Pubblichiamo la seconda puntata del "dialogo" tra Bazaar e Arturo su "DEMOCRAZIA. FEDERALISMO. INDIPENDENTISMO".
Il consiglio è di leggere (o rileggere) le varie puntate in continuità tra loro: riflessioni non banali e interrogativi maieutici ne possono sorgere.
Ribadiamo (e lo faremo anche nelle prossime puntate), la premessa introduttiva di questa lunga e articolata esposizione, che tende a mettere in discussione i presupposti, altrimenti scontati e inerziali, di molte formule ideologiche (naturalmente pop) del nostro presente, usate senza una seria capacità di riflessione storica e culturale:
"Fare, con una riflessione socio-economica e storico-istituzionale, il "punto-nave", non ci fornisce solo informazioni su come e perchè la rotta effettiva sia stata quella finora seguita, ma ci consente anche di capire quale rotta di "salvezza" potremmo (almeno) tentare di intraprendere."
Per taluni Marx e Engels potranno apparire punti di riferimento da scartare a priori: ma anche questo impulso non è un presupposto razionale utile e produttivo.
Le forze della Storia (moderna) tendono, come si sa, a riproporsi nelle loro tendenze irresistibili: non sarà ignorandole a priori, e ignorando le analisi che hanno già rivelato in passato i medesimi errori oggi ricorrenti, che si potranno evitare le trappole e le facili schematizzazioni che stanno portano il mondo al disastro attuale...
1 - Da sinistra...
«È nell'Internazionale
che l'indipendenza delle nazioni ha la sua massima garanzia; è nelle nazioni
indipendenti che l'Internazionale trova i suoi strumenti più potenti e nobili.
Si potrebbe quasi dire: un po' di internazionalismo allontana dalla patria,
molto internazionalismo riconduce ad essa. Un po' di patriottismo allontana
dall'internazionalismo, molto patriottismo riconduce ad esso.» Jean Jaurès.
Ci eravamo lasciati con
un paio di domande: «ma come è possibile che
il federalismo europeo sia da decenni bandiera politica e ipostatizzazione
culturale di chi si dovrebbe richiamare storicamente alla lotte laburiste? Dove
nasce questo fervore antinazionale»?
2 – Lumpenproletariat, autodeterminazione dei popoli... e
imperialismo
Lasciamo la parola a
Domenico Losurdo, con dedica della redazione ai compagni per cui
“non-torniamo-agli-obsoleti-nazionalismi”, ricorda che (“La lotta di classe.
Una storia politica e filosofica”, Roma-Bari, Laterza, 2013, s.p.):
“Agli inizi del novembre 1848 Marx
paragona la tragedia che si sta consumando in Europa centro-orientale a danno
del movimento democratico con quella pochi mesi prima abbattutasi sul
proletariato parigino:
«A Parigi la Guardia Mobile, a
Vienna i ‘Croati’, in entrambi i casi lazzaroni, sottoproletariato armato e
assoldato contro il proletariato lavoratore e pensante» (MEW, 5; 457).
Dunque, le nazioni slave che si lasciano arruolare dall’impero asburgico sono
paragonate al sottoproletariato, a una classe che, se anche per lo più si mette
al servizio della reazione, può essere tuttavia guadagnata dal movimento
rivoluzionario. E cioè non si tratta qui di riconoscere in astratto il diritto
di ogni nazione all’autodeterminazione. Ciò è fuori discussione. Il problema risiede nel
fatto che, in una situazione concreta e determinata, il diritto di alcune
nazioni all’autodeterminazione, a causa anche dell’iniziativa e dell’abilità
politica del potere imperiale, può entrare in conflitto col diritto di altre
nazioni e con il movimento complessivo di lotta contro l’Antico regime e
l’assolutismo monarchico e per la realizzazione della democrazia sul piano
interno e internazionale.”
Cari marxisti (?) del
“famo-l'Europa-aboliamo-gli-Stati-nazionali-e-accogliamo-senza-se-e-senza-ma-immigrati”,
già nell'Ottocento, per Marx, era chiaro che le sovranità statali fossero
oggetto di brame imperialistiche che mascheravano, dietro a proclami
“buonisti”, torbide finalità per cui, non raramente, il sottoproletariato
veniva «assoldato» dalle classi dominanti contro la classe
lavoratrice.
In particolare, per
quella “sinistra” – smemoratissima – per cui
“attenzione-ad-uscire-dall'euro-altrimenti-salta-Schengen”, Losurdo ricorda
che:
“l’internazionalismo proletario può
manifestarsi appoggiando movimenti di liberazione nazionale, che talvolta (nel
caso della Polonia) vedono partecipare un fronte di lotta così ampio da poter
includere persino la nobiltà, e un governo borghese (quello di Lincoln)
impegnato a reprimere con la forza delle armi la secessione schiavista [e il
liberoscambismo filobritannico dei latifondisti del Sud, ndr].”
3 – L'internazionalimo
dell'indistinto e i “democratici imperiali”.
A proposito dell'internazionalismo
dell'indistinto
della Sinistra 2.0 – in particolare a quella che si autodefinisce ossimoricamente “liberale” –
riferendosi sempre al socialismo ortodosso, Losurdo aggiunge:
“D’altro
canto, essiccando una fonte essenziale della «ricchezza
materiale» e della «forza morale» delle classi dominanti in
Inghilterra, la «lotta nazionale irlandese» e l’«emancipazione
nazionale dell’Irlanda» sono un essenziale contributo internazionalista all’«emancipazione
della classe operaia» inglese (MEW, 32; 667-68). Come la lotta di classe,
anche l’internazionalismo assume forme di volta in volta diverse.
Un «internazionalismo» che ignorasse questa
diversità delle forme si rivelerebbe ingenuo o pericoloso.
Alla vigilia della
rivoluzione del 1848, Engels si fa beffe in questi termini di Louis Blanc che,
dimentico dell’impero napoleonico e delle sue pratiche coloniali e
semicoloniali, ama additare nel suo popolo l’incarnazione stessa del
cosmopolitismo [come non pensare agli americani!, ndr]:
«i
democratici delle altre nazioni [...] non si accontentano dell’assicurazione,
da parte francese, che essi sono già cosmopoliti; una tale assicurazione
equivale a chiedere che tutti gli altri diventino francesi [o americani...,
ndr]» (MEW, 4; 428). Non a caso, più tardi Blanc verrà bollato come un «democratico
imperiale»[1],
che invano assume pose da rivoluzionario [tipo gli “uscisti da sinistra”, ndr] (MEW,
31; 212-13). Se elude la questione nazionale e il compito realmente
internazionalista dell’appoggio alle nazioni oppresse, il preteso
cosmopolitismo o internazionalismo si rovescia in uno sciovinismo acritico
ed esaltato.
È il punto di vista anche di Marx che, dopo essersi fatto beffe
del «cinismo da cretino» esibito da Proudhon nei confronti
dell’aspirazione della Polonia a scuotersi di dosso il giogo dell’impero russo,
liquida come «stirnerianismo proudhonianizzato» la tesi secondo cui «ogni
nazionalità e le nazioni in quanto tali» sarebbero dei «pregiudizi
superati» (préjugés surannés).
Si tratta di una lettera a Engels del 20
giugno 1866, che così prosegue:
[Ma non è fantastico? Marx avrebbe definito gli europeisti per cui
“stato-nazionale-che-orrore-del-passato!” come degli “stirneriani proudhonianizzati”... ma... non
coglierebbero, non conoscendo né Marx, né Stirner, né Proudhon, ndr]
«Gli inglesi risero molto allorché iniziai il mio discorso
osservando che l’amico Lafargue ecc., che ha abolito le nazionalità, si è
rivolto a noi «in francese», cioè in una lingua che i 9/10 dell’uditorio non
comprendevano.
Ho accennato inoltre al fatto che egli, in modo del tutto
inconscio, per negazione delle nazionalità intende il loro assorbimento nella
nazione francese modello [si sostituisca “francese” con
“tedesca” o “americana”, ndr] (MEW, 31; 228-29).
[Rileggetevi
il periodo precedente due volte, quindi chiedetevi la relazione tra il Fogno
europeo, i valori pacifisti e democratici
(?) e il ruolo degli
intellettuali
(?)..., ndr]
Siamo portati a pensare all’ironia con cui, quasi vent’anni prima,
le declamazioni cosmopolitiche e internazionaliste di Blanc erano state
affrontate da Engels. Il quale ultimo compie un ulteriore processo di
maturazione.
In un testo del 1866 egli rimprovera agli illuministi francesi di
essersi lasciati abbindolare dalla politica di Caterina II e dello zarismo in
genere. In Polonia la
Russia si ergeva a protettrice degli ortodossi. Ortodossi
erano soprattutto i servi della gleba, ed ecco allora che la Russia, assieme alla
bandiera della «tolleranza religiosa», non esitava ad agitare anche
quella della rivoluzione sociale; essa interveniva nel paese oggetto delle sue
brame «in nome del diritto della rivoluzione, armando i servi della gleba
contro i loro signori» [“Varsavia Ladrona, Caterina II non perdona”, “il
magna-magna dei signori”, “devono andare via tutti!”, ecc., ndr]: ecco un «modello
di guerra di classe», ovvero di «guerra di classe contro classe»
(MEW, 16; 161-62).
[Insomma, livorosi di ogni partito e fazione possibili: siete sicuri di fare gli interessi del
popolo sovrano quando vi accanite contro la “partitocrazia”?, ndr]
Come si vede, nel caso ignori o rimuova la questione nazionale, la
parola d’ordine più rivoluzionaria e più internazionalista [più
Europa!, ndr], agitata dallo stesso Marx in Miseria della filosofia (supra,
cap. IV, § 3), può trasformarsi in uno strumento di legittimazione dello
sciovinismo e dell’espansionismo [tedesco e americano?, ndr].
L’analisi
di Engels coglie nel segno. Si può solo aggiungere che in modo simile a
Caterina II si atteggiava Federico II di Prussia, che, rivolgendosi ai philosophes,
così giustificava la sua campagna contro la Polonia: «i padroni vi esercitano la più
crudele tirannia sugli schiavi [I costi della politica! La burocrazia!
La corruzione!, ndr]» (in Diaz 1962, p. 493, n. 1). […]
[Ora,
cari “progressisti dell'indistinto”, fate attenzione alla relazione tra
progresso sociale e antinazionalismo..., ndr]
Sulla tematica in questione l’ultimo Engels riflette in
profondità. Leggiamo la lettera a Karl Kautsky del 7 febbraio 1882:
«Un movimento internazionale del proletariato è possibile solo
tra nazioni indipendenti», così come una «cooperazione internazionale è
possibile solo tra eguali» (MEW, 35; 270).
È una tesi ribadita con forza
dieci anni dopo: «Una sincera collaborazione internazionale delle nazioni
europee è possibile solo quando ogni singola nazione è del tutto autonoma nel
suo territorio nazionale».
Pare proprio che nel
1882 Engels avesse compreso meglio il senso
dell'internazionalismo definito nel nostro art.11 Cost. che tutta la banda di
internazionalisti "senza se e senza ma" che ha difeso il progetto europeista da
“sinistra”.
4 – L'internazionalismo repubblicano come forma di “democratismo
imperiale”.
Continua Losurdo, con
“dedica della redazione” ai “rivoluzionari-internazionalisti-di-Schengen”:
“Mettendosi alla testa della lotta per l’indipendenza
nazionale, il «proletariato polacco» svolge un ruolo anche
internazionalista, in quanto getta le fondamenta per una cooperazione
diversamente impossibile (MEW, 4; 588). Sì – Engels ripete due anni prima della
sua morte – «senza l’autonomia e l’unità restituite a ciascuna nazione
europea» non è possibile «l’unione internazionale del proletariato»
(MEW, 4; 590).
Il pericolo sciovinista non risiede nelle nazioni che
ostinatamente lottano per la loro liberazione:
«Sono dell’opinione che in Europa due nazioni hanno non solo il
diritto ma anche il dovere di essere nazionali prima ancora che internazionali:
sono gli irlandesi e i polacchi. Essi sono internazionali nel senso migliore
del termine allorché sono autenticamente nazionali (MEW, 35; 271).
No, il pericolo sciovinista è paradossalmente rappresentato dal
sedicente «internazionalismo repubblicano [leggi “liberale”, ndr]» che, per esempio, attribuisce alla Francia [ovvero agli USA,
ndr], in virtù delle sue glorie rivoluzionarie, una «missione di
liberazione mondiale»: a uno sguardo più attento, l’«internazionalismo
repubblicano» si rivela un esaltato «sciovinismo francese» [...americano,
ndr] (MEW, 35; 270).
È una regola generale: allorché ignora la
questione nazionale, l’internazionalismo si rovescia nel suo contrario; la
rimozione delle particolarità nazionali in nome di un astratto
«internazionalismo» rende più facile per una nazione determinata di presentarsi
come l’incarnazione
dell’universale, e in ciò per l’appunto consiste lo
sciovinismo e anzi lo sciovinismo più esaltato.”
5 – Le ragioni dell'indipendentismo in funzione al contesto
storico politico.
Giusto per
capire cosa sia la “sinistra internazionalista” oggi. Losurdo prosegue e
aggiunge:
“Più matura è la seconda formulazione
cui fa ricorso Lenin. Dopo aver ricordato l’appoggio di Marx ed Engels agli
irlandesi e ai polacchi, ma non ai «cechi» e agli «slavi
meridionali» (e ai croati) in quel momento «avamposti
dello zarismo», (nel luglio 1916) egli così prosegue:
«Le singole rivendicazioni della democrazia, compresa
l’autodecisione, non sono un assoluto, ma una particella del complesso del
movimento democratico (oggi: del complesso del movimento socialista mondiale).
È possibile che, in singoli casi determinati, la particella sia in
contraddizione col tutto, e allora bisogna respingerla. È possibile che il
movimento repubblicano di un paese sia soltanto uno strumento degli intrighi
clericali o finanziari, monarchici di altri paesi; allora non dovremo sostenere
quel dato movimento concreto, ma sarebbe ridicolo cancellare per questa ragione
dal programma della socialdemocrazia internazionale la parola d’ordine della
repubblica (LO, 22; 339).
[Facciano una riflessione coloro che straparlano di nazionalismo tout
court, magari strambando dal progressismo più cosmetico alla rivalutazione di
Maggy Thatcher perché “nazional-patriottica”, ndr]
A contrapporsi qui non sono «questione nazionale» e «questione
operaia», bensì la «particella» e il tutto. In quanto sottoposte alla
strumentalizzazione e al controllo dello zarismo [oggi lo “zarismo”
potrebbe essere quello del Washington Consensus, ndr], le aspirazioni
nazionali dei cechi (e dei croati) [dei catalani (e degli scozzesi), ndr]
risultano prive di legittimità già facendo esclusivo riferimento alla «questione
nazionale»: sono una «particella» che entra in contraddizione col
complessivo movimento di emancipazione nazionale, di cui la Russia zarista costituisce
il nemico principale. Che il tutto sia rappresentato, per usare il linguaggio
di Lenin, dal «movimento democratico» borghese o dal «movimento
socialista mondiale», in nessun caso è eludibile il problema della
subordinazione della «particella» al tutto. E, naturalmente, la
soluzione di tale problema non è univoca e non è priva di contraddizioni.”
“Lenin sottolinea che «i movimenti
delle piccole nazionalità» possono essere manovrati «a proprio vantaggio»
dallo «zarismo» o dal «bonapartismo» (LO, 22; 340 nota). Ovvero –
possiamo aggiungere – dall’imperialismo”.
5 – Autodeterminazione e politiche imperialiste della
frammentazione: un tragedia.
“È da
sottolineare un ulteriore aspetto: latente negli autori del Manifesto del
partito comunista, diviene ora chiara la visione tragica del processo storico e
della stessa lotta di classe. Si ha tragedia (nel senso filosofico del
termine)[2]
allorché si fronteggiano non il diritto e il torto, bensì due diversi diritti,
anche se tra loro disuguali, e talvolta nettamente disuguali.
Le rivendicazioni
nazionali dei cechi o di altre nazionalità possono smarrire la loro
legittimità, non perché in sé prive di fondamento, ma in quanto assorbite da
una realtà più potente, che costituisce una minaccia ben più grave per la
libertà e l’emancipazione delle nazioni. [Un pensiero non può non correre
all'attuale conflitto in Ucraina, ndr]
Di tutto ciò è chiamato a tener conto il «tribuno
popolare», che diviene così il protagonista di una lotta di classe, dalle
forme incessantemente cangianti.
Il perseguimento dell’universale
(l’edificazione di una società finalmente liberata da ogni forma di
sfruttamento e di dominio) si concretizza in un impegno sempre determinato, che
prende di mira e contrasta la guerra, il fascismo, l’espansionismo coloniale e
l’oppressione nazionale.”
Tragedia, dunque, in senso filosofico, è – sotto i vincoli economici di euro e trattati di libero
scambio – il (legittimo) intento di far rispettare i principi
fondamentali costituzionali.
Ora, a tutta
la sinistra che è – o è stata! – schengeniana
e internazionalista: l'indipendentismo catalano, scozzese, ma anche veneto o
meridionalista, sono di per sé rivendicazioni per cui il “secessionista” che si
riconosce in queste identità, può essere oggetto di astio, scherno e, in
qualche modo, tacciato di “minorità intellettuale e politica”, ricevendo un trattamento diverso da
chi ha sostenuto l'internazionalismo, l'europeismo e il mondialismo
antinazionale?[3]
In altri termini, stando a
questa ricca serie di citazioni di socialisti marxiani ortodossi, possiamo
sostenere che c'è differenza nell'etica politica tra l' “indipendentista” e lo “schengeniano”?
Qual'è la differenza se entrambi, partendo da presupposti solo apparentemente opposti, perseguono obiettivi coincidenti rispetto alla indifferenza sulla giustizia sociale, considerata comunque sacrificabile in nome dei mercati?
Se cioè entrambi, - nascondendo dietro a astratte formule ideali la rivendicazione di una libertà individualista, quindi limitata alla tutela di interessi economici incontestabili e definiti in conformità al neoliberismo - riaffermano un imperialismo in senso materiale (cioè antitetico allo Stato-nazione)?
Se cioè entrambi, sul piano dei valori inevitabilmente "sottostanti", si fanno alfieri di un "universalismo libertario" servente, in definitiva, gli interessi oligarchici di una o poche nazioni "eminenti", che dominano l'intero processo e si presentano come "l'incarnazione dell'universale"?
Se cioè entrambi, sul piano dei valori inevitabilmente "sottostanti", si fanno alfieri di un "universalismo libertario" servente, in definitiva, gli interessi oligarchici di una o poche nazioni "eminenti", che dominano l'intero processo e si presentano come "l'incarnazione dell'universale"?
Quale dei
due archetipi, sino ad ora, Lenin avrebbe escluso dall'appellativo di “utile
idiota” del capitalismo sfrenato e dell'imperialismo? Chi può vantare una
superiorità intellettuale, o, peggio, morale?
(2- Continua...)
[1] Ricorre ancora il pensiero sulle
fratellanze mondialiste...
[2] La tragedia, in epoca di neoliberismo, si
è trasformata notoriamente in farsa.
[3] Si noti come l'internazionalismo
comporti semanticamente l'esistenza cooperativa di una moltitudine di Stati
nazionali, mentre l'antinazionalismo intrinseco nel “federalismo
interstatuale”, ne sia esattamente antitetico.
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