La sovranità costituzionale, la dissonanza cognitiva e un concilio di Nicea allo stadio.
POST DI BAZAAR
«Diffidate di quei cosmopoliti che vanno a cercare lontano nei loro libri i doveri che trascurano di svolgere nel loro ambiente. Quel tale filosofo ama i tartari per non essere costretto ad amare i suoi vicini.» Jean-Jacques Rousseau, Émile
Mentre
l’Unione Europea – espressione del capitalismo delle potenze
egemoniche
occidentali,
lentamente, come un boa, stritola l’Italia e gli italiani –
fenomeni macroscopici, per le dimensioni dell’impatto sociale o
mediatico, dividono, spaccano, l’opinione pubblica in due.
La
polarizzazione, nonostante gli sforzi dei media per creare
dialettiche falsate, tesi e antitesi solo fintamente contrappositive
che lasciano al governo
materiale delle forze economiche proseguire
la propria agenda politica al di là degli interessi generali e «al
riparo del processo elettorale»,
si articola da un lato in un pubblico più o meno incosciente che
però resiste
– e che si
ritiene, per ironia farsesca della Storia, perlopiù
“conservatore” – e
un pubblico che, a questa agenda politica, presta invece direttamente
o indirettamente sostegno. Quest’ultimo si ritiene perlopiù
progressista, e sulla sua “consapevolezza” sarà interessante
riflettere.
Entrambe
le fazioni portano avanti ideologicamente, di
fatto, un
pensiero (neo)liberale, nonostante la stragrande maggioranza delle
persone, in particolar modo nella fazione resistente e conservatrice,
rivendichi politiche e necessità di chiara matrice socialista:
intervento dello Stato al fine di aumentare le assunzioni nel
pubblico impiego, ripresa della crescita salariale
nell’amministrazione pubblica, espansione della servizio sanitario
nazionale, diminuzione dell’età pensionabile, supporto dello Stato
alla famiglia e altre, sacrosante, battaglie socialiste i cui
obiettivi furono perentoriamente iscritti in Costituzione e che
questa inderogabilmente prescrive.
Dall’altra
parte della barricata c’è quel blocco sociale guidato dalla
borghesia che vive nelle zone urbane centrali, tendenzialmente di
area liberal e
progressista, che ha avuto perlopiù vantaggi dall’agenda politica
eurounionista, o che ancora non ha subito le conseguenze di quello
che è a tutti gli effetti uno strangolamento
finanziario volto alla deindustrializzazione dell’Italia, alla
grande espropriazione dei patrimoni dei ceti medi e
alla definitiva mezzogiornificazione della penisola.
Nota: all’espropriazione economica consegue l’esproprio della
sovranità democratica.
Mentre
i dati macroeconomici sono
chiari nel
descrivere il progressivo impoverimento degli italiani e nel
delineare l’impressionante area di sofferenza sociale dovute alla
disoccupazione e alla privatizzazione dello Stato sociale,
l’interpretazione tra le due fazioni che abbiamo individuato è
completamente opposta: ciascuna è preoccupata come fosse in gioco la
propria vita (e giustamente, perché lo è), ma interpreta in modo
diametralmente opposto i fatti sociali. E, fin qui, nulla di
anormale. In definitiva, l’area progressista è identificabile da
chiari interessi di classe (antinomicamente “conservatori”, in
quanto difendono un privilegio) mentre i resistenti,
i “conservatori”, appartengono alle classi tendenzialmente
disagiate (e quindi in ricerca di “progresso” nella sicurezza
sociale ed economica).
Grosso
modo questi raggruppamenti delineano politicamente, ma anche a
livello di dibattito extraparlamentare, la destra conservatrice dalla
sinistra progressista: quindi abbiamo conservatori che rivendicano
progressismo sociale, e progressisti che rivendicano posizioni
socialmente conservatrici. Una complexio
oppositorum che
non mette in discussioni i dogmi (neo)liberali e la cui
contraddittorietà logica e dissonanza cognitiva si risolvono
nel bipensiero o
in forme di misticismo da curva sud.
L’inosservato
elefante nel corridoio è che le rivendicazioni socialiste non hanno
praticamente rappresentanti e interlocutori politici, i quali, salve
limitate eccezioni, abbracciano un pensiero politico che va dal
liberalismo conservatore a un liberalismo progressista, entrambi col
minimo comun denominatore del liberismo economico e di uno Stato se
non minimo non più che supplente (“i posti di lavoro mica li può
creare lo Stato” e slogan analoghi): Keynes e Marx non pervenuti.
Quello
però che ci incuriosisce è il dato socio-ideologico: ovvero quella
insanabile e inconciliabile spaccatura in seno alla società, non
solo italiana, per cui su qualsiasi tema il dibattito si divide tra
una sinistra progressista e una destra conservatrice, senza che la
vera posta in gioco, ossia le sottostanti dinamiche socioeconomiche,
riesca mai ad essere messa a fuoco in modo chiaro.
Quest’appiattimento e omologazione, ossia il mancato radicamento
della discussione nella
specifica storia politica delle comunità,
rappresenta di per sé una netta vittoria di chi sta imponendo la
mondializzazione.
La
capacità di coordinamento di cui hanno dato prova i media
occidentali, e le scelte ideologico-linguistiche-normative “calate
dall’alto” dalle organizzazioni internazionali, fanno la
differenza. E questo significa che il “progressismo” della
sinistra globalista ha vinto parecchie battaglie politiche.
Sicuramente
è stupefacente come su qualsiasi tema – qualsiasi –
questa inconciliabile
contrapposizione si manifesti, escludendo a priori qualsiasi
possibilità dialogica sui temi che una fondazione
materiale del divenire storico imporrebbe
come primari.
Il
problema si presenta in questi termini: se nei temi che riguardano la
morale è normale che la sensibilità di ognuno vari profondamente,
e, quindi, si manifesti una simmetrica polarizzazione del tipo SÌ-NO
su proposte di legge, o intorno a giudizi sul comportamento di
personaggi mediatici (o “mediatizzati” dalla cronaca), in merito
agli interessi materiali, sociali ed economici, questa simmetrica
distribuzione non c’è: chi è più ricco – ovvero la minoranza –
vuole conservare la
propria posizione di privilegio e, in generale, è materialmente
interessato a ciò che sente come esigenza di
classe. Chi è
povero – ovvero la stragrande maggioranza
– ha come priorità far quadrare i conti famigliari o, se è in età
fertile, sarà preoccupato di avere la stabilità economica
necessaria per avere figli e mettere su famiglia.
Tutto
il resto viene dopo. È cosa, se si vuole, abbastanza banale e
intuitiva, comune esperienza di tutti noi.
Eppure,
come si può facilmente constatare, questa solidarietà di
preoccupazioni, che rende una classe tale, manca. O, se c’è,
alligna solo presso quella classe identificabile con l’alta e
medio-alta borghesia che sa come curare i propri affari ed è
abbastanza numericamente ristretta – e geograficamente confinata
(v. ZTL) – per discutere dei propri interessi inter
pares.
Le
classi subalterne mancano al momento della capacità di organizzare
le proprio convinzioni politiche attorno a questi interessi: di
fronte alla disarticolazione e cooptazione dei loro rappresentanti
storici, rimane loro la (magra) soddisfazione del tifo ricalcato sul
modello calcistico: ci si divide quindi su questioni secondarie o,
magari, su questioni di primaria importanza ma per motivi secondari.
Per pura fede e appartenenza.
L’arena
politica è trasformata dai media in uno stadio gigantesco,
probabilmente grande come l’intero Occidente, dove giocano due
squadre di calcio.
Quest’incontro
dove le virtù “calcistiche”
diventano una fondamentale questione morale per gli spettatori, tanto
che dagli spalti si distinguono milioni di dotti teologi – a
sinistra i santi progressisti, a destra i sadici e bigotti
conservatori – raggiunge subito un obiettivo: quello di far sì che
i tifosi dalle tribune siano equamente distribuiti quando la
ricchezza non lo è. Va da sé che il primo obiettivo è quello di
scollare, tramite la narrazione moralistica, la relazione tra bisogni
materiali e politica che, nel capitalismo, è in
primis politica economica.
Invece
di rivendicazioni di classe, si esprimono pubblicamente
rivendicazioni morali, per lo più attinenti alla sfera del privato,
mentre privatamente si consuma – magari in silenzio – la
sofferenza sociale che, invece, ha macro-ragioni di carattere
pubblico, bisognose di essere discusse politicamente.
Non
solo gran parte delle due tifoserie teologiche, “paolini” de
sinistra e
“agostiniani” de
destra, non
persegue i propri interessi materiali (infatti ingoiano entrambe le
riforme strutturali liberiste, non avendo altra ideologia all’infuori
di quella del mercato, compresi i noglobal e
gli anticapitalisti
dell’Illinois), ma una delle due condivide vezzi e pregiudizi dell’universalismo
“di nessun luogo”, come
lo ha felicemente definito Andrea Zhok,
della classe dominante, che trova espressione nella
teologia paolina dell’amore
per tutte le minoranze, a partire da quella che monopolizza il
mercato: gay, lesbiche, transessuali, africani, islami…( ehm… no,
gli islamici non li vuole nessuno: sono per
motivi fallaciani inaccettabili
dagli agostiniani e mettono in imbarazzo i paolini open
minded della
famiglia senza frontiere).
I
paolini amano tutti tranne gli agostiniani, che li vorrebbero vedere
morti e a causa dei quali, dovendo condividerci il territorio,
vorrebbero emigrare. Gli agostiniani ricambiano.
Il
paolino de sinistra entra in
loop quando si
rende conto che, amando le minoranze, “non ama” le maggioranze
(l’odio non è politicamente corretto: si
agisce, ma non si
proclama nella dottrina paolina): ovvero non ama la grande
maggioranza composta dai poveri. Se d’altronde difendi le
minoranze, devi difendere la più celebre delle minoranze, quella
dell’élite,
mica puoi prendere le parti di quella massa di agostiniani pezzenti e
portatori di “pulsioni” fasciste! (Nella dottrina paolina vige
l’equivalenza freudiana: povero + italiano = agostiniano
fasciorazzista )
Il
dramma interiore si risolve nel momento in cui, non potendo amare i
poveri agostiniani, troppo vicini, può amare l’immigrato, che
arriva da lontano ed è – ai suoi occhi – puro di cuore. Non è
un fasciorazzista come
l’agostiniano, corrotto dall’opulenza della civiltà occidentale,
ottenuta grazie al colonialismo, anche se l’agostiniano in
questione è da generazioni immemori figlio di contadini, operai, e
attualmente disoccupato, separato e con un assegno di mantenimento da
passare ogni mese ai figli che non può più vedere.
Agostiniani
e paolini non possono proprio comprendersi: d’altronde, la teologia
agostiniana è palesemente diabolica, ispirata al despotismo
clericale del santo che li ha battezzati nel nome del
conservatorismo. I paolini non possono accettarlo. Loro sono buoni.
Soprattutto quelli che vivono nelle ZTL.
Quindi
se gli agostiniani vedono nelle ONG
che trasbordano africani in Italia strutture
espressione dei servizi segreti di nazioni ostili che attentano alla
nostra sovranità nazionale e, nei capitani delle relative navi,
negrieri che deportano schiavi, manodopera a basso costo e
sottoproletariato che andrà a delinquere nelle stesse periferie in
cui vivono quegli squattrinati agostiniani, i paolini vi scorgono
invece la magnifica costruzione della cosmopolitica società senza
frontiere, la fine della Babele westfaliana e i primi passi verso la
costruzione di un’ecologica e multiculturale società globale: la
costruzione della società
promessa. (La
teologia è tutto: non importa se la globalizzazione abbia
omogeneizzato qualsiasi forma di vita sul pianeta: il bipensiero
permette al paolino di vedere nel monoculturalismo del mercato un
multiculturalismo. Mistero della fede).
Quelli
che sono trafficanti di esseri umani, lavoro-merce per gli
agostiniani, sono invece capitali...ehm... capitani
coraggiosi,
eroi, salvatori-di-vite. Non è un problema di ordine sociale e di
sovranità: il problema per paolini è giustamente morale.
Perché loro sono buoni e… accoglienti.
Gli
agostiniani credono di essere in guerra, i paolini credono di
essere in
missione per conto di Dio.
Qualsiasi
possibilità dialogica e di riflessione sulla concretezza dei propri
interessi materiali è di fatto impossibile: quando c’è di mezzo
la religione esistono dogmi ed eretici. La fede per una squadra di
calcio sempre fede è.
Ed
è così per qualsiasi fatto di cronaca: le vaccinazioni obbligatorie
e le relative sanzioni sono un sopruso
anticostituzionale per
gli agostiniani, mentre sono una rivelazione della Scienza per i
paolini, confidando nel sacro metodo galileiano che è in sé Bene e
Amore incondizionato per l’intera umanità.
E
su quel boa constrictor dell’Unione Europea?
Per
gli agostiniani è una sottrazione di benessere economico e sociale
contestuale alla sottrazione di sovranità, per i paolini è
un sogno.
Amen.
(Questa
contrapposizione con retorica da guerra civile, dove cappi
penzolano da sedi di partiti, ed esponenti
politici vengono raffigurati appesi a testa in giù, è molto
preoccupante: quando il dibattito politico diventa una scontro di
carattere religioso, o, meglio, metaetico,
ci si trova in una situazione prepolitica, o, stando
con Calamandrei, ci
si trova «allo
stato di fatto, allo stato meramente politico in cui le forze
politiche [sono] di
nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere
legalitario».
Tutto questo era ciò che la Costituzione avrebbe dovuto evitare, e
che il processo desovranizzante eurounionista ha permesso)
'Qualsiasi possibilità dialogica e di riflessione sulla concretezza dei propri interessi materiali è di fatto impossibile: quando c’è di mezzo la religione esistono dogmi ed eretici'.
RispondiEliminaMentre al vertica della chiesa un 'casuista' perseguita i giansenisti.
Una necessaria difesa volta ad evitare lo “stato di libertà” delle forze politiche, oggi presente, avrebbe dovuto essere, forse, una legislazione attuativa dell’art.49 Cost.
RispondiEliminaLa famosa legge sui partiti che nessuno ha mai voluto fare...in cui, fra le altre cose, ribadire la portata programmatica della Costituzione e chiarire la necessità dell’omogeneità sostanziale dei programmi dei partiti politici, che possono differire sulle modalità, sugli strumenti, ma tutti volti al raggiungimento degli stessi fini comuni a tutti, in quanto sanciti dalla Costituzione, unico vero programma vincolante per tutti. Se con la Costituzione infatti c’è un popolo e non più una massa di individui bisognava chiarire che la “ragione” dei partiti non poteva essere quella di dividere il popolo, consentendo loro di definire “senza alcuna costrizione di carattere legalitario” un proprio programma - anche eversivo come quello eurounionista - e di farlo prevalere sugli altri con la vittoria della competizione elettorale, peggio ancora in presenza di leggi elettorali maggioritarie. Doveva invece essere quella di consentire la formazione e poi la rappresentanza democratica di determinate idee, che non non differissero riguardo ai fini ma riguardo ai mezzi. Naturalmente tenendo presente comunque la vincolatività del fondamento dell’impianto economico della Costituzione, cioè la teoria economica keynesiana e post-keynesiana, con l’impossibilità di portare avanti idee liberiste, innanzitutto perché illegali, oltreché sbagliate come la scienza economica e la storia hanno pure dimostrato.
Magari a tal fine si sarebbe dovuto prevedere anche un controllo preventivo (alle elezioni) di legalità costituzionale dei singoli programmi da parte della Corte.
Del resto il processo desovranizzante che ha condotto allo stato attuale delle cose doveva necessariamente sfruttare dei canali di penetrazione esistenti per rendere possibile la realtà odierna.
Da questo punto di vista forse è stato quello riguardante il ruolo dei partiti, che ha reso tutto più facile per le élite liberali, il cui tentativo (riuscito) di ripristinare il vecchio ordine dopo il 1948 comunque, come sappiamo, prevedeva di sfruttarli tutti.
I commenti languono, per cui mi permetto...
RispondiEliminaMolto simpatici i riferimenti al film .
Vi e' un aspetto non trattato che ho osservato in alcuni casi di contatto lavorativo: i grandi ricchi non si vedono .
Non sono le star del cinema che si fanno vedere , ne' i politici o i burocrati che occupano posti di supposto potere .
Non si vedono perche' non hanno un posto , non sono piu' attaccati alla loro terra perche' non hanno una vera casa (ma societa' con ville ove e' utile) , non portano con se denaro , ne' hanno la patente (non serve) .
Essendo totalmente de-radicati vedono il mondo in modo uniforme e gli altri come altro-da-se' ed il resto discende di conseguenza .
Nel caso da cui ho dedotto l'esempio egli votava (molti anni fa) Rifondazione Comunista .
Io che ero un giovane lavoratore in proprio e piccolo imprenditore ero gia' "fascioleghista" (ma non lo sapevo) e tale scelta di sinistra da parte di un capitalista mi pareva assurda.
Oggi ho capito che era funzionale al livello di maneggio del "capitale" ed al livello di "sicurezza" percepita.
Con la massima gentilezza ti fanno capire che non conti nulla e che se stai zitto e' meglio. Tuttavia una consolazione c'e': anche ESSI sono soggetti al ricambio: quelli del 1990 non sono quelli di oggi .
Cortesemente vi chiedo di passare questo OT sulla TAV :
RispondiEliminaIl problema e' a vantaggio di chi va. Guardate la carta geografica : la Francia e' un quadrato con al centro Lione , noi una striscia lunga e stretta . Fare la TAV Torino Lione e' come se lo stato del Vaticano avesse aperto lui la breccia di Porta Pia . Il costo di trasporto per tutte le merci francesi si abbassa e per tutte le merci italiane rimane inalterato in quanto se vedi l'interscambio Italia - Francia le nostre esportazioni sono di provenienza nazionale e non solo del triangolo TO-MI-BG . Genova viene tagliata fuori a casusa del porto di Marsiglia e Civitavecchia morira' di conseguenza . Io sono contrario perche' ci vedo la fregatura che mi sembra nessuno percepisca . Qualcuno puo' aiutarmi a capire ?
Scusatemi il fuori tema ma è necessario che si dicano certe cose. Vi ricordate la questione dei minibot? Fu Giorgetti a non volerli, tra l'altro ridicolizzando il povero Borghi che senza fiatare fece un passo indietro non trovando nessun sostegno neanche nell’amico Bagnai che sul suo blog si smarcò prontamente. La lega inoltre rifiutò anche la proposta dei 5S della moneta fiscale... Quindi, per piacere usciamo da questo sogno, Salvini ha usato la fronda sovranista e no euro perché facesse da foglia di fico per nascondere la vera natura liberista e atlantista della Lega e gli permettesse di rastrellare tutti i voti che gli servono per procedere con forza verso l'Autonomia differenziata delle regioni e invertire la tendenza, espressa nel contratto di governo, al sostegno della domanda e non dell'offerta in quanto unica manovra possibile, nell'ottica keynesiana, per favorire la crescita. Quella di puntare sulla deflazione salariale è un’intenzione che venne a galla quando si stabilirono insieme a Tria i contenuti della lettera di maggio di risposta alla UE dove si dichiarava che la Flat Tax avrebbe trovato le coperture riducendo il programma di welfare per il 2020, facendo con ciò intendere che avrebbe fatto tagli su Quota cento e su Reddito di Cittadinanza. Su questa volontà di favorire la riduzione fiscale a favore del comparto industriale ma a scapito del sostegno alla domanda, cioè a scapito di noi poveri cristi, ci fu l’opposizione di Di Maio mentre Borghi e Bagnai tacquero, ma non solo, nel gruppo della Lega che partecipò alla stesura della lettera c’era lo stesso Bagnai il che dimostra che i nostri eroi, nonostante avessero sempre ribadito la necessità di politiche keynesiane, con la Lega si sono convertititi al liberismo.
RispondiEliminaLa Lega è da sempre un partito europeista ma in una prospettiva atlantica, che vuole la UE strutturata nella forma regionale, altro che sovranismo. Questa è la cruda verità, e la cosa che più fa male è che Bagnai e Borghi si sono prestati tradendo sé stessi e la fiducia di noi tutti. I voti alla Lega serviranno per incatenarci al progetto angloamericano di dissoluzione degli Stati Nazionali e di un'Europa balcanizzata.
Alcune cose sono palesi illazioni.
EliminaMa il succo è che se la lega vuole fregarci gli altri sono fratelli di sangue.
Il problema è che il livello politico è infimo.
Ho ascoltato il discorso di salvino ieri, direi imbarazzante per pochezza di concetti.
Poteva dirlo uno come me, ignorante patentato, ma un politico con consensi oltre il 30percento mi aspetto altro.
Uno come bagnai o barra caracciolo come possono non emergere in questo nulla cosmico?