1. Dato che mi serve per il libro e che mia capacità di "resistenza" a stare lontano da qui (per ora) è bassissima, provo a commentare sinteticamente un interessante articolo di Enrico De Mita, illustre professore di diritto tributario, quale segnalatomi da Lorenzo Carnimeo in questo commento (con prima risposta).
Vi preannunzio che l'articolo, al di là delle precisazioni a commento che seguiranno, conferma che il "redde rationem" italiano rispetto all'€uro-costruzione passa inevitabilmente per quella potente cartina di tornasole che è la Corte costituzionale; questo perchè non solo anche il prof. De Mita coglie la polarizzazione "da ultima spiaggia" tra le due sentenze n.10 (quella sulla Robin tax che non consente la restituzione "retroattiva", conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale del tributo) e n.75 del 2015 (quella "famosa" oggi sull'adeguamento pensionistico), ma inevitabilmente anche il suo ragionamento si imbatte, (per quanto cautamente, circa la soluzione), nella conseguenza del conflitto insanabile tra Costituzione e trattati.
2. Qua, nel post sul 1° maggio, avevamo anticipato i corni del dilemma, come pure la strada su cui la Corte, anche "tornando indietro" sui suoi passi, si troverà comunque, in un senso o nell'altro, a segnare il destino della Costituzione come fonte di diritti fondamentali che caratterizzano la sovranità nazionale:
"...invito i più attenti lettori di questo blog a riflettere su un "trovate le differenze" tra la sentenza in questione (n.70/2015) e quella sulla Robin Tax, n.10 dell'11 febbraio 2015.
Mi limito a suggerire una direzione di indagine:
- è più "equo" accorgersi degli effetti di restituzione retroattiva delle sentenze della Corte in vigenza dell'art.81 Cost.- cioè del pareggio di bilancio- per impedire una successiva redistribuzione punitiva derivante dalle esigenze di costante copertura appunto in pareggio di bilancio (caso della sentenza n.10), ovvero "ignorare" che, vigendo l'art.81 Cost. attuale, e il fiscal compact, qualcuno dovrà comunque pagare quella apparente restituzione e, dunque, l'intero sistema economico subire (per via fiscale) una equivalente contrazione (esattamente compensativa di quella dichiarata incostituzionale) di consumi, investimenti e occupazione?"
3. Evidentemente, messa in questi termini, il nodo che la Corte deve inevitabilmente sciogliere è un altro, dovendosi logicamente e giuridicamente ritenere inaccettabile una continua riduzione dei diritti costituzionali, ancorati a norme inderogabili (in teoria, fino ad oggi), a mere pretese a tutela eventuale (se non "casuale"); vale a dire, a posizioni soggettive organicamente affievolite dall'adesione all'Unione monetaria europea, in quanto aventi una tutela effettiva che sia soggetta;
a) nel suo complesso alla prevalenza del pareggio di bilancio stabilito dal "nuovo" art.81 Cost. (che equivale a dire alla prevalenza del c.d. fiscal compact), secondo un automatismo che svuota praticamente di contenuto tutelabile (cioè reintegrabile) l'intera gamma dei diritti costituzionali;
b) in alternativa, ad una discrezionalità della Corte, non prevista dalla Costituzione (intesa in senso sistematico), nel riscontrare i presupposti di questa prevalenza: una discrezionalità giuridicamente "imprevidibile", perchè operante su una molto opinabile gerachia fra i diritti costituzionali non più interpretati, appunto, sistematicamente, ma isolatamente considerati, e perciò ben difficilmente motivabile con coerenza.
Altrettanto sistematica, infatti, dovrebbe essere la considerazione, da parte della Corte, dell'effetto complessivo, e reiterato costantemente nel tempo, delle manovre finanziarie che includono le singole norme devolute al suo sindacato: queste manovre, infatti, rientrano complessivamente nel tipo di correzione del sistema e del ciclo economico che, imposta dai vincoli europei, tende univocamente a stabilizzare un elevato livello di disoccupazione strutturale, - pari al 10,5%- in funzione dell'inflazione considerata nell'UEM come di equilibrio "di pieno impiego" ; un obiettivo strutturale che rende ingiustificabili le stesse manovre alla luce del principio lavoristico a cui è informata l'intera Costituzione.
Altrettanto sistematica, infatti, dovrebbe essere la considerazione, da parte della Corte, dell'effetto complessivo, e reiterato costantemente nel tempo, delle manovre finanziarie che includono le singole norme devolute al suo sindacato: queste manovre, infatti, rientrano complessivamente nel tipo di correzione del sistema e del ciclo economico che, imposta dai vincoli europei, tende univocamente a stabilizzare un elevato livello di disoccupazione strutturale, - pari al 10,5%- in funzione dell'inflazione considerata nell'UEM come di equilibrio "di pieno impiego" ; un obiettivo strutturale che rende ingiustificabili le stesse manovre alla luce del principio lavoristico a cui è informata l'intera Costituzione.
Una discrezionalità di questo tipo non riguarderebbe la, sempre possibile, incerta previsione sulla esatta interpretazione delle norme costituzionali nel caso concreto, cioè la naturale possibilità di scelta interpretativa in funzione delle vicende socio-economiche in evoluzione nel tempo, ma la fase successiva alla declaratoria di illegittimità costituzionale; quella conseguenziale "necessitata",- secondo l'art.136 Cost. e secondo il principio di rigidità dellaCostituzione (art.138) e persino di non revisionabilità della stessa (art.139)-, di reintegra del diritto affermato e dunque "tecnico-finanziaria a valle".
Parliamo quindi delle conseguenze ripristinatorie che la Costituzione prevede come effetto necessario della tutela costituzionale già accordata (art.136 Cost.; ciò ovviamente concerne, spero sia chiaro, l'applicabilità delle norme dichiarate illegittime nei rapporti pendenti, certamente non esauriti, e controversi di fronte ai giudici "ordinari" che hanno rimesso la questione alla Corte).
E' chiaro che la stessa Corte, di fronte al sistematico riproporsi di questa esigenza tecnico-finanziaria, si troverebbe nell'alternativa, molto pratica:
i) o, (per evitare il protrarsi di questa prolungata incertezza sulla effettività dei principi costituzionali), di rinunciare progressivamente a interpretare le norme costituzionali in senso incompatibile con la radice €uropea di questa linea di politica economico-fiscale, accettando de facto la novazione del principio fondamentale unificante della Costituzione: il che significa una novazione da quello lavoristico e quello della conservazione "ad ogni costo" della moneta unica, così come ratificato nel fiscal compact-pareggio di bilancio. Con ciò, però, rinuncerebbe al ruolo che la stessa Costituzione le ha assegnato, divenendo un giudice del tutto soggetto alla superiorità incondizionata dell'intero diritto europeo;
ii) ovvero, di prendere una posizione che ribadisca il filtro dell'art.11 e dell'art.139 Cost. - da lei stessa affermato in più pronunce- confermando il paradigma della Repubblica fondata sul lavoro (artt. 1, 3 e 4 della Costituzione); ma questo solo affrontando il "cuore del problema":
"...cioè il legame tra:
- livello del bilancio fiscale, ridotto col "consolidamento" (quantomeno nelle intenzioni dichiarate, poichè i risultati, a causa dello strutturarsi di un elevato livello di disoccupazione, sono in pratica opposti o incongruenti, come prova l'aumento del rapporto debito su PIL e il costante mancato verificarsi della riduzione del deficit annuale programmato nelle stesse manovre finanziarie);
- vincolo a monte del consolidamento, cioè il pareggio di bilancio (in tutte le sue forme, comunque riduttive dell'indebitamento annuo);
- e disoccupazione-livello delle retribuzioni (e quindi anche del successivo trattamento pensionistico);
..."dovendo" chiarire, a se stessa e alla comunità sociale intera, coinvolta nella tutela costituzionale, il perchè si sia adottato il paradigma del pareggio di bilancio, e comunque (da decenni, in un crescendo, niente affatto casuale ed estraneo al meccanismo prevedibile della moneta unica) della riduzione/compressione del deficit pubblico; cioè una politica fiscale che non promuove certo la crescita, l'occupazione e la tutela reale del reddito da lavoro".
E' chiaro che la stessa Corte, di fronte al sistematico riproporsi di questa esigenza tecnico-finanziaria, si troverebbe nell'alternativa, molto pratica:
i) o, (per evitare il protrarsi di questa prolungata incertezza sulla effettività dei principi costituzionali), di rinunciare progressivamente a interpretare le norme costituzionali in senso incompatibile con la radice €uropea di questa linea di politica economico-fiscale, accettando de facto la novazione del principio fondamentale unificante della Costituzione: il che significa una novazione da quello lavoristico e quello della conservazione "ad ogni costo" della moneta unica, così come ratificato nel fiscal compact-pareggio di bilancio. Con ciò, però, rinuncerebbe al ruolo che la stessa Costituzione le ha assegnato, divenendo un giudice del tutto soggetto alla superiorità incondizionata dell'intero diritto europeo;
ii) ovvero, di prendere una posizione che ribadisca il filtro dell'art.11 e dell'art.139 Cost. - da lei stessa affermato in più pronunce- confermando il paradigma della Repubblica fondata sul lavoro (artt. 1, 3 e 4 della Costituzione); ma questo solo affrontando il "cuore del problema":
"...cioè il legame tra:
- livello del bilancio fiscale, ridotto col "consolidamento" (quantomeno nelle intenzioni dichiarate, poichè i risultati, a causa dello strutturarsi di un elevato livello di disoccupazione, sono in pratica opposti o incongruenti, come prova l'aumento del rapporto debito su PIL e il costante mancato verificarsi della riduzione del deficit annuale programmato nelle stesse manovre finanziarie);
- vincolo a monte del consolidamento, cioè il pareggio di bilancio (in tutte le sue forme, comunque riduttive dell'indebitamento annuo);
- e disoccupazione-livello delle retribuzioni (e quindi anche del successivo trattamento pensionistico);
..."dovendo" chiarire, a se stessa e alla comunità sociale intera, coinvolta nella tutela costituzionale, il perchè si sia adottato il paradigma del pareggio di bilancio, e comunque (da decenni, in un crescendo, niente affatto casuale ed estraneo al meccanismo prevedibile della moneta unica) della riduzione/compressione del deficit pubblico; cioè una politica fiscale che non promuove certo la crescita, l'occupazione e la tutela reale del reddito da lavoro".
4. Questo l'articolo del professor De Mita, tratto dal Sole 24 ore (in corsivo il testo, inframezzato dal commento):
"Per inquadrare correttamente nella giurisprudenza costituzionale la
sentenza della Corte 70/2015 sul blocco della rivalutazione delle
pensioni occorre partire da alcune considerazioni di carattere generale
sulle quali ha richiamato l’attenzione Sabino Cassese nel suo originale
libro «Dentro la Corte». Le questioni della Corte sono filtrate
attraverso il diritto; non si affronta direttamente il problema
politico. La Corte è davvero un organo giudiziario che riconduce i
conflitti politici o costituzionali ai criteri di razionalità logica,
alla coerenza. Molti casi hanno implicazioni politiche o costituiscono
decisioni politiche sia pure a seguito di analisi tecnico-giuridica e
sulla base di elementi di razionalità riconducibili alla ragionevolezza.
La Corte “motiva ma non spiega”.
Ecco perché le sentenze della Corte
difficilmente sono capite dall’esterno. E tuttavia il peso della Corte
dipende dalla forza con la quale i poteri dello Stato la sorreggono.
Tutte le sentenze della Corte sono fondate sul precedente. La sentenza
70/2015 è frutto di una concatenazione di precedenti, di riferimenti a
decisioni già prese sicchè non è agevole comprendere il decisum che
viene formulato alla fine della decisione. Lo sforzo delle sentenze, la
motivazione, è la dimostrazione della coerenza decisione con il
precedente.
Le sentenze vengono istruite sulla base di una collaborazione degli
assistenti dei giudici che sono giudici e professionalmente tendono a
non vedere la questione costituzioni e politiche.
I riferimenti al
diritto comune sono fatti con l’adeguamento al “diritto vivente”, alla
giurisprudenza dei giudici ordinari, il che può essere un limite alla
impostazione in termini costituzionalmente rilevanti della questione.
Complessivamente si può dire che c’è una certa autoreferenzialità, che
rende la Corte prigioniera di se stessa."
Qui si manifesta una questione generalissima di civiltà giuridica: non è a rigore corretto definire autoreferenziale un organo giurisdizionale che sia naturalmente coerente coi propri precedenti, trattandosi oltretutto di giurisdizione di legittimità costituzionale; la Costituzione, nata per durare nel tempo secondo il suo ruolo di direttrice fondamentale della vita socio-economica, esige un continuo e omogeneo svolgimento della certezza e del significato delle sue previsioni.
Se si guarda all'esperienza delle Corti giurisdizionali di tutto il mondo, specie quelle anglosassoni di common law che applicano lo "stare decisis" (cioè la vincolatività, creatrice di diritto, del precedente giurisprudenziale), e di quelle costituzionali in particolare, non ce ne sarà una che non sia, e correttamente, "autoreferenziale": lo è la stessa Corte di giustizia dell'Unione Europea, proprio perchè la prevalente esigenza di certezza del diritto, per quanto si tenga conto di una storicità adeguatrice, non dà alternative al funzionamento fisiologico di ogni organo giurisdizionale.
La verità è un'altra: la questione nasce perchè esiste una norma come il pareggio di bilancio che è estranea alla sostanza ordinatrice delle norme della Costituzione del 1948, cioè agli interessi fondamentali che questa intendeva realizzare e tutelare: tale norma, in realtà, è il portato di un modello socio-economico diverso e incompatibile con quello del 1948.
I giuristi e la Corte dovrebbero quanto prima, se non altro per poter dire senza reticenze la verità, rendersene conto.
L'art.81 Cost attuale, di per sè stesso, è norma di sistema, cioè di ridisegno della funzione dello Stato, e come tale è destinato, per sempre (almeno finchè permarrà nella Costituzione) a influire su ogni singola norma della originaria Costituzione.
Più di ogni altra, assegna un nuovo ruolo al mercato del lavoro, e quindi alla tutela del lavoro, alla moneta ed al risparmio, e quindi a tutte quelle proiezioni di risparmio e moneta che la Costituzione voleva legate a "accesso all'abitazione" in generale alla "proprietà" per "tutti" (artt.42 2 47 Cost.), allo stesso risparmio "diffuso" (art.47 Cost.), in generale alla intrapresa nell'attività agricola (art.47) e industriale-artigianale di piccola dimensione (art.46 Cost): cioè ai fondamenti di quella democrazia del lavoro, in ogni sua forma, che era voluta dai Costituenti.
I giuristi e la Corte dovrebbero quanto prima, se non altro per poter dire senza reticenze la verità, rendersene conto.
L'art.81 Cost attuale, di per sè stesso, è norma di sistema, cioè di ridisegno della funzione dello Stato, e come tale è destinato, per sempre (almeno finchè permarrà nella Costituzione) a influire su ogni singola norma della originaria Costituzione.
Più di ogni altra, assegna un nuovo ruolo al mercato del lavoro, e quindi alla tutela del lavoro, alla moneta ed al risparmio, e quindi a tutte quelle proiezioni di risparmio e moneta che la Costituzione voleva legate a "accesso all'abitazione" in generale alla "proprietà" per "tutti" (artt.42 2 47 Cost.), allo stesso risparmio "diffuso" (art.47 Cost.), in generale alla intrapresa nell'attività agricola (art.47) e industriale-artigianale di piccola dimensione (art.46 Cost): cioè ai fondamenti di quella democrazia del lavoro, in ogni sua forma, che era voluta dai Costituenti.
5. "Le critiche alla sentenza
70/2015 sono di carattere esterno e riguardano il rapporto con gli altri
poteri dello Stato. La motivazione è semplicistica: la Corte non può
fare cose riconducibili al potere politico. E’ una tesi che prova
troppo. Allora bisogna chiedersi (come disse il presidente Ambrosini nel
1992) che cosa ci stia a fare la Corte se non può stabilire i limiti
che incontra il parlamento nella sua discrezionalità politica, che pure è
un altro punto fermo della giurisprudenza costituzionale: il parlamento
può fare tutto ciò che non viola la Costituzione. La sentenza 70/2015
non può essere capita dall’esterno se la critica è così radicale. La
ragione è che la Corte non ha saputo spiegare in termini semplici e
chiari che non esisteva il vincolo di bilancio.
Nella sentenza 10/2015 il riferimento al principio di bilancio fu un
modo come un altro per giustificare la deroga alla retroattività della
decisione presa. La sentenza 70/2015 appare un po’ frettolosa, anche se,
a parer mio, giuridicamente corretta".
Questa parte è molto interessante: la sentenza della Robin Tax (la 10 del 1975), sarebbe il frutto di un "modo come un altro" per giustificare la deroga alla retroattività; eppure, a leggere la stessa sentenza, l'enunciato della Corte non appare essere in questi termini.
La sensazione, molto forte, quindi, è che la Corte abbia inteso porre un principio "da qui in poi": proprio quello della "fine" della retroattività delle restituzioni in presenza dei vincoli di bilancio derivanti dall'appartenenza all'eurozona.
In realtà il problema si poneva in identici termini, solo quantitativamente "minori", in relazione alla misura del 3% del deficit, consentendo alla Corte di evitare affermazioni troppo decise e affidandosi alla maggior elasticità fiscale (non molto maggiore, in concreto, data la fissità del vincolo ed il modo in cui è stato intesa dalle istituzioni europee in applicazione consolidata dell'art.126 TFUE), in precedenza lasciata dall'Europa.
Solo che, data la natura espressamente non solidaristica dei trattati (artt. 123-125 Cost.), quella maggior elasticità è "morta" insieme con il manifestarsi inevitabile degli squilibri commerciali tra paesi appartenenti alla moneta unica: la conseguenza, di cui la Corte non pare ancora essersi resa conto, è che la svalutazione del lavoro mediante deflazione salariale si è resa indispensabile come strumento unico di correzione degli squilibri commerciali, e di recupero della competitività delle esportazioni.
La sensazione, molto forte, quindi, è che la Corte abbia inteso porre un principio "da qui in poi": proprio quello della "fine" della retroattività delle restituzioni in presenza dei vincoli di bilancio derivanti dall'appartenenza all'eurozona.
In realtà il problema si poneva in identici termini, solo quantitativamente "minori", in relazione alla misura del 3% del deficit, consentendo alla Corte di evitare affermazioni troppo decise e affidandosi alla maggior elasticità fiscale (non molto maggiore, in concreto, data la fissità del vincolo ed il modo in cui è stato intesa dalle istituzioni europee in applicazione consolidata dell'art.126 TFUE), in precedenza lasciata dall'Europa.
Solo che, data la natura espressamente non solidaristica dei trattati (artt. 123-125 Cost.), quella maggior elasticità è "morta" insieme con il manifestarsi inevitabile degli squilibri commerciali tra paesi appartenenti alla moneta unica: la conseguenza, di cui la Corte non pare ancora essersi resa conto, è che la svalutazione del lavoro mediante deflazione salariale si è resa indispensabile come strumento unico di correzione degli squilibri commerciali, e di recupero della competitività delle esportazioni.
In questi termini, appare evidente che, da un lato, il pareggio di bilancio serve solo a "salvare l'euro", dall'altro che esso è diretto a reindirizzare lo Stato verso politiche deflattive del lavoro, tradendo tutti gli articoli più importanti inseriti nei diritti fondamentali della Costituzione. Cioè, in testa, il diritto al lavoro (artt. 1 e 4 Cost.), nonchè alla stessa retribuzione adeguata ad una vita libera e dignitosa (artt.35 e 36 Cost.), corollari inscindibilmente collegati allo stesso diritto al lavoro (che è una pretesa inderogabile, - accordata ad ogni cittadino dalla Costituzione-, a politiche di pieno impiego da parte di governo e parlamento).
6. "Sta nascendo in Italia un
orientamento che non solo critica la Corte ma rischia di produrre come
osserva Cassese, un arretramento di due secoli nella configurazione dei
rapporti della Corte con gli altri poteri. Le Corti costituzionali
esistono in quasi tutti i paesi democratici a cominciare dalla Corte
federale degli U.S.A. I limiti alla competenza delle Corti possono essere
indagati dalla comparazione degli orientamenti delle diverse Corti e la
Corte italiana non è certo ultima nell’apprestare una giurisprudenza
soddisfacente. Ma si sostiene che la Corte e tutti gli altri giudici in
specie il TAR sono un grosso impedimento alla responsabilità politica.
Si critica “il peso sempre maggiore che le decisioni delle varie branche
della giurisdizione hanno sull’attività di governo".
E non si manca di rilevare che c’è un potere giudiziario anche in America.
E
in soccorso di tale disinvolta teoria viene aggiunto il corollario “il
modo in cui è stato esercitata l’azione penale in modo persecutorio”. Il
che la dice lunga sui limiti auspicati delle diverse giurisdizioni."
Anche qui occorre intendersi: i giudici che sindacano l'attività normativa (leggi o regolamenti) sono vincolati a farlo da norme costituzionali. Per governo e parlamento incontrare la censura giurisdizionale, prevista dalla Costituzione, alle scelte normative effettuate, non è "deresponsabilizzazione", ma esattamente parte della responsabilità che è insita nella loro legittimazione democratica: cioè si tratta della necessaria continuità dello "Stato di diritto", ormai plurisecolare conquista della civiltà occidentale. Stato di diritto è quello per cui ogni atto, di ogni pubblica autorità, è regolato da norme preventivamente note e non violabili neppure nell'esercizio della pubblica funzione normativa; la sua conseguenza inscindibile è che ci debba essere "un giudice a Berlino" che ne accerti la violazione anche nei confronti dei detentori delle massime funzioni di governo (cioè quelle normative).
Direi dunque che è piuttosto vero l'opposto: sono gli automatismi, come il pareggio di bilancio, non ben compresi dai cittadini e neanche dagli organi dello Stato, a deresponsabilizzare la "politica", consentendole di richiamarsi a un principio superiore, esterno al processo democratico costituzionale e fondativo della sovranità, per imputare la responsabilità di ogni scelta fondamentale a tale sorta di "pilota automatico" (per usare le parole di Draghi) sovranazionale.
7. "Tornando alla sentenza 70/2015 essa è sostanzialmente corretta. Forse
si poteva guadagnare tempo aspettando che la Corte fosse al completo o
ricorrere a qualche manipolazione con una sentenza additiva. Ma
l’isolamento della Corte e l’aspirazione alla vanificazione della sua
giurisprudenza, in nome del primato della politica, sono tentazioni
pericolose.
Come ha osservato giustamente Gustavo Zagrebelskj
l’equilibrio di bilancio non deve diventare un automatico lasciapassare
al libero arbitrio della politica. Il legislatore deve sempre tener
presente “l’eguaglianza nella giustizia”. Il riferimento ai conti
conformi della richiesta dell’Europa non deve diventare una super norma
costituzionale. Ma non c’è dubbio che il rispetto degli accordi nella
Comunità pone problemi che se oggi non possono essere risolti non con
accorgimenti sbrigativi, va affrontato dagli stati con normative che
ancora non esistono.
Ma all’esterno è stato rivendicato “il primato della politica”. Sembra di sentire Togliatti quando non capiva come ci potesse essere un altro organo dello Stato che fosse al di sopra del parlamento. Ora la Corte non è al di sopra del parlamento, ma giudica della costituzionalità delle leggi. I rapporti tra poteri non possono essere configurati se non come correttezza della propria competenza. E il parlamento ha tutti gli strumenti nella legge costituzionale per dimostrare la costituzionalità delle leggi di spesa. Semmai la Corte può chiedere al parlamento e al governo chiarimenti sulle questioni dubbie. Qui diventa rilevante il ruolo dell’Avvocatura di Stato che difendendo la legge ha l’onere di illustrare come essa non violi il principio dell’equilibrio di bilancio".
Ma all’esterno è stato rivendicato “il primato della politica”. Sembra di sentire Togliatti quando non capiva come ci potesse essere un altro organo dello Stato che fosse al di sopra del parlamento. Ora la Corte non è al di sopra del parlamento, ma giudica della costituzionalità delle leggi. I rapporti tra poteri non possono essere configurati se non come correttezza della propria competenza. E il parlamento ha tutti gli strumenti nella legge costituzionale per dimostrare la costituzionalità delle leggi di spesa. Semmai la Corte può chiedere al parlamento e al governo chiarimenti sulle questioni dubbie. Qui diventa rilevante il ruolo dell’Avvocatura di Stato che difendendo la legge ha l’onere di illustrare come essa non violi il principio dell’equilibrio di bilancio".
Alla luce di quanto abbiamo cercato di illustrare finora, la vanificazione delle sentenze della Corte in nome del primato della politica è in realtà una fenomenologia che non è riconoscibile nel caso concreto.
La realtà è che si vuol negare il primato della Costituzione e denominare "primato della politica" l'applicazione del pilota automatico dell'euro, senza voler dire che esso determina l'applicazione di un modello socio-economico diverso da quello costituzionale.
In tal modo, se si affermasse la prevalenza del pareggio di bilancio nei termini incondizionati sopradetti, e persino se solo la Corte si vedesse costretta a esercitare quella imprevedibile discrezionalità relativa alla fase delle restituzioni, si sarebbe al fine modificato l'art.139 Cost., ("La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale"): ma si sarebbe, per ciò solo, aperta la via alla abrogazione per incompatibilità di tutte le possibili previsioni costituzionali in nome del vincolo esterno.
Insomma, le norme che affrontano il problema del possibile rispetto degli "accordi nella Comunità" esistono già e sono necessariamente quelle della Costituzione: gli artt. 11 e 139 Cost.
Se non altro perchè la stessa adesione alla Comunità o Unione europea su di essi si fonda e sul loro rispetto va commisurata, arrivandosi altrimenti al dissolvimento, dichiarato, della stessa originaria legittimità costituzionale della scelta negoziale compiuta aderendo al trattato, che presuppone necessariamente un aderente che sia uno Stato "sovrano": e rinunciare ad esserlo, gli sottrae la stessa qualità di parte del trattato, facendo venire meno, unilateralmente, quella legittimazione indefettibile che le altre parti contraenti, invece, mantengono e fanno valere; come dimostrano le prese di posizione che paesi come la Germania, o la Francia, o il Regno Unito, costantemente assumono sull'applicazione delle norme dei trattati.
Insomma, le norme che affrontano il problema del possibile rispetto degli "accordi nella Comunità" esistono già e sono necessariamente quelle della Costituzione: gli artt. 11 e 139 Cost.
Se non altro perchè la stessa adesione alla Comunità o Unione europea su di essi si fonda e sul loro rispetto va commisurata, arrivandosi altrimenti al dissolvimento, dichiarato, della stessa originaria legittimità costituzionale della scelta negoziale compiuta aderendo al trattato, che presuppone necessariamente un aderente che sia uno Stato "sovrano": e rinunciare ad esserlo, gli sottrae la stessa qualità di parte del trattato, facendo venire meno, unilateralmente, quella legittimazione indefettibile che le altre parti contraenti, invece, mantengono e fanno valere; come dimostrano le prese di posizione che paesi come la Germania, o la Francia, o il Regno Unito, costantemente assumono sull'applicazione delle norme dei trattati.
8. Non bisogna infatti dimenticare che, come avvertimmo fin dai primissimi post, secondo Mortati:
la "forma
repubblicana, considerata nel sistema della costituzione, non è solo
una soprastruttura formale, ma invece elemento coessenziale al regime (democratico ndr) che, per essere basato su una "democrazia del lavoro", non
tollera nessuna forma di privilegio nè attribuzioni di funzioni non
collegate a meriti individuali, quali sono quelle che provengono da
trasmissione ereditaria del potere...".
Lo stesso massimo costituzionalista italiano, con riguardo ai rapporti tra ordinamento (allora) comunitario e Costituzione aveva affermato - in linea con sostanziali affermazioni della Corte costituzionale nello stesso senso - , in specie sui c.d. "controlimiti" interni alla "prevalenza" del diritto europeo:
"Passando all'esame dei limiti (di questa prevalenza ndr)...è
da ritenere che essi debbano ritrovarsi in tutti i principi
fondamentali, sia organizzativi che materiali, o scritti o impliciti,
della costituzione: sicchè la sottrazione dell'esercizio di alcune
competenze costituzionalmente spettanti al parlamento, al governo, alla
giurisdizione,...deve essere tale da non indurre alterazioni del nostro
stato come stato di diritto democratico e sociale (il che renderebbe fortemente dubbia la stessa ratificabilità del trattato di Maastricht e poi di Lisbona, ndr).
Non è possibile distinguere, fra le disposizioni costituzionali, quelle che riguardino i diritti e i doveri dei cittadini e le altre attinenti all'organizzazione, poichè vi è tutta una serie di diritti rispetto a cui le norme organizzative si presentano come strumentali alla loro tutela (rappresentatività delle assembleee legiferanti; precostituzione del giudice, organizzazione della giurisdizione tale da assicurare la pienezza del diritto di difesa ecc.). Pertanto il trasferimento di competenze dagli organi interni a quelli comunitari in tanto deve ritenersi ammissibile in quanto appaia sussistente, non già un'identità di struttura tra gli uni e gli altri, ma il loro sostanziale informarsi ad analoghi criteri in modo che risultino soddisfatte le esigenze caratterizzanti il nostro tipo di stato".
Non è possibile distinguere, fra le disposizioni costituzionali, quelle che riguardino i diritti e i doveri dei cittadini e le altre attinenti all'organizzazione, poichè vi è tutta una serie di diritti rispetto a cui le norme organizzative si presentano come strumentali alla loro tutela (rappresentatività delle assembleee legiferanti; precostituzione del giudice, organizzazione della giurisdizione tale da assicurare la pienezza del diritto di difesa ecc.). Pertanto il trasferimento di competenze dagli organi interni a quelli comunitari in tanto deve ritenersi ammissibile in quanto appaia sussistente, non già un'identità di struttura tra gli uni e gli altri, ma il loro sostanziale informarsi ad analoghi criteri in modo che risultino soddisfatte le esigenze caratterizzanti il nostro tipo di stato".
Quando uscirà il suo nuovo libro?
RispondiEliminaNon lo so: specie se proseguo a scrivere in questa sede :-)
EliminaMa è una disponibilità di tempo/concentrazione complessiva che costituisce il problema...
La "controffensiva mediatica", comunque, pare non farsi attendere. Ecco un esempio in questo articolo del corsera, dove, tra una riga e l'altra, viene posta la fatidica domanda: "quanto guadagna un giudice costituzionale"? Ed il Presidente ed il segretario generale lì a cercare di discolparsi, a fare paragoni con i parlamentari.....
RispondiEliminahttp://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_21/difesa-giudici-corte-costituzionalela-consulta-non-fa-valutazioni-economiche-4e7acad6-ff7d-11e4-8e1b-bb088a57f88b.shtml?cmpid=SF020103COR
Io personalmente mi pongo una (polemica), domanda: chi è, l'autore dell'articolo, per poter sentenziare sull'adeguatezza di una retribuzione ad una professione (o un incarico politico)? Da dove promana questa "autorità morale" che i giornalisti si attribuiscono? E' questa veramente "libera informazione"? Perché il confine con la demagogia appare fin troppo breve........
Soprattutto perche' esercitano tale "autorita' morale" sempre e solo sul lavoro altrui. Considerando la qualita' media della produzione giornalistica, dovrebbero pagarci per leggerli.
EliminaLa delegittimazione dei giudici costituzionali è partita a pieno regime subito dopo la sentenza, segnalo in proposito L’Espresso che si distingue ancora una volta per la solerzia con cui attacca a testa bassa chiunque abbia un lavoro nello Stato. Il pezzo è intitolato “Consulta, i giudici italiani i più pagati al mondo” e già questo spiega bene l’approccio. Più in generale, si nota nel forsennato dibattito mediatico seguito alla decisione della Consulta un nuovo, furioso attacco ai “privilegi” di cui godrebbero coloro che hanno lavorato 35 o 40 anni ed oggi ricevono una pensione. Il bocconiano presidente dell’INPS ripete più volte al giorno, fra gli applausi del ceto politico e giornalistico, che si deve procedere al ricalcolo delle pensioni con il metodo contributivo. Naturalmente nessuno fa notare che gli effetti di un tale, aberrante provvedimento, sarebbero mortali su un’economia già moribonda, né che la stragrande maggioranza dei pensionati italiani utilizza il proprio reddito per mantenere i figli che non trovano (e a lungo non troveranno) un lavoro.
RispondiEliminaIn questi giorni ho scavato un po' tra i precedenti di applicazione dell'art. 81: la sentenza 10 non è un fulmine a ciel sereno. Esiste già un filone giurisprudenziale, che personalmente chiamerei "giurisprudenza Orwell", ampiamente incamminato nella direzione i) che prefiguri.
RispondiEliminaIn primo luogo, la sentenza 264/2012, in materia di applicazione della CEDU: astrattamente apprezzabile (ovvero, le interpretazioni della Dichiarazione dei giudici di Strasburgo devono essere "filtrate" alla luce del sistema costituzionale italiano), usa come parametro del bilanciamento proprio l'art. 81: "Ed infatti, gli effetti di detta disposizione ricadono nell’ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, anche in ossequio al vincolo imposto dall’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ed assicura la razionalità complessiva del sistema stesso (sent. n. 172 del 2008), impedendo alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, e così garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali."
La seconda è la sentenza 88/2014 (procedimento in via principale): "Questa esigenza di uniformità, del resto, è il riflesso della natura ancillare della disciplina dell’indebitamento rispetto ai princìpi dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico: essa, al pari di questi ultimi, deve intendersi riferita al «complesso delle pubbliche amministrazioni» (così gli attuali artt. 81, sesto comma, e 97 Cost., e, con forme ancora più esplicite, il nuovo art. 119 Cost., nonché l’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012). I vincoli imposti alla finanza pubblica, infatti, se hanno come primo destinatario lo Stato, non possono non coinvolgere tutti i soggetti istituzionali che concorrono alla formazione di quel «bilancio consolidato delle pubbliche amministrazioni» (sentenza n. 40 del 2014; si vedano anche le sentenze n. 39 del 2014, n. 138 del 2013, n. 425 e n. 36 del 2004), in relazione al quale va verificato il rispetto degli impegni assunti in sede europea e sovranazionale.
La riforma poggia dunque anche sugli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., oltre che – e soprattutto − sui princìpi fondamentali di unitarietà della Repubblica (art. 5 Cost.) e di unità economica e giuridica dell’ordinamento (art. 120, secondo comma, Cost.), unità che già nel precedente quadro costituzionale era sottesa alla disciplina della finanza pubblica e che nel nuovo ha accentuato la sua pregnanza.
Si deve aggiungere che l’attuazione dei nuovi princìpi, e in particolare di quello della sostenibilità del debito pubblico, implica una responsabilità che, in attuazione di quelli «fondanti» (sentenza n. 264 del 2012) di solidarietà e di eguaglianza, non è solo delle istituzioni ma anche di ciascun cittadino nei confronti degli altri, ivi compresi quelli delle generazioni future."
Mi pare che i passaggi si commentino da sé e si capisca anche perché l'ho definita "Orwell" (l'art. 81 come espressione del principio di solidarità, magari intergenerazionale). Ho i miei dubbi che un eventuale filone "gnorri" inaugurato dalla 70 possa arginare una simile slavina.
Era del tutto evidente che la Corte non fosse a conoscenza della ridefinizione del ruolo del risparmio-deficit pubblico e del senso degli stessi saldi della contabilità nazionale a seguito dell'assunzione del "vincolo esterno".
EliminaIl riferimento al debito come onere gravante sulle future generazioni, implica il non saper radicalmente porsi il problema della sovranità monetaria e di una contabilità pubblica (non "nazionale", ovviamente) divenuta così il nemico, piuttosto che il legame solidaristico, tra la comunità dei "lavoratori".
Ora il punto è: se non lo hanno capito finora, - e il fatto che complessivamente non se ne rendano conto non ha bisogno di dimostrazione, perchè è ritraibile "a contrario" da quanto vanno affermando- potrebbero mai arrivare a porsi il problema, prima che sia troppo tardi?
La risposta non può essere ottimistica, se non altro per un fatto di evoluzione culurale della sua composizione (nel senso che più passa il tempo più finisce per essere portatrice di un ambiente culturale lontano dalla Costituzione del 1948, e dal suo paradigma economico).
Tuttavia, la curiosa accusa di "autoreferenzialità" - che altro non è che un'invenzione strampalata della stampa mainstream- potrebbe rivelarsi una...risorsa insospettata: cioè la logica, insita nella tradizione della Corte ed emergente dal testo non illimitatamente ignorabile delle norme costituzionali attuali, li potrebbe portare a conclusioni che collimino con quelle derivanti dall'adozione di una corretta analisi macroeconomica (conforme alla volontà del Costituente).
Diciamo che è un po' pochino, come recondita speranza? Molto probabilmente sì.
Ma credo anche che, proprio non essendosi finora resi conto di quanto è accaduto col vincolo esterno, ora debbano fronteggiare (improvvisamente e "misteriosamente" per loro) un passaggio da cui potrebbe derivare la stessa definitiva scomparsa del ruolo dell'istituzione Corte.
Insomma, una qualche spiegazione sistemica - che non sia soltanto legata alla contingenza dello stile di un governo o dei media- li può portare finalmente a farsi delle domande in termini di "perchè sta accadendo tutto questo proprio in coincidenza con l'adozione dell'art.81?"
"non sarà che tutto ciò non ha alcuna relazione con la solidarietà ma anzi con la mancanza di solidarietà - e di legalità costituzionale- dei trattati?"
Se non sapranno porsi queste domande e dare risposte non riducibili a slogan dell'economia liberista - cioè rendendosi conto della precomprensione- possono rendersi conto che il ruolo di garanzia della Corte ha i giorni contati e le norme che applicano sono diventate un pallido ricordo di un passato di democrazia del lavoro...
Con il prossimo SOTTILE "eletto" anche la Corte avrà maggioranze "elette" ..
EliminaCon il prossimo "sottile eletto" non avremmo più ravvedimento ..
EliminaSei sottilmente crudele...o iperrealistico
EliminaAd adiuvandum ;-), porto pure Graziani (Lo sviluppo dell'economia italiana, Torino, Giappichelli, 1998, p. 229), che male non fa: "Così come hanno bisogno di utilizzare la forza-lavoro là dove essa costa meno, le grandi multinazionali devono anche poter attingere capitali finanziari nei mercati più convenienti, senza che il Tesoro dello Stato risucchi la finanza disponibile per coprire il disavanzo pubblico. Per consentire alla grande impresa di mettere in atto pienamente la propria strategia mondiale occorre quindi anche portare il bilancio pubblico al pareggio e ridimensionare drasticamente la presenza dello Stato nei mercati finanziari. Non si va lontani dal vero affermando che se la politica economica dei paesi avanzati si è spinta tanto e così velocemente avanti sulla via della liberalizzazione e del rigore finanziario, ciò è stato fatto per consentire ale grandi imprese multinazionali di riorganizzarsi e di sfruttare pienamente le economie di costo e le possibiltà di finanziamento ovunque esse si trovino."
EliminaScusa, ma fai un bel "non potevo resistere -∞", così è più semplice (e siamo tutti più contenti)
RispondiEliminaLa verità è che finchè mi gingillo qui il libro non va avanti e tutto rimane...a metà :-)
EliminaVisto che qui è apparsa un poco di matematica, e, per quanto ho potuto capire, questo intervento è pura geometria, mi chiedevo allora se non fossi io a portare sfortuna, visto che sono arrivato solo da qualche giorno ed ecco che il blog subisce il terremoto.
EliminaMa insomma, io ho da leggere anni di di interventi e mi può fare pure comodo un rallentamento, ma se ogni tanto le venissero altri teoremi di geometria come questo, e che le vengono così bene, per carità non li tenga nascosti; qui, se no, uno ritorna subito a brancolare nel buio.
Sì, concordo che er webbe è una potente arma di distrazione, se uno deve scrivere "seriamente"
Eliminahttp://www.nybooks.com/blogs/nyrblog/2015/may/20/1776-revolt-against-austerity/?printpage=true
RispondiElimina« Slave societies...could not be consumer societies.»
EliminaMi pare ovvio che le colonie maggiormente schiaviste fossero quelle più liberoscambiste e filobritanniche: quelle delle piantagioni del sud.
In €uropa non ci facciamo mancare niente: liberoscambismo apocalittico, immigrazione barbarica, ed austerità asfissiante: le élite hanno preso tutti gli escrementi della Storia, di cui la maggior parte è proprio la *loro* stessa storia, e ne hanno fatto una loro "costituzione" materiale: l'hanno chiamata "globalizzazione". Un bijoux.
I segreti dell'alchimia: hanno trasmutato il letame in oro.
La Soluzione Finale: se vuoi una società fondata sulla schiavitù, i prolet non devono consumare, non devono fare figli o, nel caso, procedere all'aborto e all'eutanasia. La demografia deve rispettare il pareggio di bilancio.
Il sogno dei radicali, alla fine, è sempre stata una società basata sulla schiavitù. Bello. Liberale, libertario, liberista e libertino per non dire schiavo.
Quindi l'austero pareggio di bilancio è giusto e necessario.
L'Umanità è vissuta al di sopra delle sue possibilità e climatologi ed ecologisti ne convengono.
La leisure class parassita ha creato 'sto sfacelo, e, per rimediare, ne scarica i costi sui lavoratori. ("Costi" è un lievissimo eufemismo)
Il neoliberismo è l'apoteosi del free lunch: con un lunch di dimensioni che non credo abbia pari nella storia. E un free che si esprime in tutta la sua significanza: "free" che sta sia per sfrenata libertà edonistica, sia per uso aggratis degli schiavi. Mi da disgusto pure il politically correct della Carta USA.
Non è la Consulta che non capisce una mazza di contabilità nazionale, quindi non capisce una mazza di ordinamenti moderni, e, in ultimo, si dimostrerebbe indegna del ruolo che ricopre. No.
È la Costituzione che è obsoleta e non è adeguata alle sfide della post-post-post-modernità... che non passa mai.
Mi permetto una domanda: ma è veramente "post" modernità???
EliminaIn questo ordine all'insegna del connubio tra destra del denaro e sinistra del costume (per dirla con Diego Fusaro), mi par di vedere una pessima riedizione di visioni del mondo proprie della fine del XIX secolo e della prima metà del XX...... artificiosamente definite "nuove"......
Era proprio il senso dell'intervento.
EliminaIl moderno è un intorno del presente. Il postmoderno dovrebbe essere il futuro che, però, è già presente. Quindi abbiamo a che fare con un moderno che non è altro che un passato che non passa.
Evidentemente la Storia è già finita.
(Oppure qualcuno spezzi l'incantesimo e che ogni oggetto abbia il suo nome: magari iniziando a rinominare un'epoca che solo uno psicopatico egocentrico Narciso può chiamare "modernità")
Faccio debolmente notare quanto qui anticipato (pare limitato alla Costituzione, ma questa è dannatamente importante, indicativa...e anche qualificatoria, in termini veramente generali, del "tempo"):
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2014/07/napoli-11-luglio-2014-riscossa-italiana.html
"La ragione è che la Corte non ha saputo spiegare in termini semplici e chiari che non esisteva il vincolo di bilancio.". Punto interessante, ma non so se l'ho capito a dovere...
RispondiEliminaNon l'hai capito perchè non è spiegato :-)
EliminaAppare essere una supposizione, una sorta di deduzione avanzata che (v.pure commento di Arturo) sconta che l'art.81 non potrebbe prevalere sulle norme fondamentali della Costituzione.
Ma la Corte non ha ancora deciso se può affermarlo, ferma com'è che la costruzione €uropea sia vincolnate incdizionatamente nei suoi risvolti applicativi perchè comunque cooperativa (!) e portatrice di "pace": in pratica dovrebbe capire cos'è il mercantilismo, e le dinamiche liberoscambiste rafforzate da un'unione monetaria in cui la solidarietà fiscale, e quindi sociale, è vietata.
Per questo ora viene ferocemente attaccata in via preventiva, (per inibirla, affinchè non si decida), e, d'altra parte, purtroppo, non pare in grado di istituire la relazione di incompatibilità tra vincolo esterno e modello econoico costituzionale (costituzione economica volta al pieno impiego), non avendo compreso che la politica fiscale euro-imposta mira alla deflazione attraverso alta disoccupazione strutturale e svalutazione salariale.
La cosa appare sfuggire pure al prof.De Mita in questa intervista...
Eppure la corte ha chiarito che non fa valutazioni di carattere economico, e in questo sembra ignorare (giustamente) l'art. 81 :/
Eliminahttp://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_21/difesa-giudici-corte-costituzionalela-consulta-non-fa-valutazioni-economiche-4e7acad6-ff7d-11e4-8e1b-bb088a57f88b.shtml?cmpid=SF020103COR
Giustamente non proprio: purtroppo dire che il debito pubblico esige una solidarietà intergenerazionale è aderire a UNA valutazione di carattere economico senza saperla comprendere proprio in relazione alla Costituzione (la famosa "equivalenza ricardiana" dei neo-liberisti).
EliminaE poi l'istruttoria sull'impatto finanziario viene di prassi svolta:
http://orizzonte48.blogspot.com/2015/04/la-ratifica-e-il-simulacro.html?showComment=1430390728450#c5376549410791049561
Torniamo al punto sollevato nel post: si può mantenere discrezionalità imprevedibile e non alla lunga giustificabile nel far cadere, a una a una, tutte le previsioni costituzionali sotto il maglio del pareggio di bilancio, senza capire cosa significhi sul piano del "diritto al lavoro" che fonda la stessa sovranità?
A proposito di essere senza vergogna : padoan, la Consulta doveva valutare i costi della sentenza pensioni.
RispondiEliminaCommento in linea col post : magari lo avesse fatto.
ps non c'è link ma voi sapete chi mette questo titolone in prima pagina oggi
QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULIANA
RispondiElimina(C.E. Gadda, 1946)
[OTC .. invito alla lettura, beyond]
In attesa che ci si rimetta in “Riga” e cogliendo inviti negletti, quale meglio del passo di un Gadda, brianzolo emigrato a Roma, prima della “cognizione del dolore” ..
“In quel punto, come evocata di tenebra, dall’usciolo socchiuso della scaluccia approdante in bottega (di cui li ragazzini fantasticavano, altri favoleggiavano e più d’uno pe via de la lettura de la mano avea pratica), si affacci, e poi zampettò sul mattonato freddo qua e là con certi suoi chè chè chè chè tra due cumuli di maglie, una torva e a metà spennata gallina, priva di un occhio, e legato alla zampa destra uno spago, tutto nodi e giunte, che non la smetteva più di venire fuora, di venir su: tale, dall’oceano, la sàgola interinata dello scandaglio ove il verricello di poppa la richiami a bordo e tuttavia gala d’una barba la infronzoli, di tratto in tratto: una mucida, una verde alga d’abisso.
Dopo aver esperito in qua e in là più d’una levata di zampa, con l’aria, ogni volta, di saper bene ove intendeva andare, ma d’esserne impedita dai divieti contrastanti del fato, la zampettante guercia mutò poi parere del tutto.
Spiccicò l’ali dal corpo ( e parve estrinsecarne le costole per una più lauta inspirazione d’aria), mentre una bizza mal rattenuta le gorgogliava già nel gargarozzo: una catarrosa comminatoria.
A Strozza invelenita principiò a gorgheggiare in falsetto: starnazzò spiritata in colmo alla montagna di que’ cenci, donde irrorò le cose e le parvense universe del supremo coccodè, quasi avesse fatto l’ovo lassù.
Ma ne svolacchiò giù senza por tempo in mezzo, atterrando sui mattoni con nuovi acuti parossistici, un volo a vela de’ più riusciti, un record: sempre tirandosi dietro lo spago.
Parallelamente allo spago e alla infilata dei nodi e dei groppi, un filo di lana grigio le si era appreso a una gamba: e il filo pareva questa volta smagliarsi da reobarbara ciarpa, di sotto al ridipinto ciarpame.
Una volta aterra, e dopo un ulteriore co co co co non si capì bene se di corruccio immedicabile o di raggiunta pace, d’amistà, la si piazzò a gambe ferme davanti le scarpe dell’allibito brigadiere, volgendogli il poco bersaglieresco pennacchietto della coda: levò il radicale del medesimo, scoperchiò il boccon del prete in bellezza: diaframmò al minimo, a tutta apertura invero, la rosa rosata dello sfintere, e plof!
La fece subito la cacca: in dispregio no, è probabile anzi in onore, data l’etichetta gallinacea, del bravo sottufficiale, e con la gran disinvoltura del mondo: un cioccolatinone verde intorcolato alla Boromini come i grumi di solfo colloide delle acque àlbule: e in vetta in vetta uno scaracchietto di calce, allo stato colloidale pure isso, una crema chiara chiara, di latte pastorizzato pallido, come già allora usava.
Di tutta quell’aerodinamica, naturalmente, e del conseguente sgancio del gianduiotto, o boero che fosse, la Zamira ne profittò pe non risponne: intanto che dei piumicini a ricciolo, nevosi e teneri come d’un papero infante, persistevano ad alto a mezz’aria mollemente ondulando, da parere anelli in dissolvenza, del fumo d’una sigaretta.
Nel prodigio nuovo l’imperativo del Pestolazzi vanì.
Lei a si levò ratta di seggiola con tutto il podere cilestrino, la si diè a ciabattare e a sventolar la gonna dietro alla torva, zinale non aveva, e a garrirla: “Via!via! sozzona, spurcacciona! Una partaccia così, zozza che nun se’ altro! Al signor maresciallo!”.
Tantochè la zozza in parola, tuttavia gargarizzandosi di mille cocococò, e scaracchiandoli infine tutti in una volta al soffitto in un chechechechè riassuntivo, per quanto doppiamente ancorata e dallo spago e dal filo, la si levò a volo fino sul ripiao della credenza: dove incazzatissima, e rivestita sua dignità, la depositò sul vassoio di peltro, un altro bel caccheronzolo, ma più piccino del primo: pif!
Con che sembrò aver evacuato il disponibile.
La paura ( ..) fa novanta”.