(Questo post potrà avere altre versioni ove dovesse essere pubblicato in altre sedi, più scientifiche o più divulgative....)
1. Ho conosciuto Carlo Clericetti all'ultimo Goofynomics-4 e mi ha fatto un'ottima impressione, riferendosi al panorama "tipico" dei giornalisti italiani di economia e finanza.
Clericetti, in un articolo su Repubblica.it, (il che è tutto dire), commenta l'uscita di Tabellini relativa all'adozione, da parte della BCE, della "estrema misura" (reflattiva, ma non si deve dire "troppo") contemplata dalla teoria monetarista: lo "Helicopter Money", secondo la celebre metafora usata dallo stesso Milton Friedman (e endorsed by Ben Bernanke", tanto da farlo definire "Helicopter Ben").
L'articolo ci ragguaglia sulla portata concreta della proposta appoggiata da Tabellini e si attesta su una visione pragmatica, confortata dalla citazione di questo post di Alberto Bagnai, circa il fatto che la monetizzazione non è causa di inflazione incontrollata (l'ennesima mitologia tecno-pop che ha fornito la corda cui si sono volentieri impiccati i governi dell'eurozona).
2. Intendiamoci, Draghi ha negato di aver "alluso" a tale soluzione, limitandosi, a quanto pare, a non affermarne l'assurdità logico-economica.
D'altra parte, "il dibattito" è palesemente già aperto sul punto: il che è indice di una certa qual disperazione nel campo dei neo-liberisti in cerca di affannose conferme che se le cose non vanno è perché non si sono fatte abbastanza riforme deflattive del lavoro e "liberalizzatrici" sul lato dell'offerta (che provvede immancabilmente a se stessa, secondo l'augusta legge di Say).
Aveva dato il via, almeno nella risonanza mediatica, la nostra vecchia conoscenza Peter Praet (quello che negava che la deflazione fosse una minaccia attuale, avendo poi, peraltro, una incrollabile fiducia nel QE), che essendo un membro del Board della BCE, non può dirsi un estraneo che dà fuoco alle polveri:
3. Ma pure il FMI, nel suo "piccolo", pone all'ordine del giorno una proposta di taglio della pressione tributaria finanziata dall'elicotterismo, formulata da Adair Turner. L'idea è che l'alternativa di lasciare alle polveri bagnate delle politiche monetarie non convenzionali delle BC, e ai tassi di interesse in territorio negativo, la soluzione (fallita) dei problemi, presenti ormai dei rischi di instabilità finanziaria più che temibili.
Krugman, a sua volta, nel considerare l'ipotesi ci ha già regalato un'icastica formula descrittiva delle sue ("BC credibilmente irresponsabili", in relazione all'esigenza che l'allargamento della base monetaria, rifornendo direttamente gli Stati, debba essere necessariamente permanente, cioè, appunto, una monetizzazione attuata non solo acquistando i titoli, ma rinnovando gli acquisti, per tale ammontare, ad ogni futura scadenza) e ne parlano apertamente anche i commentatori del Wall Street Journal.
4. Sia detto subito che, anche voci orientate alla contrarietà teorica su misure del genere, suggeriscono che l'acquisto, corredato dalla sua permanenza, potrebbe essere effettuato dalla BCE, quale banca centrale indipendente "pura", sul mercato secondario, cioè senza violare il divieto di acquisto diretto all'emissione posto dall'art.123 TFUE.
Tenendo conto di questo quadro di opinioni qualificate (per la loro provenienza dal campo avverso alle teorie keynesiane) già assommatesi sul punto, l'articolo di Clericetti descrive, per lo statuto giuridico dell'eurozona, uno scenario di difficoltà quasi del tutto insormontabili. Sicuramente dal punto di vista politico, dato che ci si dovrebbe imbarcare in una modifica dei trattati: persino l'aggiramento formale dell'art.123, con l'acquisto sul mercato secondario, avrebbe difficoltà a essere attuato, dato che il board BCE che delibera l'avvio del programma di acquisto, non può garantire la continuità di questo orientamento alle varie scadenze, che sarebbero affidate, per non vanificare l'effetto di una vera monetizzazione, alla composizione, impronosticabile, di futuri board successori dell'attuale, che non sarebbero normativamente obbligati a confermare la decisione intrapresa in precedenza.
5. Clericetti, riassume le difficoltà tecnico-normative evidenziate da Tabellini e poi conclude con una nota, certamente sensata, di scetticismo:
"...ci sono due problemi. Il primo è che così la banca centrale sconfinerebbe nella politica fiscale, che non è tra i suoi compiti; e il secondo è che ciò le farebbe perdere la sua indipendenza. Ma "l’indipendenza e legittimità della banca centrale possono essere pienamente preservate, in questo modo: in circostanze eccezionali, la banca centrale può dichiarare che ha esaurito gli strumenti convenzionali, e che pertanto effettuerà un trasferimento permanente a favore del governo (o dei governi nell’area euro). L’importo trasferito è scelto discrezionalmente dalla banca centrale, può essere diluito nel tempo, ed è motivato dalle circostanze economiche. Il governo (o i governi) non possono in alcun modo interferire con la decisione unilaterale della banca centrale, ma scelgono liberamente come disporre della somma trasferita: se e come distribuirla ai cittadini, se usarla per finanziare particolari voci di spesa, o per ritirare debito pubblico o semplicemente se accantonarla per il futuro. Naturalmente, se davvero le circostanze sono eccezionali, la pressione politica costringerebbe i governi a distribuire o spendere questa somma, raggiungendo così l’obiettivo di un effettivo coordinamento tra politica monetaria e fiscale". Tutto ciò richiederebbe una modifica del Trattato di Maastricht, ma, conclude Tabellini, non c'è una ragione valida per non cambiarlo.
"...Comunque questi "elicotteristi" sanno di parlare al vento. La proposta, chiamata col suo nome e realizzata come si deve, sarebbe più che sensata, ma questo non le dà più probabilità di essere adottata delle tante altre proposte sensate che sono state fatte negli ultimi anni e di cui non s'è fatto nulla per l'opposizione della Germania e dei suoi satelliti. I tedeschi hanno in testa la loro idea di come debba funzionare l'Unione europea e non ci rinunciano, non cedono di un millimetro e anzi rilanciano con nuove proposte deleterie per evitare ogni più lontano rischio che si crei una situazione che richieda un intervento solidale dei paesi membri, cioè di usare anche "i loro soldi". Certo, in questo modo rendono sempre più probabile che si arrivi a una rottura traumatica, ma evidentemente sono convinti di avere da perdere, in quel caso, meno degli altri. Continuiamo così ad andare avanti tra i proclami che ci vuole "più Europa" mentre stiamo facendo di tutto per distruggere quella che c'è."
6. Nonostante questa conclusione sia in linea di massima quasi obbligata e ampiamente condivisa ("la Germania si sa..."), potremmo fare due obiezioni. La prima è interna alla riferita opinione dominante, di scetticismo sulla realizzabilità della monetizzazione per via del divieto, o sulle difficoltà normative comunque e senza dubbio insite nei trattati.
E cioè, affermare che i trattati siano o meno veramente immodificabili, politicamente, è qualcosa che presuppone una verifica che, però, non giunge mai a concretizzarsi: e cioè presuppone che qualcuno, cioè uno o più Stati-membri dell'eurozona, attivi il relativo procedimento di revisione.
Nessuno impedisce di farlo all'Italia, alla Francia o alla Spagna (anche messe insieme come proponenti congiunte): la formazione di maggioranza, come abbiamo visto, non basta, occorrendo l'unanimità, ma nondimeno, questa volontà maggioritaria avrebbe effetti notevoli, potendo innescare un processo di "conta" che, a sua volta, se veramente lo si sostenesse con queste ferme intenzioni, potrebbe condurre la Germania a più miti consigli.
Se non altro perché la ripresa dei redditi e dei consumi interni, andando proporzionalmente alla stessa Germania la fetta più grande di liquidità "regalata dall'elicottero" (cosa che, tra l'altro, la farebbe rientrare in deficit spending rispetto alla situazione attuale), certo non farebbe male né alla sua domanda interna né alle sue esportazioni; anche se forse farebbe "meglio" alle importazioni dagli altri Stati in Germania.
Oppure, magari, il ritrovarsi in stabile minoranza di fronte ai partners più importanti (rispetto al suo ostinato mercantilismo), potrebbe condurla a prendere atto di "non capirsi" con tutti gli altri €uropei e a lasciare l'eurozona con un ragionevole negoziato.
Nessuno impedisce di farlo all'Italia, alla Francia o alla Spagna (anche messe insieme come proponenti congiunte): la formazione di maggioranza, come abbiamo visto, non basta, occorrendo l'unanimità, ma nondimeno, questa volontà maggioritaria avrebbe effetti notevoli, potendo innescare un processo di "conta" che, a sua volta, se veramente lo si sostenesse con queste ferme intenzioni, potrebbe condurre la Germania a più miti consigli.
Se non altro perché la ripresa dei redditi e dei consumi interni, andando proporzionalmente alla stessa Germania la fetta più grande di liquidità "regalata dall'elicottero" (cosa che, tra l'altro, la farebbe rientrare in deficit spending rispetto alla situazione attuale), certo non farebbe male né alla sua domanda interna né alle sue esportazioni; anche se forse farebbe "meglio" alle importazioni dagli altri Stati in Germania.
Oppure, magari, il ritrovarsi in stabile minoranza di fronte ai partners più importanti (rispetto al suo ostinato mercantilismo), potrebbe condurla a prendere atto di "non capirsi" con tutti gli altri €uropei e a lasciare l'eurozona con un ragionevole negoziato.
7. Ma la seconda alle predette conclusioni obiezione è più pratica.
In realtà, di fronte a una forte volontà politica, - chiamiamola così e non fingiamo che l'indipendenza della banca centrale sia "apolitica", laddove è piuttosto solo avulsa dal processo elettorale (cioè democratico)-, la cosa potrebbe rivelarsi attuabile sfruttando le già esistenti prese di posizione di quello che, in chiave di ordinamento UE, è l'organo che, secondo la (pur atipica) rule of law dell'eurozona ha l'ultima parola e che, in qualche modo, l'ha già espressa. Cioè la Corte di giustizia UE.
Difatti, come abbiamo visto nel post a commento della sentenza CGUE sulla OMT, la Corte ha affermato due cose in sé non proprio coerenti tra di loro, ma che hanno il pregio di essere state affermate, cioè di costituire uno stare decisis che l'ordinamento europeo considera di livello normativo, cioè integrante le stesse fonti del proprio "diritto".
La Corte, in un complesso viluppo di argomentazioni, certamente soggette a una buona dose di incertezza interpretativa (ma tale "vaghezza" è una sua strategica e consolidata tradizione), ha sostanzialmente già affermato, abbiamo detto, due cose (le riassumo con un certo riduzionismo, consapevole che una lettura completa esige una consapevole conoscenza delle teorie economiche e dell'ordinamento giuridico europeo, che difficilmente sono compresenti in qualsiasi interprete, perciò vi dovrete fidare delle mie conclusioni):
a) che le politiche monetarie rientrano (abbastanza ovviamente) nella competenza esclusiva della BCE ma che, ed è questo il "punto forte" del ragionamento desumibile dalla sentenza, esse includono il garantire l'efficacia dei meccanismi di trasmissione monetaria e, quindi, è obiettivamente desumibile una serie di poteri impliciti della BCE (implied powers che sono una prerogativa "ontologica", secondo altre pronunce della Corte, insita nella mission di ogni istituzione europea), che travalicano le forme comuni e "convenzionali" di politica monetaria;
b) che, comunque, anche se così non fosse, sul piano del rigore delle norme dello Statuto BCE, misure eccezionali per garantire i meccanismi di trasmissione monetaria, sono adottabili in un quadro di accordo congiunto degli organi europei competenti.
Infatti:
Infatti:
"Le caratteristiche specifiche del programma OMT non consentono di affermare che esso sia equiparabile a una misura di politica economica.
Per quanto riguarda il fatto che l’attuazione del programma OMT è subordinata al rispetto integrale, da parte degli Stati membri interessati, di programmi di aggiustamento macroeconomico del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES), non si può certo escludere che tale caratteristica abbia incidenze indirette sulla realizzazione di taluni obiettivi di politica economica. Tuttavia, simili incidenze indirette non possono implicare che il programma OMT debba essere considerato come
una misura di politica economica, poiché risulta dai Trattati dell’Unione che, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC contribuisce alle politiche economiche generali nell’Unione".
una misura di politica economica, poiché risulta dai Trattati dell’Unione che, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC contribuisce alle politiche economiche generali nell’Unione".
8. Per quanto riguarda il primo punto, cioè il concetto "mobile", o meglio "espandibile" di politica monetaria, il limite della coerenza con la scienza economica, - che in pratica è quello di un univoco intendimento della teoria monetarista, che appare obiettivamente richiamata dalla Corte, essendo alla base della concezione della BCE e dei trattati-, non ha ormai soverchia importanza: le politiche monetarie, per Friedman, coincidono essenzialmente con le politiche economiche, avendo il solo complemento esterno di limitati interventi supply side da parte degli Stati, ma poco importa.
Ormai, l'OMT (che è un atipico QE che rompe l'unità centralizzata della politica monetaria affidata alla BCE), nonostante la sua sostanziale inattuazione, è stata definita nell'alveo delle politiche monetarie e, d'altra parte, questa lettura vale a ricomprendere, per espressa affermazione (normativa) della CGUE, l'intera attivazione della gamma composita dei meccanismi di trasmissione monetaria.
Tra questi meccanismi, indubbiamente, per quanto circondato da una definizione "pittoresca" e da una certa ironia crepuscolare sullo stesso monetarismo, rientra l'escogitazione dell'Helicopter Money: operabile, col precisato carattere di permanenza, sul mercato secondario per non violare l'art.123 fatidico.
9. Circa il secondo punto b) (adozione di misure "monetarie" in accordo con le istituzioni competenti), è qui che la sentenza della CGUE rivela il suo carattere aperturista alla monetizzazione: una volta entrata (con non meno diritto dell'OMT) nell'alveo delle politiche monetarie, la sua attuazione dipende, non tanto, e in modo abbastanza ovvio, dalla conformità ai programmi di aggiustamento FESF o MES, che non entrano per definizione in gioco in questo caso, ma dall'orientamento che, su questi programmi, volessero assumere gli organi comunitari che predeterminano i contenuti di tali programmi (cioè da parte degli effettivi decidenti).
In pratica è raggiungibile, senza dover intraprendere alcuna procedura di revisione dei trattati, un accordo coordinato tra BCE, raggiungendosi nel suo Board la dovuta maggioranza, Eurogruppo, che in base al combinato disposto degli artt.136 e 238, par.3, lett.a) del TFUE può deliberare in modo vincolante con la maggioranza del 55% dei voti ponderati dei membri dell'eurozona purché rappresentino il 65% della popolazione interessata, e Commissione (sempre che questa possa raggiungere una maggioranza in contrasto con la volontà della Germania).
In pratica è raggiungibile, senza dover intraprendere alcuna procedura di revisione dei trattati, un accordo coordinato tra BCE, raggiungendosi nel suo Board la dovuta maggioranza, Eurogruppo, che in base al combinato disposto degli artt.136 e 238, par.3, lett.a) del TFUE può deliberare in modo vincolante con la maggioranza del 55% dei voti ponderati dei membri dell'eurozona purché rappresentino il 65% della popolazione interessata, e Commissione (sempre che questa possa raggiungere una maggioranza in contrasto con la volontà della Germania).
10. Si tratta evidentemente di un accordo che richiede una forte convinzione e coesione degli Stati maggioritari (per voto ponderato e per popolazione), tale da riflettersi coerentemente, ma non impossibilmente, in tutte e tre tali sedi istituzionali.
Il presupposto, esplicitato dalla CGUE, è peraltro che tali organismi, tutti insieme, decidano che i programmi di aggiustamento macroeconomico, - dettati dalla varie decisioni del Consiglio e dell'Eurogruppo, ribaditi nel monitoraggio sui bilanci da parte della Commissione, e di frequente apertamente "consigliati" dalla BCE (in "lettere" e dichiarazioni pubbliche)-, siano considerati sufficientemente rispettati e non ulteriormente inaspribili: almeno nel senso che la monetizzazione sia, allo stato, considerata una misura politico-monetaria e fiscale prioritaria su ogni altra, nel garantire un meccanismo di trasmissione della politica monetaria ritenuto a questo punto indispensabile.
11. Insomma, volendo, dipende tutto da "loro": se si mettessero d'accordo e volessero intraprendere una via emergenziale, dovrebbero soltanto ammettere che questa è alternativa alla prosecuzione dell'applicazione "condizionale" del fiscal compact.
Certo, sconfessando se stessi in modo piuttosto evidente: ed è questo forse il principale ostacolo psicologico e culturale. Cioè politico: ammettere di essersi sbagliati, per fare qualcosa che, però, salvi l'eurozona.
Uno strano dilemma, che esige di agire "come se" le Costituzioni e la democrazia esistessero, coi loro vincoli sostanziali, ma dandogli una veste che non rinneghi il monetarismo (e non riaffermi la democrazia). Correrebbero mai questo rischio?
Certo, sconfessando se stessi in modo piuttosto evidente: ed è questo forse il principale ostacolo psicologico e culturale. Cioè politico: ammettere di essersi sbagliati, per fare qualcosa che, però, salvi l'eurozona.
Uno strano dilemma, che esige di agire "come se" le Costituzioni e la democrazia esistessero, coi loro vincoli sostanziali, ma dandogli una veste che non rinneghi il monetarismo (e non riaffermi la democrazia). Correrebbero mai questo rischio?
Forse, se lo facessero prima altre banche centrali importanti, come la Fed o la BOE...
L'ostacolo «psicologico e culturale» è peggiore di quello che può sembrare.
RispondiEliminaDietro alla legge di Say e all'offertismo si cela una forma di sociopatia che trascende gli interessi materiali della classe redditiera e finanziaria: si nasconde quel mostro mentale e psichiatrico da cui è stato abortito il razzismo. Il classismo.
Il classista, ovvero il liberista, giustifica ogni sua infantile incontinenza come espressione di libertà nei confronti della massa parassitaria.
Sì, "parassitaria", visto che gli esseri inferiori che formano le classi subalterne vivono grazie alla magnanimità dei dominanti, che han concesso loro l'ingiusto privilegio di non vivere come bestie tramite la progressività delle imposte e tramite lo Stato sociale.
E qui entra in gioco la teoria del valore.
Se il valore fosse prodotto dai proprietari, dai padroni, da chi controlla il capitale - tali perché axiologicamente "superiori", "migliori" - allora la legge di Say non può non essere valida: la volontà di produrre - oltre che distruggere! - valore deve spettare a questa classe, senza il minus habens che deve lavorare per vivere.
Gli esseri inferiori vivono grazie all'elemosina del padrone, fintanto che non si riproducano troppo e non sporchino: altrimenti è necessario - come per tutte le bestie - abbatterli.
Se è invece la domanda a fare l'offerta - e la domanda dipende dal livello dei salari - allora è il lavoro a creare valore. Lo stesso imprenditore lo crea in quanto lavoratore.
Ma, se fosse così - ossia la legge di Say, come il monetarismo, non è valida - allora parassite sono le classi dominanti.
È un bel dilemma: queste, proprietarie dei mezzi di produzione e di repressione - dopo aver distrutto completamente la massima forma di umanità quale è l'Arte - pensano di sostituire il lavoro umano con quelle delle macchine, più o meno consapevoli che, quando il lavoratore salariato sarà sostituito completamente da robot - le macchine potranno fare anche a meno dei padroni.
Ma staranno sicuramente già pensando come ibridarsi con la nuova tecnologica classe dominante....
Il problema del conflitto distributivo nella post-modernità è soprattutto un problema psichiatrico.
Tragicamente esilarante! Ma anche terribilmente vero.
EliminaE poi conta molto di più di quanto non si creda che abbiano GIA' completamente distrutto l'Arte.
Trasformandola in puro mercato del nichilismo, cioè nella negazione radicale...del "valore", anzitutto: l'attuale espressione artistica non solo non comporta applicazione di lavoro, inteso come (passabilmente) qualificato, ma erge a metodo tale sradicamento dalla tecnica, che ha l'inconveniente di nobilitare il lavoro materiale dell'uomo: non sia mai! Ciò fa in sé crollare il dogma del "valore" che giustamente indichi come centrale.
Ma, anche quanto al "valore" nel senso più astratto, (che è pur sempre da "aggiungere") l'arte contemporanea neppure contiene l'ineffabile contenuto intuitivo-trascendentale, dato che nulla è meno intuitivo e trascendentale del seguire il concettualismo imposto dai pensatori neo-liberisti.
In fondo è un'arte che veicola in termini di anti-simboli (cioè rappresentativi del contrario di ciò che paiono manifestare) il nobile e affabile messaggio che "Gli esseri inferiori vivono grazie all'elemosina del padrone, fintanto che non si riproducano troppo e non sporchino: altrimenti è necessario - come per tutte le bestie - abbatterli".
Al massimo dell'empatia umanitaria (si fa per dire) questi simpaticoni, concepiscono un'estetica di slogan orwelliani politically correct (la-pace-nel-mondo-senza-frontiere, "il pastone multiculturale, rigorosamente senza studiare" e il "senso del viaggio nelle diversità", la sfida continua al "tempo", nella dimenZione alienante dell'urbanizzazione globale: antisimboli che rafforzano il controllo del mercato nichilista e tecno-psicopatico.
Un controllo che si estende totalitario sull'Arte come sulla cultura e sulla comunicazione: contribuendo come non mai alla creazione del "Nuovo Uomo" senza radici.
Se non altro perché non "deve chiedersi mai" se ha capito, semplicemente perché non "deve" aver studiato e quindi non sa neppure formulare la domanda.
Insomma un'Arte che rinnega di essere prova del "valore" dell'opus umano è quanto di più disumano e funzionale a questa psichiatria del Potere.
Gentile Bazaar,
Eliminain questo mesi sto studiando come le loro idee classiste dei ceti dominanti trovino accoglienza, per non dire la matrice, in alcune strutture della Chiesa cattolica particolarmente gerarchizzate in base a criteri sostanzialmente sociali (per non dire razziali). Mi riferisco all'Ordine di Malta, dove alcuni ruolo sono riservati esclusivamente a chi nasce aristocratico, e ad alcune associazioni private di fedeli come la Tradizione Famiglia Proprietà fondata da Plinio Correa de Oliveira.
Può suggerirmi letteratura sulla matrice psicologica da cui muove il classismo?
Spero di avere chiarito, nella brevità, il tema.
Ringrazio anticipatamente.
M.
Scusa Baazar, ma la teoria del valore implica una metafisica, mentre l'offerta e la domanda no (almeno così mi pare).
EliminaSe le cose stessero in questo modo la teoria del valore implicherebbe necessariamente un cambio di passo antropologico, mentre la comprensione dell'importanza dell'offerta implicherebbe "solamente" una conoscenza ampia della macroeconomia base...o sbaglio?
Come analisi di teoria politica da un punto di vista storico-filosofico e psicologistico, consiglierei senza dubbio Corey Robin.
EliminaTenendo bene in mente che per quanto intelligenti e onesti intellettualmente, gli anglosassoni non hanno la capacità di astrazione di italiani, tedeschi o russi... mia opinione.
Per comprendere il pensiero reazionario, classista (mentre lo schiavo lavora, il nobile combatte, e la leisure class prega...), io cosiglierei di leggere i grandi pensatori reazionari; c'è tantissimo da imparare, a differenza di quello che predica il progressista ideologico.
Da Burke a de Maistre, da Nietzsche ad Heidegger, da Schmitt a Strauss... a Trasimaco via Platone :-)
(Comunque, per indicazioni bibliografiche puntuali per veri approfondimenti, Arturo è - secondo lo scrivente - il più erudito bibliofilo in circolazione....)
Sig. Ceccato, a differenza della vulgata empirista e positivista, il pensiero umano in quanto tale implica una metafisica.
EliminaLa Domanda e l'Offerta sono due concetti metafisici che hanno una propria fenomenologia e di cui è possibile rilevare empiricamente le manifestazioni ontiche.
I concetti "singolare" e "plurale" sono concetti metafisici.
Il liberista, come da tradizione anglosassone ed empirista, nega la metafisica per imporre l'individualismo metodologico, in modo da negare l'esistenza del concetto di società, che - altrimenti - avrebbe un insieme di proprietà che non corrispondono alla somma di quelle dei singoli individui.
Questo è il motivo per cui i neoclassici cercano in tutti i modi di "microfondare" l'economia.
E questo è il motivo per cui di fatto Keynes si distacca dal liberalismo per proporre una forma di socialismo solo apparentemente non anti-caiptalista, come notava Röpke, a proposito di fantomatiche "terze vie" ed economie "miste".
La "fallacia di composizione" è la morte tanto dell'economia di Marshall quanto della filosofia di Smith e Paley, nel momento in cui esiste una scienza che descrive la fenomenologia di un oggetto metafisico come la società non come somma di singole individualità razionali: la macroeconomia.
Questa è basilare teoria dei sistemi complessi.
Ora: la polemica che porta, come al solito, nasce dalla mancata comprensione della doppia natura delle nostre disavventure.
Da una parte esiste una crassa ignoranza nelle materie economiche, risolvibile teoricamente con la divulgazione scientifica, dall'altra esiste un gigantesco problema di carattere culturale ed ideologico (che lei si ostina a chiamare "antropologico").
In questo relativismo nichilista, grufolano i porci della grande finanza e la schiera di leccaculo in conflitto di interessi per definizione, quindi, in malafede.
Basta insegnare la macroeconomia e Keynes?
No.
Perché esiste a priori un gravissimo problema ideologico e culturale di carattere totalitaristico, tanto a "destra" quanto a "sinistra" della falsa dialettica politica.
Questo è parte del lavoro che si prova a fare segnatamente in questi spazi (e, anche se in modo più velato, su Goofynomics)
Grazie per la solerte risposta. Mastico i pensatori reazionari da quando ho 14 anni. Prima di provare la "durezza del vivere" erano loro i miei riferimenti. Per chi volesse cimentarsi, tra gli autori di questo tipo suggerisco Monaldo Leopardi, il padre del più noto Giacomo. Poi ci sono diverse associazioni nobiliari contemporanee che pubblicano ancora oggi cose davvero divertenti, se il loro fine fosse quello di far ridere naturalmente...
EliminaUn punto di vista sociologico interessantissimo, tra i contemporanei, sulle sovrastrutture comportamentali dei ceti dirigenti di Antico Regime l'ho trovato in Elias (soprattutto "la civiltà delle buone maniere" e "la società di corte", entrambi Il Mulino se non erro).
Arturo, mi affido a lei per eventuali integrazioni.
M.
Bazaar mi fa decisamente troppo credito: ci sono periodi e argomenti che almeno un po' conosco, altri molto meno. Comunque...per le origini remote, mi hanno parlato molto bene dei lavori di Giacomo Todeschini, in particolare Visibilmente crudeli e Come Giuda entrambi pubblicati da Il Mulino.
EliminaVenendo alla contemporaneità: di Balibar, Razzismo di classe in Balibar, Wallerstein, Razza, classe, nazione, Manifestolibri; A. Burgio, La razza come metafora, in Id., L'invenzione delle razze, Manifestolibri; Kuklick, The Savage Within, Cambridge University Press; D. Losurdo, La comunità, la morte, l'Occidente, Bollati Boringhieri (un po' più generale, questo, ma molto bello).
La polemica credo che sia solo uno dei modi utili per approfondire problematiche che per la loro "natura" non possono essere univoche, ma credo non vi fosse nulla di ostile nel mio commento.
EliminaPer me è sempre salutare confrontarmi con chi ne sa più, imparo ogni volta, e se lo faccio è anche perché credo possa essere di aiuto ad altri.
Se do l'impressione di fare sterile polemica fine a se stessa me ne dispiaccio perché non è il mio scopo. Vedrò di lavorare anche su questo punto per migliorare.
Ma son contento se la discussione porta ad un approfondimento.
La brevità dei commenti obbliga gioco forza a semplificazioni concettuali; c'è sempre un "certo grado" di metafisica. Diciamo che nell'aritmetica applicata questo grado è minimo.
Sociale, culturale, psico-evolutivo, comportamentale.
Ecco perché mi ostino a definire "antropologico" un cambiamento, quello relativo al concetto di valore, che comporterebbe degli "aggiustamenti" in ognuno di questi ambiti. A questo livello tutti avremmo bisogno di un "aggiustamento" psichiatrico :), come sempre è il rapporto tra qualità e quantità che crea la norma e l'intervento, voluto o meno, dello psichiatra.
Mentre invece credo non possa determinarsi il predominio della domanda sull'offerta o viceversa (naturalmente parto dal presupposto che, ceteris paribus, non possa reggere una società totalmente pianificata a livello economico).
« naturalmente parto dal presupposto che, ceteris paribus, non possa reggere una società totalmente pianificata a livello economico »
EliminaQuesta è la sua unica preoccupazione: tutto il resto è inopportuna falsa coscienza.
Mi raccomando, non si preoccupi della privatizzazione della sanità e delle pensioni.
Basta imparare la contabilità nazionale, la cultura non serve a nulla: e comunque, perché alzare il livello della discussione, tanto la gente non capisce.
Ma secondo lei, che utilità ha cercare la giustizia nel diritto, se tanto l'oppressione del forte sul debole è "antropologica" e non debellabile?
O sono io che non capisco, o è lei che non capisce.
(E magari non vuole capire, accecato da un anacronistico rancore ideologico, basato sull'incapacità di rileggere la Storia del pensiero con occhi nuovi, nonostante l'impellente urgenza)
Intanto la speranza di vita si accorcia: consiglio una lettura degli scritti di Zinoviev, se non l'ha ancora fatto.
A proposito di Arte: ieri, a Palermo, la mia città, ho conosciuto un artista trentenne, originario di Bagheria: Gaspare Richichi, in arte anche Mr Richichi. Intelligente, ironico, divertente, leggero, concentrato sul Valore, della giustizia, della moneta, del lavoro - e non sul prezzo o sull'autopromozione - lo cerca, lo svela ( il Valore) nei processi che la vita gli offre o gli ispira ( a volte intesi anche come veri processi giudiziari o indagini di polizia in cui lui si fa imputato e filma trasformandoli in opere d'arte, per mettere in evidenza i punti di rottura, le contraddizioni o le ipocrisie del nostro vivere comune). Una nota di ottimismo, come tale l'ho vissuta e ve la offro.
EliminaProva a rileggere quello che hai scritto perché tra sillogismi e accuse gratuite hai dato il meglio.
EliminaInizio a credere che gli psicologi evoluzionisti abbiano ragione riguardo ai moduli mentali, ne hai appena dato prova.
Ma tutta questa certezza di saper calibrare esattamente l etica altrui da cosa deriva...di grazia.
Dagli "amici" mi guardi Dio che dai nemici...
Senta Ceccato, si rilegga lei quello che ha scritto - lei - in giro per il web: questi sillogismi sono i suoi e sono il riassunto della sua polemica.
EliminaUnica polemica al mondo che è portata non ad un blogger ma ad un altro commentatore.
Avrà molto tempo a disposizione visto che si preoccupa delle nazionalizzazioni (?) piuttosto che delle privatizzazioni.
Non è falsa coscienza? Ovvero, non è ideologia? Non so di che "amicizia" ed "etica" parla.
Ciò non toglie che la ringrazio per gli spunti di riflessione.
Buon Primo Maggio.
Stavo per lasciar perdere, tanto non c'è peggior sordo di chi etc etc.
EliminaPoi ho avuto l'intuizione e ho capito.
Essendo Bazaar solo una figura astratta non ha il problema di relazionarsi con una parte ontica e confrontarne le esigenze imprescindibili con l'identità antropologica (ecco il rifiuto al riguardo) e con l'etica.
"Lui", può "essere" solo etica e in questo modo giudicare quella altrui da un "punto di vista"...elevato.
Ecco il perché della radicalizzazione assoluta: come i mussulmani, che dato che il loro nome inizia sempre con Abdhalla (cioè schiavo di) seguito da uno degli innumerevoli aggettivi del Divino, non posseggono un'identità ontica, ma solo una "schiava di", cioè privi del libero arbitrio quindi della possibilità di sbagliare e di consegunza sempre nel giusto, cioè superiori eticamente.
Ora non posso che darLe ragione!
Buona esistenza
Sig.Ceccato: a lei piace questa polemica. O forse no. Però è evidente che lei non si interessa di quello che viene sostenuto su questo blog, se non per respingerlo in base ad affermazioni perentorie e apodittiche:
Elimina"Mentre invece credo non possa determinarsi il predominio della domanda sull'offerta o viceversa (naturalmente parto dal presupposto che, ceteris paribus, non possa reggere una società totalmente pianificata a livello economico)".
A parte la inesattezza di ciò alla luce della esposizione della teoria economica che qui si fa da anni, il punto è che lei ne prescinde per operare una critica del tutto personalistica: è così perché lo dice lei. E forse qualche centinaio di influencers pagati dalla finanza globale che è accuratamente orientata ad affermare queste cose come verità scientifiche.
In questo blog le abbiamo confutate. Lei non s'è convinto e non ha intende prestare attenzione al punto: la "prevalenza della domanda" veramente non si può sentire.
Neppure i teorici della banca centrale indipendente e della legge di Say, attualizzata al free-trade mondializzato, e a rigore neppure Malthus e Ricardo, si avventurerebbero in una tale proposizione.
E persino gli influencers (non italiani) del mainstream stanno cambiando registro attualmente.
Però mi pare che una discussione che parta dal non assumersi la responsabilità di ciò che afferma e del considerare una replica piuttosto puntuale e dettagliata (passando sopra il fatto che non considera, o forse non comprende, il contenuto dei post che commenta), non sia molto costruttivo.
Ulteriori sviluppi NEL MERITO delle sue affermazioni non li abbiamo visti.
De hoc satis...
Naturalmente può sempre aprire un suo blog e sviluppare appieno teorie nuove di reinterpretazione del pensiero economico.
Può avere persino successo
Io commentavo infatti un commento di Bazaar non il post.
EliminaNon è mica una cosa strana, lo vedo ovunque nei blog, esattamente il contrario di quello che dice Bazaar; è normale commentare un commento se "dice delle cose".
E cosa dice il comm. di Bazaar? ;
(...) Se il valore fosse prodotto dai proprietari, dai padroni, da chi controlla il capitale - tali perché axiologicamente "superiori", "migliori" - allora la legge di Say non può non essere valida. (...)
Se è invece la domanda a fare l'offerta - e la domanda dipende dal livello dei salari - allora è il lavoro a creare valore. Lo stesso imprenditore lo crea in quanto lavoratore. (...)
E si può invece leggere questo? E questo riduzionismo da poco cosa sarebbe?!
Cosa dovrei dedurne, che il valore lo crea solo chi ci mette il lavoro?
Quanto resta sotto inteso in un commento simile? E quanto dimenticato?
Possiamo dire che questa sarebbe una teoria?
Ora che l'attenzione è altrove posso scriverlo perché non mi interessa il "successo". Un blog l'ho aperto e ho anche scritto un post sulle famosissime buche: http://ceccatosan.blogspot.it/2015/12/keynes-for-real-dummies.html
E questo è solo uno dei tanti dove si capisce da che parte sto, al contrario dei sillogismi facili che scattano spesso appena uno fa una mezza critica e pure velata (sapendo di certe suscettibilità).
Ho aperto il blog per poter dire come la penso e per poter avvicinare a questi temi quelli che conosco e per un motivo o per un'altro non vi avrebbero letto mai (e ora magari si).
Distinti saluti a L. B. Caracciolo e anche a "Bazaar".
Sono veramente contento che abbia il suo blog.
EliminaDove può scrivere che un imprenditore crea valore senza dover lavorare e che questa realtà si chiamerebbe l'equilibrio tra la domanda e l'offerta.
Il resto viene da sé: una nuova teoria economica inedita ma antichissima al tempo stesso.
Complimenti vivissimi
Ringrazio davvero di cuore Arturo. Non conoscevo nessuno dei testi segnalati. Un aiuto preziosissimo!
EliminaM.
Prima lo zio dovrà portar DB sull'orlo del fallimento, così saran i crukki stessi a chiederlo. Ma nn ora. Ancora qualche anno.
RispondiEliminaProcrastinare l’agonia è il loro scopo stereogrammato nella figura dell’elicottero, così come la fame si cela dietro a quella dei trattati. Perciò non escludo che i crucchi accettino la misura, ma solo in un impeto di inconsueto sadismo. Non sia mai che si parli di lavoro. In proposito, riflettevo sulla scelta dei Costituenti di fondare la Repubblica proprio sul lavoro e non, che ne so, sul bridge. Non penso fosse una scelta sussumibile nell’abusato e sbrigativo aggettivo “nobilitante” appioppato al termine. Luciani ha fornito questa risposta che volevo condividere “Con una ricostruzione fortunata e convincente, Hannah Arendt, superando la tripartizione aristotelica fra il genere di vita dedito al piacere, quello dedito all’azione (politica) e quello dedito alla contemplazione, ha distinto due generi della vita umana, la vita activa e la vita contemplativa, tripartendo, poi, le forme di attività dell’uomo nel mondo in attività lavorativa, operare e azione. La prima forma (quella dell’attività lavorativa) è intimamente connessa alla sfera delle necessità, del bisogno, della riproduzione della specie. E’ la sfera dell’animal laborans, interamente assoggettato ai condizionamenti materiali della natura. Le altre due sfere sono quella dell’homo faber, che si muove nel dominio dell’artificialità e della manipolazione degli elementi naturali, e quella dell’homo politicus, che agisce nel dominio della libertà, del dialogo e del rapporto sociale (della vita politica, appunto). Ebbene: come mai i Costituenti hanno assunto proprio la prima forma dell’agire umano quale fondamento della Repubblica? Come mai, se quella che andavano scrivendo era una Costituzione della libertà? Come mai, se ad essere fondata sul lavoro non era semplicemente la Repubblica, ma la Repubblica democratica e se la cifra essenziale della democrazia sta nell’immissione della libertà entro la sfera, prima inaccessibile, del governo dello Stato? Come mai, insomma, un riconoscimento di libertà è stato radicato nel dominio della necessità? La mia risposta muove dal convincimento che la vicenda socioeconomica e culturale che ha condotto all’abbandono dello schiavismo e all’avvento dell’etica giudaico-cristiana (fondata sulla comune condanna di tutto il genere umano al lavoro) ha determinato lo sconvolgimento dell’idea stessa di libertà. Se nella società antica era realmente libero solo chi si sottraeva al giogo del lavoro, in quella giudaico-cristiana non può più essere così, perché nella società antica quella libertà era acquisita ad un prezzo (la disumanizzazione di altri esseri umani) che ormai non può più essere pagato. La comune condanna al lavoro rende incompatibile la libertà di pochi con l’eguaglianza di tutti, mentre questa dipende proprio dal comune assoggettamento all’imperativo del lavoro (…) Fondare la Repubblica democratica sul lavoro, dunque, significava soprattutto manifestare la volontà di fondare la Repubblica su un elemento profondamente egalitario e addirittura universalistico, su un dato insuperabilmente umano, abilmente coniugando premesse etiche familiari alla dottrina sociale cattolica a prospettive evolutive care alla tradizione del movimento operaio (che troveranno espressione anche e soprattutto nell’art. 3, comma 2). (…). La saldatura tra economia e politica non poteva essere più chiara e immediata” (M. Luciani, Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, 42 ss.). segue…
RispondiEliminaI Costituenti avevano i piedi ben piantati al suolo e non viaggiavano in elicottero.
RispondiEliminaLe riforme strutturali, il consolidamento fiscale, la trasmissione monetaria, l’inflazione, la deflazione, l’OMT, il QE, il LTRO, l’ITCFF (ispettore tombale con fuochi fatui) evidenziano che ESSI non smetteranno di allevare mostriciattoli per il raggiungimento del loro scopo (procurare sofferenza). In tutto ciò l’umano laborans è ridotto una infima sovrastruttura biologica a servizio del laboratorio economico ordoliberista.
Perciò, con agape schopenhaueriana, dico che si tengano pure la loro elemosina oligarchica; si tengano l’elicottero e vadano a schiantarsi con il loro fottuto euro.
La tua conclusione ha una nobile e indignata estetica :-)
EliminaMa l'analisi di Luciani mi trova - e credo che anche a te non sfugga- fortemente dissenziente sul riduzionismo dell'etica giudaico-cristiana a "quella " accezione, separandola da imponenti e non ignorabili sviluppi storico-economici.
Basti dire che la eliminazione, o il divieto, universalizzati, della schiavitù non rientrarono mai nella dottrina ecclesiale, predicandosi semmai un suo temperamento meramente etico, cioè come "non ostacolo" di tale status all'appartenenza alla comunità dei credenti (temperamento che aveva una ragion pratica molto maggiore nella fase di conquista dello status di religione ufficiale nei territori dell'ex impero d'Occidente, ma poi molto meno rilevante).
Fu semmai fortemente favorita e teorizzata, in ciò che è alla base della transizione al medioevo dominato dalla sovrastruttura ideologica cristiana, la trasformazione formale della schiavitù (al di là del dato giuridico della commerciabilità dell'Uomo, che fu inclusa in quella del foedus, ma all'interno di una classe ristrettissima di aventi diritto, tra cui gli stessi beneficia ecclesiastici) nel servaggio della gleba: questa formula produttiva (allocativa) era funzionale alla conservazione e perpetuazione del nexus feudale e terriero, cioè a una nuova forma di sovranità, - di cui la Chiesa fu totalmente compartecipe-, coincidente con il diritto terriero eminente e che fu appoggiata incondizionatamente fino alla rivoluzione francese.
E, dopo di questa, oggetto di faticose e contraddittorie ricalibrature teoriche...più che pratiche.
L'imperativo del lavoro, piuttosto, è un'esigenza che nasce dal capitalismo, che non tollera malthusianamente, le sacche improduttive dell'essere umano mercificato (ne abbiamo parlato in un post apposito), estendendo tale concetto ad un livello tale da porre in pericolo lo stesso equilibrio vitale della società: come ha evidenziato Bazaar, il problema, che la nostra Costituzione affronta, è quello, molto più attuale e avulso da tale dottrina giudaico-cristiana, della "teoria del valore": certamente al tempo della Costituente già al centro del dibattito (per la verità, con alterne fortune, a cui la Chiesa partecipò senza molta convinzione, da oltre 100 anni).
La Chiesa tutt'ora non ha una posizione cosciente e univoca al riguardo: mi pare perciò "provare troppo" confondere, in una sorta di metoninmia astorica, l'influenza di "certe" dottrine sociali cristiane (i cui spunti sono oggi tra l'altro ampiamente abbandonati), storicamente necessitate dall'evolversi dei termini reali del conflitto sociale (cioè non si poteva ignorare la sollevazione sociale che il capitalismo aveva inevitabilmente provocato), con tutta la cultura giudaico-cristiana.
Per quanto già in buona parte affrontate (all'inizio di quest'anno), queste tematiche meritano un approfondimento: naturalmente storico-economico e conseguentemente istituzionale...
Mi trovo d'accordo con quanto da Lei evidenziato; ed infatti non mi sfuggono i rilievi, come ho cercato anch'io di argomentare in altre occasioni. Proprio per questo, quasi per pudicizia, ho evitato di riportare anche un passo della Laborem exercens citato dall'Autore nel suo scritto a conferma di quanto sostenuto. Che l'imperativo lavoristico nascesse dal capitalismo e dall'evitare la "terza via" proposta da Einaudi ormai (seppur in ritardo), mi è chiaro, Blog gratias! Di certo, se è evidente che sia esagerato richiamare in proposito, come fa Luciani, tutta l'etica "giudaico-cristiana", credo tuttavia che la parte "sana" di un cristianesimo autenticamente progressista e non dottrinale(penso al La Pira delle Cronache Sociali, che tale si è dimostrato) abbia seppur in minima parte contribuito (almeno nelle intenzioni sincere che intravvedo leggendolo, ma può darsi che io sia in errore). Anche se mi rendo conto, leggendolo attentamente ed in modo oggettivo, che anche in La Pira era predominante l'elemento economico che fa sempre da sfondo nel suo discorso, il che conferma quanto da Lei correttamente sottolineato
EliminaMi pare in effetti che almeno su questo sia decisamente più "sul pezzo" la peculiare interpretazione funzionalista di Dogliani: la Costituzione è fondata sul lavoro perché le sempre latenti, oggi palesi e travolgenti, forze che lo schiacciano risultano "distruttrici dell'intero ordine sociale".
EliminaEvidenziando poi, inevitabilmente, ("a prescindere"), il problema della democrazia "filosofica" di cui qui abbiamo tante volte parlato, rinviando a Schmitt e al suo "stato di eccezione" come effettivo ridislocatore della sovranità.
EliminaVado fuori argomento. Sulla Stampa di oggi Dijsselbloem ad un'intervista sulla flessibilita' ha dichiarato " Da voi (in Italia) molti pensano che io sia tedesco. Pero' sono olandese e socialdemocratico"! C'e' da stare sereni, non vi pare?
RispondiEliminaMa non si preoccupasse: sappiamo benissimo che è olandese.
EliminaSi tratta di un classico caso di "excusatio non petita accusatio manifesta".
Quanto al professarsi "socialdemocratico", l'autocertificazione risulta ormai un metodo inflazionato: attendiamo che ne specifichi qualche anche vago contenuto, affrontando le difficoltà definitorie che chiunque, - affermando come assolutamente prevalente la visione dei mercati finanziari a cui lo Stato, cioè quello "comunità", sarebbe secondo lui assoggettato-, incontrerebbe.
Ci dicesse in particolare che cosa significano, secondo lui, i termini "democratico" e "sociale": magari in modo intelleggibile e coerente con la storia politico-economica che non dovrebbe ignorare (data la sua laurea "majors: business economics, agricultural policy and social and economic history
https://www.government.nl/government/contents/members-of-cabinet/jeroen-dijsselbloem/cv).
Tra l'altro, sarebbe interessante fornire questa spiegazione "social-democratica", per un sostenitore della tesi che la instabilità finanziaria è causata dal debito pubblico nell'eurozona (cioè della vulgata ferma al 2011 e che si disinteressa delle cause di disoccupazione e deflazione e da cui "gemma" la curiosa teoria dei limiti alla detenzione bancaria dei titoli e il loro rating...per incrementare la stabilità finanziaria!)
Inutile dire che queste lacune "leggermente contraddittorie" (circa la sua coerenza politica e cognitiva) sono in fondo un problema di professionalità del giornalista che ne riporta le dichiarazioni. Almeno dal punto di vista dei lettori de "La Stampa".
EliminaUn politico, per di più economista "socialdemocratico", laureato in business economics e storia sociale ed economica, in fondo parla per definizione pro domo propria, per veicolar la propria legittimazione (visto poi che nessuno l'ha mai eletto e non deve rendere conto ad alcun elettorato delle sue decisioni): la responsabilità critica di fare "il cane da guardia del potere", molto teoricamente, incomberebbe ai giornalisti.
A spanne ritengo che per ESSO social-democratico sia interscambiabile con "nazional-socialista". Insomma, da buon liberale, la somma fa sempre ARBEIT MACHT FREI
RispondiEliminaHelicopter money, che neologismo inutile ed idiota! Chiamatelo usando i termini già esistenti: spesa pubblica a deficit elargita senza corrispettivo da parte del beneficiario (certo perché normalmente, per esempio, un infermiere viene pagato per aver prestato attività di infermiere, qui con l'helicopeter money l'infermiere viene pagato senza aver fatto l'infermiere!!)
RispondiElimina"Chiamatelo"? Lo chiamano come possono allo stato permettersi di chiamarlo. Non hanno alternative. E presto forse non avranno alternative a chiamarlo monetizzazione, visto che in UK già ne parlano da anni
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2014/12/la-concessione-beveridge-o-leffetto.html