1. Ritengo utile riprodurre, affichè non sia disperso e anzi abbia una sua sede espositiva "organica", l'approfondimento che Arturo e Bazaar hanno compiuto circa l'universo ideologico, potremmo dire la "visione del mondo", di Hayek, in quanto depositaria della radice (anzitutto) psicologica e della stessa struttura logica del pensiero liberista.
E oltretutto, - cosa alquanto interessante agli italici fini-, in quanto portatrice di quella ambigua distinzione tra liberismo e presunto autonomo "liberalismo" (cfr; intervento di Arturo cit. nel finale), che tanto utile si riserva per tacitare le coscienze dei vari "liberali", assolvendoli dall'onere di comprendere, a un livello minimo attendibile, come funzioni il modello economico che si trovano, per lo più inconsapevolmente, a propugnare (cioè ignorandone i veri effetti materiali e le reali conseguenze sociali).
2. Abbiamo visto come sia stato lo stesso Roepke a respingere l'idea (tutta "crociana" e confinata in Italia) del potersi distinguere tra liberismo e liberalismo. Come abbiamo più estesamente visto qui:
"Röpke non condivide l'idea che si possa distinguere tra liberalismo, che
disegna l'ambito politico e culturale, e liberismo, che delinea i
confini dell'economico.
Né tanto meno condivide l'idea che possa
resistere a lungo un sistema che non coniughi la libera economia di
mercato con istituzioni politiche liberali."
Per l'appunto, la "comoda" autodefinizione come "liberale", permette di non doversi assumere l'onere di comprendere il senso scientifico-economico e l'inscindibilità del "liberismo" (dal liberalismo), evitando così la prospettiva del fronteggiare la responsabilità, morale e culturale, di tutte le varie forme di autoritarismo, anche gravi e recenti, nonchè di fallimento sociale e politico, legate al liberismo-liberalismo.
La comoda autodefinizione in questione, dunque, è una forma di autolegittimazione di ordine psicologico, spesso alimentata da un confuso (quanto appagante) idealismo circa il concetto prioritario di libertà, concetto sbandierato come sinonimo dell'agire del "mercato", senza però conoscere il senso di questo "accoppiamento" piuttosto automatico.
3. Su questo punto ci illumina subito Bazaar con questa sintesi sarcastica ma tragicamente esatta delle "conseguenze" sociopolitiche di Hayek:
"Hayek semplicemente constata che
la democrazia (intesa come "ordo") è un particolare ordinamento per cui,
chi non passa la legge darwiniana (non è abbastanza blatta o ratto), non
viene pinochettanamente lanciato giù da un aereo, ma viene "educato"
dagli strumenti di propaganda di chi - al riparo del processo
democratico - confeziona l'opinione pubblica.
Quando l'élite
blatera di libertà (o meglio di liberalismo), anche se solo per bocca
dei suoi "intellettuali" di riferimento come il mostro di Friburgo,
parla di libertà dal "processo democratico", libertà dagli interessi
collettivi.
Freedom from... freedom.
Tradotto: Power of the market free from... power of the people".
Freedom from... freedom.
Tradotto: Power of the market free from... power of the people".
4. E ci siamo: perveniamo alla democrazia idraulica, espressamente teorizzata da Hayek e assunta oggi, con un indiscusso riflesso pavloviano, come concetto dominante di democrazia "conforme" alla attuale civiltà della comunicazione dell'immagine.
E dunque contano i mezzi di comunicazione e formazione della pubblica opinione e, più ancora, ovviamente, il loro controllo e orientamento.
Per quanto più volte citato, non è mai sufficiente ripetere questo concetto hayekiano:
«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto;
è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il
controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere
alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini
debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).
Così lo stesso Bazaar, ci approfondisce il quadro del fenomeno:
"La democrazia per Hayek è essenziale dunque come metodo, non come fine.
Rifacendosi a Tocqueville, egli sottolinea infatti che la democrazia è
l'unico strumento efficace per educare la maggioranza, in quanto la democrazia è soprattutto un processo di formazione dell'opinione pubblica. Il suo maggior vantaggio sta quindi non nella sua immediata capacità di scelta dei governanti, ma nel far partecipare attivamente alla formazione dell'opinione pubblica la maggior parte della popolazione,
e quindi nel permettere la scelta fra una vasta gamma di individui.
Ma,
una volta accolta la democrazia all'interno del liberalismo, Hayek non
si stanca di ripetere che il modo in cui il liberale concepisce il funzionamento della democrazia è del tutto peculiare. [ndr, ora vai di supercazzola!]
L'idea, infatti, che
il governo debba essere guidato dall'opinione della maggioranza ha
senso solo se quell'opinione è realmente indipendente dal governo stesso,
poiché l'ideale liberale di democrazia è basato sul convincimento che
l'indirizzo politico che sarà seguito dal governo debba emergere da un
processo spontaneo e non manipolato.
L'ideale liberale di democrazia presuppone, quindi, l'esistenza di vaste sfere indipendenti dal controllo della maggioranza, entro le quali si formano le opinioni individuali.
Questa
è la ragione, dice Hayek, per cui la causa della democrazia e la causa
della libertà di parola e di stampa sono inseparabili. Da ciò
discende che l'idea ultrademocratica che gli sforzi di tutti debbano
essere guidati incondizionatamente dall'opinione della maggioranza o che
la società sia tanto migliore quanto più si conforma ai principi
comunemente accettati dalla maggioranza, è un vero e proprio
capovolgimento del principio attraverso il quale si è sviluppata la
civiltà (Enciclopedia del Novecento, 3° vol., 1978, p. 990)".
5. Si può dire (risposta a Bazaar) che "...questa è
la versione per cui processo elettorale e opinione pubblica sono due cose distinte, o meglio, il controllo esercitato sulla seconda costituisce la pre-condizione di ammissibilità del primo.
Coloro che soprassiedono saldamente alla conformazione dell'opinione pubblica, però, devono inderogabilmente essere espressione di quella Tradizione, (per la
verità molto recente...), che estrinseca e autentica ciò che può legittimamente costituire la Legge, ma avendo la sua origine nel mondo pre-istituzionale e superiore al processo elettorale.
Questa predeterminazione a priori della Legge, da parte di una oligarchia insita nell'ordine naturale delle cose, fa in modo che la
"legislazione" (cioè il prodotto istituzionale dei governi-parlamenti
designati elettoralmente) sia sempre perfettamente conforme alla Legge a gli interessi della stessa oligarchia "naturale".
Questo processo di affermazione ininterrotto della Legge, implica un circuito che definiremmo costituzionale-materiale: i produttori-proprietari, cioè gli operatori economici, titolari degli interessi (unici) che incarnano la Legge, e gli operatori culturali (accademia, giornalisti, esponenti della letteratura e dell'arte) che la esplicitano, e la rendono adeguata agli svolgimenti storico-politici, nel formare l'opinione pubblica."
6. Il sottinteso (cioè, tale da non dover essere manifestato espressamente ai soggetti che lo subiscono) presupposto elitario di esercizio del potere politico-istituzionale, come appare evidente, rende il processo elettorale (solo) un metodo di rafforzamento del potere di condizionamento dell'opinione pubblica. Cioè l'esito del processo elettorale deve essere costantemente una sua mera conseguenza.
Al punto che permette di elaborare un ulteriore camuffamento della vera titolarità del potere supremo di decisione politica: il concetto di mercato, impersonale e svincolato dall'individuazione di una qualsiasi categoria sociale di essere umani.
L'oligarchia-elite, detentrice del potere di fissare la Legge al di sopra di ogni istituzione sociale (elettiva o meno che sia), trasforma in una meta-necessità incontestabile (come le trasformazioni climatiche o gli eventi meteorologici o terremoti e cicloni), il "governo dei mercati".
7. Questo legame tra "libertà", Legge e "ordine del mercato", nell'ambito del liberismo, (che poi è il liberalismo: come abbiamo visto, inutile distinguerli ai fini fenomenologici), ci viene ben illustrato da Arturo:
"L'autonomia (dell'opinione pubblica dal governo, in quanto espressione della "tirannica" maggioranza, ndr.) che intende difendere
Hayek non va intesa come un spazio "processuale" democratico
nell'ambito del quale possono essere elaborate le più diverse soluzioni e
proposte politiche.
Tale autonomia risulta meritevole di difesa solo in quanto il
nostro ritiene che certi gruppi, che naturalmente si premura di
individuare lui, siano depositari di una propensione al mantenimento
dell'ordine spontaneo fondato su regole di pura condotta: una sorta di
Volksgeist liberista, che dev'essere preservato dall'influenza culturale
"costruttivista" (cioè dai processi normativi e di intervento pubblico, oggi, basati sulle Costituzioni democratiche, ndr.).
Ripeto però che questo comporta una nettissima clausola limitativa, in quanto l'ordine del mercato non può essere né progettato né discusso razionalmente, perché è esso stesso a produrre la ragione, salvo che questa decida "abusivamente" di allontanarsene.
Ripeto però che questo comporta una nettissima clausola limitativa, in quanto l'ordine del mercato non può essere né progettato né discusso razionalmente, perché è esso stesso a produrre la ragione, salvo che questa decida "abusivamente" di allontanarsene.
Ovvero l'autonomia di cui parla Hayek rappresenta semplicemente
l'insieme delle strategie sociali e politiche (la famosa "demarchia")
con cui intende portare avanti la sua agenda politica.
Di cui la denazionalizzazione della moneta è un elemento fondamentale, a cui una federazione europea interstatale può, nella sua stessa interpretazione (The Economic Conditions of Interstate Federalism), assolvere egregiamente.
D'altra parte gli stessi libertari italiani erano, fino a non tanto tempo fa,
disponibilissimi nei confronti dell'euro proprio per i suoi effetti di
smantellamento dello stato sociale (vedi più estesamente De Soto,
con ricche citazioni di Hayek e Mises); ora, con altrettanto
pragmatismo (tira una certa arietta...), lo (ri)mandano "...al diavolo".
8. E dopo questa anamnesi, impietosa, ma nondimeno (almeno ai miei occhi) ben capace di fare chiarezza sul vero senso politico di tutto lo spaghetti-strepitio su "libertà&(convenienza delle) elites economiche", lo stesso Arturo ci propone una diagnosi che prefigura una parte della terapia:
"Una delle (tante) obiezioni che è
stata rivolta ad Hayek è l'implausibilità sul piano storico-sociologico
della qualifica di "spontaneo" all'ordine del mercato. Perché mai
sarebbero spontanei l'imposizione delle norme del code civil in materia
di rapporti di lavoro o il regime di proprietà realizzato dalle
enclosures, ma non forme di controllo pubblico del credito?
Ovvero come si fa a separare storicamente
"costruttivismo" e "spontaneità", pubblico e privato, se non sapendo già
fin dall'inizio che cosa si intende trovare?
E' interessante notare che questa obiezione è stata formulata sia da difensori della democrazia interventista sia da suoi acerrimi nemici, come Rothbard, che riteneva appunto storicamente implausibile, e quindi politicamente debole, il criterio proposto da Hayek."
E' interessante notare che questa obiezione è stata formulata sia da difensori della democrazia interventista sia da suoi acerrimi nemici, come Rothbard, che riteneva appunto storicamente implausibile, e quindi politicamente debole, il criterio proposto da Hayek."
9. Sempre da Arturo, cercando di selezionare tra le cose, sempre significative, che ci propone, possiamo infine meglio comprendere, ormai, alcune conclusioni riassuntive dell'intero quadro finora tratteggiato:
"...Hayek, poverino, ci aveva anche
provato a contrapporsi alle teorie keynesiane negli anni Trenta: il
risultato fu che si coprì di ridicolo (c'è un celebre passo della
biografia di Ebenstein che è molto divertente) e perse alcuni dei suoi
più brillanti allievi, come Lerner e Kaldor...
Dopodiché, da
quell'intellettuale tout politicien che è, fu molto cauto a calibrare i
suoi attacchi, paludandoli con un armamentario filosofico che gli
consentiva la libertà di manovra di cui aveva bisogno (la lettura in
sequenza delle sue successive prefazioni alla Via verso la schiavitù è
veramente illuminante a questo proposito).
Fu purtroppo molto efficace
sul piano politico-ideologico ed è per questo che qui ce ne occupiamo,
mentre i veri e propri anarco capitalisti - con tutto il rispetto -
almeno in Italia si possono tranquillamente ignorare (se non per le
munizioni che possono fornire contro gli stessi Hayek e co.).
In ogni caso, su quelli che erano i suoi obiettivi ultimi, credo sia molto istruttiva la lettura di questo articolo di Corey Robin:
"The distinction that Hayek draws between mass and
elite has not received much attention from his critics or his defenders,
bewildered or beguiled as they are by his repeated invocations of
liberty.
Yet a careful reading of Hayek’s argument reveals that liberty for him is neither the highest good nor an intrinsic good. It is a contingent and instrumental good (a consequence of our ignorance and the condition of our progress), the purpose of which is to make possible the emergence of a heroic legislator of value."
Yet a careful reading of Hayek’s argument reveals that liberty for him is neither the highest good nor an intrinsic good. It is a contingent and instrumental good (a consequence of our ignorance and the condition of our progress), the purpose of which is to make possible the emergence of a heroic legislator of value."
Il che consente di
chiarire ulteriormente, casomai ce ne fosse bisogno, il significato e il
valore che Hayek poteva attribuire all'indipendenza dei più."
Traduco il brano citato in inglese per la miglior comprensione di tutti, dato che l'intuizione di Corey Robin ci pare particolarmente attagliarsi per spiegare l'ostinato equivoco su "libertà&libertari" che accompagna l'impoverito e riduzionistico dibattito politico dell'odierna Italietta, filo-europea senza aver neppure imparato a riconoscerne, veramente, le ricadute e i costi (economici e democratici):
"La distinzione che Hayek istituisce tra massa e elite non ha ricevuto una grande attenzione dai suoi critici e dai suoi (stessi) sostenitori, sconcertati o sedotti dal suo continuo invocare la libertà.
Tuttavia un'attenta lettura del ragionamento di Hayek rivela che per lui la libertà non è nè il bene supremo nè un bene in sè. E' un bene contingente e strumentale (una conseguenza della nostra ignoranza e la condizione del nostro progresso), il cui fine ultimo è rendere possibile l'emergere di un legislatore eroico del "valore". Cioè l'ordine del mercato, fondamento della stessa razionalità che, apparentemente impersonale, è invece, molto personalisticamente, quella della convenienza della elite...
Da questo ENORRRRME post io deduco, fra tutte, una cosa che avevo già dedotto da tempo e che continuo a ripetere: perché la Democrazia possa essere effettiva, ogni avente diritto deve costruire la propria opinione partendo da se stesso e dal proprio studio delle questioni in modo da poterle osservare con occhio critico e quindi cognizione di causa. Ancora non so se ridere o piangere ripensando a chi ha provato a convincermi che "in Democrazia l'informazione corretta deve arrivare dai media" senza pensare che tale informazione sta in mano o alla maggioranza "tiranna" verso le minoranze o, più spesso e concretamente, in mano a chi detiene il controllo dei mezzi d'informazione (che è in minoranza numerica ma in "maggioranza economica", mettiamola così). Io continuo a non nemmeno intravedere possibilità di ripristino di una forma di "Democrazia reale" senza prima passare nuovamente dei periodi orribili come quelli che furono della Seconda Guerra Mondiale. Non vedo presa di coscienza "spontanea" nella popolazione, se non in un numero a mio avviso ancora piuttosto trascurabile di individui (molti dei quali sono lettori più o meno regolari dei "soliti blog"). E qui parlo da persona di esperienza: come si sottolineava tempo addietro, l'Italia ma non solo sta vivendo un periodo di "sicilianizzazione" (e mi fa male riscriverlo) e le varie popolazioni mi sembrano molto "siciliane", in questo contesto. Nel senso che al pari della stragran maggioranza dei siciliani (dopo oltre un secolo e mezzo) ste genti non c'hanno ancora capito un...posso scrivere "cazzo"?
RispondiElimina...e non lo vogliono capire. L'altra volta ho seguito lo streaming delle proteste di Francoforte. Roba da mettersi le mani nei capelli a sentire le minchiate che strillavano al megafono. Soprattutto gli italiani...mamma mia, meglio non pensarci.
Ciao, Lucianone. :)
Articolo davvero molto interessante. Faccio notare, però, che, una certa teoria della sovranità popolare democratica così come assunta negli schemi liberali, ha il suo primo difetto d'origine a partire da Rousseau. Egli annulla ogni diritto di resistenza individuale in una precostituita e astratta volontà generale in questo modo: "chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto da tutto il corpo, ciò non significa altro se non che lo si obbligherà ad essere libero". A partire da ciò si costituisce quell'orizzonte predeterminato addetto al controllo che così bene avete descritto per Hayek, ma proprio per tale ragione il campo democratico diviene spoliticizzato e nessuna resistenza può veramente darsi. Proprio come i suoi contemporanei fisiocratici e come avete brillantemente esposto per Hayek, Rousseau, affermava che ci fosse un ordine naturale "spontaneo" delle forze (ma ciò non implica già un intervento?). Il compito dell'uomo sarebbe quindi, quello di accompagnare e assecondare un tale e presunto "ordine naturale". Dunque la società più conforme ai dettami "naturali" dell'uomo non può che essere quella in cui domini una astratta volontà generale che assogetti gli uomini per renderli più liberi per governarne le azioni. Si può capire quanto tutto ciò sottointenda ed implichi gli sviluppi successivi di una "democrazia totalitaria" quale quella teorizzata da Hayek.
RispondiEliminaRocco Ricciarelli
ROCCO & FRATELLI
EliminaVarrebbe la pena - a "chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto da tutto il corpo, ciò non significa altro se non che lo si obbligherà ad essere libero"- di ricordare loro che le numerose documentate analisi storiche, giuridiche ed economiche in tanti molti "orizzonti" potrebbero condurre a considerare sistemi di governi COSTITUZIONALI - per altro già sostanzial/mente scritti - per GESTIRE BISOGNI GENERALI DI COMIUNITA' SOCIALI.
Su vH. ho s'hanno da avere reazione emetiche civili sul criminogeno inoculato ma - aihnoi - s'hanno da catalogare, nuovamente oggi, il "casta-cricca-corruzione-evasione" del E'POSSIBILE
E di cose da dire ce ne sarebbero ancora parecchie :-), tanto più che prosegue lo smarcamento liberista dall'euro: ora ci si prova niente meno che uno dei fondatori del Bruno Leoni.
RispondiEliminaLa risposta a queste considerazioni, sul piano storico corrette (nel senso che è vero che Hayek fu favorevole a un sistema di banche centrali solo fino a un certo punto per poi invece abbracciare il free banking), sta in quell'intervento di Otmar Issing riportato nel libro, che è bene ricordare agli hayekiani improvvisamente scopertisi noeuro: "Therefore, although the path taken to achieve denationalisation of money has been very different than that advocated by Hayek, the ultimate objective being sought by Hayek, i.e., monetary independence from political interference and price stability, have, to all intents and purposes, already been achieved."
Il grande scandalo sollevato da Lottieri sarebbe il QE. Se è patetica l'affermazione circa le spirali inflazionistiche imminenti in cui la "mossa del Draghi" finirà col precipitarci (se vorrà essere coerente con i suoi colleghi americani, di qui a non molto comincerà a sostenere che le statistiche sull'inflazione sono manipolate: Krugman li chiama "inflantion truethers" :-)), è vero che quella di Mariolone è una manovra politica. Come se politica non fosse la scelta di scambiare i costi sociali che una crisi finanziaria in un sistema bancario privo di un prestatore di ultima istanza istituzionale scaricherebbe sulla collettività (dei quali si rendeva perfettamente conto già a suo tempo anche quello che sarebbe stato per inclinazione personale un fautore del free banking come Walter Bagehot), pur di scongiurare il controllo democratico di quelle che, appunto, sono scelte politiche. Poi qualcuno si stupisce che questo signore abbia appoggiato Pinochet.
Ma ti rendi conto che dobbiamo ancora sentire di spirali inflazionistiche legate al QE in generale e a quello BCE in particolare?
EliminaNon gli basta che persino i monetaristi UEM inizino a renderesi conto che l'inflazione al 2% "stabile" insieme col pareggio di bilancio (la chiave è sempre il controllo dell'intervento statale) risulta distruttiva e non riesce a mantenere neppure la disoccupazione al 10 e rotti per cento?
Un'inflazione astrattamente "monetarista", facendo finta che non sia legata al mercato del lavoro, è ormai una chimera a cui credono solo in Italia (almeno i tedeschi la predicano per mantenere un enorme surplus e li si può capire)...
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EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaLa retorica sulla libertà è un problema da cui è necessario, appunto, liberarsi - di nuovo - e in fretta.
EliminaLo smarcamento liberale dall'euro mi pare frattalicamente lo smarcamento liberale dal fascismo.
Quando ho letto quell'articolo del nipotino di Pinochet su Il Giornale è venuta anche a me la voglia di citare Otmar Issing all'odiatore dell'umanità (che il Linneo che c'è in me lo classificherebbe come esemplare di filantropo-homofobo).
D'altronde Lottieri è uno di coloro che pare abbia un profilo umano di una piattola, ovvero pare uno che passi il darwinismo sociale come blatta. Tra lui e quel panteganone di Vaciago fanno a gara a bestemmiare il Logos d'Iddio.
Ma si sa, la nemesi è karmika, e i liberali nascono in età lemurica... ;-)
Nelle ricerche sul liberalismo sono rimasto affascinato e inquietato principalmente da due aspetti:
1 - le assurde (e inutili) elucubrazioni di giganti del pensiero come Kelsen e Popper (con l'aggravante che Popper fosse un bel po' fuori "tempo massimo")
2 - l'esaltazione (ripeto, esaltazione) nella retorica liberale: in particolare in quella di derivazione austriaca importata in USA. Esaltazione che sa molto, molto, di totale ignoranza facile preda di strumentalizzazione per fini "colonialisti" (vedi anche le tristi e ridicole succursali alla Facco, de facto collaborazioniste) o, dal lato opposto, per fini di sterilizzazione del dissenso.
Risparmio anch'io le tonnellate di argomentazioni per cui è demenziale impiantare un sistema ideologico sulla libertà, per di più nella storica accezione anglosassone di freedom from, che è "ontologicamente", "eticamente" un concetto che non ha nulla a che fare con l'idea di libertà nel senso sostanziale di "freedom to", propria delle democrazie costituzionali, con cui le assurde e astoriche paranoie alla Tocqueville perdono gran parte della loro significanza.
Elimina(La si pianti poi di citare Keynes come esempio di "liberale", visto che la sua, come si evince in "Am I liberal?" è una scelta ovviamente di carattere partitico, non ideologico come fecero, invece, i socialisti liberali italiani. Sì, Rosselli non era liberista ma, guarda un po', era un federalista, come Salvemini ed epigoni. Ci sarebbero chilometri di argomentazioni, poi, a partire da quelle esposte dal giovane Lenin, per capire il ruolo reazionario dei laburisti di genesi owenista e fabiana, con cui però, Keynes terrà un contatto di natura culturale molto stretto)
Comunque sia lo storico (e sterile) dibattito sul rapporto tra libertà ed eguaglianza viene definitivamente chiuso di fronte a quel centinaio di milioni di morti violente della prima metà del XX secolo.
Gli ordinanamenti moderni vengono fondati sulla "dignità dell'Uomo" e si sostanzializzano obbligando i rappresentanti delle comunità sociali a perseguire un ben definito paradigma economico: nascono la Costituzione Italiana e, subito dopo, senza neanche citare i diritti di copyleft, la "Dichiarazione universale dei diriiti umani".
Certo, senza un coscienza democratica collettiva, queste incredibile conquiste del genere umano difficilmente possono sopravvivere a lungo.
Chi ha continuato, con la scusante del terrore stalinista, a farneticare di liberalismo e stato minimo come Popper (perché bisogna pur dirlo che non stava nella Mont Pelerin Society a caso, con la cravattina di Adam Smith) ha tenuto, volens nolens, la porta aperta per riproporre la "dichiarazione relativa dei doveri degli zotici".
E comunque, per tener d'occhio come intendono proseguire questo branco di psicopatici esaltati (che solo quella buon'anima del giudice Falcone poteva definire "menti finissime"), è interessante vedere la penetrazione che avranno le criptomonete negli scambi commerciali: perché 'sti menomati con disturbi gravi, per riuscire a dormir la notte e non vivere con l'angoscia per cui gli "sdentati" si riprendano il controllo sovrano e democratico della moneta, sono disposti a tutto. A eleminare il contante e digitalizzare totalmente la moneta, rendendola formalmente idipendente anche dal sistema delle banche centrali... salvo poi, ovviamente, controllarla indirettamente come avviene già con le criptomonete. TINA & "non si può tornare indietro". La glorious revolution dei porceddu.
Eppure basterebbe solo un buon terapeuta e qualche buona molecola sintetizzata...
Pure in America son belli vispi: "People who declared back in 2009 that Keynesianism was nonsense and that monetary expansion would inevitably cause runaway inflation are still saying exactly the same thing after six years of quiescent inflation and overwhelming evidence that austerity affects economies exactly the way Keynesians said it would.
EliminaAnd we’re not just talking about cranks without credentials; we’re talking about founders of the Shadow Open Market Committee and Nobel laureates."
Temo però non ci sia da trarne motivo di consolazione. Anzi.
LE PALME DELL’ULIVO
RispondiElimina(OTC )
S’hanno – forse - da ripercorre le vie di Damasco per una “desiderata” conversione anche perché dalle brodosità primordiali della “democrazia” è difficile il le(a)varsi.
E’ – come da sempre – il dado “domenicano” dell’eugenetico che stimola qualche attività organica ancora vitale.
S’avrebbero da considerare le “montate” (ndr, molto lattee) di questi periodi della dirompenza delle attività del ESECUTIVO negli ambiti prevalentemente GIUDIZIARIO nel silenzio LEGISLATIVO, senza considerazione alcuna che le SEPARAZIONI & INDIPENDENZA DEI POTERI sono base (x altezza) DELLA DEMOCRAZIA.
La chiusa è strepitosa e da olà calcistica: MENO MALE CHE DRGAHI C’E’
Esso - cioè esso - scrive e verga ancora una volta i CONGRUI INTERESSI INTERESSATI di un "intelletto" scrivente e di un "ufficiale" pagatore.
Vabbè .. anche oggi c’è , quasi, da sor/ridere nella troppa con/fusione che “sembra quasi una b(t)omba “
;-)