Prosegue l'indagine storico-istituzionale di Arturo sulle origini e sull'evoluzione della costruzione europea.
Nei precedenti passaggi (che trovate immediatamente linkati all'inizio di questa puntata), si sono passate in rassegna le premesse ideologiche e geo-politiche che hanno, con immediatezza, denotato un paradigma socio-economico coerente fin dall'inizio (e sempre così riassumibile nella sua essenza:
a) Economico-politica -“il suo carattere neoliberale [del Trattato di Roma] proviene dalla preesistenza di un gruppo transnazionale, unito da tempo dal suo attaccamento al liberalismo e all’impegno europeo, i cui rappresentanti occupano posti chiave all’interno dei differenti Stati membri (compresa la Francia) al momento delle negoziazioni...
Per chi interpreta il crollo dell’ordine internazionale dei mercati avvenuto dopo la crisi del ‘29, e la seconda guerra mondiale, come frutto un eccesso di interventismo statalista e totalitario, anziché una ribellione delle società gestita autoritariamente, sterilizzare l’unica possibile sede politicamente rilevante di espressione del disagio sociale, cioè i parlamenti statali, tanto più pericolosi se costituzionalmente obbligati all’attuazione di un modello di democrazia sociale, appare sensato. ”
b) Istituzionale (“constitutionalism without constitution” oppure “féderalisme furtif”) - Quand'anche vi sia una forma di approvazione - parlamentare e/o referendaria- dei trattati in sé considerati, a prescindere dalla funzione coessenzialmente limitata degli strumenti di "ratifica" (come vedremo evidenziata persino da Amato!), i trattati affermano (per implicito e progressivamente) un programmatico contenuto inespresso, che impatta sulle rispettive clausole fondamentali delle Costituzioni democratiche.
Questo contenuto si amplia inevitabilmente tramite una sorta di consuetudine applicativa, il cui valore di supremazia e di sottrazione delle sovranità nazionali, viene costruito sul "fatto compiuto" e, come emerge nelle vicende storiche €uropee, su uno "stato di eccezione permanente" che, viene inevitabilmente avallato dalla Corte di giustizia europea, fondandosi su una situazione di diritto (per lo più sanzionatorio e comunque fortemente pervasivo) che prescinde da ogni comune patrimonio di mores e di valori.Questo diritto è infatti "dichiarato", al di fuori di una vera legittimazione nell'accordo formale tra Stati, facendo esclusivo riferimento alla "naturalistica" preminenza di regole direttamente derivanti da concezioni del mercato e ritenute (apoditticamente!) avere capacità "ordinativa"; la "base" di queste regole di rifermento, per di più, è espressa in forma sparsa e dissimulata all'interno dei trattati. Naturalmente, sono espresse così affinchè i cittadini dei singoli Stati vedano le rispettive norme costituzionali sopravanzate e disapplicate come effetto di una "vis maior cui resisti non potest".)
La presente trattazione entra nel vivo di "abilità", - negoziali e di gestione dei rapporti di forza-, che risultano, e in effetti sono risultate, decisive a stabilire la convenienza (per il rispettivo interesse nazionale) dei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali a formale carattere economico, ma a impliciti e coessenziali scopi politici (ove mai la nostra Corte costituzionale fosse stata in grado di rendersene conto...in tempo).
1. Nei precedenti post (qui, qui, e qui) s’è detto, e
cominciato a spiegare, l’importanza fondamentale della Corte di Giustizia europea nel
suo ruolo di “motore dell’integrazione”.
1.2.
Vediamo di scendere un po’ più nel dettaglio.
Iniziamo
rileggendo questo
post per capire la seguente dichiarazione di uno dei padri (nobili, ovviamente)
della giurisprudenza integrazionista, ossia Pierre
Pescatore:
“Come si espresse senza giri di parole il giudice Pescatore, “una delle debolezze – sit venia verbo - del diritto internazionale risulta dal fatto che, a causa dell’interposizione della sovranità statale” non è possibile “definire in maniera soddisfacente i rapporti fra il diritto internazionale e il diritto interno”. A suo dire il diritto internazionale sarebbe relativamente “inefficace” sul diritto nazionale a causa della separazione, quasi stagna, fra i due ordinamenti” (Beaudoin, La démocratie à l’épreuve de l’intégration européenne, Lextenso éditions, Issy-les-Moulineaux, 2014, pag. 387)
“Come si espresse senza giri di parole il giudice Pescatore, “una delle debolezze – sit venia verbo - del diritto internazionale risulta dal fatto che, a causa dell’interposizione della sovranità statale” non è possibile “definire in maniera soddisfacente i rapporti fra il diritto internazionale e il diritto interno”. A suo dire il diritto internazionale sarebbe relativamente “inefficace” sul diritto nazionale a causa della separazione, quasi stagna, fra i due ordinamenti” (Beaudoin, La démocratie à l’épreuve de l’intégration européenne, Lextenso éditions, Issy-les-Moulineaux, 2014, pag. 387)
Se avete seguito i post precedenti della serie (in
particolare quello sopra linkato n. 4.2), capirete da soli che non è affatto
vero che questa separazione sia “stagna”: il grado di permeabilità sarà
frutto delle scelte costituzionali del singolo ordinamento nazionale.
E’ anche interessante che Pescatore definisca quella che di
fatto è la semplice possibilità di tale separazione come “insoddisfacente”.
Insoddisfacente per chi? I
popoli che hanno esercitato il potere costituente, scegliendo il grado di
apertura del proprio ordinamento nazionale, evidentemente ne erano soddisfatti.
1.3. Come accennavo alla fine del post linkato sopra, la
primauté del diritto comunitario è sostanzialmente la storia di come la Corte
di Giustizia ha superato, o ritiene di aver superato, il tradizionale assetto
dei rapporti fra diritto internazionale e nazionale per quanto riguarda il
diritto comunitario.
E dell’inerzia degli Stati di fronte a tale sorprendente rivendicazione.
E dell’inerzia degli Stati di fronte a tale sorprendente rivendicazione.
Come ha detto, in un famoso
passaggio, Eric Stein ("Lawyers, Judges, and the
Making of a Transnational Constitution", The American Journal of International
Law, Vol. 75, No. 1 (Jan., 1981), p. 1):
“Nascosta nel fiabesco (Gran) Ducato del Lussemburgo e favorita, fino a poco tempo fa, dall’indifferenza benevola dei governi e dei mass media, la Corte di giustizia delle Comunità Europee ha plasmato una cornice costituzionale per una struttura federale in Europa”.
“Nascosta nel fiabesco (Gran) Ducato del Lussemburgo e favorita, fino a poco tempo fa, dall’indifferenza benevola dei governi e dei mass media, la Corte di giustizia delle Comunità Europee ha plasmato una cornice costituzionale per una struttura federale in Europa”.
Stein non menziona la
benevolenza della comunità accademica, inizialmente tutt’altro che entusiasta dei coup de théâtre interpretativi
della Corte: sull’argomento si dovrà tornare.
Va pure osservato che
anche la relativa indifferenza di cui la Corte e il suo disinvolto atestualismo
hanno potuto godere per molti anni è ormai, finalmente, un lontano ricordo: per
esempio nel 2008 un ex presidente della Corte Costituzionale Federale tedesca,
nonché coautore della Carta di Nizza, insieme a un altro giurista tedesco, ha
scritto un
articolo dal titolo eloquente: “Fermate la Corte di Giustizia
Europea”.
Come abbiamo fatto ad arrivare qui?
Solo la storia può aiutarci a chiarire il mistero.
2. Rispetto all’ultima puntata,
facciamo un piccolo passo avanti, arrivando al Trattato di Parigi (istitutivo della CECA, nel 1951, e sul quale abbiamo riportato le posizioni espresse da Basso e Di Vittorio) dove fa capolino per la
prima volta una Corte di Giustizia europea.
Entriamo nel vivo:
“Monnet era stato inizialmente riluttante all’istituzione di una corte suprema europea durante la negoziazione del trattato di Parigi, perché riteneva che avrebbe intaccato il ruolo cruciale dell’Alta Autorità.
Quando però divenne presidente dell’Alta Autorità, cambiò idea e promosse un’interpretazione federalista delle istituzioni della CECA.
Ad Hallstein, che era stato professore di diritto internazionale, privato e civile prima di essere incaricato dal ministero degli esteri tedesco di guidare i negoziati per il trattato di Parigi, un’Europa federale pareva difficilmente concepibile senza l’istituzione di un ordinamento giuridico federale.
Sotto la guida di Hallstein, la delegazione tedesca promosse quindi l’istituzione di una corte suprema europea durante i negoziati del trattato di Parigi, e, benché senza successo sotto questo profilo, stabilirono un sistema legale e una corte che in qualche modo rompevano col classico sistema di diritto pubblico internazionale, per esempio garantendo il diritto di ricorso alla Corte di Giustizia Europea alle imprese private a alle loro associazioni” (M. Rasmussen, Establishing a Constitutional Practice of European Law: The History of the Legal Service of the European Executive, 1952-65, Contemporary European History, 21, 3 (2012), pagg. 376-7).
“Monnet era stato inizialmente riluttante all’istituzione di una corte suprema europea durante la negoziazione del trattato di Parigi, perché riteneva che avrebbe intaccato il ruolo cruciale dell’Alta Autorità.
Quando però divenne presidente dell’Alta Autorità, cambiò idea e promosse un’interpretazione federalista delle istituzioni della CECA.
Ad Hallstein, che era stato professore di diritto internazionale, privato e civile prima di essere incaricato dal ministero degli esteri tedesco di guidare i negoziati per il trattato di Parigi, un’Europa federale pareva difficilmente concepibile senza l’istituzione di un ordinamento giuridico federale.
Sotto la guida di Hallstein, la delegazione tedesca promosse quindi l’istituzione di una corte suprema europea durante i negoziati del trattato di Parigi, e, benché senza successo sotto questo profilo, stabilirono un sistema legale e una corte che in qualche modo rompevano col classico sistema di diritto pubblico internazionale, per esempio garantendo il diritto di ricorso alla Corte di Giustizia Europea alle imprese private a alle loro associazioni” (M. Rasmussen, Establishing a Constitutional Practice of European Law: The History of the Legal Service of the European Executive, 1952-65, Contemporary European History, 21, 3 (2012), pagg. 376-7).
Col che, sia detto en passant, si
dimostra una volta in più la maggiore intelligenza e abilità negoziale dei
tedeschi rispetto ai francesi.
2.1. In realtà questa rottura stava
più nel significato che alcuni partecipanti al negoziato, essenzialmente i
tedeschi e alcuni tecnici presenti in varie delegazioni, attribuivano alle
prescrizioni che non nei risultati effettivamente confluiti nel testo.
Va infatti osservato che a
richiedere l’istituzione di una “forte corte permanente di giustizia” furono i
rappresentati del Benelux con l’intenzione di ottenere un garanzia contro eventuali sconfinamenti o inerzie
dell’Alta Autorità, considerata “un’entità
potenzialmente dittatoriale, capace di condizionare in modo pericoloso le
economie e gli interessi nazionali”.
(A. Boerger-De Smedt, Negotiating the Foundations of European Law, 1950-57: The Legal History of the Treatis of Paris and Rome, Contemporary European History, 21, 3 (2012), pagg. 340 e 339).
(A. Boerger-De Smedt, Negotiating the Foundations of European Law, 1950-57: The Legal History of the Treatis of Paris and Rome, Contemporary European History, 21, 3 (2012), pagg. 340 e 339).
2.2. In parole povere, la Corte di Giustizia nasce per
controllare le istituzioni europee, non gli Stati.
Lo dimostra chiaramente l’accenno a
una giurisdizione europea contenuto nella Dichiarazione Schuman: “Disposizioni appropriate
assicureranno i necessari mezzi di ricorso contro le decisioni dell'Alta
Autorità.”
Come dice la
Boerger-De Smedt
(ivi, pag. 341): “Qui risiede il nucleo dello
sviluppo della Corte di Giustizia Europea”.
Una storia ravvicinata delle
negoziazioni non fa che confermare questa interpretazione:
“Entro la fine di settembre [1950] risultò chiaro che l’Alta Autorità avrebbe agito essenzialmente come un organismo incaricato di applicare le regole del trattato attraverso decisioni e raccomandazioni. Era anche evidente che la Corte sarebbe stata di conseguenza una giurisdizione amministrativa, volta a garantire che l’Alta Autorità non eccedesse i suoi poteri” (Ivi, pag. 345).
“Entro la fine di settembre [1950] risultò chiaro che l’Alta Autorità avrebbe agito essenzialmente come un organismo incaricato di applicare le regole del trattato attraverso decisioni e raccomandazioni. Era anche evidente che la Corte sarebbe stata di conseguenza una giurisdizione amministrativa, volta a garantire che l’Alta Autorità non eccedesse i suoi poteri” (Ivi, pag. 345).
In conclusione: “Mentre Monnet e il suo gruppo voleva
innanzitutto assicurare la posizione centrale dell’Alta Autorità, i paesi del
Benelux combatterono per mettere in campo protezioni giuridiche e politiche
contro l’esecutivo sopranazionale.
Il trattato era di natura essenzialmente amministrativa: all’Alta Autorità furono conferiti ampi poteri amministrativi di applicare regole definite con precisione e una corte permanente fu istituita per garantire che le decisioni dell’Alta Autorità si conformassero al trattato.
La delegazione tedesca propose invece un approccio federale alla struttura giuridica della Comunità.
Data l’ampiezza limitata della CECA e il rifiuto delle altre delegazioni, la loro influenza sul risultato delle negoziazioni fu limitato ma le loro visioni e idee accesero una scintilla, in questo stadio aurorale del processo di integrazione europea, che avrebbe continuato a crescere col passare degli anni.” (Ivi, pag. 347).
Il trattato era di natura essenzialmente amministrativa: all’Alta Autorità furono conferiti ampi poteri amministrativi di applicare regole definite con precisione e una corte permanente fu istituita per garantire che le decisioni dell’Alta Autorità si conformassero al trattato.
La delegazione tedesca propose invece un approccio federale alla struttura giuridica della Comunità.
Data l’ampiezza limitata della CECA e il rifiuto delle altre delegazioni, la loro influenza sul risultato delle negoziazioni fu limitato ma le loro visioni e idee accesero una scintilla, in questo stadio aurorale del processo di integrazione europea, che avrebbe continuato a crescere col passare degli anni.” (Ivi, pag. 347).
Ma in cosa consisterebbe con
precisione questa presunta scintilla?
- FINE
PRIMA PARTE -
In pratica il problema non è la dittatura in sê: il punto è riuscire ad imporla per non subirla.
RispondiEliminaA quanto pare, quindi, il "relativismo" è già nella funzione stessa della Corte di Giustizia.
Vabbè, è bello avere conferma che esiste un'élite liberale, cosmopolita e transnazionale (come il partito radicale), che si rifà al federalismo schmittiano dei Grandi Spazi e al relativo "megapopolo" da governare tramite la "terza via" del diritto comunitario disegnato da strateghi ed economisti nazisti.
(Poi da partito radicale a +€uropa è un attimo...)
Eh si, quando penso a tutto ciò, legame tra nazismo ed europeismo, malthusianesimo e radicali, liberoscambismo ed "élite transnazionale", mi viene in mente il suo popperiano rappresentante: un certo Soros...
L'hai già fatto in passato; ma il chiarimento in base a fonti di certa provenienza, di tali complesse connessioni storico-economico-ideologiche, aggiornato con le fonti ulteriori emerse, sarebbe opportuno (per evitare false ingenuità e autoattestazioni basate sulla "doppia verità" nonché un eccesso di sintesi per pochi realmente studiosi).
EliminaL'aggiornamento riassuntivo/riepilogativo e teso a sistematizzare, che ricomponga le fila complessive del discorso scientifico qui svolto, è faticoso (ne so qualcosa): ma è anche un'utile occasione per consolidare e rafforzare le conoscenze, non scontate, di un medio esponente dell'opinione pubblica...
Vabbè, non ce la posso fare...
RispondiEliminaSi diceva che europeismo è nazismo per moralisti?
50 anni di sinistra in poche parole: quando ci si accorge di essere gli utili idioti del capitale.
evidentemente, neppure a distanza di oltre 40 anni sono in grado di comprendere il "cui prodest" della strategia della tensione. E questa è la più benevola delle ipotesi...
EliminaIntanto il solito Cœuré si abbandona a uno dei suoi momenti di sincerità. Non è lungo, leggetelo tutto.
RispondiEliminaIntanto una chicca:
“Without further reforms, the next crisis may well force the ECB to test the limits of its mandate. Depending on the nature of the next crisis, policy action might require taking short-term rates much deeper into negative territory. Or it might require purchases of assets that are riskier than public or corporate debt. Or it may draw us dangerously close to monetary financing of governments.”
No comment.
Leggendo il tutto, la chicca evidenzia il massimo pericolo pensabile e enfatizza che, per scongiurarlo, è sempre preferibile "abbandonare" i lavoratori al loro destino in dosi massicce.
EliminaE sarebbe un "prezzo" accettabile da pagare per avere un mercato credibile.
Grazie ad Arturo per la consueta e certosina ricostruzione.
RispondiEliminaE’ sempre impressionante avere conferma che esponenti organici al nazismo hanno attivamente partecipato alla costruzione dell€uropa. Walter Hallstein - nominato segretario di stato nel 1951 da Adenauer e che, come ricordato, guidò la delegazione tedesca ai negoziati per la costituzione della CECA – a quanto pare fu un importante giurista del regime nazista. Ma questo piccolo dettaglio, ovviamente, Wikipedia non lo riporta. Non può essere sporcata la paternità nobile dellU€.
Come sempre ricorda Arturo, la Corte di Giustizia in effetti doveva operare come una sorta di tribunale amministrativo internazionale, la cui funzione giurisdizionale doveva essere quella di controllare l’operato dell’Alta Autorità.
Rasmussen ci conferma che “…Da qualsiasi prospettiva sia guardata la prima Corte di giustizia, l’immagine trasmessa è quella di un tribunale che non era né concepito né equipaggiato per agire come qualcosa di diverso da un giudice amministrativo secondo il modello tradizionale dell’Europa continentale. E’ notevole che essa non portasse alcun segno del progetto che l’avrebbe resa competente a realizzare UNA FUNZIONE POLITICA CENTRALE…” [H. RASMUSSEN, On Law and Policy in the European Court of Justice, Dordrecht, Martinus Nijoff, 1986, 220].
Già, la prima Corte tra l’altro “non era equipaggiata”. Infatti, “… la prima Corte di giustizia era composta da membri dalle provenienze più disparate, non sempre dotati di formazione giuridica e di vario prestigio e levatura: un professore tedesco esperto di diritto aeronautico, Otto Riese, un giudice e professore del Lussemburgo, Charles Leon Hammes, un funzionario olandese, Adrianus van Kleffens, un pubblicista belga, Louis Delvaux, un sindacalista cattolico olandese privo di formazione giuridica, Petrus Josephus Servatius Serrarens. Fra i giudici non giuristi della prima Corte di giustizia, il membro più dotato di esperienze professionali più significative era, oltre Serrarens, l’economista e alto funzionario francese Jacques Rueff che arrivava alla Corte direttamente dalla agenzia inter-alleata per le riparazioni di guerra…” [G. ITZCOVICH, Teorie e ideologie del diritto comunitario, Torino, 2006, 107]. (segue)
Chiediamoci: come mai da una sorta di giudice amministrativo la Corte di giustizia “si trasformerà”, approdando, in pochi anni, addirittura ai compiuti princìpi di cui alle sentenze Van Gend en Loos (1963) e Costa vs Enel (1964)?
RispondiElimina“… Negli anni ’60 e ’70, a fronte delle gravi difficoltà del processo politico di integrazione, sembrò esserci un’accentuata autonomia dello sviluppo giuridico-normativo delle Comunità Europee. In particolare, secondo la celebre analisi di Joseph Weiler, alla crisi della “sovranazionalità decisionale” delle Comunità, cioè dell’indipendenza delle istituzioni comunitarie nei confronti dei governi degli Stati membri, corrispose uno spiccato rafforzamento della loro “sovranazionalità normativa…Quegli anni possono essere considerati come un periodo di difficoltà, se non di vero e proprio arretramento, del processo di integrazione europea come progetto politico. Già negli anni ’50 lo slancio federalista europeo emerso nell’immediato dopoguerra si iniziò a stemperare nella classe politica degli Stati dell’Europa occidentale.
Nel 1954 l’Assemblea nazionale francese respinse il Trattato istitutivo della Comunità europea di difesa, bloccando il progetto di dare vita a una più ambiziosa Comunità politica europea. La “crisi della sedia vuota” del giusgno 1965, provocata dalla decisione della Francia gaullista di abbandonare i lavori delle istituzioni comunitarie dopo il conflitto con la Commissione CEE predieduta da Hallstein, compromise in modo irreparabile la fiducia “funzionalista” nel carattere quasi automatico e…perciò lineare e progressivo del processo di integrazione europea… ” [G. ITZCOVICH, cit., 3-4].
Il “primato del diritto comunitario” su quello nazionale e la tesi della “autonomia del diritto comunitario” come tertium genus ne furono i più compiuti effetti (non è un caso che proprio W. Hallstein pubblicò uno scritto dall’eloquente titolo Un nuovo ordinamento giuridico, poi pubblicato in “Comunità europee”, settembre 1964).
Rammento, in proposito, che ancor prima delle sentenze Van Gend en Loos e Costa vs Enel, la Corte di giustizia introdusse il concetto di “autonomia del diritto comunitario” con la sentenza 15 luglio 1960 C-20/59 Italia c. Alta Autorità, mentre è con la coeva sentenza 16 dicembre 1960 C-6/60 Humblet che la Corte estese la proria giurisdizione in un modo da prefigurare la teoria dell’effetto diretto del diritto comunitario, affermando già in quell’occasione “la prevalenza del diritto comunitario su quello interno”.
Insomma, in quegli anni l’integrazione europea era in stallo e, a quanto pare, in mancanza di progressi politici (cioè democratici), bisognava inventarsi qualcos’altro. Si partì dall’integrazione in ambiti funzionali caratterizzati da scarsa conflittualità politica e da specializzazione tecnica.
E fu utilizzata proprio la Corte di giustizia, sempre, ovviamente, al riparo dal processo elettorale. Semplice.
Sempre sul pezzo, caro Francesco.
EliminaDirei che "l'equipaggiamento" della CGUE s'è andato evolvendo in tecniche motivazionali in cui lo "sfinimento" indotto dalla parafrasi continua e dalla iper-autoreferenzialità alle proprie precedenti...parafrasi, non richiedono tutta questa raffinata cultura giuridica.
Direi, anzi, che un qualsiasi "quadro" di una multinazionale finanziaria (escluso che la posizione possa interessare agli a.d. che godono di retribuzioni e prerogative di infulenzamento ben più pregnanti), possa oggi svolgere egregiamente tale compito.
La figura di Hallstein, a sua volta, per l'alto valore emeblematico che riveste, meriterebbe una trattazione per expanso con commento organico delle preziose fonti che hai citato.
Sarebbe molto istruttivo per i tanti ital-sostenitori del "ritorno" alle mitologiche e "pure" origini...
Spero di poter approntare un riassunto su chi era il nostro personaggio.
RispondiEliminaTornando alla Corte di Giustizia che, come dice Rasmussen, non portava "alcun segno" della funzione politica che avrebbe poi assunto, devo dire che ben presto €SSI si tolsero il dente, ponendo rimedio anche a ciò. Agirono in due direzioni: 1) portando in Corte giudici prevalentemente "europeisti"; 2) svolgendo (non poteva mancare) un'opera di propaganda.
Non è un caso che anche le più importanti riviste giuridiche italiane di quegli anni ospitarono in gran parte articoli di giuristi pro €uropa.
Hanno pensato proprio a tutto, in perfetto stile neoliberista
Sì, la scelta dei giudici e la politica culturale sono argomenti molto importanti (soprattutto il secondo, caratterizzato all'inizio da infruttuosi approcci a scuole giuridiche consolidate), di cui, con Rasmussen, Weiler e altri, intendo parlare nelle prossime puntate. :-)
EliminaGrazie ancora Arturo
EliminaMi chiedo se le più importanti riviste giuridiche italiane abbiano mai più pubblicato, almeno a partire dagli anni '70, articoli di giuristi che non fossero fortemente pro-€uropa (al limite poteva esserci qualcuno che inerzialmente continuava a ragionare prescindendone o, più raramente e incidentalmente, muovendo critiche di tipo compromissorio sulla gerarchia delle fonti, ma difficilmente portate sui contenuti precettivi delle norme da recepire).
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