La stagione Monti-Fornero non sarebbe mai finita se "la politica" non avesse maturato la convinzione che si può, abbastanza "tranquillamente", proseguire sullo stesso cammino del consolidamento fiscale accompagnato da "riforme" - (in particolare sulla spesa pubblica REALE per sanità, pensioni, territorio e servizi essenziali) -, semplicemente facendosi "costringere" dalle raccomandazioni Ue, dai PNRR, dai vecchi e nuovi patti di stabilità, e dalle relative minacce di procedura di infrazion€.
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
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E quale fu lo stato di eccezione colto al balzo da Sonnino per realizzare il suo programma “riformatore”, per usare il lessico odierno? La Grande Guerra, naturalmente. Come è ormai ampiamente riconosciuto dalla storiografia:
RispondiElimina“In Salandra e in Sonnino, soprattutto nel primo, non erano estranee agli obiettivi di politica estera considerazioni di natura interna. L’ingresso in guerra e la vittoria vennero considerati lo strumento che avrebbe rafforzato l’istituto monarchico, messo in discussione non solo dalle forze di sinistra, ma anche, nell’intima convinzione dei liberali conservatori, dalle politiche riformiste di Giolitti, che, per esempio, grazie al suffragio universale stavano aprendo la via al potere ai socialisti e ai cattolici. In altri termini, un successo in politica estera avrebbe favorito, dopo oltre un decennio di «dittatura giolittiana», un ricambio alla guida del paese a favore della destra liberale e avrebbe condotto alla sconfitta dello statista piemontese e dei suoi sistemi di governo; dall’inizio del conflitto Giolitti e i suoi sostenitori avevano infatti mostrato la loro preferenza per la soluzione della neutralità. La guerra sembrava offrire l’occasione propizia per coagulare tutte le forze politiche ostili al sistema giolittiano, dai democratici ai nazionalisti, anche se l’esito finale sarebbe stato, nella speranza dei due statisti liberali, l’affermazione di un regime conservatore, che realizzasse gli obiettivi del «ritorno allo Statuto», invocato da Sonnino anni prima.” (Versori, Radioso maggio, Il Mulino, Bologna, 2015, s.p.: ottimo testo, basato su tutta la documentazione disponibile).
Naturalmente questa ristrutturazione politica fu mascherata da polemica antisocialista, anche, su una scala forse senza precedenti, con l'aiuto delle fanfare dei giornaloni, Corrierone in primis (da cui caldeggiava l'intervento anche il "pacifista" Einaudi: https://orizzonte48.blogspot.com/2015/12/democrazia-federalismo-indipendentismo.html n. 2). E’ interessante che la natura sostanzialmente truffaldina delle giustificazioni addotte e l’estremismo della scelta bellica non fosse sfuggita a un uomo dell’establishment come l’ambasciatore a Berlino, Riccardo Bollati, che in una lettera privata (riportata da Varsori) si scaglia contro la politica perseguita dal governo che avrebbe condotto alla guerra, perdendo l’opportunità di ottenere il Trentino senza colpo ferire:
“E invece no, si vuole correre il rischio di non averlo [il Trentino], e magari di perdere qualcosa d’altro, e, in tal caso, di perdere centinaia di migliaia di uomini e centinaia di milioni di denaro, semplicemente perché alla Consulta e a Palazzo Braschi e al Quirinale hanno paura dell’«Idea Nazionale» e del «Corriere della Sera», i quali gridano tutti i giorni che la neutralità è il suicidio dell’Italia come grande potenza. E quando mi si pone di fronte il dilemma: o la guerra, o la rivoluzione, io ho quasi voglia di rispondere: ebbene, meglio la rivoluzione, che dopo tutto, può essere repressa e causerà minori danni che non la guerra.”
E pensa che a quel tempo non c'erano gli spread, ma il semplice affarismo dei monopoli/oligopoli nazionali (anche mediatici), per constringerti a fare la cosa giusta.
EliminaTanto più che lo Stato, per pagare le "commesse di guerra" ai patriotici monopolisti nazionali (e indirettamente lo stipendio ai giornalisti), si indebitò pesantemente con l'estero. In "oro". Cosa che, alla fine della guerra, portò a farci dire: "Riparazioni di guerra, voi? Ma se vi abbiamo prestato i soldi...per tradire? Accontatevi delle conquiste territoriali. E garantite di restituirci i nostri soldi, per il vostro armamento, per combattere la nostra guerra".
Ma non vado oltre.
Erano tutti contenti comunque, dopo, gli appartenenti alle forze mediatiche e industriali (mandanti), "interventiste".
Gli incassi furono comunque garantiti (finché Mussolini vi si opponeva era infatti uno zerovirgolista). E in più, a seguito delle inevtiabili sommosse determinate dalla destabilizzazione sociale di tale assetto mostruoso, si beccarono i medesimi, pure i soldi sottobanco per organizzarsi a sconfiggere la "minaccia" operaia ed agraria (le guerre costano, sono una sorta di turismo molto costoso, dove il turista, che spende follemente come se fosse all'estero, è lo Stato; e spende a basta a meno che non sia un predatore imperialista).
Sostanzialmente, si disse: lo Stato ha fatto spesa improduttiva e VOI (POPOLACCIO MANDATO AL MACELLO) AVETE PERCIO' VISSUTO ALDI SOPRA DELLE VOSTRE POSSIBILITA': anche se avete vinto, che vi credevate? Che vincevamo per voi?. Ci vuole meno Stato per mitigare le vostre esose pretese.
Ma poi il punto rimane: lo spread e i'Ital-tacchino da spennare fino in fondo. I tempi cambiano e vincere o perdere, in uno Stato "liberale", per le masse subalterne, dà sempre lo stesso risultato.
(L'autore della monografia che ho citato è Varsori, con la "a", chiedo scusa per il refuso).
RispondiEliminaRiguardo al debito di guerra, ancora un dato: “Italy’s war debt burden relative to its income *was the heaviest of all the Entente powers*.” Tanto per non farci mancare niente. Il resto è storia che conosciamo: “Prime Minister Francesco Nitti and the other struggling liberal governments of the post-war period had pleaded for concessions from Washington, but in vain. By contrast, Mussolini’s regime could count on considerable sympathy in the State Department and on Wall Street.” (tutto in A. Tooze, The Deluge, Penguin, N. Y., 2014, s. p.).