I fatti si stanno dipanando rapidamente. Ora sono coperti da un polverone notevole e bisognerà che si posi per vedere con chiarezza i dettagli dello scenario.
Intanto vi anticipo alcuni dei fatti indiziari essenziali, di quelli sicuramente già disponibili.
1. Partiamo dallo scenario prefigurato a gennaio.
Un'avvertenza preliminare: gli USA sono un paese "paradossale" agli occhi europei, proprio perchè non hanno mai conosciuto una contrapposizione destra-sinistra legata alla pressione, nè sui confini terrestri nè all'interno della rappresentatività politica, di un partito di ispirazione marxista o anche solo apertamente socialista. E questo schematizzando per essenza fenomenologica.
Contrariamente a quanto, come di consueto, cercano di accreditare i TG del PUOI italiano, Obama ha perso le elezioni proprio per l'economia che non va e, in particolare, per il problema della disoccupazione-precarizzazione (v. qui: paragrafo 2), promossa per dar fiato ai dati del PIL ma non al benessere ed alla correzione delle diseguaglianze del reddito. Questa una sintesi di fonte USA (WSJ) riportata da un quotidiano vicino al PD (e quindi più indicativa che mai di una realtà che si può nascondere dai commenti ma non dai..fatti):
1.1. "Il Wall Street Journal ha pubblicato un’analisi approfondita dei post a tema elettorale pubblicati su Facebook
dal luglio scorso al giorno di chiusura della campagna elettorale, il 3
novembre. I dati confermano solo in parte quelli generici forniti da
Twitter. Qui l’economia è tra le questioni più discusse, anche se in
modo diverso. Il tema generico dell’economia viene affrontato da circa
il 7 per cento dei post esaminati, in media. Ma ci sono dei picchi
regionali: ad esempio in Wisconsin, dove la sfida tra il
repubblicano Scott Walker e la democratica Mary Burke per il posto di
governatore s’è giocata tutta sulla disoccupazione, e in Colorado, sfida calda per il Senato.
Più sentita ancora la questione delle disuguaglianze economiche, forte
in tutto il paese ma fortissima in alcuni distretti: il MidWest
industriale e parte del nord est, da dove è partita la protesta di
Occupy Wall Street.
Ci sono altre issue generalmente poco discusse, ma che si
accendono in alcune zone, come quella dell’energia o la questione
femminile, su cui molti candidati in seggi senatoriali “in bilico” hanno
concentrato buona parte della campagna elettorale (come in Iowa, New Hampshire, ancora il Colorado).
Ma l’altro grande tema di dibattito è l’immigrazione. Fortissima in
tutta la fascia meridionale di confine, ma anche nel resto del paese,
forse con la sola eccezione del New England. Barack Obama ha puntato
molto sulla riforma del sistema dell’immigrazione. E i distretti in cui
il tema è forte sono soprattutto distretti repubblicani: che il tema sia
molto discusso, allora, non sembra una buona notizia per i democrat."
1.2. Fatto questo chiarimento, riproduciamo l'ipotesi di scenario di gennaio:
"VI. Il problema è che gli
USA, non paiono coscienti di quanto in Europa l'operazione di
distruzione del welfare, sociale e del lavoro, che pure continuano ad
auspicare ("le irrinunciabili riforme strutturali"), conduca ad un
assetto di forze che sono poi incontrollabili e, quindi, neppure correggibili con l'introduzione degli strumenti che essi stessi considerano come appropriati.
Cioè, in specie, un diverso modello di banca centrale capace di fare le politiche espansive che tutt'ora mettono al centro di ogni possibile soluzione della crisi da domanda.
Dimenticando,
tra l'altro, la loro stessa propensione all'intervento pubblico sulla
spesa, come attestano i ben diversi andamenti dei deficit pubblici tra
bilancio federale e area UEM.
Non hanno capito che, una
volta accettato di non contestare il legame tra limitazioni del deficit
pubblico e auspicata destrutturazione definitiva del welfare, le
riforme strutturali provocano un effetto politico di raffozamento delle
tendenze mercantiliste che oggi vorrebbero combattere: si tratta sostanzialmente della sindrome "dell'apprendista stregone", (opposta a quella del "questa volta è diverso").
Una volta evocato il capitalismo sfrenato non si può poi fermarlo a piacimento: il "lavoro-merce" diviene un problema di arretramento oltre gli stessi desiderata dell'improvvido apprendista.
Riusciranno a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di "recupero" delle potenzialità dei mercati UEM?
VII. Per farlo devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica:
il neo-liberismo, non è buono se legato alle "nuove" politiche
monetarie, mentre diviene "cattivo" se trasposto in Europa in forma di
ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca.
Il liberoscambismo è un blocco unico di tendenze politiche che in Europa poteva affermarsi solo nella forma attuale:
diversamente non sarebbe stato possibile fronteggiare in modo vincente
decenni di applicazione delle Costituzioni democratiche.
Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.
Ma non è possibile ritenere che un ripensamento di questo genere avvenga, da parte loro, in tempi accettabilmente brevi e senza traumi al loro stesso interno.
Per
questo, anche alla luce delle attuali "voci" critiche verso
l'ordoliberismo instaurato in UEM, ma virato irresistibilmente verso il
mercantilismo (autodistruttivo), mi sento ancora di più di affermare:
"Sto
cominciando a maturare la convinzione che, in assenza di stalinismo
alle porte, è impossibile replicare la stagione
keynesiana-costituzionale post 1943.
Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto.
La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell'informazione."
Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto.
La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell'informazione."
VIII. Attenzione, non voglio considerare questo commento un epitaffio ma solo la definizione di un momento di transizione: sono più propenso a ritenere, ora, che questo "sentiment" segni solo l'inizio di una riscossa democratica, verso un (ri)allargamento della sua prospettiva.
E ciò, vista anche l'evoluzione della situazione mondiale, che implica un progressivo cedimento della "facciata" marmorea di una governance mondiale affidata alla grande finanza, ormai irreversibilmente screditata.
In una situazione, cioè, in cui il capitalismo finanziario finisce per essere come un condannato con la "condizionale", questa sorta di "epigrafe", vale nell'orizzonte del breve periodo.
Al massimo, può ancora durare fino a quando una probabile nuova crisi finanziaria imporrà di prendere quelle misure che dopo il 2008 non si ebbe il coraggio di attuare: limitazione della libera circolazione dei capitali e superamento del modello di banca universale (almeno).
Certo non sarà senza traumi un simile "rappel a l'ordre", ma almeno implicherà la profonda
revisione della composizione della governance mondiale: ne verranno
travolti e dunque ripensati, FMI, WTO e la stessa UEM.
E si dirà basta con i banchieri al potere...ovunque.
Avranno perso ogni legittimazione anche di mera facciata, e il controllo mediatico non basterà più: come potranno i giornalisti di regime e i banchieri istituzionalizzati chiedere
ancora alle masse di disoccupati e lavoratori precari, spogliati di
ogni sicurezza sociale e dei loro risparmi (e prospettive di risparmio) di sopportare ancora i costi della crisi che "loro" avranno nuovamente provocato?
Nel medio-lungo periodo, dunque
(quando ancora non "saremo tutti morti", si spera), questa
incomprensione, o incompleta comprensione, degli effetti del
neo-liberismo, porterà inevitabilmente a ripensamenti e revisioni da parte di tutti gli attori (USA in primis):
tanto più traumatici per tutti, quanto più sarà ritardata l'espulsione
dai processi decisionali degli attuali componenti della stessa
governance "globale".
Ci sarà da divertirsi (in un senso del tutto eufemistico), perchè "alla prossima" salteranno anche "loro".
E il "loro" potere di ricatto sarà enormemente diminuito, fino a scemare: in fondo, dovrebbero saperlo che quando si fa sentire una massa "colpevole" e la si mette con le spalle al muro, poi non avrà più molto da perdere.
Mentre "loro" avranno avuto, sì, "tutto"....ma poi tutto da perdere."
2. Per tornare alla realtà italiana, vi offro un elemento fondamentale che segna profondamente il destino e gli esiti degli "indirizzi" che potranno essere adottati da TUTTI i partiti:
E saranno scelte ed esiti inevitabilmente legati a chi sarà in grado di finanziarli e pure rapidamente, dato che la disciplina attuale già prefigura i noti scenari di casse integrazioni "speciali" e liquidazioni di assets degli stessi partiti.
Non a caso ho selezionato la fonte sopralinkata, che riporta le posizioni dei vari partiti.
M5S e Lega contrari per ragioni, alla fine, opposte: i primi perchè il provvedimento non è stato abbastanza drastico ed immediato nei suoi effetti; la seconda perchè non ha coinvolto, in un cupio dissolvi generale, gli stipendi dei funzionari dello Stato, dei burocrati e i bilanci dei sindacati.
FI ritirava tutti gli emendamenti e, alla fine, solo SEL ha votato contro. Mentre (era il 20 febbraio e c'era ancora il governo Letta), SC ha dato appoggio incondizionato, superato dunque solo dal M5S nel voler tale assetto "nuovo", il più "liberalista" possibile...
Si sa, la corruzione...Infatti, rammento, Rumor, che introdusse il finanziamento nel 1974, "casualmente" cadde proprio per uno scandalo di corruzione con una major impresa USA di armi...
Si sa, la corruzione...Infatti, rammento, Rumor, che introdusse il finanziamento nel 1974, "casualmente" cadde proprio per uno scandalo di corruzione con una major impresa USA di armi...
3. Vi offro ancora un altro dato, o meglio l'analisi autorevole su tale dato, fatta da Giulio Sapelli, che di geo-politica e storia economica se ne intende: inserisce lo scandalo dell'accordo sottobanco di favor fiscale, tra le 340 multinazionali e il Lussemburgo, col governo guidato al tempo da Juncker, tra le "mosse" degli USA per combattere la spirale deflazionistica europea che danneggia gli USA.
Indica pure un capofila repubblicano, Mitch McDonnell, ma non solo, come un fautore di questa nuova politica di "torsione" dell'impostazione €uropea, che preluderebbe a un nuovo Piano Marshall...a matrice Grand Old Party, ma contemporaneamente aggiustando il TTIP come lo vogliono gli USA non come lo vuole l'attuale governance UE. Che definire mercantilista aggressiva è un eufemismo.
Anche se un piano Marshall "keynesiano di grandi opere pubbliche" sarebbe un bel business internazionale, specie se funzionale a una "torsione" nel TTIP che, alla fine, mira al bersaglio grosso della privatizzazione di sanità e pensioni in Europa. Rammentiamo che Truman e Marshall erano invece democratici e, per l'epoca, "keynesiani".
4. Insomma, dovete sommare tutti questi fatti e capire "CHI" FINANZIERA' CHI E PER QUALI POLITICHE.
Naturalmente scontando una prevedibile ingloriosa fine dell'euro (appunto il "tramonto rabbioso nell'attesa che il TTIP si abbatta su di noi").
In questo senso, non posso che richiamare, per la realtà italiana, la maggioranza potenziale degli spaghetti tea-party.
Tutti i partiti variamente favorevoli all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, - con prese di posizione sulla "rivoluzione liberale" che, NEGLI ULTIMI TEMPI, SI STANNO MOLTIPLICANDO-, infatti:
"a) appartengono (finora: ndr. "adde") alla categoria più ampia degli ordoliberisti,
quindi tendono ad occupare le istituzioni, utilizzando il sostegno
decisivo di una parte consistente della complessiva propaganda
mediatica, vedendo le Costituzioni sociali democratiche "sovrane" (in senso contemporaneo) come un ostacolo ai loro obiettivi;
b) credono nella neutralità del deficit pubblico in base alla fede incrollabile nel crowding-out, nella proiezione della equivalenza ricardiana
per cui non potendo lo Stato utilmente influire sulla efficiente
allocazione delle risorse del sistema economico, il debito pubblico
"equivale" alla capitalizzazione delle future tasse aggiuntive
necessarie per ripagarlo;
c) come conseguenza di tale assunto, ignorano due fenomeni di correlazione tra i fattori che danno luogo alla formazione ed alla crescita del PIL:
c1) il moltiplicatore fiscale della spesa pubblica (tanto più alto quanto più la crescita sia stagnante o negativa, cioè in recessione, specie in un'economia aperta);
c2) i c.d. saldi settoriali della contabilità nazionale, per cui, assumendo la neutralità ("spiazzante") del deficit pubblico, vedono come praticabile e auspicabile il pareggio di bilancio, situazione in cui il risparmio privato diviene tendenzialmente pari al saldo (positivo o negativo) delle partite correnti della bilancia dei pagamenti;
d) credono nel concetto neo-classico di piena occupazione,
fondato sull'idea dell'inesistenza di disoccupazione involontaria, se
non per patologica rigidità del prezzo-salario, e identificato come qualunque livello di occupazione compatibile col livello di inflazione auspicato.
Attenzione, proprio
perchè l'insieme di queste teorie economiche non è coscientemente
condiviso dagli appartenenti a tale categoria, per un limite culturale e
fideistico dei suoi appartenti, piuttosto inclini alla semplificazione
riduzionistica dello slogan "pop", la peculiarità distintiva degli spaghetti tea-party è quella della simultanea proclamazione:
- della rivolta fiscale
- ribaltando sullo Stato "oppressore" la responsabilità della eccessiva
pressione fiscale che, invece, è dovuta ai limiti valutari, al deficit
ed al debito pubblico, che derivano proprio dal "vincolo esterno",
internazionalista e ordoliberista, che tale Stato intende svuotare
della sua sovranità (in gran parte essendoci riuscito);
- della spesa pubblica come causa della tassazione e come male in sè, ostativo alla crescita."
5. Due precisazioni finali.
Se gli USA, intesi come finanza globalizzata, certamente rafforzata dal voto pro-repubblicano (e dall'insipienza di Obama nel fare gli interessi labor), adottano la linea sopra esaminata, l'ordoliberismo come "veste tattico-strategica" della piena restaurazione liberista, ha fatto il suo tempo.
Alla grande restaurazione globale - via TTIP- del neo "ordine mondiale dei mercati" (finanziari, essenzialmente), l'unica cosa che può, nei fatti, opporsi è una nuova mega-crisi finanziaria, innescata dalla debt deflation europea e riflessa negli USA resi fragili dalle supervalutazioni dei titoli scambiati a Wall Street, a seguito di anni di QE ad effetto di welfare bancario (come evidenziano costantemente Stiglitz e Krugman).
Ma la Yellen vigila. E poi questo è un discorso che faremo un'altra volta...
Tristemente chiaro. E merita un'occhiata la fonte, se non è già stata linkata, del riferimento alla "rivoluzione liberale" di Salvini fatto da B. nell'articolo del Giornale. Alla luce del post l'intervista si commenta da sola. Riporto solo due passaggi: "Noi stiamo preparando un’alternativa maggioritaria in Italia. Raccoglieremo il testimone da Renzi. Non manca molto" e "Mi piacerebbe andare negli Stati Uniti, a Washington, ma non per incontrare i democratici, ma i repubblicani, che spero vincano le elezioni di Midterm. Finalmente il bluff di Obama sta per essere svelato."
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