(Alberto sintetizza meglio di me che mi dilungo su un ampio fronte di implicazioni).
1.
Muoviamo da una ben precisa premessa, perché, se la si dimentica, non ha
pregiudizialmente senso parlare delle forme istituzionali; o, ancor peggio,
discutere di tali forme, prescindendo dalla premessa che stiamo per svolgere,
finisce inevitabilmente per essere una mera conseguenza di modelli adottati in adesione ai
rapporti di forza. Ecco dunque la premessa: il punto è CHI GUIDA,
sfruttando la propria forza economica preponderante e il controllo culturale
che discende dai suoi "centri
di irradiazione", il linguaggio e la direzione del processo di
trasformazione istituzionale, dettandone l'agenda; anche se, com'è
tatticamente normale che accada, eserciti questa "guida" in modo non
palese rispetto all'opinione di massa (ed alle varie forze politiche che di
tale agenda si fanno promotrici).
2.
In fondo, gli schemi "ideali(zzati)", nella contemporaneità
dell'attuale ordine internazionale dei mercati, siano essi definiti
"filosofici" (qui,
pp. 2.1.- 2.2.) ovvero "politologici",
hanno tutti il tratto comune di sottintendere la gerarchia economica
neo-liberista e, quindi, il mercato del lavoro (gerarchizzato), conveniente
alla vulgata dei centri di irradiazione, rafforzando la presa del capitale
"cosmopolita" sulle (in)coscienze delle masse, accuratamente
indotte a rendere prioritaria la sola preoccupazione per il conflitto
sezionale (in una pletora di "identità contrappositive" di cui,
per ora, la Catalogna risulta la pietra dello scandalo, ma che presto
prolifereranno; oh, se prolifereranno!).
Basta
leggersi questi
commenti di Francesco Maimone, con la dovuta attenzione, per capire che la
destrutturazione degli Stati nazionali è un obiettivo indispensabile per
l'affermazione dell'ordine del mercato
globale...e che di fronte a questa pletora di insitita idealizzazione (qui,
p.9), batti e ribatti, finalmente, il momento è giunto. Nulla potrà
fermarli...
3.
Dello schema generale abbiamo
già parlato:
“Bisogna
infatti tener conto che coloro che realmente costituiscono la classe di
governo (mondializzata e perciò stesso "globalista") , cioè,
seguendo l'aforisma propiziatorio di Reichlin, "i mercati" (v.
p.8), sono ideologicamente indifferenti alla forma delle istituzioni
che, di volta in volta, debbano realizzare l'indirizzo politico da ESSI
prestabilito (dai
lontani albori dell'epoca successiva alla prima guerra mondiale).
Anzitutto
però, una precondizione deve essere chiara: una ghost institution di
governo sovranazionale, - appoggiata dal capitale
nazionale, "vassallo per definizione" (e lo constatava già
Gramsci nel 1919-1920,
qui p.10, subito prima che le "Conferenze"
promosse dalla Fed fissassero il paradigma macroeconomico ancor oggi
perseguito)-, trova la sua indispensabile affermazione ove posta in grado di
realizzare il proprio indirizzo politico extra e contra
Constitutionem, "rendendo irrilevanti" le forme, le finalità
sostanziali, e le procedure costituzionali "effettive" di un
ordinamento nazionale. In pratica, i trattati L€uropei rendono i
"mercati" LA istituzione, cioè la Legge ad applicazione
incontrastabile; le istituzioni formali di un preciso territorio sono per
definizione relegate ad un ruolo, estremamente flessibile, di esecuzione
secondaria (se e fino a quando siano ritenute necessarie a finalità
sedative)".
3.1.
L'aperta volontà di scardinamento delle Costituzioni sociali democratiche, che
pongono la tutela del lavoro al di sopra di quella della proprietà
(attenzione: tutelando certamente anche questa in quanto sia il
"frutto" del lavoro e non della rendita e dell'accumulo
"espropriativo" del valore del lavoro), coincide tout-court
quindi con la destrutturazione degli Stati nazionali, per aperta
indicazione di "politologi" e "filosofi-economisti" .
4.
Il problema è capirsi sul perché l'internazionalismo del capitale e
della globalizzazione, istituzionalizzata dai trattati liberoscambisti,
come "primo motore" della dichiarata de-istituzionalizzazione degli
Stati nazionali, sia radicalmente "altra
cosa" rispetto all'internazionalismo dei lavoratori (e stavolta
traduco dall'inglese). Partiamo dai fondamentali del pensiero liberal-internazionalista
(dei mercati):
"Sulla
"politica della porta aperta" propugnata da Einaudi,
sintetizzo, in un passaggio significativo, quanto complessivamente riportato da
Francesco
Maimone:
"Le
norme restrittive della emigrazione che vanno sorgendo nei paesi nuovi o vecchi
SONO IL LIEVITO DELLE GRANDI GUERRE FUTURE, SONO LA NUOVISSIMA FORMA DI
PROTEZIONISMO che si innesta sul vecchio protezionismo
ad opera di quelle classi medesime che più gridano contro i dazi affamatori….
vi è un paese che dai dilettanti viene descritto come un paradiso terrestre,
come il paese dove non si sciopera, dove la società socialista futura va a
grado a grado attuandosi senza conflitti cruenti e senza inutili dibattiti
dottrinali e che è altresì la terra promessa del nuovissimo protezionismo
operaio. Quel paese, vasto come l’Europa, potrebbe albergare milioni di cinesi
e di giapponesi, potrebbe offrire il campo, come lo dimostrano i rapporti dei
nostri consoli e di inviati speciali del Governo nostro, alla colonizzazione
proficua di molte centinaia di migliaia, per non dire anche di milioni, di
italiani. Ma a tutto ciò si oppone l’esclusivismo gretto e feroce di un
piccolo manipolo di genti, che in nome della democrazia ha messo l’ipoteca su
un intero continente e vuol riserbarlo ai propri sperimenti di barbarie
medioevale".
"Basti
ricordare che (ringraziando come sempre Arturo) le circostanze che diedero
origine alla I°
Internazionale:
«Militanti
principalmente inglesi e francesi erano affluiti a Londra, anzitutto per
raccogliere la solidarietà con le varie lotte di liberazione nazionali
in corso, includenti quelle per l'indipendenza Polacca e per l'unificazione
Italiana, nonché per supportare il Nord contro il Sud schiavista nella
guerra civile americana.
La
seconda ragione per dar vita a una tale
organizzazione era perché, in una recente fase recessiva, erano stati fatti
tentativi, da parte dei datori di lavoro, di mettere gli uni contro gli altri i
lavoratori inglesi e francesi, attraverso l'uso di lavoro
"immigrato" mirato a fiaccare gli scioperi. I sindacalisti di
entrambi i lati della Manica volevano contrastare questa smaccata strategia di
“divide et impera” »
Quindi le prime ragioni per cui fu fondata la Prima Internazionale furono l’appoggio a lotte per l’indipendenza nazionale e la prevenzione dell’uso di lavoratori immigrati in funzione antioperaia.
Andiamo avanti: «Quando i lavoratori del settore dell'abbigliamento entrarono in sciopero a Edimburgo e a Londra, per esempio, le IWMA furono in grado di impedire ai rispettivi padroni di "importare" manodopera "rompi-sciopero" dall'Europa e dalla Germania.» (Fonte)
Quindi le prime ragioni per cui fu fondata la Prima Internazionale furono l’appoggio a lotte per l’indipendenza nazionale e la prevenzione dell’uso di lavoratori immigrati in funzione antioperaia.
Andiamo avanti: «Quando i lavoratori del settore dell'abbigliamento entrarono in sciopero a Edimburgo e a Londra, per esempio, le IWMA furono in grado di impedire ai rispettivi padroni di "importare" manodopera "rompi-sciopero" dall'Europa e dalla Germania.» (Fonte)
Ci
fosse bisogno di conferme : «Le condizioni quotidiane di lotta (specialmente
in tali paesi comparativamente avanzati come Gran Bretagna e Francia),
suggerivano ai lavoratori l'esigenza di formare un sindacato internazionale
di forze proletarie per un buon numero di obiettivi. Tra questi si possono
menzionare: la condivisione di esperienze e conoscenze; gli sforzi congiunti a
supporto delle riforme sociali e per il miglioramento delle condizioni della
classe lavoratrice; la prevenzione dell'import di lavoratori stranieri per
aggirare gli scioperi; etc. In tal modo la lotta nel settore industriale
diede slancio alla formazione dell'Internazionale dei lavoratori.» (Fonte).
6.
Che piaccia o meno rispetto alla propria personale ideologia, la via verso la
democrazia è stata tracciata - in primis - dai socialisti. E va
riscoperta tutta l'opera ripulendola dall'orwelliana falsa coscienza dei
"liberali di sinistra e di destra"."
"Tornando,
non casualmente, alle vicende americane, vale la pena citare dal rapporto
del Comitato sull’immigrazione, interno al marxista e combattivo American
Socialist Party, pubblicato nel 1908 (qui
la fonte da cui citerò: pagg. 75-77).
Il Comitato raccomanda di vietare l’immigrazione, in particolare “da specifiche e definite nazioni. Queste "eccezioni"si riferivaon all'immigrazione di massa dalla Cina, dal Giappone, dalla Corea, e dall'India negli Stati Uniti.
Il Comitato raccomanda di vietare l’immigrazione, in particolare “da specifiche e definite nazioni. Queste "eccezioni"si riferivaon all'immigrazione di massa dalla Cina, dal Giappone, dalla Corea, e dall'India negli Stati Uniti.
Noi
reclamiamo l'incondizionata esclusione di tali razze, non quali razze di
per sé, — non come persone con caratteristiche fisiologiche definite- ma per
l'evidente ragione che queste persone occupano una definita porzione della
Terra nella quale risulta così indietro lo sviluppo moderno dell'industria, psicologicamente
così come economicamente, che esse (persone) costituiscono un arretramento,
un ostacolo e una minaccia ai progressi della parte più coraggiosa, militante
ed intelligente della popolazione della classe lavoratrice.
Gli elementi più grandi e potenti della nostra classe dominante, i grandi capitalisti, i reali e effettivi avversari della classe militante dei lavoratori, sono i veri beneficiari dell'immigrazione da tali paesi, ed essi (grandi capitalisti), - ben consapevoli del fatto che questi immigranti sono abituati a uno standard di vita ben più basso, e non si assimilano facilmente con gli altri elementi della popolazione-, usano ogni mezzo, legale e illegale, per incoraggiare l'immigrazione di tali popolazioni, funzionali al mantenimento di standards di vita più bassi, e costituenti un fattore formidabile al fine di perpetuare la divisione tra i lavoratori, subordinando le questioni di classe all'antagonismo razziale, e in tal modo prolungando il sistema di sfruttamento capitalistico.”
Gli elementi più grandi e potenti della nostra classe dominante, i grandi capitalisti, i reali e effettivi avversari della classe militante dei lavoratori, sono i veri beneficiari dell'immigrazione da tali paesi, ed essi (grandi capitalisti), - ben consapevoli del fatto che questi immigranti sono abituati a uno standard di vita ben più basso, e non si assimilano facilmente con gli altri elementi della popolazione-, usano ogni mezzo, legale e illegale, per incoraggiare l'immigrazione di tali popolazioni, funzionali al mantenimento di standards di vita più bassi, e costituenti un fattore formidabile al fine di perpetuare la divisione tra i lavoratori, subordinando le questioni di classe all'antagonismo razziale, e in tal modo prolungando il sistema di sfruttamento capitalistico.”
[Sostituite
all'antagonismo razziale quello, ad effetti distraenti del tutto analoghi, "etnico",
interno ad uno stesso popolo insediato entro confini politici
sufficientemente vasti per dar luogo a una certa differenziazione culturale
"localistica", e avrete un'equivalente, ed evidente, applicazione
dello stesso principio del "divide et impera"].
6.1.
Naturalmente (prosegue il contributo di Arturo) erano esclusi i rifugiati
politici, di cui si riteneva doverosa l’accoglienza.
Ovvero, in generale: “L’unione dei “proletari di tutto il mondo” nel conflitto di classe interno a ciascuna nazione è inconcepibile, a meno di ipotizzare che i rapporti di forza tra capitale e lavoro siano sufficientemente omogenei nei diversi contesti geopolitici. Prima vengono i rapporti di forza all’interno delle singole nazioni e i loro esiti: se questi sono abissalmente diversi, allora nelle nazioni più sviluppate un conflitto interno alla classe lavoratrice, indigena e immigrata, è inevitabile, con conseguente indebolimento generale del suo potere contrattuale.” (Barba e Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, s.p.).
Ovvero, in generale: “L’unione dei “proletari di tutto il mondo” nel conflitto di classe interno a ciascuna nazione è inconcepibile, a meno di ipotizzare che i rapporti di forza tra capitale e lavoro siano sufficientemente omogenei nei diversi contesti geopolitici. Prima vengono i rapporti di forza all’interno delle singole nazioni e i loro esiti: se questi sono abissalmente diversi, allora nelle nazioni più sviluppate un conflitto interno alla classe lavoratrice, indigena e immigrata, è inevitabile, con conseguente indebolimento generale del suo potere contrattuale.” (Barba e Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, s.p.).
7.
Sono perfettamente consapevole che queste analisi e queste fonti storiche, in
molte occasioni, sono state ripetute e sviluppate nelle loro diverse "proiezioni"
sulla situazione attuale della nostra Patria, ma ho ritenuto che fosse
utile (ancora una volta) richiamarle in un discorso riassuntivo che le
collegasse con immediatezza. E ciò affinchè fosse correttamente
interpretabile una delle più importanti ragioni che legittimano la nostra Costituzione,
resa
evidente da questo (ormai) celebre brano di Lelio Basso, che indica al
contempo PERCHE' e COME il lavoro, inteso nella sua più ampia
accezione costituzionale (sempre
fornitaci da Basso, in modo attualizzato alla struttura attuale del mercato
"ad oligopolio concentrato" qui, p.2) possa difendersi dagli
effetti reali e tangibili del disegno €uropeista:
"l’internazionalismo
del proletariato si fonda sull'unità e sulla solidarietà di popoli in cui tutti
i cittadini, attraverso l'abolizione dello sfruttamento di una società
classista, conquistano LA PROPRIA COSCIENZA NAZIONALE… il nostro
internazionalismo non ha nulla di comune con questo COSMOPOLITISMO di
cui si sente tanto parlare e con il quale si giustificano e si invocano
queste unioni europee e queste continue rinunzie alla sovranità nazionale. L’internazionalismo
proletario NON RINNEGA IL SENTIMENTO NAZIONALE, non rinnega la Storia, ma vuol
creare le condizioni che permettano alle nazioni diverse di vivere
pacificamente insieme.
Il
cosmopolitismo di oggi che le borghesie nostrane e dell'Europa affettano è
tutt'altra cosa: è rinnegamento dei valori nazionali per fare meglio accettare
la dominazione straniera… Noi sappiamo che in
questa lotta il proletariato combatte insieme per due finalità e che in questa
lotta esso ACQUISTA CONTEMPORANEAMENTE LA COSCIENZA DI CLASSE E LA COSCIENZA
NAZIONALE, ponendo le basi per un vero internazionalismo, per una federazione
di popoli liberi che non potrà essere che socialista! (Vivissimi applausi e congratulazioni)”
[L. BASSO, discorso del 13 luglio 1949, in Il dibattito sul Consiglio
d’Europa alla Camera dei deputati, ora in Mondo operaio, 10 settembre 1949,
3-4-]."
8.
Invitiamo altresì a rileggere le parole di Basso, di qualche mese anteriori,
riportate quali "Intervento sul disegno di legge “Ratifica ed
esecuzione dello Statuto del Consiglio d’Europa firmato a Londra il 5 maggio
1949, Camera dei deputati, 25 maggio 1949" (qui,
p.3). Ne riporto uno stralcio:
Il
Consiglio europeo, cioè, è la maschera PROGRESSISTA, IDEALISTA che deve coprire
due realtà brutali: LA MANOMISSIONE ECONOMICA CHE L’IMPERIALISMO, IL GRANDE
CAPITALE AMERICANO, ESERCITA SULL’EUROPA E LA POLITICA DEL BLOCCO OCCIDENTALE
IN FUNZIONE ANTISOVIETICA.
Tradurre questa politica nel linguaggio del federalismo, esprimere cioè questa realtà di sopraffazione e di soperchieria in termini ideali, è un mezzo che serve a fare accettare questa politica a molta gente in buona fede, per poi servirsi di tutta questa gente in buona fede come specchio per le allodole onde trascinare certi strati della popolazione dalla stessa parte...".
Tradurre questa politica nel linguaggio del federalismo, esprimere cioè questa realtà di sopraffazione e di soperchieria in termini ideali, è un mezzo che serve a fare accettare questa politica a molta gente in buona fede, per poi servirsi di tutta questa gente in buona fede come specchio per le allodole onde trascinare certi strati della popolazione dalla stessa parte...".
A mio giudizio niente smaschera l’idealismo ipocrita leuropeista, in particolare il buonismo verso i poveri migranti in fuga da guerre e miserie, e ne rivela il feroce volto imperialista, come i rapporti economici con i paesi africani, fra cui spiccano i molteplici, e quasi sconosciuti, accordi di libero scambio.
RispondiEliminaMeritoriamente Voci ha tradotto questo articolo di Bill Mitchell, che da conto di quello con i paesi dell’Africa Occidentale, firmato sotto eplicita minaccia – ma quanto è buona lEuropa! – di chiudere a paesi poverissimi, con gente alla fame, l’accesso ai mercati europei.
L’articolo è basato su un’analisi prodotta da CONCORD, la confederazione europea delle ONG di aiuto e sostegno allo sviluppo, una fonte certo non sospettabile di antieuropeismo (sul loro sito spicca la scritta “with the support of the European Union”!).
Ebbene, perfino una simile fonte deve concludere l’analisi in questi termini:
“…l’EU, la maggiore zona economica del mondo, sta cercando di ottenere concessioni commerciali sproporzionate da una delle regioni più povere del mondo. Con l’EPA, l’Africa Occidentale avrà meno spazio politico per usare strumenti importanti per lo sviluppo di alcuni settori economici, al fine di migliorare le condizioni di vita dei suoi popoli. Allo stesso tempo l’UE non ha formalmente assunto alcun impegno per lo stanziamento a lungo termine di fondi aggiuntivi che sarebbero necessari per aiutare l’Africa Occidentale a reggere la concorrenza dei prodotti importati e compensare le entrate fiscali perdute. Come conseguenza, l’EPA non è coerente con lo sviluppo dell’Africa occidentale”.
Insomma, “aiutarli a casa loro” non è uno slogan di comodo ma una possibilità concreta: basta smantellare l’UE…
Il Capitale gioca all'allegro chirurgo: l'importante è sezionare
EliminaSettimana scorsa, una simpatica e arzilla suorina (Superiora), mi ha messo sotto gli occhi un bel volantino con un sorridente Gesù con tanto di croce in spalle che abbatte il "muro delle frontiere" lasciando, in questa egoistica e peccaminosa forma di divisione, una breccia (ovviamente a forma di croce).
Per la gioia del nostro rivoluzionario dell'etica ebraica (e Dio, se si accetta la "non manomissione" delle fonti del concilio di Nicea che supporterebbero la violazione del Principio di ragion sufficiente) il lavoro-merce altrettanto sorridente viene "accolto" (nell'esercito di disoccupati o di soldati che, come ricordava Nietzsche, sono tali in funzione del fatto che il Padrone si occupi di Arte o di Guerra).
Stando con Kohr: « “If the Swiss experience should be applied to Europe, also the Swiss technique – not merely the appearance of its result – will have to be employed. This consist in the dividing of three or any number of unequal blocks into as many smaller parts as is necessary to eliminate any sizable numerical preponderance. That is to say that one should create 40 or 50 equally small states instead of 4 or 5 unequally large ones. Otherwise even a federated Europe will always contain 80 million Germans, 45 million French, 45 million Italians, etc., which means that any European federation would end up in a German hegemony with just the same inevitability as the German federation, in which 24 small states were linked to the one 40-million power of Prussia ended up in Prussian hegemony.”
(…) “The suggestion, therefore, is to split Germany into a number of states of seven to ten million inhabitants.”
[secondo me, se ci fosse un conflitto, la Germania verrebbe balcanizzata... occhio crucchi!,ndB]
But: “The splitting up of Germany alone, however, would have no permanent effect. With the natural tendency of all growing things, Germany would reunite unless the whole of Europe were to be cantonized at the same time. France, Italy and Russia must be divided too.”
(…) “Then the Great Powers, which are the womb of all modem wars, because they alone are strong enough to give to war its modern frightfulness, shall have disappeared. But only through splitting up the entire continent of Europe will it be possible to eliminate honorably Germany or any other Great Power without having to inflict on any the odium of a new Versailles.”
“Engulfed in a swamp of infantile emotionalism, ant attaching phenomenal value to the fact that they are big and mighty, they cannot be persuaded to execute their own dissolution. But, being infantile and emotional, they can be tricked into it. While they would reject their division, if it were presented to them as a demand, they might be quite willing to accept it, if offered to them in the guise of a gift. This gift would be: proportional representation in the bodies governing the federal union of which they form part. The acceptance of this offer would cause nothing less than their eventual disappearance.” »
Si perdoni la rozza lingua inglese: il senso del "funzionalismo": trattiamo i popoli come bambini perché sono emotivamente dei bambini, mentre noi adulti delle élite portiamo avanti i nostri progetti da bambini.
Freud, se ci sei, batti un colpo...
Più che infantile a me pare, invece, un fair trade-off pro-germanesimo: con la proporzionale rappresentanza in ogni "separate body" di neo-formazione transfrontaliera, il pan-germanesimo semplicemente dilagherebbe.
EliminaE, nessuno potrebbe impedirgli di formare, coi prediletti e tradizionali amiconi austriaci, un coordinamento politico istituzionalizzato delle varie partecipazioni (macroregionali) "di controllo".
In pratica agendo come una holding.
Piuttosto, mi pare che Kohr non sia esattamente un genio geo-politico; a meno che il boomerang pangermanico che non si accorge(rebbe) di provocare, non sia in realtà un suo obiettivo (goffamente dissimulato).
Per me resta sempre il numero uno
RispondiEliminaFrancesco Maimone18 giugno 2017 20:57
Se un uomo è sradicato dalla sua cultura, dal suo ambiente culturale, è sradicato dalla vita: diventa un essere anonimo, impersonale, sperduto in una folla di uomini altrettanto anonimi e impersonali, in balia di uomini che non conosce, di eventi che non controlla, di decisioni cui non partecipa. È LA QUOTIDIANA TRAGEDIA DEGLI EMIGRANTI che voi, fratelli algerini, conoscete bene come la conosciamo noi italiani.
Distruggere o contaminare una cultura significa distruggere la dialettica del momento individuale e del momento sociale che è il ritmo della vita dell'uomo, significa spersonalizzare, gettare nell'anonimato, nel vuoto di un'esistenza puramente materiale, che non ha più calore di vita, che non ha più dimensione umana. Se viene a mancare la cultura, che è l'atmosfera in cui bagna la vita culturale dell'uomo, cioè la sua vita comunitaria e sociale, anche il momento individuale perde la sua linfa e si isterilisce fino a diventare un mero automa che si muove per effetto di spinte esteriori, subite ma non interiorizzate, in forza di una coesione sociale anonima non assimilata, non fatta sangue del proprio sangue.
Ecco perché abbiamo giudicato che la difesa dell'identità culturale di un popolo fosse un dovere primario, e perciò, se vogliamo sul serio impegnarci sul terreno di lotta che noi stessi abbiamo scelto con la Dichiarazione dello scorso anno, cioè sul terreno della difesa dei diritti dei popoli, questa è la prima seria battaglia da impegnare…” [L. BASSO, Discorso introduttivo, in I Diritti dei popoli, ottobre 1977, n. 10/11, 5-10].
E nel 1978 così continuava:
“… Il capitalismo è riuscito ad estendere il suo dominio praticamente su quasi tutto il mondo, cerca la materia prima ovunque gli faccia comodo, sovvertendo governi, distruggendo stati, suscitando guerre civili, non importa, purché la società multinazionale arrivi ad avere il valore (?) che le serve.
Vende in tutto il mondo, distruggendo le economie, gli artigianati e le piccole industrie locali. Preleva, come ai tempi della schiavitù dei negri, sottratti dall’Africa e portati in America, PRELEVA UNA MANODOPERA DOVUNQUE LA TROVI AL MINOR PREZZO.
Domina questo mercato mondiale, impone le sue leggi e sovverte tutte le istituzioni per avere ovunque governi che siano al servizio degli interessi del partito e degli interessi del grande capitale…
Se dovessi pensare che questo sistema di vita che, come ho detto poc’anzi, si maschera molto bene grazie all’ipocrisia, che si presenta molte volte in forma apparentemente accettabili, se dovessi pensare che questo fosse veramente il destino dell’umanità, che questo che si chiama progresso rappresentasse veramente il nostro futuro, dovrei disperare delle sorti dell’uomo, anche a lontana scadenza, perché sarebbe una ricaduta totale nella barbarie…” [L. BASSO, Saluto alla Rete, V Convegno nazionale della Rete Radiè, Rimini, 29 aprile-1 maggio 1978].
Io proprio non riesco a capire, Presidente, cosa ci sia di sbagliato nel discorso di Lelio. Non credo che sia solo un problema di “livello culturale”…
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/06/ius-soli-i-calcoli-elettorali-di-breve.html?showComment=1497812256681#c639971948861432677
“La destrutturazione degli Stati nazionali è un obiettivo indispensabile per l'affermazione dell'ordine del mercato globale”. E’ indubbio che in questo progetto palesemente perseguito dalle elites attraverso le istituzioni europee, con il determinante apporto della classi dirigenti nazionali, l’Italia si distingua per zelo e spudoratezza. Altri governi - quello francese ad esempio, ma non solo – cercano di dissimulare i propri reali obiettivi, qui invece ci ritroviamo quotidianamente a constatare come i nostri governanti si compiacciano senza remore di evidenziare la propria profonda avversione per gli interessi nazionali. Gentiloni, in tal senso, non si risparmia mai, ed è esemplare un suo commento di oggi, durante un incontro sulle relazioni tra Ue, Italia e India a Nuova Delhi: “Noi siamo per il global trade, MA CI SONO TANTI PAESI CHE TENGONO AI LORO INTERESSI NAZIONALI PRIMA DI QUELLI GLOBALI e questa non è una cosa buona per l'Italia". Il nobile Capo del Governo italiano sembra proprio incredulo nel rilevare come alcuni paesi si possano ostinare a tutelare i propri interessi, e non prendano esempio da noi che da almeno vent'anni siamo dediti unicamente a quelli dei mercati, del capitale e della globalizzazione.
RispondiEliminaElezioni globali: presto su questi schermi (ma solo in via elettronica e senza neppure votare in simultanea: il sistema dei prezzi, infatti, è il voto permanente dei mercati; cit. Roepke)
EliminaBazaar si confronta con le suore; a me è invece toccato il piddino di turno che vede ne lU€ la realizzazione dell’internazionalismo socialista (e non sto scherzando). Non c’è verso, caro Quarantotto, questi non si schiodano dalle loro convinzioni. Io ci rinuncio definitivamente. Con precisiazioni:
RispondiElimina“… Il punto che mi pare sia da svolgere è questo: come SECONDO LA FILOSOFIA DELLA PRASSI…la situazione internazionale debba essere considerata NEL SUO ASPETTO NAZIONALE. Realmente il rapporto “nazionale” è il risultato di una combinazione “originale” unica (in un certo senso) che in questa originalità e unicità deve essere compresa e concepita se si vuole dominarla e dirigerla.
Certo lo sviluppo è verso l’internazionalismo, MA IL PUNTO DI PARTENZA È “NAZIONALE” ED È DA QUESTO PUNTO DI PARTENZA CHE OCCORRE PRENDER LE MOSSE …. Occorre pertanto studiare esattamente la composizione di forze nazionali che la classe internazionale dovrà dirigere e sviluppare secondo la prospettiva e le direttive internazionali. La classe dirigente è tale solo se interpreterà esattamente questa combinazione, di cui essa stessa è componente e in quanto tale appunto può dare al movimento un certo indirizzo in certe prospettive…
Le accuse di nazionalismo sono inette se si riferiscono al nucleo della quistione. Se si studia lo sforzo dal 1902 al 1917 da parte dei maggioritari si vede che la sua originalità consiste nel depurare l’internazionalismo di ogni elemento vago e puramente ideologico (in senso deteriore) per dargli un contenuto di politica realistica. IL CONCETTO DI EGEMONIA È QUELLO IN CUI SI ANNIDANO LE ESIGENZE DI CARATTERE NAZIONALE e si capisce come certe tendenze di tale concetto non parlino o solo lo sfiorino.
Una classe di carattere internazionale in quanto guida strati sociali strettamente nazionali (intellettuali)… DEVE “NAZIONALIZZARSI” , in un certo senso, e questo senso non è d’altronde molto stretto, perché prima che si formino le condizioni di una economia secondo un piano mondiale, è necessario attraversare fasi molteplici in cui le combinazioni regionali (di gruppi di nazioni) possono essere varie …Che i concetti non nazionali (cioè non riferibili a ogni singolo paese) siano sbagliati si vede per assurdo: essi hanno portato alla passività e all’inerzia…” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, XIV, 1729].
L’internazionalismo è mediato dalle specificità nazionali, essendo l’esito di un processo che muove dal nazionale non per annullarlo, bensì per superarlo (Aufheben) dialetticamente in una sintesi superiore. E si serve l’internazionalismo prendendosi cura di quello che Gramsci chiama il “popolo-massa” o, altrove, del “popolo-nazione. (segue)
Basso, dal canto suo affermava che:
RispondiElimina“… occorre rafforzare e consolidare i movimenti operai dei vari paesi … E per noi, militanti della classe operaia italiana, che viviamo cioè in un paese capitalista, il compito è quello appunto di lavorare al rafforzamento del movimento operaio nel nostro… Il nostro aiuto allo schieramento internazionale del proletariato sarà tanto più forte quanto meglio noi sapremo intendere, esprimere e tradurre in azione I BISOGNI E LE ASPIRAZIONI DELLA CLASSE OPERAIA DEL NOSTRO PAESE e, su un piano più vasto, degli altri paesi occidentali … I principi stessi del marxismo ci dicono infatti che la lotta si svolge secondo le condizioni obiettive e le tradizioni storiche… In ogni paese il proletariato lotterà con i metodi e con lo spirito che corrispondono alla situazione storica e sociale del paese…” [L. BASSO, Otto domande sullo stato guida, Nuovi argomenti, Roma, marzo-aprile 1957, n. 25, 23-44].
“… i vincoli formati dal sentimento nazionale sono molto più forti di quanto si era fatto credere in passato quando si pretendeva che il cosiddetto internazionalismo proletario li avrebbe allentati fino a spegnerli...Mi pare necessario aggiungere che QUESTO SENTIMENTO NAZIONALE, lungi dall'essere in fase di spegnimento, tende a rafforzarsi.
Oggi l'imperialismo capitalistico delle grandi multinazionali mira a creare un mercato mondiale interamente soggetto alle sue leggi, in cui poter imporre i valori e i modelli di vita e di consumo che corrispondono agli interessi delle multinazionali stesse. Questo processo mira parallelamente a distruggere le culture nazionali, quindi a sradicare gli uomini dall'humus in cui si sono formati, trapiantandoli artificiosamente in un terreno in cui sono estranei. Nella misura in cui l'uomo ha bisogno di rapporti comunitari (e credo che nessun uomo ne possa fare a meno) la cultura, e la lingua che ne è espressione, sono naturale veicolo di questo rapporto. Uccidere o soffocare la cultura di un popolo significa distruggerne l'identità, distruggere l'identità dei suoi componenti, trasformarli in essere impersonali sommersi nella massa del mondo capitalistico moderno.
Perciò contro questa tendenza dell'imperialismo, LA RINASCITA DELLE CULTURE NAZIONALI… È UN'ARMA DI DIFESA INDISPENSABILE … credo che la rinascita del sentimento nazionale sia una componente necessaria, insieme al rafforzamento di autentici sentimenti internazionalistici, di quell'epoca di pace cui tutti aspiriamo nella plumbea atmosfera di tensioni e di crisi in cui stiamo precipitando” [L. BASSO, Compagni su due fronti, Il secolo XIX, 5 gennaio 1978].
E (forse con eccessivo ottimismo) sosteneva che:
“… Se pensiamo a un tempo in cui il socialismo avrà trionfato nel mondo, penso che proprio il popolo e le minoranze nazionali potranno costituire la vera cellula dell'internazionalismo perché sono, come ho detto, il fondamento reale della vita umana e non una sovrastruttura giuridica strumentale.
Del resto non è un caso che mentre da un lato si cerca di costruire l'unità europea superando le frontiere degli stati, LE MINORANZE NAZIONALI RISORGONO OVUNQUE CON INSOSPETTATO VIGORE, SEGNO CHE L'UOMO HA BISOGNO DI SENTIRSI PARTE DI UNA COMUNITÀ NAZIONALE e rifiuta di farsi sommergere nell'anonimato di un amalgama comandato dall'alto, che potrà anche diventare realtà domani ma che deve cominciare con il rispettare la realtà di oggi” [L. BASSO, Per la pace oggi, Società, dicembre 1978, n. 19, 5-7]. (segue)
Insomma, “… non si può parlare di socialismo in senso proprio se esso non riposa sulla partecipazione cosciente delle masse alla formazione della nuova società. Il massimo sforzo dev'essere indirizzato alla sollecitazione delle energie nazionali per la creazione di nuove istituzioni e di nuovi rapporti sociali che vadano nella direzione del socialismo ma al tempo stesso abbiano radici nella cultura nazionale…LA DIFESA DEI VALORI NAZIONALI IN QUESTO CAMPO È PARTE ESSENZIALE DI UN PROGRAMMA SOCIALISTA…” [L. BASSO, La via non capitalistica al socialismo, Problemi del socialismo, aprile-giugno 1979, n. 14, 9-31].
RispondiEliminaE la difesa dei valori e principi nazionali si chiama Costituzione del lavoro.
(Che nel 2017 si debba ripartire dall’alfabeto per me è inconcepibile, soprattutto allorché ci si confronti con soggetti che si spacciano per "sinistra". E comunque c’è un limite anche alla tolleranza)
E mi "conscienta": temo che infrangere il nostro limite di tolleranza sia esattamente lo scopo.
EliminaPerché, certi superiori "centri di irradiazione" (al vertice della piramide), sanno perfettamente che per fiaccare le resistenze di una Nazione, - e proprio perché un tempo prospera-, occorre marciare divisi per colpire uniti (o meglio inducendo meccanismi concatenati in rapporto di causa/effetto).
Purtroppo è proprio dall'alfabeto che tocca ripartire.
EliminaHanno manipolato, stravolto, messo sottosopra tutto: di recente Fiorenzo ha riportato un esempio di un liberale che si crede socialista, appartenente a un movimento eurocritico per di più!, e non è che una goccia nel mare.
Tocca constatare il pieno successo di quell'operazione di riverniciatura "progressista" di idee vecchie e reazionarie inaugurata dal Manifesto di Ventotene e di cui i Radicali sono stati insuperati maestri (a proposito, chissà perché fra i padri del PD non ci si ricorda mai di lui…). (Poi sappiamo - ce lo ha spiegato Corey Robin - che il pensiero reazionario pratica da secoli questa strategia "mimetica").
Oltre a mettere sul tavolo le fonti originali, che possiamo fare? Ad adiuvandum:
"Now, it is historically impossible for a great people to even seriously discuss any internal questions as long as national independence is lacking.... Every Polish peasant and worker who shakes off the gloom and wakes up to the common interest bumps right off into the fact of national subjugation... Polish socialists who do not place the liberation of the country at the head of their program strike me like German socialists who refused to demand first and foremost the abolition of the Anti-Socialist Law and freedom of the press, organization and assembly. To be able to fight one must first have a footing—air, light and elbowroom."
(Engels a Kautsky, 7 febbraio 1882, MECW, vol. 46, pagg. 191-2).
"Che dire di quel PSI che nel secolo offre come sua costola Benito Mussolini, prima; il decennio della vergogna staliniana poi; la subalternanza di regime rispetto alla DC, come prima con il PCI; ed, infine, l’avventuristico trasformismo, metà autoritario e metà anarchico, di questi anni?"
Elimina'mazza che infame mestatore, Pannella. E' proprio vero che ognuno ha gli idoli che gli competono...
Non posso che darLe ragione. Mai come in questa fase storica è necessario equilibrio. E se la verità è anche figlia del tempo, c'è da sperare che si materializzi quanto prima per vendicare i torti
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