martedì 15 gennaio 2013

RISPOSTE PER UNA "SPERANZA" NELLA DEMOCRAZIA 1^ parte

Brevemente: avevo posto i 4 quesiti alla platea dei lettori affinchè ne venisse fuori un quadro che aiutasse a ribaltare il "senso comune" sulla "crisi" dell'euro(zona). Ed infatti, è essenziale ribaltare questo senso comune, e nel modo più PARTECIPATO, DIFFUSO E ANCHE RAPIDO POSSIBILE.
Il"senso comune" è ciò che, infatti, guida, quale "fatto notorio" e parametro di attendibilità scientifica, i giudici "supremi", nel valutare la legittimità "costituzionale" delle leggi (cioè delle decisioni regolatorie di interesse generale) adottate ad ogni livello di governo, nazionale e sovranazionale (quale che sia la Costituzione di riferimento, purchè democratica e sociale in senso moderno, e non revisionista in senso pre-crisi del '29!).
La nostra è, in un certo modo, molto pratico e drammatico, una "corsa contro il tempo":  per cercare di evitare che iniziative come questa o quella portoghese, o una futura rivendicazione di legittimità costituzionale italiana, siano affossate dalla "pietra tombale" di un pensiero unico consolidato (assurto appunto a "fatto notorio" o a "indice ragionevole" di attendibilità). Dal fronte politico "interno", infatti, non possiamo attenderci altro che "illusori" wishfulthinking sulla creazione di un sufficiente bilancio "federale" (Sapir docet) che sostenga i paesi in squilibrio commerciale.
Cioè si deve cercare di intaccare, nelle sue fondamenta ideologiche (scientificamente vale ben poco), un "paradigma" del quale gli stessi decidenti potrebbero presto pentirsi, in quanto costretti dai fatti a "riconoscere" la follia di un pensiero ora "dominante" e supposto come "attendibile" (capite? Attendibile!), ma profondamente e irriducibilmente dannoso per il benessere comune dei popoli.
L'introduzione di Flavio viene pubblicata insieme alla risposta ai primi due quesiti ottimamente dataci da Francesco Lenzi in un primo post.
La risposta agli ulteriori due quesiti , sempre proveniente da Francesco, sarà oggetto, per evidenti questioni di lunghezza, di un secondo post.

In calce al post AUX ARMES CITOYENS...L'ITALIA (PIU' CHE MAI) CHIAMO'  Quarantotto aveva rivolto una richiesta a tutti i lettori del suo blog.
Anzi, più che una, ben quattro. Quattro quesiti a cui, chi se la fosse sentita, avrebbe potuto dare una sua definizione, una sua chiave di lettura soggettiva per mettere in piedi un confronto valido sulle possibili interpretazioni date a determinati assunti inseriti nei trattati europei.
Accogliendo l’istanza del “padrone di casa”, Francesco Lenzi ci illustra le sue ottime riflessioni.
Rigore, rigore, rigore, austerità, austerità, austerità, la fanno da padrone sulle bocche dei nostri rappresentanti di governo: come durante l’Inquisizione, dobbiamo espiare le nostre colpe (quali poi?!?!), non ci possiamo permettere tutti gli agi (gli ospedali?!? La giusta pensione?!?) finora usufruiti, siamo poco produttivi, il nostro welfare è oramai “acqua passata”.
Delle affermazioni che pochi anni orsono avrebbero scatenato il finimondo. Ed invece, tutto (nei media main-stream, sia inteso) tace.
Tutto tace perché ciò “lo vuole l’Europa”, quell’UEM che definisce stabile, ottimale, un tasso di inflazione al 2%, un rapporto debito/PIL del 60% ed un deficit/PIL al 3%, non curandosi del fatto che in Europa, anzi nell’UEM che è cosa ben diversa, il lavoro è divenuto un’utopia, i redditi ed i risparmi calano mestamente, le persone sono ridotte allo stremo da una tassazione e da vessazioni indicibili.
L’influenza del “monetarismo” nei criteri di riferimento citati poc’anzi, teoria sviluppata dall’economista americano Milton Friedman, pervade i gangli della costituzione europea.
Una costituzione che – stando alle parole di Antonio Cantaro in “Europa Sovrana. La costituzione dell’Unione tra guerra e diritti”, pp. 124 e segg., docente di diritto costituzionale dell’integrazione europea presso Urbino – dimentica stranamente la centralità del lavoro, di quel diritto al lavoro che “fonda” la nostra di Costituzione, con tutti i diritti ed i doveri annessi che la carta europea, di fatto, sembra appunto “dimenticare” appositamente, e che tratta i suoi cittadini come meri consumatori, a cui non interessano appunto i diritti (la chiama appunto “desocializzazione” di quest’ultimi) ma solo a quanto sta il loro potere di acquisto e quanto l’inflazione “eroda” il potere della loro moneta.
Guardando nel dettaglio, grazie ai riferimenti inseriti da Francesco, questi parametri a prima vista razionali, rappresentano invece una concezione distorta delle problematiche e delle priorità economiche che una Unione di popoli dovrebbe perseguire.
Innanzitutto la stabilità finanziaria di un paese, checché ne dicano i vari Monti, Bersani, Berlusconi, non passa dal rapporto debito pubblico/PIL, ma dalla relazione debito estero/PIL.

A dirlo naturalmente non siamo noi, ma Nouriel Roubini, ed uno studioso italiano, Paolo Manasse, in questo studio in cui affermano che un paese possa andare incontro ad una prossima crisi finanziaria se supera il rapporto debito estero/PIL pari a circa il 55% (tabella 6); inoltre, in questo paper Bartolini e Lahiri  definiscono che di norma ad indebitarsi con l’estero, solitamente e per la maggior parte dei casi, non è il settore “pubblico” tanto caro agli euroburocrati, ma quello privato per ben due terzi.
Notiamo bene che, a questo punto, i parametri di Maastricht risultano, a dir poco, “mal pensati”. Stabilità finanziaria ed economica, così, passano da questi assiomi, come ben sottolineato anche dal nostro autore, e non di certo dai parametri indicati dai Trattati di Maastricht.
In merito alla stabilità dei prezzi, quindi al parametro di inflazione del 2% fissato dalla BCE, proponiamo una riflessione. Innanzitutto, qual'è la definizione di inflazione: essa è il tasso di variazione di un indice aggregato di prezzo opportunamente scelto.
Come si calcola? Si prende un paniere di prodotti definiti a priori e che viene mantenuto costante nel tempo (inserendo ciclicamente nuovi articoli al posto di altri poco utilizzati), si registrano prezzi e quantità consumate ogni anno, e grazie ad essi ci si costruisce un indice, che varierà da un anno all’altro.
Questo tasso di variazione è appunto l’inflazione, che viene calcolata con una semplice formula: indice dei prezzi al consumo dell’anno 2 a cui sottraiamo l’indice dei prezzi al consumo dell’anno 1, la cui differenza viene divisa per l’indice dei prezzi al consumo dell’anno 1. Facile facile.
Con questa piccola dimostrazione, disponibile anche qui a pagina 24, abbiamo inconsapevolmente risposto sia al quesito sulla stabilità dei prezzi, che indirettamente alla domanda riguardante la massa monetaria che causa inflazione.
Innanzitutto stabilità dei prezzi nel tempo significa due cose: a)scoraggiare la produzione dal lato dell’offerta, poiché un imprenditore sarà costretto a fornire beni a prezzi quasi costanti, con costi di produzione sempre crescenti, assottigliando così i margini e portando al rischio sistemico aziendale;
b) ma tale "stabilità", rigidamente intesa, scoraggia pure la domanda, poiché un consumatore sarà allettato ad “aspettare” di acquistare i prodotti di suo interesse al momento più opportuno, in quanto saprà che “domani” essi costeranno di meno.

Abbiamo parlato di moneta? No. Perché i prezzi dei prodotti che completano il paniere, ad esempio, dell’Istat non sono fatti dalla moneta, ma dai costi per produrli. Ed i fattori produttivi appunto, pesano sul prezzo di un bene, non di certo la moneta, che non centra nulla poichè, se così vogliamo dire in semplicità, essa misura il valore di un bene.
Se volessimo poi rincarare la dose, potremmo aggiungerci a corollario pure la tanto bistrattata legge della domanda e dell’offerta (che sembra quasi una “legge di gravità” dei rapporti economici, da essa infatti non si può scappare).
Con essa infatti notiamo che un bene più è domandato, più il suo prezzo cresce. Accade il contrario se il bene non è richiesto: il suo prezzo cala per “trovare” la domanda del cliente. L’inflazione quindi dipende anche da quanto un bene è domandato e, perché no, anche dalle tasse (l’IVA in più causa un aumento dei prezzi, è fisiologico).
Semplice vero? Ma fastidioso per i burocrati UE, ossessionati dall’inflazione e dall’erosione dei loro patrimoni (sono banchieri, capiamoli!).
L’assunto infine che la Banca Centrale “stampando” moneta per lo Stato a “go-go” (come dicono i Chicago Boys) crei inflazione non tiene conto di una cosa:
1) che essa fornisce la liquidità RICHIESTA dal sistema (natura "endogena" della moneta) secondo le esigenze del sistema stesso come scritto qui  e qui;
2) che l’indipendenza della banca centrale è una soluzione istituzionale che inizia a prendere piede verso la metà degli ‘70 (ed ora subisce molte critiche da parte di numerosi economisti -che vorrebbero ripensare questa presunta indipendenza poiché dannosa per il sistema) per combattere l’inflazione (sopra abbiamo visto cosa essa sia in realtà) causata, secondo il pensiero main-stream del tempo (ma sempre attualissimo nella BCE-Bundesbank), dallo Stato cattivo che appunto stampava moneta e quindi “creava” inflazione.
Un nesso che abbiamo visto essere molto labile, ma che al tempo fece molta presa, chissà perché, su gran parte del mondo occidentale e non.
Paradossalmente l’inflazione c’era ed era alta. Poi calò. Merito della Banca Centrale indipendente? Non proprio.
Fermiamoci un attimo, e pensiamo: vi ricorda nulla la parola “austerity”, le domeniche senza auto, le città “invase” dalle persone? Si? Bene.
Se ci mettiamo nell’ordine di idee che quei tempi furono i famosi anni degli shock petroliferi (ricordate? la guerra dello Yom Kippur del ‘73, la rivoluzione in Iran del ‘79), capiamo perché l’inflazione era alta, e afferriamo il concetto che se il prezzo del greggio in quegli anni triplicava o quadruplicava, trascinava con sé anche i prezzi al consumo.
La conseguente sua discesa verso la metà degli anni ’80 – il prezzo dei prodotti petroliferi ritornò quasi ai livelli degli anni ’60 – coincise con una generale “ritirata” del fenomeno inflazione…ecco perché Francesco parla di “fortuna”: le banche centrali indipendenti, nonostante i disastri sociali targati Thatcher e Reagan rispettivamente negli USA e UK, sembrarono essere il “toccasana” contro l’inflazione, mentre la realtà economica, e dei dati, confuta questo scenario collegandolo ad una causa di “costo” (se leggete Bagnai, “Il tramonto dell’Euro”, potrete trovare tutte le spiegazioni del caso).
Concludendo questo lungo preambolo, nella speranza d’aver dipanato dubbi prima della buona lettura invece di averli acuiti e di non avervi tediato, poniamo il punto su due concetti finali di sicuro interesse.
Il pareggio di bilancio in Costituzione a nostro avviso, oltre a quanto leggerete dalla penna (tastiera?) di Francesco, deriva – anche attraverso l’analisi dei saldi settoriali, che ci dicono che con esso gli stati saranno costretti a perseguire un saldo partite correnti costantemente positivo per sopravvivere e non incorrere in crisi finanziarie – dalla volontà di eliminare definitivamente dal contesto economico il ruolo dello Stato, di non consentirgli, quindi, di mettere in pratica la sua funzione di “allocatore ottimale di risorse” – perché, teoricamente, non deve perseguire la logica del profitto, ma quella del diritto al lavoro, del diritto alla salute, del diritto ad un compenso dignitoso per i suoi cittadini – rispetto al privato.
Togliendo quindi risorse allo Stato, il fine ultimo a cui gli euro-burocrati tendono è la sua completa sparizione come intermediario finanziario (i famosi BoT in cui la casalinga di Voghera investiva “sicuramente” i suoi risparmi andranno a scomparire), convogliando il tutto verso il tanto salutare settore finanziario privato a là “subprime”, così come eliminando i sistemi pensionistici e di welfare, si sta tentando di convogliare queste risorse verso i settori della sanità privata e dei fondi pensione privati (chiedere agli Usa per credere).

Infine, imponendo una “diminuzione” dei lavoratori pubblici, necessaria a creare un ulteriore manipolo che andrà ad ingrossare il già enorme esercito di riserva dei disoccupati disposti a lavorare con salari da fame, si darà il via libera quindi alla “sottoccupazione” tanto cara ai capitalisti tedeschi e non, garantendo loro lauti profitti (e prezzi sempre più “stabili”) ed una vita non più degna di essere vissuta a tutti i lavoratori italiani ed europei.
Ecco, leggete bene quello che vi dirà Francesco. Dopo aver letto la nostra introduzione, e le sue ottime argomentazioni, sarete ancora sicuri che il “più Europa” faccia ancora al caso vostro? Vi lasciamo con questo dubbio. Buona lettura!

 
1 - Cos’è la “stabilità economica”, ovvero la stabilità “finanziaria”, in contrapposizione alla più comprensibile “stabilità dei prezzi”?
Riguardo al concetto di “stabilità finanziaria” non esiste una definizione univoca sebbene siano ormai numerosi gli studi volti ad individuarne una.
Il concetto di instabilità finanziaria parte dal contributo di I. Fisher (1929) sulla “debt deflation”, secondo cui le fasi di instabilità finanziarie (derivanti da scoppio di bolle dei prezzi di attività) derivano da eccessive accumulazioni di debito e determinano conseguenze non solo per il sistema finanziario nel suo complesso ma anche per l’economia reale, secondo il percorso deflazione-liquidazione assets- aumento tassi di interesse-restrizione credito- chiusura e fallimento imprese- disoccupazione.
Il concetto viene ripreso ed ampliato da H. Minsky (1960 ; 1970  ) che partendo dall’analisi keynesiana delle decisioni in condizioni di incertezza, definisce vari tratti di quella che lui chiama la financial instability hypotesis. Secondo Minsky il sistema economico raggiunge equilibri molto fragili, basati su considerazioni prese in condizioni di incertezza. Il variare di tali considerazioni determina uno spostamento dell’equilibrio verso una fase di crisi che può provocare un’instabilità finanziaria. La crisi è tanto più acuta quanto più alto è il livello di indebitamento raggiunto dagli operatori.
Riguardo sempre al concetto di eccessivo indebitamento e quindi alle situazioni di squilibrio nei bilanci degli agenti economici come causa di instabilità e crisi finanziarie è il contributo di Bernanke e Gertler del 1987.
Riguardo invece al concetto di efficiente allocazione delle risorse è invece il pensiero di Mishkin (1999) secondo cui l’insorgere di instabilità finanziarie si ha quando il sistema funziona in condizioni di forte asimmetria informativa che non permette di allocare in maniera efficiente le risorse dando luogo a situazioni di adverse selection o all’opposto di moral hazard.
Anche secondo Schinasi (2004) l’instabilità finanziaria è legata alla incapacità del sistema di allocare il maniera efficiente le risorse. “A financial system is in a range of stability whenever it is capable of facilitating (rather than impeding) the performance of an economy, and of dissipating financial imbalances that arise endogenously or as a result of significant adverse and unanticipated events”
Secondo Allen e Wood (2005), invece il concetto di instabilità finanziaria non può ridursi esclusivamente a quello di efficiente allocazione delle risorse (per questo viene preso ad esempio l’URSS, sistema economico fortemente inefficiente ma che dal 1917 al 1991 non ha conosciuto fenomeni di instabilità finanziaria simili a quelli dei paesi capitalisti), ma deve far piuttosto riferimento ad una serie di qualità che hanno a che fare con uno stato di fiducia degli operatori nel sistema e nel suo funzionamento.
Quando la fiducia cessa il sistema presenta situazioni di instabilità. E’ il momento in cui viene a modificarsi il rapporto fiduciario tra gli operatori economici che determina l’insorgere di situazioni di instabilità (scoppio di bolla speculativa, credit crunch, trappola della liquidità, ecc..).
Per questa ragione l’obiettivo principale della politica monetaria e della politica fiscale dovrebbe essere quello di garantire e preservare la fiducia nel funzionamento del sistema, evitando fenomeni (eccessiva concentrazione e possibilità di rischio sistemico, eccessiva erogazione del credito, formazione di bolle speculative) che possano compromettere la fiducia degli operatori.
Come si può facilmente notare il concetto di stabilità finanziaria è quindi molto diverso da quello di stabilità dei prezzi, che può esser definita, riprendendo la frase di W. Duisenberg (2001) primo governatore della BCE, “monetary stability is defined as stability in the general level of prices, or as an absence of inflation or deflation”


2 - Perché si dà per scontato che l’aumento della massa monetaria influirebbe direttamente sull’inflazione? E’ scientificamente accettabile questa conclusione?

La relazione secondo la quale la massa monetaria influirebbe in maniera diretta sull’inflazione deriva dagli assunti base della teoria quantitativa della moneta e fa riferimento alla ormai nota relazione M*V=p*Y.
Lo studio di tale relazione da parte di M.Friedman e A. Schwarz nel 1963 in “A Monetary History of the United States, 1867–1960” ha portato a ritenere che riuscendo a controllare la quantità di moneta in circolazione si possa automaticamente tener sotto controllo il livello generale dei prezzi (considerando la stabilità della velocità di circolazione della moneta e reddito di lungo periodo).
Con il successo (il Nobel a M.Friedman) e la fama di tale teoria si sono avuti, tra la fine degli anni settanta e ottanta, due principali esperimenti di controllo della quantità di moneta in circolazione.
L’esperienza disastrosa della FED (1979-1982) e quella della BOE (1979-1984), criticamente analizzate da N.Kaldor in “How monetarism failed“(1985).
I danni (in termini di calo del prodotto e dell’occupazione) causati in quegli anni hanno poi portato all’abbandono, da parte della banca centrale americana ed inglese, della politica monetaria di controllo del tasso di crescita della quantità di moneta in circolazione.
La BCE invece opera ancora secondo il “doppio pilastro” associando ad obiettivi di tasso di interesse a breve anche quello di controllo della massa monetaria M3, salvo poi non riuscire mai fino ad oggi a rispettare quest’ultimo obiettivo.
Alla veneranda età di 91 anni anche M.Friedman ammette di essersi sbagliato ("The use of quantity of money as a target has not been a success……I'm not sure I would as of today push it as hard as I once did)
Quindi se è di per se impossibile il controllo della moneta in circolazione, è altrettanto labile il legame tra la moneta ed il livello generale dei prezzi.
Dal punto di vista empirico (De Grauwe 2005), non risulta nè nel lungo nè nel breve termine una significativa relazione tra crescita della moneta e crescita dei prezzi, almeno per le economie che non hanno manifestato fenomeni di high-inflation (superiore al 10%). Risulta inoltre molto lieve, se non assente, il legame tra crescita della moneta e crescita dell’output.
Dal punto di vista teorico Keynes scriveva: “… the money of account comes into existence along with Debts, which are contracts for deferred payment, and Price-Lists, which are offers of contracts for sale or purchase…. Money itself…derives its character from its relationship to the Money-of-Account, since the debts and prices must first have been expressed in terms of the latter… (Keynes 1930, A Treatise on Money, p. 3) nel senso che prima viene determinato quello che è il prezzo di un bene e poi viene ad esser domandata la quantità necessaria di moneta per acquistarlo. Per cui se esiste una relazione tra moneta e inflazione è nel senso che è la crescita dei prezzi a guidare la crescita della quantità di moneta che serve per acquistare lo stesso bene, e non viceversa.
Riguardo poi al fatto su come e sul quanto le banche centrali siano state in grado di attuare politiche monetarie, di tasso d’interesse o di controllo della quantità di moneta, effettivamente influenti sulla stabilità dei prezzi, è interessante considerare la serie di studi condotti da L. Benati (qui il link alla raccolta).
Secondo tali studi non solo la capacità della Fed e della Bank of England di controllare il tasso di inflazione negli ultimi 30 anni è stata dovuta essenzialmente al “good luck” (invece del “good policy” che viene generalmente riconosciuto alla politica monetaria di great moderation) ma addirittura rileva che se vi fosse stata la Bundesbank in U.S.A nel periodo post seconda guerra mondiale, la politica monetaria da essa adottata non sarebbe stata in grado di contrastare la pressione inflazionistica verificatasi negli anni ’70 (Benati 2009).

22 commenti:

  1. Stupendo post! Proverò a sottoporla a qualche amico studente pidino e vedremo gli effetti...
    Aggiungo alcune riflessioni che ho fatto rileggendo i Quaderni dal carcere di un mangiabambini sardo del secolo scorso riguardo una cosa chiamata Egemonia culturale.
    1. Il Potere autocratico ci ha fregati perché ha reimposto da molto tempo la sua egemonia culturale, la sua visione del mondo attraverso cui gli altri vedono il mondo, e lo ha fatto partendo dalle scuole, in modo estremamente coerente e cosciente. Arundathi Roy (Internazionale 6/4/2012 “i Fantasmi del capitale”) racconta che la controffensiva del Potere alle conquiste sociali del New Deal cominciò con la riconquista delle scuole attraverso la loro sottomissione ai fondi privati (guarda caso, il mio ateneo è stato da poco provincializzato e privatizzato; risultato: esplosione di borse di studio sull'Autonomia trentina e sulla razionalizzazione della PA...). Roy spiega che con il controllo (egemonia) delle scuole (vedi i Chicago Boys di Friedman) le conseguenze politico-economiche (Reagan) erano necessarie conseguenze. Pensiamo all'emarginazione di Caffé in Italia o all'attacco di Ciampi all'idea di Gallura di organizzare con il CeSPE una serie di studi sull'effetto del Divorzio dell'81 e ragioniamoci su.
    2. Finché ci sarà quest'egemonia, non possiamo sperare di risolvere nulla. Parlo da persona assolutamente inesperta a riguardo, ma non credo che, se l'Euro cadrà come dice il prof. Bagnai, il sistema cadrà con essa: si riprodurrà di nuovo. Pensiamo a cosa accadde nel '92, quando non facemmo in tempo ad uscire dallo SME che ci trovammo in Matrix...in Maastricht pardon. E pensiamo a cosa accadde in Argentina quando uno sconosciuto avvocato di provincia chiamò altri intellettuali anti-egemonici.
    3. Finché persiste questa egemonia, non può neppure esserci dibattito: discussioni sull'interpretazione monistica o dualistica del rapporto UE-Stati non avranno senso, perché non saranno e non sono discussi in modo scientifico, ma egemonico (ess: l'art. 11 come OBBLIGO a cedere sovranità perché questo chiede l'egemonia; scelta monistica perché questa è espressa in maniera costante dalla CGUE). Non sono favole, è quanto accade se si discute con esperti anche di un certo livello (Toniatti, Falcon). Il dissenso è zittito (non certo confutato razionalemnte) non con ragioni scientifiche ma perché anti-egemonico (Orwell direbbe “anatrare”, un piddino “berlusconiano” o “non serio (=non montiano?)”).
    4. Se la scuola è il campo di battaglia, siamo messi male. Parlate con uno studente, dico io di giurisprudenza, e capirete. A-razionali. E non c'è da stupirsi se ad esempio il predominio della Cemania nella creazione delle norme europee è risolto con argomenti quali “ma è più grande e più ricca” (quindi posso pestare una vecchietta per derubarla?) oppure “meglio perché loro al contrario nostro sanno cosa fare” (“Ah se lo sapesse il Duce!”) A LIVELLO UNIVERSITARIO.
    5. Avremmo invece tanto bisogno di Bagnai Borghi e Caracciolo nelle Università, davvero
    Paolo Giusti
    P.S.: per chi vuole farsi del male, c'è il sito della fondazione A.S.T.R.D. (Bassanini, Dini, Prodi...), Magistrale la presenza di una sezione sulla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht (la Cort. Cost. Tettesca) per “meglio comprendere l'interpretazione del diritto UE”. Lapsus o consapevolezza?

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    1. BEh Francesco Lenti e Flavio vengono dalla "società civile"! (che più civile, nel loro caso, non si può): sono passati indenni per l'Università (ma certo non si sa come sarebbe andata a finire se avessero voluto farci carriera). Come vedi, lo stesso fatto che si esprimano qui dovrebbe dati un certo "conforto". A te chi ti obbliga a sentirti condizionato da "loro", una volta che avrai esaurito gli "esamini" :-)?
      Ma più ancora, e te l'ho già detto, perchè guardare al peso enorme di un conformismo "interessato" all'esercizio del potere, quando potresti trovare lo spazio ossigenato di una dottrina giuridica che non si fa certo intimidire da questi residuati del liberismo sinistrorso pro-finanza?
      E' vero hanno grande peso nell'accademia. Ma un ragazzo sveglio non ha bisogno di aspettare a lungo per capire che nessuno potrà fermare la sua vocazione, seria, scientificamente documentata, alla libertà e alla democrazia.
      La vitalità della Costituzione e un nuovo "senso comune" nell'interpretarla dipendono anche dalla tua inflessibile "ricerca della verità"...
      (se vuoi scrivere un post sugli indirizzi giurisprudenziali e anche impegnarti, con altri giuristi-commentatori, a "creare" un codice di informazione a salvaguardia della Cost, sappi che sei nel posto giusto; qui la porta è aperta).

      PS: probabilmente di questi 2 post (presto il prossimo) farò un "compendio" in un articolo ( o vari) da pubblicare su una (o varie) rivista "seria" di diritto pubblico. La dottrina del pensiero forte e democratico non si arrende e pesa pure lei, abbi fede :-)

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    2. Un'artico su DeJure spero perché sennò dovrò elemosinare l'account a qualche frustrato assistente di dir. amministrativo! Comunque non voglio che sembri che io mi senta condizionato, anzi se porto certe idee qui è per essere aiutato nel demolirle. Voglio solo aggiungere una cosa: credo anzi temo che molti dei pidini universitari non siano dei Quisling, quanto dei Nonni Montanelli: Montanelli racconta che suo nonno, ai fascisti che imperversavano per Fucecchio, gridasse "aspettate che venga Mussolini e vedrete voi!". E' il pensiero "se lo sapesse il Duce", un misto di tanta ignoranza e cieca fiducia. Si trattasse di interessssati mentitori allora non mi curerei di loro ma guarderei e passerei, ma sapendo che sono semplicemente disinformati o meglio egemonizzati...
      Comunque per quanto riguarda gli indirizzi giurisprudenziali, le devo dire che ci sto attento da un po' (dall'epifania di Keynes...:)) e devo dire che è sconsolante: di fronte a "UE et similia" si spegne semplicemente il cervello, perché è "Ille phlososphus". E questo perché ci (noi giuristi) crescono euroentusiasti. Per questo dico che bisogna entrare nelle università, perché è li che si forma l'egemonia. Poi posso anche sbagliarmi.
      PG

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    3. Lo capisco: ho anche io a che fare con svariati professori universitari. Sono irredimibili.
      Ma nel campo del diritto, o hanno come clienti grandi imprese (o non disdegnerebbero averle), perchè sono anche avvocati, o fanno parte (se non professionisti) di "think.tank" invariabilmente ispirati all'europa o, quantomeno, al sostenere la grande idea delle società private di ss.pp. o del "partenariato"...e divenire consiglieri di amministrazione o entrare in qualche lista elettorale.

      Ma tu stesso puoi fare opera di proselitismo e associare qualche persona che ha tracce di dubbio e di reazione neuronale.
      Hai anche questo mkisero spazio per lanciare iniziative.

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  2. QUISLING ERA UN DILETTANTE
    “Me lo portarono a casa un mattino, spopolato e smembrato a colpi di scure come un maiale. Neanche una goccia di sangue gli era rimasta. [..] Pthù! Maledetti siano quelli che gli hanno squarciato il petto per strappargli il cuore con le mani e prenderlo a calci come palle di stracci!..”
    (La vedova scalza, Salvotore Niffoi 2006)

    Confesso che quando, qualche giorno fa, ho letto “Italy’s Democrats extend olive branch to Monti” (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/65175e70-5d87-11e2-a54d-00144feab49a.html#axzz2HwP2rZj2) ho avuto le identiche sensazioni fotografate da Salvatore Niffoi.

    Per un attimo avevo (di)sperato che la contrapposizione elettorale delle settimane precedenti con le algide “agende” del Quisling nostrano aprissero una riflessione sulla strategia economica di Stefano Fassina, responsabile economico del PD.

    (Di)speravo che gli fossero giunti i semplici e toccanti scritti di onesti cittadini del Belpaese (http://goofynomics.blogspot.it/2012/12/mi-faccio-un-regalo.html)

    (Di)speravo che il lungo “tunnel” senza luci della situazione economica UE provocasse una riflessione sul fallimento acclarato della teoria classica che basa la distribuzione del reddito tra salari e profitti come risultante degli equilibri “naturali” del mercato tra consumi, risparmio, lavoro e risorse disponibili.

    (Di)speravo che fosse la Politica a riprendere lo spirito intellettuale per la concertazione delle istituzioni nel destino delle civiltà sociali.

    Ora finalmente si palesa esso, cioè esso l’abile e fedele collaborazionista di Quisling, ritendo che sia sufficentemente “progressista” il taglio dei salari (svalutazione interna) e la flessibilità del lavoro (disoccupazione) in cambio di un ripresa degli investimenti, contro ogni evidenza storica e economica ma che sono il “core” dell’algido Quisling.

    Quella “palla di stracci”, lavata con acqua e aceto, questa "balentia qualcuno la pagherà in sonanti, di leppa o pallettoni".

    That’s all, folks!

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    1. Qua ci alterniamo a disperare, caro Poggio. L'importante è non arrendersi. Tanto uno straccio di verità alla fine li soffocherà... in corsa, riscattando la fine di Isadora Duncan che era la donna di Majakowsky che ha scritto l'"Inno al giudice" ("...i suoi occhi scintillano come barattoli di latta nell'immondezzaio), per dirci come il "senso comune" non sia mai stato "attendibile".
      Poi si trova sempre uno Stalin (o un Torquemada) che strappa le penne al Serpente Piumato: ma, "le nostre idee, i nostri canti, sopravviveranno e non si può (per sempre) uccidere un'idea :-)

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  3. una provocazione: nel 2002 l'inflazione è stata del 2%?
    ovvero, è possibile un tale così basso valore?
    beh, quanti di noi scommetterebbero su un incremento NETTISSIMAMENTE superiore?

    ma l'aggregato M3 ad inizio 2002 aumentò in maniera bestiale.
    oh, stesso aumento con la crisi ma senza domanda come fanno ad aumentare i prezzi?

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    1. So che è un tuo "cavallo di battaglia". Dacce la risposta "cognita causa" che altrimenti rimaniamo nell'ansia..."la verità sull'inflazione del 2002 e l'andamento di M3 (ma scusa poi non lo immagini dove vanno a finire sti soldi? :-))". Un grande tema

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  4. @O48
    oh, domenica ho scritto la prima parte dell'articolo..
    ho strutturato la seconda e spero di lavorarci sabato.

    su questa cosa del 2002.. mi danno per quei 6 mesi bastardi.
    A memoria gli alimentari aumentarono del 10% mentre il vestiario del 50%.
    le case in poche anni (per lo meno qua al sud) hanno visto analoghi incrementi (sul 50%).
    affitti decollati, tariffe, tasse..

    i benefici dell'euro!

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    1. Val, dacce sto post e vedrai che sarà una "liberazione"...poi, conoscendoti, non ti fermerai più :-)

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  5. @Neri.. conosco questi dati ma ad ogni buon conto l'articolo presenta un po' di cavolatucce..

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    1. Sì ma credo che occorra disporre dell'indice di prezzi utilizzato dall'Istat (paniere) e vedere se e come sono utilizzate variazioni di ponderazioni e eventuali variazioni di "paniere" in quel periodo (anni adiacenti)...Ad es; la variazione dei prezzi immobiliari fu a Roma, di oltre il 100% sulla maggior parte degli immobili e anche di più su quelli pregiati.
      I ristoranti e i bar fecero variazioni che si attestavano più sul 70% e il peso ponderale di queste voci non so come sia stato considerato. MA certo, l'inevitabile tenuta (discesa reale) de prezzo di elettronica e beni durevoli-elettrodomestici, non potè compensare queste voci, ragionevolmente

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  6. ma perché poi alla fine mi diedi questa risposta banale sugli immobili:
    se i prezzi aumentano del 50% ma gli immobili riguardano solo l'11% della famiglie (sic) visto che l'89% ne detiene uno.. ne deduco che il peso non sia così elevato!
    ad ogni buon conto, sfido chiunque a dirmi che gli alimentari siano aumentati meno del 10%!
    Il mio rammarico è non aver conservato l'agenda di mia madre (bastava verificare i costi della spesa mensile!!!!!!) per quei due anni (2001 e 2002)

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    1. @valsandra
      mi sembra di ricordare che nel paniere istat non è compresa la variazione dei prezzi degli immobili (considerato incremento di ricchezza), bensì quello degli affitti ...ma vedi anche queste considerazioni trovate su internet che avvalorerebbero la tua deduzione.

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    2. eh già: al più potrebbero essere considerati gli affitti (variazione dei canoni di locazione effettivi), ma, a parte il problema decisivo del "nero", al tempo enorme, i canoni registrano con ritardo l'inflazione perchè i contratti in corso, cioè i più, sono adeguati secondo...l'indice Istat.
      Quindi, conoscendo un pò di trucchetti "legali" la mancata rilevazione dell'inflazione effettiva inizia a prendere corpo...

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  7. @Balduin..
    grazie per la dritta.. ovviamente il problema degli immobili riguarderebbe anche il ribasso dei tassi di interesse che hanno drogato il mercato (percezione errata del costo!)...

    ma il punto è che le cose sono due: o i prezzi sono aumentati in maniera esagerata al sud o mi sono perso qualcosa io.. il paniere è una cosa ma quali voci lo compongono? % di incidenza?
    quanto veritieri?
    ora, supponendo che i nostri prezzi siano cresciuti del +0.005 rispetto a quello dichiarato.. e del -0.005% in Germania le differenza accumulate sarebbero micidiali.
    questo perché bisogna rispettare l'inflazione al 2%, con minime differenze

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  8. @48
    io notai che da noi molti regolarizzarono i propri dipendenti precedentemente in "nero" (grazie ai vari contratti che permettevano di ridurre il costo del lavoro).
    e per noi intendo il Sud.
    per gli affitti.. ammesso che che siano aumentati di molto, riguardano poche persone!
    però l'incidenza di bollette, alimentare, tasse?

    in realtà, il fatto che il vestiario sia aumentato del 40-50% (i lewis costavano 90k lire.. passati poi a quasi 90 €!!!!!!!!!!!!!) è supplito dal fatto che uno non li "acquisterebbe ogni settimane" per un ipotetico paniere!
    e pure questo: la facilità di finanziamento ha drogato il mercato.



    PS: sto per concludere la seconda parte.. e mi serve la chiosa, la parte filosofica! ahahha

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  9. Già proprio un trucco simpatico quello di spalmarne l'effetto attraverso la rilevazione dell'aumento degli affitti sui soli contratti di affitto in scadenza. Intanto la ggente si indebita per acquistare casa e si alimenta la bolla...

    Avevo dimenticato di inserire il link nel precedente post: http://www.jonkind.com/2011/05/25/esco-a-comprare-le-sigarette-anzi-una-casa/

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    1. Da casa nasce cosa...

      http://eco.uninsubria.it/webdocenti/gbertocco/APPUNTIEMCP.pdf

      Questi appunti di politica monetaria hanno il pregio di una esposizione scorrevole ed equilibrata delle teorie main-stream e keynesiane. Utili a tutti i frequentatori del blog, anche per finalità di diffusione della conoscenza ...prima che la teoria dominante diventi fatto notorio (ringraziamo il prof e le due allieve).

      Intanto ho ritrovato anche i miei appunti di monetaria ...ma sono più complessi.

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  10. @Balduin
    è la risposta che mi diedi anni fa.. pensavo: questi considerano la quota del 20% (o 10%) e allora 4/12 (400 euro su 1200 euro di stipendio) fa 3,3%...
    e allora pensai subito al fatto che non avessero considerato l'aumento del costo della casa... ahahahahaha

    però dico.. e gli alimentari che aumentarono sicuramente di un 10%? il vestiario?
    cacchio, solo elettronica e telefonia sono diminuiti quell'anno (o rimasti pari!).

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  11. Interesting post i have read here. I love your blog stuff which is very real and unique. Great job done here.

    Risparmio Bolletta

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