mercoledì 18 dicembre 2019

UN PO' DI STORIA ITALIANA...LA "SVOLTA" DEL 1946. "UN GIRO DI VITE INTORNO ALL'INFORMAZIONE"

Umberto II in partenza per l'esilio dall'aeroporto di Ciampino.
ADDENDUM in premessa: questo post di storia politico-istituzionale, va letto come antefatto dello sviluppo istituzionale e politico-economico, dichiaratamente praeter Constitutionem (se non "contra"...), che abbiamo narrato, con il contributo delle fonti richiamate da una pluralità di commentatori, in questo precedente post:

BREVE STORIA DELLA RIMOZIONE PREVENTIVA DELLA COSTITUZIONE: IL VINCOLO INTERNO COME SOSTANZA DEL VINCOLO ESTERNO (anche i commenti che ne contrassegnano il conseguente dibattito meritano un'attenta lettura).



1. Grazie a Luca, che ha richiamato un precedente intervento di Francesco Maimone (in 4 parti), risulta utile riportare questa ricostruzione storica di Lelio Basso e, per connotarne l'aderenza ai fatti dell'epoca, le sue esatte premesse storico-politiche tratte dal libro di M.Lucia Sergio "De Gasperi e la questione socialista – "L’anticomunismo democratico e l’alternativa riformista", (Rubettino, 2004, 79-81).
Queste vicende storiche risultano tanto illuminanti, quanto ostinatamente ignorate da un popolo che, nella crisi attuale, pare aver perduto ogni contatto con la sua storia e, ancora più, con la capacità di identificarla e comprenderla; questo riproporsi di "fattori dominanti", nell'adattamento delle forme di governo a orientamenti ancor oggi certamente presenti, indurrebbe a una riflessione sul senso vero del fenomeno "fascismo" (se mai si volesse dar credito alla sua ricostruzione storica sempre compiuta da Basso e, non paradossalmente, da Von Mises, qui, pp. 3-4, ma vale la pena rileggersi il post fino in fondo).
Successivamente, dopo una combattuta trattativa, seguì un accordo tra sindacati e Confindustria, concluso il 30 ottobre dello stesso anno, riguardante "l’aumento del 35% dei salari minimi, il pagamento della tredicesima e la retribuzione di 12 giorni di ferie l’anno, accordo accompagnato dall’adozione della «scala mobile» diretta ad adeguare i salari operai al costo della vita". 
Questo accordo, come si desume dal contesto della ricostruzione storica sottoriportata, conseguì ad un clima politico in cui le elezioni amministrative, tra il marzo e l'ottobre del 1946, avevano, nella seconda tornata, complessivamente ridimensionato il peso elettorale della democrazia cristiana rispetto al risultato delle politiche, svoltesi il 2 giugno insieme al referendum sulla forma repubblicana:

2. “…. E’ a questo luglio 1946 (quando al disagio per il Premio della Repubblica gli industriali associano l’angoscia per le violenze riscontrate in molti episodi di contestazione operaia) che si può datare probabilmente la nascita del famoso “quarto partito” imprenditoriale.

Infatti, i verbali della Giunta esecutiva di Confindustria di quei giorni restituiscono un clima di profonda animosità nei confronti della classe dirigente del paese, una difficoltà di rapporti diretti col Presidente del Consiglio e coi rappresentanti economici del partito di maggioranza relativa, e una sfiducia nella politica, che si traduce nella determinazione ad agire “da soli”, a “farsi partito” con una propria autonomia di propaganda, lobbyng e gestione dei finanziamenti politici.

Nella seduta del 9 luglio Angelo Costa non nasconde il suo dissenso con De Gasperi e sottolinea la tentazione di rottura presente nello stato d’animo di gran parte degli imprenditori: “Fino ad ora le conversazioni con l’on. De Gasperi sono state improntate all’opportunità o meno dell’aumento e sulla sua eventuale misura. Di fronte a questo fatto nuovo, non so più come si possa collaborare”.

A latere
di questa dichiarazione preliminare del Presidente di Confindustria, si sviluppa nella Giunta Esecutiva degli industriali un dibattito molto acceso sulle modalità di pressione politica dell’organizzazione padronale e di finanziamento dei canali privilegiati:

“Siamo estraniati completamente – dice l’imprenditore edile Gualdi – da quelle che erano le nostre forze, e pur essendo in periodo parlamentare, al parlamento non abbiamo alcuna nostra rappresentanza…Ricordiamo che durante le elezioni la nostra azione è stata la più infelice che si potesse immaginare. Siamo partiti tardi, senza alcuna intesa, abbiamo elargito somme anche cospicue senza che ci sia un partito che debba dimostrarci riconoscenza, senza che ci siano uomini che considerino questo nostro apporto come l’elemento determinante della loro elezione
. Un risultato più ignobile ed inutile non può pensarsi”.

Nella seduta del giorno successivo Alighiero De Micheli, futuro Presidente di Confindustria nel quinquennio ’57-’62, chiede molto polemicamente: “Quale sarà il partito e quali saranno i partiti che ci difenderanno? ... E’ opportuno che la Presidenza inviti le aziende associate a versare un contributo per le spese di stampa e propaganda, senz’altra specifica. Senza questa base concreta, e cioè se gli industriali non sono disposti nemmeno a questo piccolo contributo mentre poi devono tirar fuori i denari per San Togliatti…è meglio chiuder bottega. I DENARI, DACCHÉ I FENICI HANNO INVENTATO QUESTA MERCE, È L’UNICO MEZZO CON CUI SI RIESCA A FARE QUALCOSA”.

Fra gli industriali c’è chi propone la creazione di un “partito industriale-agrario” espressione diretta in politica delle istanze del liberismo conservatore (in nota: la proposta era di De Ponti, presidente dell’unione industriale di Bergamo). Tale proposta non piace a Costa che definisce “maschere di vetro” gli organismi politici apertamente collaterali a Confindustria. S’insinua fra le righe del dibattito confindustriale quella seduzione di un “fare politica indiretto e latente” che, secondo una celebre interpretazione di Paolo Farneti, caratterizza storicamente “l’alienazione dalla politica” della borghesia italiana.

Nella seduta della Giunta Esecutiva i verbali registrano spesso delle interruzioni perché il Presidente Costa in più occasioni si apparta per chiedere telefonicamente ai membri del Governo notizie dettagliate sul Premio della Repubblica. Vengono contattati in ordine Corbino, De Gasperi e Campilli. 
A proposito della telefonata con De Gasperi, Costa riferisce, davanti ad un uditorio piuttosto freddo e contrariato, che il premier ha ricusato la richiesta di udienza degli industriali ed ha altresì comunicato che la decisione della revisione dei salari è irrevocabile. In nota: Verbale della riunione della Giunta Esecutiva del 10 luglio 1946: “Ho parlato in questo momento col Capo del Governo. Mi ha detto che è dispiacente di non poterci ricevere immediatamente perché è impegnato nella formazione del Governo. Ha spiegato che la questione del premio gli è stata presentata come se potesse essere accettata dagli industriali e che ha trovato l’accordo con il ministro Corbino (ndQ: Corbino poi si dimetterà, nel settembre 1946, data l'impopolarità delle politiche deflattive perseguite, "con l'aiuto decisivo del governatore della Banca d'ItaliaLuigi Einaudi"). Si tratta di una soluzione fra richieste di diverse entità, e purtroppo non si può tornare indietro.

Chiusa la parentesi dei contatti telefonici col governo, la riunione riprende poi sul tema della creazione del partito “antipartito” imprenditoriale, cioè dell’organizzazione dell’attività di lobbyng in funzione di una rappresentanza degli industriali il più possibile autonoma dai partiti esistenti. Alla fine l’idea che prevale, perché ritenuta la meno dispendiosa, è in primo luogo quella di lasciare alle associazioni territoriali aderenti alla Confederazione il compito di amministrare le sovvenzioni alle campagne elettorali e in secondo luogo – e su questo punto batte l’insistenza della Giunta Esecutiva – di stringere un giro di vite intorno all’informazione mediante:
a) interessamento diretto sulla proprietà della testata;
b) interessamento indiretto sulla proprietà della testata tramite gruppi amici e coordinati in una comune azione;
c) parziale copertura di disavanzi di gestione o comunque sovvenzioni a fondo perduto, con la promessa, quale contropartita, di determinati atteggiamenti (in nota: Archivio storico Confindustria, Considerazioni su di una possibile azione di coordinamento nel campo della stampa, Allegato 2, Stampa e propaganda, 1 luglio 1946).


Il “quarto partito” era nato. Restava solo da rodare la macchina. E le elezioni amministrative del novembre 1946 erano solo la prima occasione…
” [M. LUCIA SERGIO, De Gasperi e la questione socialista – L’anticomunismo democratico e l’alternativa riformista, Rubettino, 2004, 79-81].

3. Il seguito e le conseguenze attualizzate ce li spiega Lelio Basso:
… Le elezioni amministrative dell’autunno 1946, che segnarono per la democrazia cristiana una netta perdita di posizioni, agirono da campanello d’allarme; le pressioni americane e vaticane esercitate in quel periodo trovarono un terreno favorevole. In dicembre la rottura del tripartito e il nuovo orientamento a destra della democrazia cristiana eran già decisi e poco appresso attuati; correlativamente l’Uomo Qualunque veniva dagli industriali abbandonato al suo destino, e la destra democristiana, diventata la vera ispiratrice della politica del partito e del governo, spariva o quasi come frazione costituitaDe Gasperi annunciava ufficialmente il suo connubio col “quarto partito”, cioè COL PARTITO DEGLI INDUSTRIALI E DEGLI AGRARI…

Trovato il partito adatto alla nuova esperienza totalitaria, è necessario porre in essere gli strumenti perché questa visione totalitaria domini veramente tutta la vita dello stato. Questa azione si articola in due momenti distinti ma strettamente uniti: 
- creare un mito totalitario e farne il substrato dell’unità nazionale, dichiarando antinazionali e stranieri tutti coloro che rifiutano di accettare questo mito e che non sono d’accordo con la politica ufficiale, in modo da isolare le forze progressive
- in secondo luogo lottare contro queste ultime per indebolirle progressivamente ed escluderle dalla partecipazione reale alla vita del paese.

La tecnica del mito
è ormai conosciuta: tuttavia il suo contenuto varia a seconda delle circostanze. 
Il mito della razza pura e del dominio mondiale sugli altri popoli (hitlerismo), il mito dei destini imperiali di Roma (fascismo) furono caratterizzati da un contenuto attivo, cioè di aggressione;
MA IN UN PAESE LA CUI POLITICA UFFICIALE È QUELLA DELL’ASSERVIMENTO ALLO STRANIERO, COME L’ITALIA DI OGGI, sarebbe difficile poggiare su un mito di conquista imperiale; alla fase attuale appaiono quindi più confacenti dei miti negativi di difesa contro un immaginario pericolo e perciò di solidarietà di tutti i popoli (cosmopolitismo) , i quali miti presentano anche il vantaggio di offrire alle masse un capro espiatorio, indicato dalla classe dominante come responsabile di tutti i mali di cui le masse soffrono in realtà per le contraddizioni della società, cioè proprio per l’oppressione della classe dominante stessa: ... l’antisemitismo, la difesa della civiltà occidentale … appartengono a questo genere di miti a contenuto negativo. 
Il mito di conquista è riservato invece al popolo eletto, agli americani (mito del “secolo americano”, del “modo di vita americano”). 
Parallelamente chiunque non accetti di porsi sul terreno di queste false solidarietà nazionali, chiunque tenga fede a sé stesso, viene dichiarato nemico della comunità nazionale, posto al bando della società (“antinazionale” dei fascisti, “separatista” dei gollisti, unamerican della odierna propaganda ufficiale americana, “quinta colonna” secondo l’espressione di De Gasperi) …
L’ATTIVITÀ PARLAMENTARE È RIDOTTA A UNA MERA LUSTRA, in quanto non è più la maggioranza parlamentare che esprime il governo e gli traccia l’indirizzo politico, ma è il governo, o, meglio ancora, il ristretto gruppo dirigente del partito di governo, che si crea la sua maggioranza attraverso i metodi elettorali ben conosciuti e le prescrive la condotta sotto vincolo di disciplina. … gli elementi democratici vengono per quanto è possibile allontanati o messi in disparte. 
Il gruppo dominante si riduce così a pochi esponenti politici, AI MAGNATI DEL CAPITALE FINANZIARIO, ad alcuni alti papaveri della burocrazia, e, naturalmente, ai rappresentanti dell’America e del Vaticano.

NON VI È DUNQUE NULLA DI MUTATO NELLA SOSTANZA. Ancora una volta l’Italia si trova di fronte ai suoi problemi insoluti: … una classe dirigente incapace di iniziativa e decisa a vivere sempre più parassitariamente a carico della collettività, la crisi dei ceti medi più che mai pauperizzati e frantumati e anelanti soprattutto a un regime di stabilità e sicurezza, milioni di disoccupati e di sotto-occupati… 
E ancora una volta la classe dominante tende a ripercorrere la stessa falsa strada del passato, che consiste nell’evitare la soluzione facendo tacere i contrasti e così ignorando o addomesticando i problemi. Siamo convinti che la classe dominante in Italia non può più governare democraticamente il nostro paese, e che essa ha un’incoercibile tendenza a ristabilire in pieno il dominio totalitario, mutando naturalmente le forme e i nomi, e in parte anche i metodi, del suo governo, ed adattandoli al clima di questo secondo dopoguerra” [L. BASSO, Due totalitarismi: fascismo e Democrazia Cristiana, Milano, 1951, 280-291].

Pare proprio che ci toccherà cestinare il certificato elettorale…

8 commenti:

  1. “Parallelamente chiunque non accetti di porsi sul terreno di queste false solidarietà nazionali, chiunque tenga fede a sé stesso, viene dichiarato nemico della comunità nazionale, posto al bando della società”

    E qui entra in gioco la “Terza Forza”

    Riporto parte finale del commento di Francesco:

    Concludendo, la Terza Forza è l’espressione del malcontento dei ceti medi di fronte all’instabilità e all’insicurezza, e della loro visione superficiale dei rapporti sociali che si traduce in un’incapacità a dar vita ad una forza reale che prenda parte nello schieramento politico contro le cause profonde da cui la instabilità e la insicurezza derivano. Il suo lato apparentemente progressivo sta in quel “qualche cosa di nuovo” con cui si pretende di correggere i “difetti” del vecchio mondo, che si vuole però restaurare sulle sue fondamenta; il suo lato sostanzialmente conservatore sta nella convinzione che essa esprime che i mali di cui soffre l’attuale società possano essere “guariti” nell’ambito di questa stessa società, correggendone semplicemente alcuni aspetti o limitandone alcuni “eccessi”. La sua natura diseducatrice sta nella superficialità con cui affronta i problemi, sostituendo delle formule ai rapporti reali di classe, ed illudendosi di risolvere col compromesso dei contrasti ineliminabili che sono nel cuore della società contemporanea. La sua funzione reazionaria sta nell’impedire che nel momento acuto della crisi il torbido malcontento e l’incerta volontà di palingenesi dei ceti medi, incapaci da sé soli di trasformarsi in forza veramente rinnovatrice, s’incontrino con la maturità politica del proletariato rivoluzionario e ne siano guidati a maturare e a consolidarsi in una superiore coscienza veramente democratica.

    Ecco perché, appunto nei momenti acuti della crisi…la Terza Forza assurge a dignità di forza politica indipendente in cui il ceto medio s’illude di dare sostanza di vita reale alla sua normale funzione di elemento di coesione e stabilizzazione della società capitalistica…In ultima analisi l’esperienza della Terza Forza si riduce a coprire con frasi ampollose, tratte di solito dall’arsenale democratico … la dura realtà di una restaurazione delle oligarchie capitalistiche, le quali, quando credono sia giunto il momento, si scrollano sprezzantemente di dosso i luoghi comuni verbali o le concessioni formali che rappresentano tutta la realtà della Terza Forza, per mostrare nuovamente le proprie reali sembianze. (segue)

    RispondiElimina
  2. Questo compito è reso più facile alle classi dominanti dal grande sviluppo raggiunto dalla tecnica propagandistica, dai mezzi potenti di cui dispongono per fabbricare ogni giorno in serie dei surrogati di idee con cui vengono sistematicamente imbottiti i cervelli dei piccoli-borghesi. Il cinema, la radio, e forse più ancora i periodici a grande tiratura costituiscono gli strumenti principali per quest’opera che consiste nel rivestire ogni giorno le gesta brutali dell’imperialismo di pseudo-idee estremamente semplici e facilmente sistemabili nella visione superficiale e ristretta dell’uomo medio. Che cosa vi è di più donchisciottesco ed assurdo del piccolo-borghese che si affanna a difendere la “proprietà” come attributo indispensabile della “personalità umana” contro il socialismo “negatore della proprietà”, e non s’accorge di difendere in realtà le istituzioni di quello stesso mondo capitalistico che ogni giorno spietatamente espropria il piccolo-borghese dei suoi risparmi e del suo stesso reddito?
    … è certo che nel corso di questi anni la funzione principale dei ceti medi nel mondo occidentale è stata ancora una volta quella di coprire con le proprie ideologie e di appoggiare con le proprie illusioni, sapientemente manovrate dalla fraudolenta abilità dei ceti dominanti, una politica di restaurazione. E ancor oggi L’UNIONE EUROPEA O LA CIVILTÀ OCCIDENTALE, COSÌ COME LE ESPRESSIONI DI LIBERTÀ E DI DEMOCRAZIA SULLE LABBRA DI COSTORO SONO SEMPLICI ETICHETTE SU DELLA MERCE DI CONTRABBANDO, sono formule illusorie che danno un suono falso quando fra chi le pronuncia con maggior vigore troviamo tutti i fascisti e i nazisti di ieri opportunamente discriminati” [L. BASSO, La lotta di classe oggi nel mondo (3). Il fronte capitalista, in Quarto Stato, 30 marzo-15 aprile 1949, n. 6/7, 6-9].

    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/05/macron-il-vincitore-di-tappa-ma-la.html?showComment=1494238314237#c5421656009600602141

    il commento inizia qui:

    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/05/macron-il-vincitore-di-tappa-ma-la.html?showComment=1494237652990#c9203392528685756880

    RispondiElimina
  3. E’ veramente incredibile come risulti del tutto normale, se non un vero e proprio vanto, per certi personaggi rivendicare la “svolta”, cioè il ribaltamento della volontà popolare espressa nella Costituzione:

    Durante i tre anni cruciali che vanno dal 25 aprile 1945 al 18 aprile 1948, quando la transizione del dopoguerra era ancora aperta ed ogni esito possibile, compresi quelli più infausti, l’Italia fece quattro scelte fondamentali (NdF: l’Italia? Sembra di risentire Amato sullo SME!) grazie alle quali diventò una giovane ma piena democrazia occidentale.

    La prima scelta fu la svolta economica liberista resa possibile dalla rottura della collaborazione governativa con le sinistre nel maggio 1947 e dalla conseguente apertura alle forze del cosiddetto “quarto partito” (i rappresentanti del mondo imprenditoriale) . Questa svolta costituì la premessa per avviare anche in Italia la sperimentazione di una forma di economia di mercato in grado di conciliare le esigenze del mondo imprenditoriale e finanziario con un moderato intervento statale nei settori più a rischio o in quelli nei quali il mercato avrebbe condotto alla creazione d’insopportabili monopoli.

    Il nuovo indirizzo si collocava a cavallo tra il recupero della stagione liberale e lo sviluppo degli aspetti di modernità economica e sociale maturate negli anni tra le due guerre. Si trattò di un successo. L’avvicinamento agli ambienti della destra economica consentì di bloccare la fuga e l’imboscamento dei capitali all’estero, mentre l’impegno a sostenere una drastica risuzione della spesa pubblica costituì una garanzia ed un incentivo per gli investimenti nell’economia italiana, e creò le premesse di quella stabilizzazione necessaria al risanamento interno e alla crescita dell’occupazione.

    La seconda scelta fondamentale fu quello di collocare il nostro Paese nel blocco atlantico. L’Italia cominciò ad intraprendere questa strada sin dalla fine del 1946, quando individuò negli Stati Uniti non solo una potenza egemone ma un saldo riferimento economico e sociale. La scelta atlantica non fu dettata solo da riconoscenza per quanto gli americani avevano fatto per la liberazione dell’italia e dell’Europa dal nazismo e dal fascismo. E neppure fu dettata da un’affermazione di una logica mondiale bipolare. Piuttosto, quella scelta si basò sulla constatazione di valori politici e culturali comuni tra le due sponde dell’Atlantico, ben più profondi delle superficiali diversità nello stile di vita e nelle mentalità diffuse…

    La terza scelta fu quella europea. L’EUROPA NON COME CONTRAPPESO ALL’AMERICA, ciò di cui non si avvertiva affatto il bisogno. Al contrario, l’Europa come via diretta per consentire all’Italia sconfitta in guerra di rientrare nel minor tempo possibile nel concerto internazionale…L’Europa come strumento per rendere più proficua la collaborazione imposta dalla minaccia comunista…

    La quarta scelta determinante fu quella di allontanare dal governo i comunisti e i socialisti, allora uniti nel Fronte, senza che ciò si traducesse in una loro esclusione dalla vita politica…L’esperienza antifascista non fu contraddetta, ma fu portata ad interagire ed integrarsi con l’anticomunismo…
    (segue)

    RispondiElimina
  4. Non ho nominato fin qui il nome di Alcide De Gasperi, ma tutti abbiamo compreso. Fu De Gasperi il primo, principale, essenziale e talvolta unico e solo protagonista di queste quattro scelte fondamentali. Fu lui che costituì un partito laico di cattolici ma non cattolico, la Democrazia Cristiana, in grado di effettuare quelle scelte. Lui che guidò opponendosi senza cedimenti alle derive reazionarie e rivoluzionarie. Lui che volle la liberalizzazione dell’economia italiana. Lui che fece approdare l’Italia in Europa. Lui che ancorò l’Italia All’America. De Gasperi, queste scelte, le immaginò volle e costruì non solo superando la dura opposizione delle forze anti-sistema…

    Ma alla quinta scelta, De Gasperi fallì, accadde nel 1953, un anno prima della sua morte. egli avrebbe voluto lasciare all’italia qualcosa della sua concezione DELL’ARCHITETTURA COSTITUZIONALE, SPICCATAMENTE PIRAMIDALE: CON L’ESECUTIVO EGEMONE SUL PARLAMENTO E QUESTO SUI PARTITI, i quali avrebbero dovuto mantenere unicamente la funzione di organismi di mediazione tra la società civile e le istituzioni. Allora tale concezione apparve a molti come una “truffa” e suonò autoritaria, e ad alcuni sembrò un cedimento al classicismo dell’età liberale – nella quale egli era stato militante del partito fondato da Luigi Sturzo – a cospetto della presunta modernità dello Stato dei partiti, proprio quello che da lì a poco divenne la partitocrazia. Oggi comprendiamo meglio quanto invece liberale fosse quella concezione e quanto alto sia stato il prezzo che il nostro Paese ha pagato per non averla fatta propria

    L’Italia, nei confronti, di Alcide De Gasperi ha un lungo silenzio da colmare e un debito da saldare…Vi è un obiettivo più importante e più urgente: dobbiamo riprendere il filo interrotto del degasperismo. Chi ne sarà capace, sarà anche in grado di condurre in porto QUELLA TRANSIZIONE
    ” [M. PERA, La Martinella 2003, Rubettino Editore, 103-106]. (segue)

    RispondiElimina
  5. E poi Einaudi alla Banca d’Italia, la riscrittura in segreto di una nuova “costituzione economica” e, sin da subito, le conseguenti politiche deflazioniste. Cioè il totale sovvertimento della Costituzione. Beninteso, con il placet dei giornaloni.

    Non si può certo dare torto a Lelio Basso quando nel ’47, sull’Avanti!, denunciava:

    …De Gasperi, fautore del compromesso a qualunque costo, maestro nell’arte della procrastinazione e dell’insabbiamento (quel De Gasperi che si impegnava al cambio della moneta avendo per ministro del Tesoro Corbino, o dichiarava di voler rispettare i punti programmatici di Morandi avendo come vicepresidente Einaudi, e che infine l’altro giorno dichiarava in uno stesso discorso di essere d’accordo con la pianificazione di Saragat e con il liberismo economico delle diverse sfumature liberal-qualunquiste), De Gasperi è l’uomo ideale per una politica destinata a smorzare qualunque volontà rinnovatrice, a impedire qualunque seria riforma di struttura, ad assicurare, al di sopra di tutto, la continuità formale e sostanziale col vecchio stato fascista e monarchico, a far dimenticare che ci sono stati un 25 aprile e un 2 giugno, che hanno pure significato qualche cosa di nuovo per il popolo italiano…” [L. BASSO, La Democrazia Cristiana, 9 ottobre 1947]. E non si può dare torto a Basso che nel ’51 parlava apertamente di “Due totalitarismi: fascismo e Democrazia cristiana”.

    Un riassunto sintetico di quanto in realtà la volontà del Popolo italiano sia contata in Italia dal 1948 in poi e di quanto sia stata (e sia) tenuta in considerazione. Direi quindi che per ciò che riguarda “quella transizione” auspicata da Pera, siamo ad uno stadio avanzato.

    [Comunque: “l’Esecutivo egemone sul Parlamento”, alias la governance, non si può proprio sentire]

    RispondiElimina
  6. Comunque: “l’Esecutivo egemone sul Parlamento”, alias la governance, non si può proprio sentire”

    E non si può sentire neanche questa:

    “Tra il 1946 e il 1947 Einaudi manifestò il suo pensiero sulla questione della sovranità popolare con toni che possiamo considerare conclusivi della sua parabola in tema di rapporti tra democrazia e liberalismo.
    Disse che «l’argomentazione tratta dal principio della sovranità o volontà popolare» lo lasciava «indifferente»; che siffatto principio, di matrice rousseauiana, «non appartiene alla categoria delle verità scientifiche», che l’esperienza di tutti i tempi e paesi dimostra che il governo sta necessariamente nelle mani dei pochi che guidano i più; che il principio della sovranità popolare appartiene «all’ordine dei miti, delle formule politiche»; che d’altra parte esso è bensì «utilissimo mito, del quale nessun ceto politico governante in un Paese libero può fare a meno»: ma utile nella misura in cui esso si innesti sui principi del liberalismo”

    […]

    “Il «dogma» della sovranità popolare era dunque da accettarsi in forza del suo radicamento in quanto «formula» che «nei tempi moderni è più universalmente compresa»: semplice formula perciò, «“strumento” di governo [Il sistema idraulico sanitario] utile al raggiungimento di quel bene comune [in una democrazia costituzionale si parla di interessi generali] il quale solo sta dinnanzi ai nostri occhi», che si è infine imposta essendo cadute formule obsolete come «il principio del diritto divino dei re, della grazia di Dio, perché non fanno più presa sulla mente e sulla immaginazione degli uomini».

    […] Nel messaggio pronunciato dopo la sua elezione a presidente della Repubblica, Einaudi rivolse parole rassicuranti a proposito del fatto che appariva superato il pericolo, ispirato a pessimismo, che il suffragio universale potesse essere incompatibile, come era parso a molti (e a lui stesso) «con la libertà» e - aggiunse con un lapsus concettuale - «con la democrazia».

    Ma ciò non cambiava la sostanza della sua convinzione, che ebbe modo di ribadire anche in seguito secondo cui la sovranità popolare era e restava un mito, certo un mito ormai necessario, insostituibile, ma che non poteva e non doveva sostituire il dato che il buongoverno è il governo di un’élite distillata, per così dire, dai frutti migliori della vigna coltivata e protetta da un ceto minoritario di uomini prudenti e sapienti, disposti al conseguimento del bene comune e capaci sia di interpretare le esigenze di tutte le forze vive che operano fattivamente nel seno del corpo sociale sia di guidarle.”

    http://orizzonte48.blogspot.com/2015/12/democrazia-federalismo-indipendentismo.html

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco: così si focalizza per bene cosa comporti il liberalismo. Che per Einaudi coincide col liberismo, peraltro.

      Elimina
    2. Già, oltre a questo post http://orizzonte48.blogspot.com/2015/03/liberismo-e-liberalismo-la-liberta-non.html

      Per chi fosse interessato, suggerisco di leggere la discussione di questo post, (riporto solo parte del suo commento):

      Ebbene, il liberalismo (linguistico: da suggestione derivante dalla intraducibilità univoca dell'inglese "iberalism", compatibile in italiano sia con liberismo che liberalismo), ha il difetto di volersi occupare dello stesso contenuto delle scienze sociali (nel frattempo divenute autonome) senza appunto riconoscerne la affermata autonomia e senza "conoscerne" la vera elaborazione, che è ormai il bagaglio ideologico del sistema di potere "effettivo" e non "ideale" (appunto Croce).

      Chi specula su "libertà" e dignità morale dellindividuo come fondamento di una società giusta, non fa altro che applicare il senso comune imposto dall'assetto di potere capitalista, senza poterlo più mettere in discussione (dopo Marx, specialmente, diventa un esercizio, tutto italiano, che relega persino il materialismo storico e la distinzione struttura-sovrastruttura, nel campo del possibile idealismo).

      Ma, per farla breve, si tratta di una duplice, inavvertita (dal liberale) derivazione:
      - sul piano sociologico, perchè il liberismo ha prima ancora, già automaticamente ed espressamente elaborato il concetto di controllo cultural-propagandistico come sua parte strumentale essenziale (per il controllo dei parlamenti di fronte all'allargamento dell'elettorato)
      - sul piano logico concettuale, perchè i liberali (politico-filosofici) assumono come fatto morale (epistemologico) dei dati che non sono altro che la registrazione (per lo più inconscia) di un tipo di società che ipostatizzano senza alcuna seria indagine storica.

      Insomma, si può dire che i "liberali" come fenomeno di filosofia poliica esistono, certo, ma ciò assume solo un carattere descrittivo (tautologico: se esistono non lo si può negare) e privo di autonomia nella spiegazione dei fenomeni: certo, a livello intuitivo individuale, non tutto quello che dicono è apparentemente assurdo o inaccettabile, purchè non se ne contestino le premesse ellittiche e non indagate.

      Ma Croce si interessa, senza volerlo, di ipostatizzare le "gerarchie"" della borghesia (liberista): non si rende conto che queste riposano sui liberisti-economisti, che, con ben altro rigore metodologico e politico, impongono il mercato del lavoro-merce e la deflazione per avere interessi reali positivi a favore del capitale (sempre più finanziarizzato).

      Per di più le gerarchie sociali, acriticamente "naturalistiche", le postulano dal lato difensivo e vittimistico: contestarle, dicono, pone in pericolo il pacifico ordine sociale raggiunto da un nuovo tipo "brava gente comune" contro scellerati eversori (che sarebbero una costante, le cui cause, percuò, non vale la pena di indagare).

      Ma tendono a concepire questo schema per un fatto (inconsciamente?) molto personale.

      Si tratta di piccolo borghesi intellettuali che assurti a facitori del controllo sociale liberista (formatori dell'opinione pubblica e quindi appostatisi nella "media" borghesia intelletuale) voglino in sostanza conservare il proprio piccolo privilegio contro aggressioni che sentono violente e espressione di degenerazione "bestiale" della natura umana.

      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/10/la-comprensione-che-non-ce.html?showComment=1443940052728#c7845726467871419280

      tra l’altro ci sono commenti di Arturo “legati” al post in addendum, poi ripresi in questo post

      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/10/la-democrazia-sovrana-la-condizionalita.html?showComment=1444084235359#c2545553781348169928

      Elimina