E se devi diventare l'imprenditore...di te stesso, come per ogni bizantinismo autoconservativo (...la "formazione" dei...formatori), ne puoi fare un business ("chi sa fa, chi non sa...insegna" e, dunque "forma" . Ma la sostanza rimane quella: sei solo)
Introduzione alla Parte II-
Prosegue l'excursus di Francesco Maimone nell'esaminare il paradigma di ri-programmazione antropologica, prima ancora che economica (certamente importante in sé), cui ci sottopone l'appartenenza all'UE, intesa come stato avanzato dell'esperimento bio-sociale del globalismo neo-liberista.
La sua crisi attuale, peraltro, ci deve rendere ancora più coscienti dei pericoli che un totalitarismo basato sul condizionamento cultural-accademico e mediatico, tenti di autodifendersi ricorrendo a forme crescenti di autoritarismo e di violenza morale...e, potenzialmente, non solo...
Ho inserito alcune parti in corsivo e alcuni links di ulteriore precisazione dei vari passaggi. Grazie a Francesco per il suo lavoro...
1. Spostare il focus: dai diritti costituzionali alla
responsabilità (=solitudine) personale.
Nell’attuazione
strategica di un siffatto programma, la più attenta dottrina giuslavoristica
non ha mancato di denunciarne apertamente “…
il tentativo di influenzare l’interprete mediante l’accorto impiego di
strumenti semantici o di slogan – come si conviene in epoca di imperante
egemonia mediatica… Basti pensare … all’insistito ricorso a
termini suadenti quali “modernizzazione”, “trasparenza”, “occupabilità”,
“efficiente allocazione”, “codici di buone pratiche …” tendente in
realtà a celare “… un filo rosso
ideologico … ovvero una filosofia politica dotata di qualche coerenza
sino a far affiorare una sorta di manifesto giuslavoristico di tipo
neo-liberista…” [1].
L’introduzione forzata di
parole e concetti nuovi dalla semantica accattivante anche nel campo del
diritto del lavoro ha veicolato, soprattutto, una totalizzante visione
etico-morale entro la quale le capacità individuali sono state fatte apparire come
assolutamente determinanti, insieme allo spirito d’iniziativa e
all’imprenditorialità soggettivi “… L’enfasi
sull’occupabilità e il talento
individuali riaffermano l’importanza della fiducia
in sé stessi basata sul duro
lavoro e sulle esortazioni morali, invitando le persone a utilizzare al massimo le proprie abilità
e i propri talenti. La figura del
capitano d’industria come eroe è ritornata…” [2].
1.1. Lo stesso dicasi, in
particolare, per il concetto di imprenditorialità, da considerare sempre come
espressione con valenza etico-morale, ovvero come disponibilità della persona
al rischio ed al continuo cambiamento:
“…
queste virtù della fiducia in sé stessi e nel “farsi da sé” sono divenute una credenza
nazionale dove, come nel contesto americano, la loro applicazione pratica
ai fini del guadagno materiale è stata prontamente identificata con il mito
conquista del Continente. Negli Stati Uniti l’uomo d’affari è divenuto un eroe
i cui risultati materiali sono stati celebrati come vittorie morali. La maggioranza della popolazione è stata
spinta ad emularlo, mettendo ogni uomo in competizione con i suoi pari
…” [3].
Ancora una volta, nulla
di nuovo.
Nel 1942, sempre Luigi Einaudi, recensendo l’opera di Wilhelm Röpke [4] intitolata Die
Gesellschaftskrisis der Gegenwart (trad.:
La crisi sociale del nostro tempo), ci dimostra chiaramente a quale corrente di
pensiero sia da attribuire la paternità delle citate elaborazioni ideologiche.
Conviene in proposito riportare un passo della recensione al fine di dissipare
eventuali dubbi del lettore:
“… Il Röpke, che sa adoperare parole adatte a significare concetti esatti non chiama liberalismo il primo aspetto, ma “economia di mercato”; ed è concetto, il quale pare soltanto economico ma in realtà di sé informa tutti gli aspetti della vita. …Il sistema economico della concorrenza garantisce il successo solo a coloro i quali sanno fornire un equivalente servigio ai consumatori e nel tempo stesso assicura che i servigi difettosi abbiano la loro immancabile sanzione nelle perdite e alla fine, attraverso il fallimento, nella espulsione dal mercato … All’uopo il sistema si giova di un duplice strumento, da un lato la concorrenza e dall’altro l’accoppiamento della RESPONSABILITÀ E DEL RISCHIO, DELLE ALEE DI SUCCESSO E DI PERDITA …Come l’impiegato diventa infelice, insopportabile a sé ed altrui nel giorno in cui è forzato a mettersi in riposo, cosi’ l’imprenditore preferisce morire sulla breccia, fors’anco contemplando la decadenza della sua creazione, pur di non abbandonare altrui il bastone del comando. gli uni sono i soldati, gli altri i capitani dell’economia di concorrenza. …” [5].
1.2. In tali elaborazioni
socio-politiche, che pongono un marcato accento sul ruolo dell’individuo nella
vita economica e sociale, non è difficile intravvedere la traccia del
c.d. individualismo metodologico propugnato dall’economia
neoclassica e che sostanzialmente ravvisa nei comportamenti degli attori
economici - mossi da preferenze individuali endogene - l’espressione
di razionalità coerenti con l’efficienza dei mercati. L’idea di base è che le
istituzioni sociali sono il risultato spontaneo dell’azione umana, non di un
progetto coscientemente voluto e riconosciuto; le istituzioni sorgono
spontaneamente e non sulla base di progetti precisi e di atti legislativi i quali,
invece, intervengono a confermare a
posteriori uno stato di fatto già creatosi in un contesto sociale. Sono gli
individui che, interagendo spinti da motivazioni di utilità personale, creano
inintenzionalmente le istituzioni sociali [6].
NdQ: a livello di lessico di massa, il condizionamento assume la veste del seguente slogan pop, a forte suggestione (para)filosofica e psicologica, tanto ipersemplificata quanto efficace per indurre a rifuggire ogni solidarismo orizzontale e a condannarlo preventivamente accumulando anzi "livore", altrettanto preventivo, verso "l'altro"
1.3. Per il raggiungimento dei
propri fini, la vulgata neoliberista aveva così necessità di colonizzare in
modo strategico anche l’insegnamento accademico, risultando pervasiva e dominante,
tanto che ormai
“… I principali testi istituzionali di Labour economics si incentrano sugli assiomi del pensiero neoclassico (anche se essi vengono rapportati alle specificità "istituzionali" del mercato del lavoro), che non a caso è detto ortodosso, e le scuole di Law & Economics fondano le proprie argomentazioni giuridiche su assunti che derivano, di massima, dal corpus teorico dell’economia neoclassica, A COMINCIARE DAL POSTULATO METODOLOGICO DELL’INDIVIDUO ISOLATO, massimizzatore razionale della propria utilità soggettiva …” [7].
In tal modo le persone ristrutturate
sono state progressivamente indotte a pensare di avere un dovere morale, una
responsabilità personale, e soprattutto esclusiva, di regolare la propria
esistenza in modo da poter ottimizzare le opportunità nel mondo del lavoro, un
dovere di rischiare, di adattarsi ai mutamenti epocali della
globalizzazione - vista a
priori come incontrovertibile opportunità - e di accontentarsi, potendo
(anzi, dovendo) prescindere da qualsiasi sostegno, a maggior ragione se proveniente
dallo Stato: quest'ultimo, a un livello che discende da quello accademico a quello mediatico-pop, viene considerato come frutto di una costruzione posticcia e assunto per
antonomasia, con apposito format
studiato a livello sopranazionale, come soggetto atavicamente corrotto,
inefficiente e dedito a sprechi.
1.4. La rivoluzione culturale,
saturando la psiche collettiva con il concetto di occupabilità (e dei suoi intimi
corollari) è stata collegata specularmente anche alle politiche educative
tramite il mito della “formazione
continua” (cioè infinita ed a sbocco lavorativo improbabile), dal momento
che proprio l’occupabilità è divenuta il primo obiettivo dei percorsi formativi
[8].
NdQ: Notare come, da un lato, l'intera vita e la stessa "dignità" del lavoro siano proposte come un rapporto di "insufficienza" ontologica dell'individuo rispetto alla "realtà"; dall'altro come ciò tenda a rendere istituzionale l'assoggettamento della massa, scomposta in individui singolarmente responsabili, e quindi individualmente "difettosi", al senso di colpa. Campeggia poi il concetto antropologico, ma anche economico, di "programmazione", o più esattamente di ri-programmazione "d'autorità" di ogni singolo individuo:
http://bg.ac.rs/en/international/projects/llp.php
In coerenza con con una
simile impostazione, la quale professa che ognuno ha la responsabilità
personale e morale di “farsi da sé”, non
di rado - anzi in modo preordinato e quasi automatico- avviene che, in caso di insuccesso nel reperire un impiego, si tenda
addirittura a “colpevolizzare la vittima”, secondo l’espressione utilizzata da
Stiglitz [9].
2. Artifizi e raggiri si materializzano in norme
giuridiche
Il fenomeno complessivamente
descritto, dunque, ha il suo indubbio incipit
nel processo di coordinamento delle politiche del lavoro degli Stati membri
avviato a livello europeo con tutto il programma ideologico storicamente ad
esso sotteso. Detto processo di indottrinamento collettivo dimostra la totale alterazione
prospettica a poco a poco introdotta nella configurazione del diritto al lavoro
e nella correlativa pretesa all’azione dello Stato.
Ciò, d’altronde, risulta in
modo inconfutabile dalla trasfusione letterale dei citati concetti nell’attuale
art. 145 del TFUE (ex articolo 125 del TCE) in base al
quale, difatti, lo sviluppo dell’occupazione si realizzerebbe mediante la “PROMOZIONE
DI UNA FORZA LAVORO COMPETENTE, QUALIFICATA, ADATTABILE e di mercati del lavoro
in grado di rispondere AI MUTAMENTI ECONOMICI al fine di realizzare gli obiettivi di cui all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea”
(ovvero “l’economia sociale di mercato”, cioè quella preconizzata da Röpke, nonché propugnata da Einaudi, - v. pp. 8-10-, nell'esaltare Erhard e il modello tedesco, fin dagli anni '50) [10].
2.1. La selvaggia ristrutturazione
psicologica e culturale di stampo neo-ordoliberista è stata quindi portata
avanti dapprima (o in contemporanea) con la preparazione di un retroterra ideale
e linguistico capillarmente diffuso grazie ad una compiacente ed unanime grancassa
mediatica - di fatto rispolverando, come abbiamo visto, clichés vecchi di almeno due secoli ed aggiornati, in in funzione
mimetica, dall’ordoliberalismo al fine di aggirare la rigidità delle costituzioni post-belliche-, per poi essere in maniera definitiva consacrata in
via normativa a livello sia internazionale che nazionale.
E lo scopo ad essa
sotteso è consistito senza alcun dubbio nell’orientare
l’azione dello Stato – al quale è stata sottratta, tramite “vincolo esterno”, qualsiasi capacità di
intervento economico e fiscale – e rendere in via esclusiva le
persone “attraenti” ed “appetibili” per le imprese, attraverso
una serie di interventi come il decentramento della contrattazione (da radicare
a livello aziendale, con perdita di potere negoziale in capo ai lavoratori), la
conseguente indiscriminata moderazione della retribuzione (deflazione
salariale), la flessibilità assoluta ad effetti precarizzanti (anche mediante
creazione di una pletora di forme contrattuali), l’offerta di percorsi formativi
permanenti del tutto conformi alle richieste dei mercati come teorica (e
retorica) dell’importanza del “capitale umano” [11].
2.2. E così, mediante un concertato condizionamento culturale (eterodiretto dal crisma etico-morale, oltre che
religioso, come vedremo), il concetto di “piena
occupazione” come oggetto di obbligo a carico della "Repubblica" (che aveva contraddistinto il periodo keynesiano
delle Costituzioni democratiche, cfr. gli artt. 3, comma II, e 4 di
quella italiana) è stato definitivamente sostituito da quello neo-ordoliberista
di “tasso naturale di disoccupazione”.
Secondo tale visione, la riduzione della disoccupazione non potrebbe essere
ottenuta mediante il controllo della domanda, bensì attraverso politiche
strutturali supply side, ragione per
cui “…l’orientamento SUL LATO DELLA OFFERTA della politica europea del lavoro lascia assai poco spazio all’idea che lo
Stato debba garantire il diritto al lavoro sostenendo la sicurezza del reddito
o del lavoro…” [12].
Residuati della “vecchia scienza economica dell’800" (qui, in premessa), centrata sulla divinità del mercato (e messi senza
equivoci alla porta nel nostro Paese in sede di Assemblea Costituente) si sono
fatti strada, a tinte ordoliberiste, attraverso la “finestra europea”, cioè mimetizzati
e, poi, addirittura reclamizzati con tratti onirici per essere integralmente
trasfusi nella legislazione nazionale.
___________________________________
NOTE
[1] Così
R. DE LUCA TAMAJO, Tra le righe del D.Lgs. n. 276/2003: tendenze
ideologiche, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2004, 522, 539
[2] Così
P. BROWN, A. HESKETH, The
Mismanagement of Talent: Employabilityand Jobs in the Knowledge Economy,
Oxford University Press, New York, 2004, 98 all’indirizzo https://books.google.co.uk/books?id=twrJS3VeR3sC&pg=PR3&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=2#v=onepage&q&f=false
[3] Così R. BENDIX, Work and Authority in Industry,
Wyley, New York, 1956, 440
[4] Wilhelm Röpke,
economista, è stato un importante esponente dell’ordoliberismo, ideologia sulla
quale sono fondate le istituzioni dell’Unione Europea, come ricorda anche
B. VENEZIANI, Politica sociale
(diritto dell’Unione Europea), in Enciclopedia del diritto, Annali VI, Milano, 2013,
657, secondo cui il modello “…europeo
sovrastatuale si nutriva della cultura dell’ordo-liberismo…che aveva
sottoscritto l’atto di nascita della Comunità. In essa si celebravano le virtù
del libero mercato, si rifiutava l’idea di limiti posti dalla politica statale
che fossero incompatibili con strategie macroeconomiche keynesiane volte alla
piena occupazione, alla redistribuzione ed alla crescita…”
[5] L. EINAUDI,
Economia di
concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX, in
Rivista di storia economica, giugno 1942, 49-72
[6] Così
A. PERULLI, La contrattazione collettiva “di prossimità”: teoria,
comparazione e prassi, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2013,
918. Per una ricostruzione dell’individualismo metodologico nel pensiero di
Hayek, si veda F. M. TEDESCO,
La teoria del diritto di F. A. von Hayek, reperibile
all’indirizzo http://www.unicap.br/rid/artigos2003/lateoria.pdf
[7] Così
R. DEL PUNTA, L’economia e le
ragioni del diritto del lavoro, 7, reperibile all’indirizzo http://www.consiglio.regione.campania.itcmsCM_PORTALE_CRCservletDocsdir=docs_biblio&file=BiblioContenuto_3842.pdf
[8] P. BROWN - A. HESKETH,
The Mismanagement of Talent:
Employability and Jobs in the Knowledge Economy, cit., 10. Sul concetto di “meritocrazia” si rinvia all’analisi di P. BARCELLONA
il quale, in Parolepotere cit., 94,
osserva “…la parola meritocrazia è soltanto uno strumento arbitrario per
realizzare diseguaglianze e appiattire le attitudini singolari. Tornano alla mente le sempre attuali
riflessioni di Schopenhauer sul sapere istituito e strutturato in modo
sistematico dagli statuti disciplinari delle università, funzionale a cacciare
fuori dal recinto del potere il Genio che interrompe la sequenza conformistica
delle logiche quantitative e incrementali. Nel passaggio dal concetto di merito
all’attuale formula della meritocrazia ad ogni costo c’è uno slittamento
semantico che ha profonde implicazioni: il merito era stato introdotto in una
visione che tendeva a contestualizzare le abilità di una persona in rapporto
alle situazioni concrete in cui si svolgeva la sua vita, viceversa la meritocrazia
è un sistema generale e astratto… Di fatto, la meritocrazia è uno strumento
di emarginazione sociale, la cui perversione efficientista assume uno standard
astratto e uniforme, impone di prescindere dalla personalità di chi deve essere
valutato, dalle sue origini familiari, dall’ambiente in cui si è formato e
dell’attività che ha svolto. È quindi uno strumento di riproduzione, come
classe dirigente, della casta dei meritocrati, la nuova «aristocrazia» che
costruisce un criterio di selezione, non certo per realizzare il miglior
governo possibile della società, ma per garantire la continuità del proprio
dominio”
[9] Così
J.E. STIGLITZ, Il prezzo della disuguaglianza, Torino, 2014, 363-364
[10] Si
rinvia a L. BARRA CARACCIOLO, La Costituzione nella Palude, cit., 105 e ss., in cui l’Autore,
ricostruendo le radici ideologiche e politico-economiche della costruzione
europea, definisce l’economia sociale di mercato come “un biopotere antidemocratico”
[11] L’apoteosi
della razionalizzazione del comportamento individuale è teorizzata
dall’economista della scuola di Chicago e premio Nobel G. BECKER,
discepolo di Milton Friedman, ne Il Capitale Umano, Milano, 2008. L’idea
fondamentale del modello di Becker consiste nel fatto che l’istruzione fa
aumentare le conoscenze e le capacità degli individui e li rende più
produttivi. Si veda, in proposito, l’articolo di G. BECKER Famiglia,
istruzione e ricchezza delle nazioni, reperibile all’indirizzo
http://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/2005/III/art/R05III014.htm
[12] D. ASHIAGBOR,
The Right to Work, in G. DE BÚRCA, B. DE WITTE (a cura di), Social Rights in Europe, Oxford,
2005, 249
RispondiEliminaBellissimo post. Complimenti
Questa orripilante narrativa della vita totalmente incentrata su se stessi e della totale responsabilità personale dei propri fallimenti, così come dei propri successi, è quella invisibile gabbia mentale psicologica che, a mio avviso, inibisce ai più la presa di coscienza del proprio effettivo status di subalterni. Se la società non esiste, e le sole cose che esistono sono le tue skills, la tua employability, la tua vita personale, il tuo curriculum, allora, se non ti arriva il lavoro, la colpa sarà sempre e solo tua. E, di volta in volta, il sistema della propaganda ordoliberale, escogiterà mille modi per farti sentire sempre in difetto, sempre inferiore, ai modelli di successo superumani che €ssi divulgano. Se non ce la fai, quindi, non è perchè il sistema è palesemente ingiusto, è perchè ti manca sempre qualchè skill per trovare la strada giusta, perchè non sei APPETIBILE, come ci dicevano ad un corso di formazione finanziato dalla U€. E' il modello di Steve Jobs, già citato da me in passato.
Guardate la narrativa orripilante e vomitevole che utilizzano i coach del lavoro:
"Se nel passato anche le scelte fatte in modo, per così dire, “spintaneo”, venivano poi portate avanti nel tempo per una sorta di inerzia personale e sociale, nei nostri giorni la precarietà regna sovrana, le situazioni sono instabili e il cambiamento è continuo!
Pensiamo ad esempio all’ambito lavorativo: si cambia tipo di lavoro e di azienda sempre più di frequente; anche chi ha i famigerato “posto fisso” si trova ad situazioni sempre nuovo in azienda, dove si susseguono riorganizzazioni interne, cambi di programmi, processi e procedure.
Trascinati dalla corrente, sballottati dagli eventi e dai ritmi di vita sempre più frenetici, rischiamo di non sapere più chi siamo e cosa vogliamo!
E se non conosciamo la nostra identità, i nostri valori e i nostri obiettivi, non saremo in grado di tracciare la nostra strada, ma continueremo a seguire quella tracciata dagli altri o dal “caso”.
Una volta presa consapevolezza che la vita che stiamo vivendo e il lavoro che stiamo svolgendo quotidianamente non ci appartiene, dobbiamo prendere la decisione di fare chiarezza e di “individuarci”.
L’individuazione, secondo lo psicologo analista C.G. Jung, è un “processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale” rispetto alla “norma collettiva”. Rappresenta un processo evolutivo ed un “ampliamento della sfera della coscienza“."
http://www.coachlavoro.com/2013/01/riscoprire-se-stessi-con-il-coaching/
In questa vomitevole narrativa la soluzione alla precarietà, al sentirsi trascinati dalla corrente e dagli eventi (le cui cause profonde non vengono certo spiegate) è l'INDIVIDUAZIONE rispetto alla NORMA COLLETTIVA, NON LA COSCIENZA DI CLASSE, FIGURIAMOCI; IL CONCENTRASI, INVECE, SEMPRE DI PIÙ SU SE STESSI.
E di seguito, sempre allo stesso link, ci sono le testimonianze:
RispondiElimina-----------------------
"Ecco cosa raccontano alcune persone che hanno deciso di sperimentare un percorso di coaching per conoscersi meglio ed affrontare in modo consapevole le proprie scelte di vita e di lavoro:
“Il coaching mi ha aiutata a focalizzare meglio: chi sono, quali sono le mie caratteristiche, su quali voglio lavorare, ecc., da dove vengo, quali sono le mie competenze già acquisite, le mie esperienze da valorizzare, le mie scelte passate; dove voglio andare, e quali sono le strade possibile per arrivarci (perché per ogni meta, ci sono almeno 2 strade;-)). Il Coaching può essere veramente utile per chiunque desideri conoscersi meglio e migliorare quegli aspetti della propria vita che vengono percepiti come “problematici”. Attenzione però: il coaching è uno strumento, funziona solo se si è realmente disposti a mettersi in gioco e se necessario ad abbandonare qualcosa di sé lungo la strada (abiti mentali, pregiudizi)… il coach ha il compito di allenare, ma spetta al giocatore giocare la sua partita!” (Alice)
“Le mie aspettative verso il coaching erano molto elevate, ma era anche molto elevata la fiducia che, nonostante tutto, avevo in me stessa e nelle mie possibilità; ma sapevo anche che, senza una valida guida, tutto sarebbe rimasto latente, come era stato fino ad ora…. Nel frattempo che proseguivano gli incontri e che io svolgevo i miei “compiti”, non solo mi rendevo conto di essere sulla strada giusta, ma notavo anche come molte situazioni irrisolte del mio passato improvvisamente trovavano risposta e più continuavo a percorrere la strada più scendevo a fondo dentro di me, più scendevo a fondo dentro di me più la mia vita si allineava con quello che stavo facendo. (…) Ho riscoperto qualcosa di me che non pensavo fosse così importante e ho trovato il punto da cui partire. Ora devo solo seguire la strada e, contrariamente a quanto avrei fatto prima, mi godrò anche il viaggio!” (Roberta)
“Molto ingenuamente all’inizio mi aspettavo che raccontando di me, facendomi conoscere in modo approfondito, (il Coach) ad un certo punto avrebbe tirato fuori dal cilindro il mio lavoro ideale, dicendomi: “ecco la tua strada”! Ci credevo e lo speravo!! Invece no… ovviamente!
Il Coach ti aiuta a tirare fuori quel che ti sei dimenticato di te stesso, è come se accendesse un faro! E ti offre la possibilità di vedere la tua immagine riflessa, aiutandoti a ripulirla dagli elementi inquinanti, che la abbruttiscono, come le convinzioni sbagliate ed autolimitanti. E così pian piano ritrovi forza e lucidità.
Durante questo percorso mi ha sempre offerto letture e concetti che mi hanno indotto alla riflessione, che dissipavano la nebbia, perché (ahimè!) l’idea, per essere quella giusta, deve venire dal profondo del nostro cuore. Non può conoscerla nessun altro. Dopo il percorso di Coaching, sembra banale dirlo, ma non lo è nella maniera più assoluta, sei in grado di trovare le risposte dentro di te. Almeno questo è quello che è successo a me!” (Cristina)"
---------------------
Quindi, secondo questa la narrativa, per trovare il tuo lavoro e la tua strada, il percorso non può che essere INDIVIDUALE; LE RISPOSTE SONO SOLO DENTRO DI TE, devi ripulire gli elementi inquinanti dentro la tua personalità, perché sei tu, sempre, la persona problematica; devi trovare il punto da cui ripartire, devi sgomberare le convinzioni autolimitanti, che, naturalmente riguardano solo la tua psiche, e non OGGETTIVE CONDIZIONI LIMITANTI ESTERNE, CHE HANNO ORIGINE NELLA CLASSE SOCIALE DI APPARTENENZA, per finire col "il coaching è uno strumento, funziona solo se si è realmente disposti a mettersi in gioco", quindi è TUA RESPONSABILITÀ, E NON QUELLA DEL COACH, ANCHE SE IL COACHING NON FUNZIONA, PERCHÉ NON TI SEI MESSO ABBASTANZA IN GIOCO!!
RispondiEliminaQuindi, alla fine, tutto questo pensiero di falsa emancipazione individuale, SENZA ALCUN SUPPORTO SOCIALE, SENZA STATO E SENZA WELFARE, divulgato dalla figura del coach del lavoro non è altro che MANIPOLAZIONE PSICHICA DI MASSA, RIMOZIONE DELLA COSCIENZA DI CLASSE, OPPRESSIONE MENTALE DEI SUBALTERNI.
Un lavoro bellissimo, veramente, da quarantottino doc.
RispondiEliminaRicorderei che l'immenso lavoro fatto in questi spazi, nel suo approccio filologico multidisciplinare con cui il pensiero - scientifico, teorico, filosofico, morale e religioso - che contraddistingue la dialettica conflittuale dei paradigmi che informano le scienze sociali nella Storia, è unico. Molto probabilmente non solo in Italia.
Giusto una considerazione di carattere "ermeneutico": evidenzio, sulle orme del citato Barcellona - l'identità lessicale:
MERITOCRAZIA == ARISTOCRAZIA
Non sto a far notare la banale analogia etimologica nel totalitaristico capitalismo liberale.
Comunque: il termine meritocrazia viene coniato (distopicamente...) negli Stati Uniti (meritocracy), e viene introdotto in Italia negli anni settanta, in piena controrivoluzione liberista.
L'etimologia del primo termine della tautologia: dal latino "merere", legato al merito connesso al "guadagno".
Inutile sottolineare che siamo in piena economicistica (cfr. Heidegger e Schmitt) "filosofia dei valori" che unisce filosofia morale (della sociopatica - cfr. Hayek e "individualismo metodologico" - classe dominante) alla "teoria del valore" di neoclassica e positivistica memoria: sempre nel paretiano interesse delle élite economiche.
Nota: l'Equilibrio Economico Generale, nel medioevo, veniva chiamato: "oratores bellatores laboratores". In India codice Manu: più Tradizione e caste per tutti.
Chi sono gli aristoi? sono i "migliori". Ovverosia, "quelli che meritano". (Cioè non i pariah, VOI)
Il potere va a coloro che "meritano", ossia ai "migliori" (quelli che già ce lo hanno... se no non ce lo avrebbero!).
Non ovviamente alla plebaglia delle democrazie costituzionali.
Comunque, chi pensa che Keynes e i liberali sociali abbiano rilegittimato il sociopatico liberalismo, non ha capito una fava: vabbè... veniamo a cose più serie: ho un amico invalido cinquantenne, disoccupato da tanti anni e che, da quando è stato buttato fuori casa dalla moglie liberale (gli ha detto: « tutti i miei colleghi architetti hanno un lavoro; sei tu che sei solo un "mantenuto". Non sei alla mia altezza. Fai in fretta ad iniziare a guadagnare per passare gli alimenti ai due figli. Arrangiati. »
Insomma: la compagna lo ha buttato nella piscina (per strada): o impari a nuotare (trovi un lavoro) oppure anneghi (muori di freddo e stenti).
Sì, perché non ha famiglia, non ha competenze (e deve competere con i giovani immigrati per cui i piddini non vogliono che si abbiano « cattivi sentimenti » ) e non ha più né un amico, né un soldo.
Mo: io che cazzo devo fare? posso continuare a passare soldi mensilmente per pagargli il gas e farlo mangiare? è normale che se si prende un'influenza non abbia i soldi per prendere una cazzo di tachipirina? è normale che per andare e tornare dalla città per far un colloquio debba pagare 10€? qualcuno sa cosa si deve fare per far star in vita una persona in una società in cui tutto è privato (a noi "pubblico")? Ricordando che la "religione del privato" nasce con le enclosures oltre che col "nomos della terra" e con i monoteismi? Più Malthus per tutti?
Posso dire che sono incazzato e che i liberisti de noantri sono traditori della Patria e genocidi?
(Oltre che strabordanti di crassissima ignoranza)
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
EliminaCaro Paolo Corrado,
Eliminacomprendo la tua indignazione, ma ti chiederei di usare un linguaggio privo di epiteti e parole pesanti e/o oscene.
Ogni contenuto critico può sempre essere espresso in termini continenti e privi di forzature lessicali, senza attribuire ad alcuno epiteti oggettivamente insultanti.
Per questo motivo mi vedo costretto a cancellare il tuo commento. Se, come credo, sarai propenso a evitare la terminologia pesante e insultante, la tua "accesa e sentita" testimonianza "dall'estero" sarà sempre la benvenuta.
Grazie Bazaar per le utili precisazioni e per la testimonianza agghiacciante che ci riporta anche al concetto di "sussidiarieta'", altro mostro eurista.
RispondiEliminaAristos e' superlativo di agathos ed i buoni lo sono di solito (nei secoli) per nascita, ovvero per appartenenza di classe. Merita quindi chi e' ottimo (cioe' chi appartiene alla genia dei possidenti).
C'e' una inconfondibile eco moralistica quale falsa coscienza della classe dominante, finalizzata all'ingessamento sociale. La conservazione e la fine della mobilita' sociale. Non puo' parlarsi nemmeno di giustizia commutativa ( il Presidente aveva chiesto di ricordarglielo :-).
Si puo' essere aristos anche per virtu' (nel senso greco di arete'), che e' la vera convitata di pietra. E la virtu' va coltivata. E se non si hanno i mezzi, avrebbe detto Calamandrei? E' la collettivita' ad intervenire.
Siamo gia' nella giustizia distributiva ( artt. 1, 3, comma II, 34 Cost.)!
La si pianti con questa storia einaudiana dell'uguaglianza " ai punti di partenza". C' e' solo uguaglianza ai punti di arrivo"
Sì, sottolineo che la differenza formale tra i due sostantivi è l'immediato richiamo economicistico presente in "meritocrazia" .
EliminaUn altro spunto di riflessione a supporto è il diretto richiamo al capitalismo finanziario: si deve meritare la fiducia, altrimenti l'aristos "dello spirito" ( LOL!) non ti concede... il credito.
Malthus per strangolamento usuraro
(I liberali saranno nuovamente sepolti quando a responsabile delle "risorse umane" verrà ripristinato il capo di Personale)
Non dimentichiamo che il capitalismo finanziario, come potere politico dominante, istituzionalizzato in varie forme, può nascere solo se si rende indipendente la banca centrale. Sta lì l'innesco di tutto.
EliminaMi sa che lo dovremo chiarire anche a taluni amici, e molto per bene: se no finiscono per dire che nace con le leggi di cartolarizzazione di asset pubblici che, invece, sono solo un effetto-corollario...
RispondiEliminaPerché vi ho citato il coaching? Perché sempre parte da un vissuto personale, sul quale ho fatto poi delle riflessioni.
Infatti, nella società italiana che ha preso la strada €uroliberale, il coachcing è stato un progetto pilota del centro per l'impiego della mia città. Precisamente, lo avevano denominato così: Progetto Coniugare al futuro-Azioni innovative-Percorsi di ricollocazione. Il centro per l'impiego aveva appaltato ad una società del lavoro privata la presa in carico di un certo numero di disoccupati iscritti nelle sue liste. Ai candidati, convocati al centro per l'impiego, veniva spiegato il progetto e le modalità del suo svolgimento; quelli interessati firmavano poi un patto di servizio che li impegnava a tutta una serie di azioni da svolgersi presso l'agenzia del lavoro privata, dove avrebbero incontrato un coach personale che li avrebbe seguiti lungo tutto il percorso della ricerca di lavoro. L'elenco delle azioni era il seguente:
Accoglienza, presa in carico del lavoratore e definizione del progetto professionale
Ricostruzione del portafoglio delle competenze
Preparazione e sostegno alla ricerca attiva di lavoro
Azioni di promozione dei lavoratori in azienda
Supporto alla ricollocazione professionale e incontro domanda e offerta di lavoro.
Nella pratica dovevo sottopormi all'analisi della mia personalità, dei miei punti forti e punti deboli, fare il bilancio delle competenze, fare autocritica su tutti i comportamenti sbagliati adottati nel corso della mia vita, riconfigurare il mio curriculum in 40 versioni diverse, a seconda del tipo di azienda per la quale mi sarei dovuto candidare; mettere, di volta in volta, la lettera di presentazione all'esterno o all'interno del curriculum, perché, mi dicevano, questo particolare avrebbe fatto la differenza tra un'azienda rispetto ad un'altra; per poi, sentirmi dire, come mi sono sentito dire, che se sono laureato e disoccupato è perché sono uno porco viziato che non si vuole sporcare le mani.
Tra i vari punti avrete notato anche il "sostegno alla ricerca attiva di lavoro" e "supporto alla ricollocazione professionale e incontro domanda e offerta di lavoro" che, nella pratica, ci veniva proposta così: ci dicevano che molto spesso i disoccupati sono persone che si chiudono in se stesse e non parlano della loro condizione per non sentirsi giudicati; quindi, per crescere, dovevamo rompere questa paura autolimitante e chiedere a nostri amici, parenti e conoscenti se sapevano di qualche azienda che assumeva. Perché loro, come agenzia, non avevano diretti contatti con molte aziende interessate all'assunzione di personale. Dovevamo, prima di tutto, essere noi ad attivarci. Veramente un consiglio geniale!
Perché progetto pilota? Quello che avevamo da perdere, con questo progetto, al tempo in cui lo feci, era l'iscrizione al centro per l'impiego. Cioè, una volta firmato il patto di servizio, se io non mi fossi presentato agli appuntamenti fissati a cadenza mensile con l'agenzia del lavoro senza una valida giustificazione, mi avrebbero cancellato dalle liste di disoccupazione.
RispondiEliminaIo diedi formale disdetta, perché ritenevo questo progetto semplicemente un'offesa alla mia dignità di uomo, perdendoci solo il costo della marca da bollo di 16 euro.
Immaginate adesso la possibilità che a questo progetto pilota in futuro possa venire affiancato l'erogazione del sussidio di povertà di 400 euro mensili per tutti i disoccupati attivi nella ricerca del lavoro. Se non parteciperai fino in fondo a tale progetto, o se darai formale disdetta, perderai il diritto al sussidio; sarai considerato un dannato e potrai benissimo bruciare tra le fiamme dell'inferno. Se continuerai a parteciparvi per non perdere il diritto al sussidio, il tuo dovere sarà quello di sottoporti a recite quotidiane di MEA CULPA, MEA CULPA, MEA GRANDISSIMA CULPA!! Dovrai riconoscere di essere un PECCATORE e un IRRESPONSABILE, di avere sempre sbagliato nel corso della tua vita, di aver sempre preteso solo lavori fissi con un buon stipendio e di non esserti mai accontentato di fare l'avvita bulloni (come mi è stato detto) per due euro con un contratto di qualche mese; se sarai bravo il coach potrà aiutarti e venirti incontro, ma la riuscita del progetto dipenderà solo ed esclusivamente da te; se il progetto fallirà e tu non avrai trovato lavoro, sarà perché non ti sarai messo in gioco abbastanza e, alla fine, verrai gettato anche tu nell'inferno. Ed ecco riconfigurato il RITO DELLA CONFESSIONE CATTOLICA in chiave moderna.
Il post mi fa ricordare una messa in scena vista in Francia del Principe (quello con lo scettro) in chiave satirica, ambientato in un centro per la riqualificazione professionale e per l'impiego. Gli attori, cioè i disoccupati, su indicazione della formatrice giocano tra loro con molto impegno le strategie illustrate da Machiavelli, prima di ritornare sé stessi e snocciolare il loro "che cosa abbiamo imparato" innanzitutto un nuovo modo di relazionarsi con gli altri. Il pubblico un po'freme e un po'ride...
RispondiEliminaPOSTULATO METODOLOGICO DELL’INDIVIDUO ISOLATO : via certa verso il nichilismo ovvero dissoluzione di qualsiasi individualità.
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