1. Oggi, 2 giugno, festa della Repubblica italiana.
"Il
2 giugno 1946, con il referendum istituzionale, prima espressione di
voto a suffragio universale di carattere nazionale, le italiane e gli
italiani scelsero la Repubblica, eleggendo contemporaneamente
l'Assemblea costituente, che, l'anno successivo, avrebbe approvato la
carta costituzionale, ispirazione e guida lungimirante della rinascita
e, da allora, fondamento della democrazia italiana". Il presidente della
Repubblica aggiunge che "i valori di libertà, giustizia, uguaglianza
fra gli uomini e rispetto dei diritti di ognuno e dei popoli sono,
ancora oggi, il fondamento della coesione della nostra società ed i
pilastri su cui poggia la costruzione dell'europa. Dalla condivisione di
essi nasce il contributo che il nostro paese offre con slancio,
convinzione e generosità alla convivenza pacifica tra i popoli ed allo
sviluppo della comunità internazionale".
A questo messaggio, si può rivolgere un'obiezione essenziale: dopo alcuni decenni di studio del diritto e dell'economia, personalmente mi sfugge come sia ragionevolmente collegabile il fondamento della coesione della nostra società, - basato sui valori di libertà, giustizia e uguaglianza nei modi concreti stabiliti nella nostra Costituzione-, con i "pilastri su cui poggia la costruzione dell'europa", e come si possa affermare che questi pilastri siano eretti sugli stessi principi affermati dalla nostra Carta costituzionale.
Era indispensabile compiere un'affermazione così recisa su un tema così controverso? Non si poteva soltanto ricordare il senso storico del referendum, dell'elezione dell'Assemblea costituente e dell'approvazione della Costituzione democratica, almeno nella giornata del 2 giugno?
2. Perchè il problema sta in questo: è vero o non è vero che la Costituzione del 1948 e il trattato europeo ordoliberista siano ispirati agli stessi principi?
Solo una risposta positiva a questa domanda renderebbe ragionevole e opportuno l'accostamento equiparante che ci viene oggi proposto dal messaggio presidenziale.
Che i trattati europei siano ispirati all'ordoliberalismo ci viene altresì confermato dalla Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (COMECE) la quale, come abbiamo più volte fatto in questo blog, trae argomento decisivo dall'art.3, par.3, del TUE:
La formula "economia sociale di mercato fortemente competitiva" viene dall'art. 3.3 del Trattato sull'Unione Europea: «L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico».
L'espressione "economia sociale di mercato" è stata elaborata nei Paesi di lingua tedesca, ma è entrata anche nella tradizione costituzionale di altre nazioni europee. Nasce dalla riflessione di economisti e giuristi della scuola ordoliberale di Friburgo (1930-1950) e trova applicazione politica nella Germania occidentale del dopoguerra durante il cancellierato (1949-1963) di Konrad Adenauer, grazie a Ludwig Erhard, ministro dell'Economia, e ad Alfred Müller-Armack, direttore del Dipartimento delle politiche economiche del Ministero. Artefici della ripresa tedesca, contribuirono a porre le basi economiche, culturali e istituzionali dell'UE lavorando con Alcide De Gasperi e Robert Schuman. La scuola di Friburgo afferma la centralità del mercato, senza però farne un assoluto. A riguardo l'economista Walter Eucken (1891-1950), padre dell'ordoliberalismo, scrive: «L'economia deve servire agli uomini viventi e a quelli futuri e deve aiutarli per l'attuazione delle loro più importati determinazioni. [...] Essa ha bisogno di un ordine giuridico garantito e di una solida base morale». Nel 1958, Wilhelm Röpke (1899-1966), un altro esponente della scuola di Friburgo, affermava: «l'economia di mercato non è tutto; essa deve essere sorretta da un ordinamento generale, che non solo corregga con le leggi le imperfezioni e le asprezze della libertà economica, ma assicuri all'uomo un'esistenza consona alla sua natura» (RÖPKE W., Al di là dell'offerta e della domanda. Verso un'economia umana, Edizioni di "Via aperta", Varese 1965, 17).
3. La fonte episcopale, così concorde ed autorevole, dovrebbe risultare credibile agli occhi di qualsiasi rappresentante istituzionale italiano di fede cattolica.
E, dunque, non dovrebbe dubitarsi che, in questa concezione della priorità della "forte competizione" e della "economia di mercato", il temperamento in senso solidale, sia affidato alla "buona volontà" degli operatori economici e non all'intervento dello Stato, come previsto dalla nostra Costituzione. Questo intervento dello Stato avrebbe infatti portato a "eccessi" che, secondo gli stessi vescovi, sottraggono allo Stato la stessa legittimazione esclusiva a proseguire politiche di realizzazione effettiva dei diritti sociali e dei livelli di welfare. Lo Stato, in questa visione, non dovrebbe essere del tutto escluso, ma deve conciliare la sua azione e la sua sovranità (fiscale e monetaria) con le istanze volontaristiche solidali provenienti dal settore economico privato.
I vescovi sul punto sono molto chiari:
"La prima fondamentale innovazione riguarda la riappropriazione del corretto rapporto sinergico fra Stato e privato, entrambi indispensabili, entrambi, da soli, insufficienti: «Lo Stato è una precondizione di una comunità ordinata, senza la quale lo sviluppo umano integrale è irraggiungibile. I dispositivi di istituzionalizzazione della solidarietà attraverso tasse e contributi sociali furono introdotti perché le iniziative private da sole non erano sufficienti. La forma di solidarietà organizzata dallo Stato è affidabile e stabile, e perciò necessaria. Ma non è abbastanza, in particolare perché manca dell'aspetto della volontarietà» (n. 5). Per questo - prosegue il testo - le forme istituzionali di solidarietà gratuita devono essere preferite a quelle organizzate dallo Stato o affidate al mercato ogni qual volta esse dimostrano uguale efficacia ed efficienza: è questo il significato autentico della sussidiarietà, che non coincide con la tendenza al disimpegno progressivo del "pubblico" e alla privatizzazione del welfare allo scopo di abbattere i costi".
4. E' anche da dire che gli stessi vescovi, criticano in qualche modo l'ideologia del semplice disimpegno del "pubblico" e la tendenza (unidirezionale) alla "privatizzazione" del welfare, ma lo fanno, evidentemente, sul presupposto che questa realtà criticata sia ciò che effettivamente si è finora realizzato in applicazione della costruzione dell'Europa richiamata dal nostro Presidente della Repubblica.
I vescovi, cioè, pur sostenendo che la solidarietà affidata allo Stato "non è abbastanza", e riaffermando l'aspetto della "volontarietà", cioè della "buona volontà", spontaneamente mostrata dagli operatori di mercato, - cioè da coloro che ne controllano le dinamiche in una situazione che, in UE, è di finanziarizzazione e struttura oligopolistica, cioè di accentramento dell'attività economica di "mercato" in conglomerati economici sempre più grandi e influenti e sempre più intrecciati al sistema bancario-finanziario -, propongono una soluzione che superi l'attuale realtà vivente della costruzione europea.
Certo lo fanno cercando una conciliazione, tra principio della "buona volontà"/sussidiarietà e azione sociale dello Stato, un po' vaga e non del tutto nuova rispetto agli assunti originari dell'ordoliberismo, che, tuttavia, hanno finora condotto proprio agli esiti di eccesso di privatizzazione del welfare "per abbattere i costi", e di disimpegno progressivo del "pubblico".
4.1. Soprattutto, i vescovi non sanno spiegare come, quando e perché, quella insufficienza della solidarietà puramente volontatistica e caritatevole dell'economia di mercato, e che giustificava e in parte giustificherebbe tutt'ora la presenza dell'intervento statale sociale (a tutela delle parti più deboli della società), sia stata superata: perché ora, nonostante gli sviluppi negativi criticati, le istituzioni e le forze del mercato, internazionalizzate con l'UE, sarebbero divenute sufficienti e avrebbero espresso una loro maggiore e più intensa volontà caritatevole e spontaneamente redistributiva, verso i sempre più vasti settori esclusi dalle dinamiche allocative ed efficienti del mercato?
5. Sta di fatto che la presa di posizione dei vescovi europei già dovrebbe condurre a una certa perplessa prudenza sulla piena equiparabilità tra modello solidale esplicito di intervento statale insito nella nostra Costituzione, incentrato sull'eguaglianza sostanziale del fondamentalissimo art.3, comma 2 della Costituzione, e principi ispiratori della costruzione europea, quali registrabili in imponenti effetti che neppure i vescovi, inclini ad abbracciare la versione temperata e solidaristica dell'economia sociale di mercato, ritengono di ignorare.
La "proposta" dei vescovi (abbiamo visto vagamente affidata alla fede in un futuro solidarismo spontaneistico del capitalismo finanziario), era del 2012.
Il loro auspicio non è stato seguito in nessun modo dai fatti.
La situazione della Grecia, da allora, si è evoluta in un modo che non può non essere connesso all'inasprimento, neppure minimamente nascosto dai suoi propugnatori, delle logiche finanziarie del neo-liberismo che governa l'€-zona. Che vedono all'acme della mancanza di ogni minima traccia di solidarismo intraeuropeo, proprio la Germania, patria di origine ed espressione "reale", cioè istituzionalmente realizzata in conformità ai trattati, dello stesso ordoliberismo (ormai esteso a condizionare l'intera UEM).
6. Ma gli stessi dati relativi a importanti indicatori dell'andamento della situazione socio-economica italiana smentiscono, clamorosamente, l'auspicio dei vescovi affidato fideisticamente al manifestarsi di una solidarietà "di mercato" extrastatuale.
Lo possiamo dire perché il Presidente della Repubblica può agevolmente attingere a questi dati, ufficialmente riportati da fonti governative.
La povertà, assoluta e relativa, in Italia, (persino) dal 2012, si è gravemente acutizzata. Nel Mezzogiorno la situazione è di assoluto livello di guardia:
7. Il reddito pro-capite, come naturale implicazione di ciò, è diminuito, e ne è aumentata la redistribuzione verso l'alto, cioè nella direzione esattamente opposta a quella predicata dalla nostra Costituzione (se il reddito pro-capite diminuisce e aumentano ancor più intensamente i poveri, questa conclusione è aritmeticamente evidente):
7.1. Le politiche fiscali obbligatoriamente perseguite nei paesi dell'eurozona, cioè in applicazione più "completa" della costruzione prevista dai Trattati, (ripetiamo quella che oggi, 2 giugno, viene richiamata come pienamente assimilabile, nei principi ispiratori, alla nostra Costituzione del 1948), hanno determinato dunque una vistosa crescita della povertà.
Ma le prestazioni sociali sono cresciute, com'era ovvio in una situazione di crisi - si tratta dei c.d. stabilizzatori automatici e di trattamenti previdenziali a decrescente copertura rispetto al reddito lavorativo-, in maniera non proporzionale: a livello pro-capite siamo il fanalino di coda dell'UE, eccettuata la Spagna.
8. Quel che conta, in termini di neutralizzazione del ruolo solidaristico dello Stato successivo alla corsa verso l'euro, non compensato da alcuna spinta volontaristica caritatevole "privata" (come attesta l'innalzamento inarrestabile delle quote di povertà), è il progressivo e inesorabile peggioramento rispetto alla media europea:
"Anche in Italia si è verificata la stessa illusione statistica; attualmente la spesa sociale è pari al 28,4% del Pil, in linea con i valori medi europei.Tuttavia, se confrontiamo il valore pro capite, il nostro paese registra un forte e crescente divario negativo: fatto pari a 100 il valore medio dell’Unione a 15 nel 1995, quell’anno il dato italiano era 84,1, ma da allora è calato fino a 75,8 del 2011".
Fonte: Elaborazione su dati Eurostat
Figura 1: Spesa per protezione sociale (in % del Pil)
Figura 2: Spesa per protezione sociale in euro pro capite (prezzi costanti)
9. Ci sarebbe dunque da rammentare quale sia il senso della nostra Costituzione, oggi, per poter verificare se questa applicazione del paradigma ordoliberista europeo sia effettivamente ad essa pienamente assimilabile o meno.
Di certo, assistiamo al fallimento della "ipotesi volontaristica" di una solidarietà spontanea proveniente da operatori di mercato illuminati da una presunta "temperanza" rispetto alla competitività esasperata e alla ricerca del profitto.
La ragione dell'affidamento alla Repubblica democratica, nata dal referendum del 2 giugno 1946 e dall'esperienza della Costituente, del compito di perseguire attivamente i diritti sociali, lungi dall'aver costituito un eccesso di concessione di privilegi ingiustificati, ci viene ben specificata da Calamandrei.
Ed è una ragione di effettività della stessa democrazia popolare, un aspetto che, in base ai dati della realtà socio-economica, risulta clamorosamente divergente dai "pilastri" della "costruzione" dell'€uropa:
“Coi primi (diritti di libertà) si mira a salvaguardare la libertà del cittadino dalla oppressione politica; coi secondi (diritti sociali) si mira a salvaguardarla dalla oppressione economica. Il fine è lo stesso, cioè la difesa della libertà individuale…Il compito dello stato a difesa della libertà non si racchiude nella comoda inerzia del laissez faire, ma implica una presa di posizione nel campo economico ed una serie di prestazioni attive nella lotta contro la miseria e l’ignoranza ….” In quanto “un uomo che ha fame non è libero perché, fino a quando non si sfami, non può volgere ad altri i suoi pensieri…” (Calamandrei, Costruire la democrazia, premesse alla Costituente, Le Balze, 103-105).
E ancora: “se vera democrazia può aversi soltanto là dove ogni cittadino sia in grado di [...] poter contribuire effettivamente alla vita della comunità, non basta assicurargli teoricamente le libertà politiche, ma bisogna metterlo in condizione di potersene praticamente servire”, e per far ciò occorre garantire a tutti “quel minimo di benessere economico”, far sì che le libertà cessino di essere dei “vuoti schemi giuridici e si riempiano di sostanza economica”, ossia che “le libertà politiche siano integrate da quel minimo di giustizia sociale, che è condizione di esse, e la cui mancanza equivale per l’indigente alla loro soppressione politica”.“Ma il problema vero non è quello della enumerazione di questi diritti: il problema vero è quello di predisporre i mezzi pratici per soddisfarli, di trovare il sistema economico che permetta di soddisfarli. Questo è, in tanta miseria che ci attornia, l’interrogativo tragico della ricostruzione sociale e politica italiana", da "Costituente e questione sociale", p.152.
10. D'altra parte, se questo "presente" è definito in dati che attestano un impressionante degrado della condizione civile e di benessere dei cittadini italiani, e in un'inesorabile caduta della stessa speranza di riscatto delle fasce economicamente e culturalmente più deboli della società italiana, ricorre in pieno la ragione di un richiamo a quel "presente" che aveva dato luogo alla rivendicazione costituzionale di giustizia ed eguaglianza sostanziale che "le conseguenze economiche" dell'€uropa appaiono vistosamente negare.
E ricorriamo, a rammentare tutto questo, ancora alle parole di Calamandrei:
"Ma
c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il
presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice:
“E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”riconosce
che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà
un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo
contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso
questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la
costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma
non è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una
costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire
rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende
qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione
rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa
società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà
giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze
economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e
di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse
sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa
contribuire al progresso della società. Quindi, polemica contro il
presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per
trasformare questa situazione presente".
11. Decisamente, la nostra Costituzione e la "costruzione dell'europa" non paiono albergare nelle stesse radici e negli stessi valori umanistici.
Ricordiamo il nostro passato di riscatto della democrazia, iniziato nel 2 giugno di 70 anni fa, "illuminiamolo", come vollero i Costituenti, con un "raggio di fede", che si contrappone al "nero scetticismo" neo-liberista, e ordoliberista, sul ruolo di questa Repubblica fondata sul lavoro.
Viviamone la vera lezione: la verità (forse) ci renderà nuovamente liberi.
A Firenze si dice: "che c'entra il culo con le quarant'ore".
RispondiEliminaIn effetti quando ho sentito alla radio: "i valori di libertà, giustizia, uguaglianza fra gli uomini e rispetto dei diritti di ognuno e dei popoli sono, ancora oggi, il fondamento della coesione della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell'europa.", mi si sono allungati i canini e ho inziato ad ululare...rientrata in me sono andata a rileggermi due articoli che condivido con voi, Grecia, Thessaloniki e Grecia, Atene. Come dicevano? "Una faccia una razza"...
(Alessandra Bacci/Cassandra da Firenze. Buona giornata a tutti)
“L'attesa della povera gente (disoccupati e bisognosi in genere)? La risposta è chiara: un Governo ad obbiettivo, in certo modo, unico: strutturato organicamente in vista di esso: LA LOTTA ORGANICA CONTRO LA DISOCCUPAZIONE E LA MISERIA. Un Governo, cioè, mirante sul serio (mediante l'applicazione di tutti i congegni tecnici, finanziari, economici, politici adeguati) alla massima occupazione e, al limite, al “pieno impiego”. Altra attesa-rispetto al governo-la povera gente nè aveva, nè ha: senza saperlo essa fa propria la tesi dell'Economist del Febbrario scorso: il “pieno impiego” è l'imperativo categorico fondamentale di un governo che sia consapevole dei compiti nuovi affidati agli Stati moderni. Ma volere seriamente la massima occupazione e, al limite, il pieno impiego, significa accettare alcune premesse e volere alcuni strumenti senza l'uso dei quali non è possibige raggiungere quel fine. C'è, anzitutto, una premessa di natura squisitamente cristiana: È VANO-PER UN GOVERNO-PARLARE DI VALORE DELLA PERSONA UMANA E DI CIVILTÀ CRISTIANA, SE ESSO NON SCENDE ORGANICAMENTE IN LOTTA AL FINE DI STERMINARE LA DISOCCUPAZIONE ed il bisogno che sono i più temibili nemici esterni della persona. Un documento inequivocabile della presenza di Cristo in un'anima ed in una società è stato definito da Cristo medesimo: esso è costituito dalla intima ed efficace “propensione” di quell'anima e di quella società verso le creature bisognose. Vi sono disoccupati? Bisogna occuparli. La parabola dei vignaioli è decisiva in proposito: tutti i disoccupati che nelle varie ore del giorno oziavano forzatamente nella piazza perchè nessuno li aveva ingaggiati: nemo nos conduxit! - furono Occupati: esempio caratteristico di “pieno impiego”: nessuno fu lasciato senza lavoro (Mt. 20,7). Vi sono creature bisognose? Affamati? Assetati? Senza tetto? Ignudi? Ammalati? Carcerati? Bisogna tendere ad essi efficacemente il cuore e la mano (S. Mt. XXV, 31-46): l'esempio di questa “propensione” all'intervento é fornito dal Samaritano: scese da cavallo e prese minutamente cura del ferito (Lc. 34). E SI BADI: NON SI TRATTA SOLTANTO (come spesso si crede) DI ATTI DI CARITÀ CONFINATI NELL'ORBITA DI AZIONE DEI SINGOLI: impegno di amore, cioè, che investe soltanto le singole persone: NO, SI TRATTA DI UN IMPEGNO CHE PARTE DAI SINGOLI E CHE INVESTE L'INTIERA STRUTTURA E LA ESSENZIALE FINALITÀ DEL CORPO SOCIALE. Costruire una società cristianamente significa appunto costruirla in guisa che essa garantisca a tutti il lavoro, fondamento della vita …Questa fondamentale premessa cristiana è, del resto, convalidata da una altrettanto FONDAMENTALE PREMESSA ECONOMICA: PREMESSA, È VERO, CHE NON VIGE NELL'ORBITA DELLA ECONOMIA CLASSICA, MA CHE È ORA POSTA A BASE DI TUTTO L'EDIFICIO DELL'ECONOMIA NUOVA [in nota: Leggere, per tutti, The Economics of full Emeloyment, Oxford 1945 (sei studi di Burchardt, Kalecki, Wormick, Schumacher, Balogh. Mandelbaum); Beveridge, Relazione etc.. Le citazioni che sono così insistenti in questo articolo hanno un solo obbiettivo: mostrare come il buon senso della gente semplice non è contraddetto, ma è anzi convalidato, dalla indagine scientifica più aggiornata e più intelligente]: la disoccupazione è un consumo senza corrispettivo di produzione: è, perciò, uno sperpero di forze produttive (oltre che essere un disastramento morale e spirituale della persona)” (G. LA PIRA, I, Anno IV, 15 aprile 1950, p. 1). segue
RispondiEliminaCosì parla un fedele (senza etichetta) che, per ciò, non può che avere nel cuore la Costituzione. Il nostro capo dello Stato è, se va bene, inchiodato all’uguaglianza formale che si strombazza nelle parate farsesche; non gli hanno spiegato che nel ’48 in Italia è accaduto qualcosa.
RispondiEliminaL’uguaglianza formale (come ricorda Calamandrei citato nel post) non tocca ancora il tratto fondamentale e semplicissimo del discorso, al di là di ogni teoria, ovvero la dignità della persona. La dignità di ogni persona (fondamento della nostra Costituzione) è lontana dalle omelie di queste figure vecchie, vescovi compresi. Vorranno un giorno spiegarci cosa intendono ESSI per valore e dignità della persona?
Di certo ha contribuito a spiegarlo il Rev. Martin Rhonheimer (Professore di Etica e Filosofia politica alla Pontificia Università della Santa Croce) in un paper del 2015 dal titolo “Il vero significato della giustizia sociale - Un’interpretazione cattolica di Hayek” (www.brunoleonimedia.it/public/OP/IBL-OP_101-Rhonheimer.pdf.). Ebbene, anche per il cattedratico la dignità umana equivale al riconoscimento dei diritti di libertà come mera cornice legale ed istituzionale, ad una esclusiva eguaglianza formale, alla creazione delle “condizioni favorevoli al libero esercizio dell’attività economica”. In questa concezione non può trovare spazio il concetto Costituzionale di giustizia sociale redistributiva, anzi “un’economia di mercato capitalista che si astiene dalla redistribuzione dei redditi per ragioni di “giustizia sociale” implica anche che la dignità umana … sia anch’essa rispettata”. Insomma, se si dovesse attuare alla lettera la nostra Costituzione, la dignità dei cittadini verrebbe lesa! E ciò perché “Le politiche redistributive non sono dirette al bene comune, ma solo al bene di breve termine di un particolare gruppo – sfortunatamente e tipicamente, dei collegi elettorali dei politici, il cui interesse è essere eletti o rieletti. Esse rappresentano inoltre una seria minaccia a una società libera, nella quale i “bisogni” e i “meriti” dei suoi membri, come suggerisce il Compendio (della Dottrina sociale della Chiesa), devono essere valutati dai politici e dalla burocrazia, e i benefici distribuiti di conseguenza. In più, tutto questo apre la strada alla corruzione così come alla deformazione della democrazia, dominata da promesse politiche pilotate che inevitabilmente generano il debito pubblico”. Si insegnano anche queste cose all’università pontificia.
Uguaglianza sostanziale come rispetto e cura della dignità personale, come liberazione dalla miseria di ogni sorta. Ci tocca ripensare cos’è l’essere umano e la verità ci renderà liberi. I nostri Costituenti umilmente lo avevano fatto.
Buona festa a tutti.
Il Rev. Martin Rhonheimer andrebbe d'accordo con Rothbard: siamo oltre Hayek. Il "bene comune" deve essere ottimizzato senza lo Stato: perchè anche giustizia e polizia non possono essere gestite dall'alta etica del mercato?
EliminaLe premesse del reverendo etico-filosofo, portano naturalmente e in progessione logica inevitabile a questo:
"In queste opere possiamo trovare il punto più alto del pensiero anarco-capitalista, ossia giustificazioni morali di tale assetto (con conseguente immoralità dello Stato), codice morale che dovrebbe essere la base di tale società, fino all'efficacia del sistema capitalista senza interventi statali, anche in settori ritenuti comunemente monopoli naturali, come giustizia e protezione.
In The ethics of liberty (letteralmente Le etiche della libertà, tradotto come L'etica della libertà[8] Rothbard sostiene il diritto a trattenere il 100% dei propri sforzi e della proprietà, come unico principio compatibile con l'etica universale e il codice libertario[9].
Copertina de Man, Economy and State, edizione 2004
Proprio da questa teoria della proprietà, ossia proprietà assoluta del proprio corpo e dei frutti del proprio lavoro intesa come diritto intoccabile, nacque il cosiddetto assioma di non aggressione.
Rothbard arrivò quindi a definire le tasse come un furto legalizzato, la coscrizione come la schiavitù moderna e le guerre di Stati come terrorismo, inoltre si oppose a qualsiasi obbligo di cura e a qualsiasi moralità statale.
Bisogna anche sottolineare l'esistenza di un'altra visione dell'anarco-capitalismo, una visione utilitaristica, data da David Friedman (figlio di Milton). Questa visione gradualista, prevede prima l'accettazione da parte dell'intera società del codice legale libertario, successivamente un processo di privatizzazione dei settori controllati dallo Stato, fino ad arrivare alla privatizzazione del diritto, quindi all'abolizione dello Stato stesso (teoria esposta in The machinery of freedom, 1973) e la costruzione di piccole unità dette "privatopie", presenti anche nel pensiero rothbardiano".
https://it.wikipedia.org/wiki/Murray_Rothbard
PRIVATOPIE (Ecclesiastiche). Niente corruzione e niente arbitrio di politici e burocrati nello stabilire meriti e bisogni.
Grazie per la preziosa precisazione. E' veramente peggio di quanto io potessi immaginare. Queste persone, pero', in quanto schizofreniche, andrebbero curate con trattamento sanitario obbligatorio. Ho pieta' per loro
RispondiEliminaSe è vero che la nostra Costituzione sancisce che "i valori di libertà, giustizia, uguaglianza fra gli uomini e rispetto dei diritti di ognuno e dei popoli sono, ancora oggi, il fondamento della coesione della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell'europa." perché cambiarla?
RispondiEliminaInviterei tutti gli europeisti convinti a difendere la nostra Carta con un bel NO al prossimo referendum.
E ti pareva che non mettevano Benigni in prima serata a decantare il fogno europeo con un'interpretazione libera dell'art. 11 Cost.! Per oggi l'opera e' completa
RispondiEliminaChe il fedele lo accetti o meno, il senso ultimo dell'atteggiamento dei vescovi è: "l'intervento dello Stato è immorale".
RispondiEliminaPoiché son discepolo di Cicerone, insisto con la massima morale: "meglio fuori strada con Platone, che condividere opinioni veritiere con questa gente": attenti a chi fate battezzare i vostri figli.
Se fossi il demonio mi vestirei da prete: non si chieda poi il clero della mancanza di "vocazioni".
Lo Stato è l'ente che in una democrazia moderna rappresenta tutta la comunità sociale, nessuno escluso.
Bene: i vescovi ci dicono che senza la loro santa azione, non potremmo altro che intervenire nei rapporti sociali e di produzione in modo "immorale".
Qulunque sia questa morale non è né mia né quella che emerge dagli scritti evangelici. And I'm proud of it.
Insomma, la morale del Dio mercato è biblicamente tendente al brutale, e, come insegnano le scritture di €$$I, è necessario "temperare" la fenomenologia dell'ira divina che si abbatte sui poveri peccatori, moralizzandoli tutti a suon di pioggia di fuoco, diluvi e disoccupazione.
Questa caritatevole "temperanza", si chiama "sussidiarietà".
Insomma, nel governo mondiale del capitalismo trionfante, il clero vuole la sua parte: finalmente si torna al medioevo.
Oggi leggevo il cartellone sotto cui si radunavano diverse anime pie proprio vicino alla casa del Signore; recitava pressappoco così: "Fare la carità al povero è un prestito a Dio che verrà restituito nel Regno dei cieli".
Io di una cosa son certo: se Dio esiste, allora è keynesiano.
Se Dio esiste è keynesiano! Geniale.
EliminaNon credo, Bazaar. Se Dio esiste, ride sino a soffocare ("L'ho fatta grossa!").
RispondiEliminaE, accettando a titolo di sfida o di test la prospettiva chiesaiuola, si può tranquillamente concludere che se Dio esiste costui sia Satana, che i preti intimamente adorano.
Il loro rifiuto (secondo morale di natura! - ecco un'altra che deve aver riso come una pazza al vedere l'islandese di Leopardi sbranato dai leoni, ma solo per la comicità intrinseca della scena) il loro rifiuto assoluto di ogni prospettiva strettamente intramondana li rende nemici giurati di ogni keynesismo (intendilo in senso categoriale, qui).
Ma si capisce che il tutto si pone a un livello infimo, di volgarità crassa e venale: stanno difendendo la Ditta (eccone dunque un'altra ben più in salute...) e il loro posto di lavoro. Perciò sono devoti a Satana e nessuno è più mondano di loro.
Se Dio (non il loro) esiste, se la ride: fulminarli vorrebbe dire curarsene.
D'altra parte, secolarizzarsi è il loro destino, dice l'europeista federalista Cacciari: gli dei servono alla perpetuazione delle chiese.
Siano maledetti.
P.s. Consigliate a Mattarella due letture: A) la Costituzione del '48; B) un libro che non sia stato scritto da Alessandro Manzoni (il buon Sergio deve essere fermo al Card. Borromeo e alla notte di Lucia rapita...).
Un momento però: il pensiero sociale cristiano ha prodotto anche i Fanfani, i Moro e tutti gli statalisti DC. Un frutto felice, non ripudiato da Roma anche in forza del fatto che le stesse autorità ecclesiastiche non erano così convinte che alla fine sarebbe stato il capitalismo a vincere, ed era dunque necessario tenersi pronti a dover parlare anche la lingua degli "altri". Poi com'è andata lo sappiamo...
RispondiEliminaPrecisazione: non il pensiero "sociale", cioè la dottrina sociale delle gerarchie ecclesiastiche, ma il pensiero "democratico", cristiano, produsse quei personaggi. Che infatti, al contrario delle generazioni politiche che gli succedettero, erano ben capaci di tenere a freno tali ggerarchie e di pensare all'interesse nazionale.
EliminaInoltre, non confondiamo "statisti" con "statalisti", spregiativo invalso, con l'affermazione mediatico-culturale del federalismo anti-interesse nazionale, anch'esso neo-liberista e antidemocratico.
Sì, siamo d'accordo, ma come è stato possibile allora che questi signori democratrici e cristiani abbiano ricoperto ruoli apicali in quelle strutture che nelle intenzioni della gerarchia dovevano proprio costituire la cinghia di trasmissione del pensiero sociale cristiano nella società civile? E la Chiesa di allora non era sbracata come oggi, le idee e gli scritti di chi ricopriva certi ruoli erano oggetto di attentissimo controllo. Ernesto Bonaiuti, qualche anno prima, se ne era accorto...
RispondiEliminaQuello che voglio dire, insomma, è che la Chiesa sotto una apparente monoliticità contiene molteplici spinte (peraltro tutte dottrinalmente giustificabili sebbene tra loro contrarie!) destinate a prevalere o soccombere anche in forza delle influenze che la Chiesa stessa subisce dal contesto nel quale si trova a vivere. Pensi alla teologia della liberazione, nata su basi scritturali e dottrinarie solide (opzione preferenziale per i poveri, discorso della montagna, primi padri della Chiesa etc) ma poi stroncata da Giovanni Paolo II proprio quando oramai appariva evidente quale dei due blocchi sarebbe infine prevalso. Insomma i testi che lei cita, moderni o medievali che siano, sono autorevoli e autorevolmente usati oggigiorno anche in forza della prevalenza di talune componenti conservatrici che erano state, dopo il Concilio, opportunamente contenute. Realtà come Tradizione Famiglia e Proprietà, Alleanza Cattolica e altre conventicole liberal-cattoliche (Spaghetticons, direbbe Luigi Copertino) non sarebbero state minimamente influenti fino a pochi anni addietro. Su questo è stato deleterio il pontificato di Benedetto XVI.
Che poi i nostri "statisti" cristiani abbiano tenuto a freno il clero, questo è fuori di dubbio. Lo stesso De gasperi, non proprio uno dei nostri eroi, diede non pochi grattacapi al Pastore Angelico. E mal gliene colse, poveretto: il Papa non lo volle vedere, a lui e pure alla figlia suora se ben ricordo!
Quanto al termine "statalista", non mi è balenato neanche per l'anticamera del cervello che potesse avere un significato dispregiativo se applicato a politici vissuti prima del 1978.
M.
Non ripetiamo discorsi già fatti.
EliminaSuggerisco, se interessato, di vedere l'analisi strutturale e i commenti svoltisi su questo post
http://orizzonte48.blogspot.it/2015/12/il-giubileo-degli-avanzi-e-degli.html
Il link ad un sito dei testimoni di Geova spero sia un refuso. Ci sono dei limiti all'interpretazione, e le traduzioni che usano li oltrepassano.
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