I- Lo scenario globale e quello
dell'eurozona nella crisi del coronavirus.
1. L’Italia prigioniera del pilota
automatico dell’eurozona mentre infuria la pestilenza del XXI secolo e la
tragedia economica incombe su una società reclusa.
Cerchiamo di immaginare gli scenari in cui
si svilupperà la situazione socio-economica italiana nell'immediato futuro.
E parliamo di sviluppi che sono certamente
condizionati dalle decisioni politiche che verranno intraprese, ma che, al
contempo, sono determinati da forze economiche e naturalistiche di dimensioni
tali che le politiche pubbliche, come vedremo, ne risulteranno (anzi, già ne
risultano), da un lato, strettamente vincolate e, dall'altro,
"trascese": e questo nel senso che si dovrà, per manifesta necessità
imminente, riflettere su orizzonti e effetti di portata ben più ampia rispetto
a quelli meccanicamente "tipizzati" dalle regole del pilota automatico che governano
l'eurozona (su cui torneremo).
Il contesto su cui ragionare deve essere
definito nelle sue strutture portanti, cioè ponendo in luce con chiarezza i
meccanismi del vincolo esterno derivante dall'appartenenza dell'Italia
all'eurozona: il chiarimento su questo è assolutamente preliminare per la comprensione
della congiuntura italiana, proprio perché tali meccanismi sono giuridicamente
e, in stretta conseguenza, "politicamente", inderogabili e
non negoziabili, e quindi rispondono alla logica di rapporti di forza
ormai fissatisi irrevocabilmente nel porre l'Italia in posizione subordinata
nella gerarchia continentale[1].
Su questo elemento strutturale, dobbiamo
ovviamente innescare la peculiarità dell'attuale (e devastante) crisi sociale
ed economica dovuta all'epidemia.
Tuttavia, non ci si può nascondere che il
combinato di questi due elementi, cioè, quello strutturale e istituzionale
legato all'appartenenza all'eurozona, e quello della eccezionalità peculiare
della recessione economica a cui stiamo andando incontro, congiura per un
intreccio deleterio di ostacoli che si frappongono alla prospettiva di effettivo
ritorno dell'Italia a livelli auspicabili di crescita e di benessere.
2. Il quadro generale mondializzato e la
dogmatica "mainstream" all’impatto con la pandemia del coronavirus.
Cerchiamo di chiarire il quadro generale,
cioè tendenzialmente mondializzato, dello scenario, nelle sue implicazioni
dovute all’impattare dei caratteri della crisi produttiva e, più ampiamente, sociale,
sul paradigma economico globale attuale: questo paradigma corrente (o mainstream) incorpora una cultura,
etico-filosofica e di visione politico-sociale (classista) prima ancora che
economica, che si è accumulata per
decenni fino ad arrivare, in questi ultimi anni, all’irrigidimento in una sorta
di dogmatismo metafisico che sfiora quello delle fedi religiose (incluso l’aspetto
della reazione, in forma di anatemi e scomuniche, contro ogni forma di deviazione
dalla neo-ortodossia)[2].
La crisi economica da "covid19"
è caratterizzata dal simultaneo blocco sia di produzione e distribuzione che
del consumo, per molti settori di produzione di merci e servizi (variabilmente
individuati dalle varie autorità nazionali); inoltre, tale blocco produttivo si
verifica a livello contemporaneamente nazionale e internazionale; senza,
peraltro, alcun effettivo coordinamento tra gli Stati interessati, che sarebbe
d’altra parte impossibile per l’assenza di un livello di responsabilità
democratica e di investitura rappresentativa dotata di effettività, a livello
mondiale (“autorità” a livello mondiale, come l’OMS, e più in generale le
Nazioni Unite, o certe ONG portatrici di aggressive tendenze alla autolegittimazione,
perseguite de facto per la spinta mediatica
globale, tendono ad affermarsi: ma comunque, secondo il ben noto Trilemma di
Rodrik[3], prefigurando un’autorità
che rifiuta la verifica della sua legittimazione in termini di
rappresentatività degli interessi maggioritari, accertata secondo un processo
elettorale, a suffragio universale, trasparente e globale).
3. L’effetto “panico” nascente dall’idea
della “nuova pestilenza” e la disruption spontanea delle “value chains” più
culturalmente e immediatamente legate alla globalizzazione.
Insomma, si verifica l'effetto
contemporaneo sia della serrata che dello sciopero (con boicottaggio dei
prodotti), con l'ulteriore paradosso che la volontà collettiva, e la ovvia
convenienza, sia delle imprese che dei dipendenti è quella opposta, a
continuare a produrre (e a consumare).
Quale sia l'interferire dell'ingolfamento
quasi immediato e "istintivo" dei traffici mondiali, fenomeno detto
anche global supply chain disruption, con la contrazione autonoma,
cioè spontanea e non indotta da provvedimenti autoritativi emergenziali, delle varie
economie nazionali, non è facile da determinare in base ad un unico criterio
astratto.
Ma indubbiamente una correlazione c'è: si
pensi all'industria alberghiera e alla spontanea reazione di disdire le
prenotazioni ben prima che siano state le pubbliche autorità a vietare i
movimenti locali e transnazionali delle persone; oppure all'industria
cinematografica, impedita, sia nella fase della produzione che in quella della
distribuzione dei film, della sua esplicabilità in luoghi fisici.
E questi iniziali autolimiti indotti dalla
prospettiva del contagio, hanno certamente iniziato a minare l'intero settore
dei trasporti, in particolare quello aereo (già in sovra-offerta anteriormente
allo scoppiare della crisi).
A queste situazioni, ovviamente, si sono
aggiunti gli effetti propriamente istituzionali e normativi, cioè i fermi
dell'attività produttiva e, in generale economica (inclusa la fase appunto di
distribuzione e scambio), imposta dalle autorità nazionali (e territoriali) in
forma di lockdown, più o meno estesi
per settori coinvolti, regole di mobilità delle persone fisiche, e tempi di
durata.
Ma è da notare che questi effetti iniziali, per la loro natura di reazione istintiva, tenderanno a permanere anche dopo il termine dei "blocchi" disposti in via autoritativa e emergenziale dagli Stati; essi incombono come una sorta di salto evolutivo che determinerà nuovi comportamenti di consumo e, di conseguenza, nuove propensioni all'investimento. Con l'effetto di ridisegnare più o meno intensamente e rapidamente, come vedremo, l'intera offerta mondiale.
4. Il subentrare autoritativo e
territoriale dell’effetto panico: il lockdown e la caduta “d’imperio” di
domanda e offerta per esigenze di salvaguardia sanitaria.
La iniziale fase spontanea, determinata
dalla repentina assunzione di comportamenti prudenziali di "non
consumo" o, più ampiamente, di "non spesa" ha segnato, in prima battuta,
un calo della domanda di beni e servizi all’interno e “verso” (ma anche
"da parte di") una serie di paesi sempre più numerosa, via via che si
aggiungevano le notizie sulla diffusione dei focolai di contagio.
Le misure emergenziali, emanate dalle
varie autorità, di blocco dell'attività sociale in senso generale, poi, hanno determinato sia uno stop della produzione (salvo che per i settori eccettuati, in
quanto ritenuti essenziali, e peraltro con criteri variabili da Paese a Paese),
sia un azzeramento degli acquisti di beni non essenziali (alimenti e farmaci) da
parte dei cittadini.
Dall'aggiungersi e dal protrarsi
(specialmente in Italia) di questa fase per così dire "autoritativa"
del blocco delle attività sociali umane (che, in un'economia di mercato, si traducono
complessivamente in attività di produzione e distribuzione nonché in attività
di spesa per consumi e investimenti) è derivata, ed è infatti già in atto, una
diminuzione repentina di prodotto (che possa accedere al mercato), e come
conseguenza inevitabile, di reddito; da ciò una crescente diminuzione della
capacità di spesa e di quella di pagamento dei pregressi impegni debitori,
proiettata nell’immediato futuro.
Questa diminuzione della capacità di spesa
"da blocco", agisce, in modo quasi speculare al contagio,
distribuendosi e propagandosi in tutti i settori economici, sia a carico degli
imprenditori che dei dipendenti: e ora sta esercitando una crescente pressione
verso l'insostenibilità del tenere comunque in esercizio, impianti produttivi
che, quand'anche siano autorizzabili a proseguire l'esercizio attivo dei cicli
di produzione, non vedrebbero la prospettiva di una domanda (quindi di una
capacità reddituale, cioè di spesa, delle famiglie) sufficiente ad assorbire
l'offerta-prodotto e, a monte, neppure la certezza di essere a loro volta
riforniti da taluni dei propri fornitori di materie prime e prodotti intermedi,
sia collocati nello stesso paese (es; taluni prodotti agricoli o energetici stockati ma da trasportare) che in altri
(es; semilavorati in paese colpito da un blocco che considera il relativo
settore non essenziale).
Intrinseco a ciò, ovviamente, è anche che
il ciclo produttivo sia generatore di taluni costi cui bisogna comunque far
fronte, - ammortamenti di linee di credito in corso di restituzione, pagamenti
contributivi previdenziali e fiscali per i dipendenti, meccanismi periodici di imposizione tributaria
sull’impresa, canoni di locazione e di leasing, utenze delle forniture di utilities -, pur in assenza di attività
produttiva; a questi costi fissi si aggiungerebbero, in caso di prosecuzione
dell’attività produttiva, le passività con i fornitori per i costi variabili.
5. Blocco dell’attività sociale senza
precedenti e caduta del prodotto lordo senza precedenti. La riorganizzazione mondiale delle filiere su basi nazionali.
Dunque, risulta facile prevedere che, tra
iniziali effetti "spontanei", effetti delle misure emergenziali
di lockdown attivate dagli Stati, ed effetti di interferenza
reciproca tra le varie filiere a livello nazionale e globale, andremo incontro
a una contrazione della produzione, dell'occupazione e quindi del reddito e
della spesa, che, per intensità nel tempo e ampiezza assoluta, probabilmente
non avranno pari nella storia dell'economia capitalista.
E non solo: le prospettive di un
ristabilimento delle precedenti condizioni di produzione e di scambio,
nell'ambito della c.d. globalizzazione istituzionale, - a parte il fatto di
essere comunque indipendentemente, ed in precedenza, già giunte a una fase
notoria di stagnazione c.d. secolare e, in pratica, di
sovraofferta e sottoinvestimento mondiali -, sono altamente incerte.
E questo al punto che, nei maggiori paesi
industriali del mondo, dagli Stati Uniti al Giappone (ma sempre eccettuando
l'eurozona, come vedremo alle prese con una sclerosi
autoconservativa tutta sua peculiare), si sta attivamente concependo, a
livello di policy makers, una vera e propria riorganizzazione delle
filiere produttive, riaccentrate e ri-localizzate (almeno quanto a quelle che
ciascun paese può ritenere "strategiche" e, comunque,
"essenziali"), proprio per evitare la futura vulnerabilità a shock sanitari (o anche solo
"geo-politici") che pongano in pericolo l'accesso ai beni di primaria importanza nonché la sicurezza
della loro producibilità "localizzata".
6. La ripresa tra riorganizzazione
assistita della produzione industriale e previo ristoro conservativo e reintegrativo
della capacità produttiva e finanziaria.
Questa fase di riorganizzazione
inevitabilmente corrisponderà a una certa pianificazione compiuta su basti
territoriali-statali: a chi altri, se non agli Stati come enti rappresentativi
a fini generali delle comunità nazionali, potrebbe spettare di individuare
quali settori produttivi siano da ritenere strategici e essenziali rispetto al
parametro di riferimento che non potrà che essere costituito dall'interesse
nazionale?
E in che altro modo, nel contesto storico verso il quale ci stiamo velocemente evolvendo, potrà essere assunto l'interesse nazionale se non come massimizzazione dell'interesse alla sopravvivenza e al benessere di una precisa comunità di individui, viventi sotto un'unica giurisdizione territoriale?
E in che altro modo, nel contesto storico verso il quale ci stiamo velocemente evolvendo, potrà essere assunto l'interesse nazionale se non come massimizzazione dell'interesse alla sopravvivenza e al benessere di una precisa comunità di individui, viventi sotto un'unica giurisdizione territoriale?
Ma la stessa riorganizzazione
della produzione (rafforzando l'integrità nazionali delle filiere
comunque legate ad una meno esasperata divisione del lavoro su scala globale),
intesa nei modi istituzionali che abbiamo appena precisato, potrà essere
realizzabile soltanto se preventivamente,
e nel modo più rapido possibile, si sarà affrontata
e risolta una fase preliminare (ed anche pregiudiziale) della crisi attuale:
e cioè, com'è intuibile, l'aver assicurato, a fronte del simultaneo venir meno
di offerta e domanda e del concreto rischio di distruzione economica (non
fisica) del capitale produttivo, la sopravvivenza in esercizio delle imprese e
il connesso mantenimento dei livelli di occupazione, apprestando all'economia
reale una sorta di liquidità indennitaria.
Parliamo, in prima approssimazione giuridica ed economico-funzionale, di una sorta di ristoro equitativo che tenda a reintegrare il valore non prodotto a seguito dei blocchi di produzione emergenziali e delle passività accumulatesi precedentemente e contemporaneamente a tali blocchi.
Parliamo, in prima approssimazione giuridica ed economico-funzionale, di una sorta di ristoro equitativo che tenda a reintegrare il valore non prodotto a seguito dei blocchi di produzione emergenziali e delle passività accumulatesi precedentemente e contemporaneamente a tali blocchi.
7. Il ruolo finanziario ineliminabile
dello Stato nella conservazione e nella ristrutturazione della capacità
produttiva.
Ma questo ristoro, questa sorta di
indennità corrispondente alla incolpevolezza della mancata attività produttiva,
causata anzi dall'adozione di (tendenzialmente legittime) misure eccezionali di
"salute pubblica", in termini concreti di misura politico-economica
anticiclica, può corrispondere soltanto, ed inevitabilmente, ad un
trasferimento alla comunità sociale (intesa dinamicamente come “economia reale”),
effettuato dall'autorità fiscale, di moneta avente corso legale nel paese in
cui viene erogata.
E dunque, consisterebbe, - o almeno
ragionevolmente dovrebbe consistere, se davvero si vuole ottenere efficacemente
lo scopo della tendenziale reintegrazione pecuniaria della capacità produttiva
e occupazionale dell'economia italiana -, nell'attribuzione di quantità di
denaro, collegate ai volumi di prodotto e di occupazione generati in precedenza
da ciascuna unità produttiva, da parte dello Stato.
Si tratta cioè di pagamenti, di dazioni di
liquidità senza condizioni e corrispettivo, a diretto arricchimento positivo
del destinatario: arricchimento in senso relativo, cioè come variazione
incrementale, poiché, essendo "indennitario", il pagamento più che
aumentare, reintegra e ripristina la capacità patrimoniale e finanziaria, e
quindi di pagamento, del soggetto destinatario, capacità diminuita, se non
azzerata, a causa delle passività accumulatesi durante la fase di blocco
(totale o parziale) dell'attività produttiva.
Questa immissione di valore monetario,
quindi, serve a reintegrare con un valore monetario, la capacità produttiva che
non ha potuto creare il valore corrispondente al mancato prodotto (di beni e
servizi), ovvero ha accumulato il valore negativo connesso alla continuità dei
costi sostenuti pur in assenza della possibilità di distribuzione e vendita
(dovuta sia al blocco in sé che all'intrecciato venir meno del reddito/potere
d'acquisto dei compratori potenziali, in quanto non più occupati in filiere
diverse da quella di volta in volta interessata dal blocco).
8. La “conservazione assistita” come nuovo approccio alla crisi non schumpeteriano.
Si tratta evidentemente di una condizione
"conservativa" dell'offerta, cioè del livello esistente del capitale
produttivo, ma anche, com'è evidente, dell'occupazione (e della domanda almeno
potenziale): una logica conservativa, e dunque non incline a vedere nella crisi
la consueta “opportunità”, selettiva e soppressiva, schumpeteriana.
Questa “conservazione assistita” dalla
liquidità apprestata dalla politica fiscale, nell’ambito del paradigma oggi
prevalente, appare dunque come una risposta del tutto eccezionale e, in
assunto, corrispondente alla peculiarità di una congiuntura che vede sia
l'offerta che la domanda annullate dall'azzeramento (spontaneo prima e
forzoso-emergenziale poi) dell'attività sociale, in senso lato; quindi
dell'attività umana esplicativa della soddisfazione di una gamma di bisogni
"esistenziali" (primari o artificiali che siano, non è rilevante in
termini di prodotto "mancato") in precedenza corrispondenti ad un
certo livello di produzione e scambio.
Questa eccezionalità può essere vista però
sia come una “svolta”, innescata da un atto catalitico (la pandemia), ma “maturata”
entro la precedente consapevolezza della crisi del sistema vigente della
globalizzazione istituzionalizzata; sia, invece, come vedremo, e specialmente
nelle prime reazioni dei paesi dominanti dell’eurozona, come “eccezione che
conferma la regola”. Tra l’accettazione della prima o della seconda di queste
opzioni passa la stessa differenza che c’è tra la salvezza o il naufragio.
E, al momento, le nostre relazioni
costrittive con le regole e con i partners dell’eurozona, conducono ad un
rapido quanto disastroso naufragio.
9. Le incognite del futuro immediato nel
processo di ricerca di una soluzione alla crisi innescata dalla pandemia. La re-integrazione tra Stato democratico e banca centrale, responsabile
di fronte alla comunità sociale, nel ridisegnare l’istituzione mercato.
Ma, anzitutto, non sappiamo se in effetti
questa nuova (o più esattamente: rinnovata) visione del ruolo dello Stato, che
verrebbe esteso per metonimia funzionale alle banche centrali che divengono le
protagoniste dirette o indirette, come finanziatrici monetarie, di questa
visione rinnovata, sarà portata avanti con coerenza; e cioè fino alla sua
stabilizzazione in un nuovo assetto istituzionale mondiale (per capirsi,
sostitutivo del Washington Consensus),
e quindi in modo da ripristinare “a regime” la capacità attiva delle politiche
statali di stabilizzare il ciclo economico in sinergia con le rispettive banche
centrali (e nel quadro unificante dell’interesse generale).
Questo primo aspetto, dipenderà appunto dalla
volontà, o meno, di re-integrare nello Stato, in senso politico generale, le
banche centrali: il mito dell’indipendenza potrebbe cedere di fronte al
riaffacciarsi delle prevalenza della accountability
democratica di ogni organo pubblico, in quanto legato a una mission che è anzitutto il
raggiungimento di sviluppo e benessere della comunità sociale, a cui la moneta
dovrebbe risultare sempre servente.
In sostanza, sia la fase di “conservazione
assistita” dell’offerta, sia la successiva riorganizzazione accentrativa delle
filiere su basi territoriali, non sono policies
attuabili senza il controllo dell’emissione della moneta da parte degli Stati. Salvare e riaccentrare industrialmente, non
sono operazioni rispondenti alla logica attuale del mercato (globalizzato), ma,
al contrario, sono misure che ridisegnano l’istituzione mercato, secondo i
voleri comunitari che lo Stato reinterpreta e attualizza, ponendosi al di sopra
del mercato come ordine supremo internazionalizzato.
In secondo luogo, non sappiamo, appunto,
se, invece, questa fase emergenziale sarà considerata temporanea e come tale “riassorbibile”,
riaffermandosi le vecchia regola proprio per la eccezionalità del momento.
Non sappiamo cioè se, a fronte dell’espansione
parallela dei bilanci pubblici e dei bilanci delle banche centrali,
corrisponderà, poi, in un secondo momento, più o meno prossimo, di “cessato
allarme”, l’idea della neutralità fiscale
del finanziamento monetario. Vale a dire, ciò che viene ampliato oggi, in
termini di liquidità apprestata direttamente agli Stati e/o all’economia reale
(sono due ipotesi diverse e la scelta tra esse non è ancora stata con chiarezza
compiuta), verrà poi “ripreso indietro” mediante l’azione fiscale successiva,
sempre sullo sfondo dell’idea che una crescita indotta dall’azione statale dia luogo,
sempre e soltanto, a una fiammata esclusivamente nominale e di breve periodo,
caratterizzata dal riprendersi dell’erosione inflattiva.
Questa visione si è rivelata errata e
deleteria e ha già portato il mondo nella famigerata stagnazione deflattiva (con
i tassi di interesse a zero o negativi), già prima della crisi pandemica, affogando
i redditi delle classi medie nella finanziarizzazione a vantaggio di rentier e
speculatori e nella destabilizzazione sociale dovuta all’alta disoccupazione e
precarizzazione. Ma è anche un’idea dura a morire, perché non si nutre di
realtà, bensì di deduzioni a priori che servono molto bene gli interessi, altamente
mediatizzati, delle elites del capitalismo finanziario.
10. L’eurozona come metafora della
conservazione del vecchio paradigma contro ogni evidenza.
Quel che di sicuro sappiamo, però, è che sia
una fase “conservativa assistita”, sia una fase di riorganizzazione industriale
su basi nazionali, (per quanto preconizzate dalla stessa Lagarde con riguardo
alla Francia, in una recente intervista[4]), sono non soltanto
ritenute inopportune ma prima ancora sono qualificate come “illecite” da parte dalle
regole dell’eurozona.
Questo, come di consueto, non impedirà a
Germania e Francia di perseguire il proprio interesse avviando entrambe queste
fasi per quanto riguarda la propria comunità territoriale; ma di certo, - ed a
partire dall’impossibilità normativa di un finanziamento monetario e, per la
verità anche dell’assoluta antieconomicità di un finanziamento fiscale secondo
i meccanismi rigidamente vigenti nell’eurozona -, le corrispondenti misure sono
con evidenza precluse alla Repubblica italiana, in quanto asservita alle regole
anacronistiche e pro-cicliche dell’eurozona.
(1-SEGUE)
[1] Cfr,
Luciano Barra Caracciolo:
“CAMBIARE I TRATTATI? VA BENE, MA PRIMA
LEGGETEVELI. O ALMENO FATE FINTA...”
“RIVEDERE I TRATTATI? IL VINCOLO ESTERNO SECONDO
CAFFE' E LA COSTITUZIONE”
[2] Cfr;
Luciano Barra Caracciolo
GLI OSCURI FRAMMENTI DI UN DISCORSO SCONOSCIUTO
(che ha effetti molto conosciuti e "programmati").
Il Trilemma di
Rodrik, relativo all’inconciliabilità di democrazia, sovranità e
globalizzazione economica,può essere così sintetizzato:
“In realtà esso è un ragionamento di tipo
logico-deduttivo che prefigura delle alternative, cioè delle relazioni di
"incompatibilità" tra formule di organizzazione generale della
società ("globalizzazione", sovranità nazionale e preservazione della
democrazia), in un contesto internazionalizzato.
Rodrik ci avverte, in modo indiretto ma palese, che,
se si assumono certi vincoli e finché questi sono operanti, i politici al
governo negli Stati nazionali non possono propagandisticamente raccontare ai
propri "governati", che si possano raggiungere obiettivi, - in specie
di benessere e democrazia-, che in realtà sono stati rinunciati in partenza
(dai politici stessi).
E, per di più, rinunciati senza averne informato i
propri elettori: trovarsi a fronteggiare il trilemma di Rodrik è già una prima
abdicazione della democrazia, perchè presuppone un quadro di trattati
internazionali sul cui "vero volto" i decisori politici non abbiano
detto la verità a coloro nel cui interesse dovrebbero agire!
"...democrazia, sovranità nazionale e globalizzazione
economica sono obiettivi che possono essere perseguiti solo a coppie.
Secondo Rodrik, se si vuole perseguire
l'iperglobalizzazione economica e mantenere la sovranità nazionale bisogna
rinunciare ad elementi sostanziali di democrazia.
Se si vuole salvare la globalizzazione e garantire
allo stesso tempo la possibilità di scelte democratiche, bisogna rinunciare
alla centralità della nazione in favore di autorità democratiche globali.
Se invece si intende salvare lo Stato nazione e la
democrazia politica, allora bisogna rinunciare all'iperglobalizzazione e
limitarne l'azione in alcuni settori.
Quest'ultima scelta è la soluzione preferita da Dani
Rodrik: le diversità sociali e culturali fra i popoli del mondo impedirebbero
una vera e propria democrazia globale.(ndr: Rodrik, con la sua intelligenza al
servizio della democrazia, civile ed economica, ha la stessa identica
intuizione di Hayek, solo operante in senso esattamente opposto a quanto da
questi auspicato).
Come sempre nitido e balsamico.
RispondiEliminaLa possibilità per la comunità di darsi una legge, un nomos, diverso dall’automatismo del mercato implica logicamente il rifiuto del paradigma della moneta merce/gold standard, che rende impossibile alla moneta svolgere la funzione di *misura*:
“La moneta metallica dello standard fornisce una misura che non ha alcun rapporto con il bisogno né con il lavoro, bensì esclusivamente con la sostituibilità generalizzata di tutte le cose attraverso lo scambio. Concepire una moneta che è misura soltanto a posteriori, come conseguenza del fatto di costituire un mezzo generale degli scambi, significa questo: negare all’economia un nomos che non sia interno al circuito degli scambi (al mercato, come comunemente si dice), e quindi rendere l’economia, più che autonoma, letteralmente automatica, cioè priva di un rapporto esplicito con il nomos.” (L. Fantacci, La moneta, Marsilio, Venezia, 2005, pag. 167).
Un caro augurio di Buona Pasqua a tutti. :-)
OT - Perché i morti totali in ITALIA (dati ISTAT) fino al 31 Marzo 2020 sono stati di meno che nel corrispondente periodo del 2019?
RispondiEliminaPerché l'ISTAT ha cambiato in Aprile la composizione del paniere dei comuni monitorati tutti i giorni (includendo i maggiori focolai) e nonostante questo i morti nazionali non sembrano aumentare rispetto al 2019?
Ma che razza di epidemia è una in cui si muore meno dell'anno prima?
Ha senso distruggere l'economia se si muore meno dell'anno prima?
Gli storici del futuro si domanderanno se gli italiani sono stati drogati (oltre che ingannati).
Per i dettagli vedi @gzibordi su TW.