di coordinamento tra la parte avanzata di tali forze che attualmente non c'è; uno spirito di coordinamento, tra l'altro, che suddivida le competenze in funzione di un disegno comune che sia condiviso in base a un dibattito interno che stabilisca la scala e l'ordine logico delle priorità, riconoscendo ad es, l'esigenza preliminare di un nuovo ambiente istituzionale che renda possibile un progetto industriale sostenibile e adattato concretamente sull'Italia.
      La 2), anche, presupporrebbe sia presentarsi come un nucleo ancora una volta coordinato e in grado di offrire soluzioni organiche su tutti gli aspetti del problema. E non solo, ma anche l'allargamento simultaneo delle voci che abbiano accesso "televisivo", per evitare una personalizzazione che indebolisca il messaggio rispetto alla sua presentabilità come movimento scientifico-culturale diffuso.
      Ripeto, nella direzione costruttiva di una ambiente istituzonale funzionalizzato alle nuove politiche induustriali da recuperare e aggiornare, con Cesare siamo in una nicchia per ora periferica: ne usciremo con un lavoro comune e forse riusciremo a portare l'attenzione su questo punto essenziale.
      Ma non sembra, per ora, che ci sia da attendersi la cooperazione di altre forze che vanno in parallelo, tuttavia battendo su altri temi.
      Vedremo, cosa succederà quando il documento sarà reso pubblico (si fa per dire)...

      Ma ci siamo allo stato resi conto che non possiamo, nè io nè Cesare, minimamente influire su ciò, per quanto abbiamo tentato.

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  8. Grazie 48 per il pezzo mancante dell'intervento di Pozzi, mi permetto un commento e ditemi pure se sono fuori strada:
    più volte sottolinei come sia necessario l'intervento di una nuova grande industria pubblica, ma nella realtà attuale mi pare difficile che questo venga ben accolto dalla maggioranza degli italiani che son stati abituati a pensarne tutto il male possibile (es. carrozzone IRI dell'immaginario comune) e riceverebbero dall'€uropa la paletta rossa di aiuto di Stato;
    non sarebbe molto più accettato e potrebbe raggiungere lo stesso scopo lo stanziamento di fondi ingenti, simili ai programmi del governo americano nei vari campi della ricerca nei settori più disparati, dalla biologia all'agricoltura all'energia all'informatica, purchè svolti in italia favorendo assunzioni e riqualificazione di disoccupati, magari con partnership fra università e privati; penso che così si favorirebbe la nascità di numerose piccole startup pubblico/private, magari in forme cooperative o di azionariato diffuso dei lavoratori stessi.

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    1. Come evidenzia la prof Mazzuccato, è sbagliata l'idea che negli USA ricerca teorica e anche applicata nei settori hi-tech, primo quello dell'energia, siano svolte solo in sussidio dei privati, anche perchè
      esistono tra istituti pubblici, ampiamente finanziati, e imprese di settore forme di cooperazione stabilizzata.
      Poi noi abbiamo gli artt 41 e 43 Cost.; d'altra parte, se la gente non capisce che la storia dell'IRI "baraccone" è in gran parte un'operazione mediatica perseguita dagli anni '80, e culminata nelle svendite degli anni '90, non abbiamo neanche la minima speranza di superare la barriera von renziek e di ripristinare il cambio flessibile.

      E', come risposto a Mauro, una questione di coordinamento e allargamento del fronte di avanzata mediatica...
      Cioè, in un certo senso, dipende da come la parte scientifico-culturale del movimento "consapevole" divenga capace di proporsi in modo sempre più efficace (e rapido).
      Quello che tu suggerisci, poi, va bene solo in fase di secondo livello, poichè il ridisegno istituzionale e la riapproriazione di strategie industriali che possono solo innescarsi su livelli di investimento immediato e programmato propri della grande impresa pubblica, meglio se sostneuta da un polo bancario pubblico: start up di PMI e ricadute sul relativo livello sono potenziate e stabilizzate dalla sua stessa presenza, come sottolinea Cesare a ragion veduta (di quanto caratterizzava la struttura industriale italiana ante-vincolo esterno).
      In particolare, quando Cesare fa riferimento (v.intervista sulle privatizzazioni qui pubblicata un paio di giorni fa) al legame delle grandi imprese col relativo territorio implica l'indissolubile legame con la strttura dell'insediamento e quindi un vero intervento sul lato della domanda, mentre una politica a pioggia su start up e OMI revitalizzate è un sostanziale supply side, non sufficientemente incisivo in termini di controllo della filiera e di accumulazione veloce di posizioni di mercato.

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    2. Collegandomi al discorso della ricerca teorica "privata" che fai all'inizio del tuo commento, non posso che segnalare quanto affermato in questo post, soprattutto nel passaggio: "... alla base di provvedimenti di liberalizzazioni consiste nella convinzione stando alla quale la concorrenza stimola l’innovazione.E’ bene chiarire che si tratta di una convinzione molto discutibile: i principali flussi di innovazione registratisi negli ultimi decenni (ci si riferisce, in particolare, alle innovazioni nel settore informatico) sono derivati da investimenti effettuati in mercati oligopolistici o monopolistici, spesso – ed è soprattutto il caso degli Stati Uniti – attraverso trasferimenti pubblici al settore militare, nel quale l’attività di ricerca è più intensa. Inoltre, il dogma per il quale tutto ciò che è pubblico è inefficiente sconsiglia l’attuazione di politiche industriali e porta a ritenere efficaci interventi finalizzati a incentivare le “vocazioni naturali” del territorio: turismo e agricoltura, innanzitutto".

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    3. Più ampiamente http://orizzonte48.blogspot.it/2013/08/vi-sottopongo-tradotto-da-sofia-un.html

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  9. Scusa Quarantotto riprendo il tema sulle piccole imprese, usando le parole di De Rita:
    E' grazie al sommerso che si sviluppa il fenomeno della piccola impresa fra gli anni 60/70 e si struttura nei distretti industriali. Due numeri significativi, nel censimento del 1970 l'Italia aveva 500.000 capannoni, nel censimento del 1980 i capannoni erano 1 milione, e questo fornisce il quadro della dinamicità della società Italiana di quegli anni. Nel1974/1975 il surplus commerciale dei distretti di Prato e Sassuolo compensava i defcit commerciali di tutta l'industria automobilistica e chimica del ns Paese. Uso sempre le parole di De Rita: negli anni 70 finisce l'industria dei pochi fatta per i pochi e nasce l'industria dei molti fatta per i molti.
    Secondo il mio modestissimo e ristretto punto di vista uno dei punti critici del sistema delle piccole imprese è stata l'incapacità di fare gioco di squadra. Tradotto in parole semplici, magari un unico ufficio vendite che serviva 40/50 imprese locali, un unico ufficio di progettazione, un unico centro spese o ufficio acquisti. Quali erano le organizzazioni che dovevano accompagnare per mano le piccole imprese oltre la politica? Naturalmente le associazioni di categoria. L'ho hanno fatto? per quel che mi risulta poco e male.Hanno preferito tenere solo la parte meramente contabile e amministrativa forse perchè più remunerativa- E poi c'è un'altra cosa da dire, io non so a quale legge risponda, ma i funzionari che ho conosciuto , non molti per la verità, nonostante fossero laureati, di economia non capivano nulla, ma questo è il meno, avevano delle menti strutturalmente incapaci di capire i meccanismi economici, ma erano bravissimi nelle relazioni umane e a promuovere la propria persona.
    Nell'Italia che dobbiamo ricostruire sarebbe opportuno tenere presente queste cose, la prima su tutte sapere mettere le persone, almeno per i posti di dirigenza, più competenti e professionalmente preparate e che sappiano mirare allo sviluppo di medio/lungo periodo .

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    1. E' giusto e condivisibile: ma vale come riferimento a un modello in cui le PMI agiscono solo su mercati interni (semilocali) ovvero in gran parte come semilavorazione in importazione-riesportazione all'nterno di filiere che fanno capo a incumbent esteri.

      Il vero prosperare delle PMI si è, non a caso, registrato in quanto essenzialmente integrati col sistema della grande impresa pubblica, che direttamente o indirettamente (ampliando il mercato tout court del relativo territorio di insediamento, come dice Cesare), moltiplicano il c.d. indotto.
      E lo fanno a condizioni di prezzo e di dimamismo espansivo meno soggetto ai capricci della circolazione di capitali e di conseguente emigrazione insediativa della grande impresa

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  10. http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=17749
    in questo articolo di oggi, viene dato un quadro delle PMI europee ed italiane, ovviamente incompleto e per certi aspetti non veritiero. Parlano di ripresa, dicono che nelle imprese di grandi dimensioni il valore aggiunto è tornato ai livelli precedenti alla crisi e si è registrato solo un leggero calo del numero dei dipendenti e che pure le PMI stanno migliorando anche se il problema resta il clima di incertezza politica (!!!!).

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    1. Peccato che il quadro degli investimenti e degli "ordini", NON riferito ai mercati esteri ma al preponderante rispettivo mercato interno, dica tutto il contrario...

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    2. http://www.thelocal.it/20131119/foreign-orders-boost-italian-industry
      E calcola che l'export incide solo per circa il 25% del PIL sul prodotto nazionale; quindi un calo ulteriore della produzione rispetto al mercato interno, è proporzionalmente molto più incidente della crescita degli ordinativi esteri

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    3. Anche in Grecia vedono la luce in fondo al tunnel... Praticamente la Cina si è assicurata il più grosso terminal fuori dai confini nazionali a due passi dal Canale di Suez... Ma... fortuna che l'UE ci potregge dalla globalizzazione e dall'invasione dei prodotti cinesi.

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  11. Buongiorno,
    ho ascoltato solo i primi 10 minuti del video e questo per ora mi basta per dirvi che trovo l'intervento molto interessante.
    Propongo però un dubbio o, se vogliamo, una cosa che non ho capito: all'inizio Cesare dice che i 2 apparati industriali si sono confrontati subito dopo l'instaurazione della moneta unica "stabilendo" il valore 1000 lire 1 euro, il che avrebbe raddoppiato il nostro patrimonio interno. Questo a me sembra in contrasto con tutte le spiegazioni sentite precedentemente: se così fosse noi avremmo al cambio effettuato una svalutazione fortissima, o no? E quindi avremmo invaso la Germania di prodotti. Non riesco a mettere a fuoco quel passaggio, qualcuno può darmi una mano?

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    1. Mah Diego, dovresti partire dalla constatazione che il cambio italiano da 1936,27 lire/euro è "sceso" a 1000 lire/euro per un euro: non hai una svalutazione bensì una "rivalutazione", detta proprio così in velocità. Poi il prof. Pozzi, da quanto ho capito, parla in quel caso di asset "immobiliari" se non erro. Quindi i 50milioni di lire di un appartamento che col change-over diventano 25.822,84 euro subiscono in meno di un anno circa una corsa alla "parificazione" a quota 50mila. Ti danno l'illusione di essere ricco. Ma lo sei veramente solo hai un flusso di reddito importante... non uno stock "rivalutato".

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    2. Quando si parla di patrimonio si fa' riferimento al valore in termini monetari dei beni posseduti (stock), ne consegue che se prima dell'Euro avevo acquistato un immobile al valore di un milione di lire al mq, il passaggio all'Euro ne ha quantificato il valore in circa 500 Euro al mq, tuttavia nel giro di circa 7 mesi avvenne una rapidissima rivalutazione degli immobili tale per cui si arrivò all'equivalenza (nell'esempio) di circa 1 milione di lire al mq pari a mille Euro al mq. Non confondere il patrimonio che esprime un valore equivalente in moneta, con la quantità di moneta posseduta tantomeno con il redditto che è un flusso e non uno stock.
      Commentando quanto detto dal prof. Pozzi in merito all'occasione perduta ritengo assai complessa, quasi inverosimile, la riflessione, piuttosto, di come si sarebbe riuscito a monetizzare tale stock e trasformarlo in investimenti industriali (di traiettoria culturale appropriata) da tradurre, quindi, in redditi da domanda interna.

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    3. l'euro non è il marco, il 1º gennaio 1999 entrò in vigore l'euro, il cui tasso di cambio irrevocabile con il marco era stato fissato il giorno precedente in 1,95583 marchi per 1 euro. Quindi facendo la proporzione la lira fu fissata PER SEMPRE a 989.9991 sul marco

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    4. No, è vero il contrario di quello che hai detto.

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    5. Provo a rispiegarmi: Pozzi dice, se non ho capito male, che dopo l'entrata nell'euro gli apparati industriali di Italia e Germania si "sarebbero confrontati" stabilendo poi una sorta di parità 1000 lire=1 euro. Questa è ovviamente una rivalutazione rispetto ai 1936,27, ma non non avrebbe avuto un grande effetto negativo: infatti Pozzi sostiene che la bilancia (commerciale?) italiana fino al 2004-2005 è rimasta in equilibrio e gli indicatori sono rimasti buoni. Poi sarebbe intervenuto Haartz e infatti s'è visto un peggioramento.
      Quello che però mi chiedo io è: come mai Pozzi afferma una cosa del genere? Se abbiamo cambiato a 2000 lire ma poi i sistemi industriali si sono "stabilizzati sul 1000 lire 1 euro" nei primi mesi avremmo dovuto "asfaltare" tutto il mondo. E perché una volta stabilizzati sul "1000 lire 1 euro" abbiamo poi mantenuto la bilancia in ordine?
      Tutto un altro discorso è poi l'aumento del patrimonio interno del Paese e l'eventuale "occasione perduta", su questo cercherò di approfondire.

      Spero di essermi spiegato a dovere, sinceramente questo passaggio rimane abbastanza oscuro per me.

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  12. Mi chiedo e chiederei al prof. Pozzi: non è che la situazione attuale, la tabula rasa, presenti degli aspetti molto utili per ripartire concentrando le energie solo dove serve?

    E cioè: se diamo per assodato che la grande industria privata non tornerà più, allora una rinata politica industriale potrebbe concentrarsi solo sulle piccole e medie imprese private in collaborazione con grandi imprese pubbliche.

    E poi: dopo quindici anni di deserto, ci sono delle lavorazioni che per via del progresso tecnologico sono ora possibili da parte di medie o piccole imprese mentre prima non lo erano? Per esempio, che allora avrebbero richiesto ingenti investimenti in macchinari, ma che oggi si potrebbero mettere in produzione con macchinari di adesso meno costosi? O modificando la filiera produttiva, scomponendo alcuni passaggi e attribuendoli ad imprese più piccole di quello che sarebbe stato necessario quindici anni fa?

    Perché se è così l'importanza della grande industria esce molto ridimensionata rispetto a tanti anni fa e nel suo ruolo potrebbe essere sostituita, in larga parte, da PMI con accresciute competenze.

    Naturalmente penso anche che vada prevista una banca pubblica con il compito di fornire credito agevolato alle PMI per l’acquisto di macchinari etc.

    Estendendo il discorso: ci vorrebbe una banca pubblica di sviluppo che fornisse non solo credito ma anche consulenza, sapere, capacità progettuale alle PMI. Una riformata banca centrale democratica, al servizio del paese e non più al contrario, potrebbe essere incaricata di questo compito direttamente o tramite una sua controllata.

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