venerdì 25 ottobre 2019

IL DESTINO DELL'ITALIA (8): LO STATO DI ECCEZIONE (BANCARIO E ARTIFICIALE) E "L'AVVENTO"

Risultati immagini per Prodi Draghi al governo

1. Stiamo quindi arrivando al "dunque".
Cioè a cercare di capire come avverrà l'irlandesizzazione italiana a completamento della trasformazione in paese de-sovranizzato.
Abbiamo anzitutto da chiarire il "come" politico-istituzionale: per la piena efficienza di questa trasformazione "finale", occorrerebbe infatti che ci fosse un cambiamento di governo. 
E questo evento si dovrebbe compiere nella fase attuale, già di per sé piuttosto anomala, e che costituisce una variante debole e contraddittoria delle grandi intese (fra partiti neo-liberali che tentano di qualificarsi come progressisti).

1.1. Per una perfetta soluzione Citigroup (qui, p.4) però, ci vuole:
a) una certa chiarezza negli schieramenti, entro lo schema destra-sinistra, non offuscata dall'irrompere di partiti atipici, sovranisti e populisti. Quale che sia il significato che si vuole attribuire a tali termini: in modo generico e generalizzato, significa formazioni che calamitano il dissenso del populace (i perdenti dalla globalizzazione), intaccando il controllo del processo elettorale da parte delle forze neo-liberiste, di (formale) destra e sinistra; che marciano separate e colpiscono, da decenni, unite in "nome dell'€uropa". E pertanto, in Italia, il sovranismo assume un altrettanto vago senso sinonimico di anti-europeismo.
Su questo ricrearsi di schieramenti in senso tradizionale, almeno nella narrazione mediatica sempre più insistita, ci dovremmo essere (con la normalizzazione in corso del principale partito accusato di essere "populista" e la progressiva slavatura delle esplicite aspirazioni "sovraniste", sul fronte divenuto opposto).

b) conseguentemente, una maggioranza bipartisan (cioè spaghetti tea-party insieme a ordoliberisti esterofili) che appoggi un governo a forte immagine tecnico-istituzionale, legittimato da uno stato di eccezione (qui, pp. 4-6).

2. Andando a vedere quanto appena citato sulla "condizionalità e la triste metafora del memorandum", ci si avvede però che l'Italia è in una condizione apparentemente (molto) diversa da quella greca 2010-2015
Siamo attualmente in una fase durevole e rilevante di attivo delle partite correnti, con una "invidiabile" posizione patrimoniale netta sull'estero: -2,2 su PIL ad agosto 2019, secondo l'ultimo Bollettino Bankitalia; che ci riporta anche una confortante ripresa del saldo delle partite correnti, risalito, e ora al 2,9 su PIL
Dunque, nella suddetta sequenza instaurativa dello "stato di eccezione" dentro l'area valutaria euro, mancherebbe il passaggio per una crisi da debito commerciale verso l'estero.

3. Ma niente paura: la prospettiva è che tra stallo/quasi recessione tedesca, influente sulla nostra crescita export-led, e effetti recessivi della manovra che verrà varata (forse) da questo governo, in Italia si ricominci a parlare di banche cariche di insolvenze, incagli, NPL da smaltire più in fretta, e ricapitalizzazioni private, "di mercato", che vanno deserte, mentre quelle pubbliche saranno impedite dal dover tenere "i conti in ordine" e dal regime degli aiuti di Stato.

Notare che, già in questi giorni, si inizia a paventare il rischio, per le casse dello Stato-garante, legato all'emissione delle cartolarizzazioni (appunto garantite) degli NPL in cessione e alle difficoltà di ottenere i tassi di recupero previsti: dovuto essenzialmente al crollo dei valori delle garanzie immobiliari sottostanti.
Ma il problema è sistemico ed è di redditività (qui, p.3): gli interessi negativi, sia nel deposito delle riserve presso la BCE, sia in una quota crescente dei titoli obbligazionari emessi (specialmente nell'eurozona), si uniscono ai requisiti di capitalizzazione e alla strozzatura del credito - ed al suo volto simmetrico dell'austerità fiscale che svaluta costantemente le garanzie -, nel determinare il calo della redditività degli istituti bancari.

4. In tutto questo possibile bailamme, arriverà entro dicembre l'approvazione, in sede Ue, della riforma dell'ESM; c'è da presumere che, anche a causa dell'accavallarsi di voci sulle sofferenze bancarie e sull'andamento delle cartolarizzazioni, l'Ue-Eurogruppo (l'ESM riguarda solo i paesi dell'eurozona), chiederanno all'Italia di fare presto nella ratifica parlamentare.
E, non secondariamente, la Commissione potrebbe chiedere al governo anche una manovra aggiuntiva da effettuare nel "tipico" mese di aprile, in coincidenza col Def (a pena di spread che aumentano specularmente al possibile "congelamento" del nuovo QE, qui, p.10, non gradito alla maggioranza del board post-Draghi).

Un ulteriore dettaglio: la stessa pressione che potrebbe esercitare la Commissione sull'autorizzazione parlamentare alla ratifica, costituisce di per sé, nel quadro problematico appena descritto e scontando la discrezionalità dei "mercati" (e, più ancora della BCE, a gestione Lagarde), un motivo per accrescere gli spread.

A quel punto, come abbiamo visto, tra pressioni per la ratifica, indecisioni politiche e approvazione parlamentare raggiunta obtorto collo, ma pur sempre votata, sarà, in qualche modo, iniziato il vero effetto della riforma (qui, pp. 2 e 6, n.7)l'effetto minaccia "nucleare" in essa insito, cioè il condizionamento dell'intervento "straordinario" dell'ESM alla previa ristrutturazione del debito pubblico nazionale (da cui risoluzioni bancarie a cascata e bail-in potenziale di massa).

4.1. La minaccia incombente, prevedibilmente accentuata dalla Germania e dalla Commissione "Ursula", in cerca di correzioni di bilancio recessive, sarà sufficiente a creare il panico che giustifica lo stato di eccezione. A tutto questo potrebbe sovrapporsi, come di prammatica, un declassamento del rating del debito italiano (o la minaccia di farlo).
Non ultimo elemento, l'instabilità politica crescente nella maggioranza di governo, propagata dal possibile esito negativo delle varie consultazioni regionali.
Risultato: una pluralità di eventi che congiurano sull'aumento degli spread mentre sulla crisi bancaria, sempre in agguato, lo Stato si trova completamente sguarnito di spazi di intervento fiscale.

Non stiamo dicendo che l'ESM verrà applicato (con ristrutturazione preventiva e trojka successiva annessa): diciamo che il solo irrompere della (sottovalutata) minaccia, costituirà un elemento di destabilizzazione sociale, economica e mediatica, tale da costituire un eclatante fatto sopravvenuto sulla scena politica.

5. E quindi si rafforzerà l'esigenza dell'avvento del policy maker ideale (qui p.3), che sappia come farci uscire da questa situazione: e la cosa ironica è che, approvando incondizionatamente sia l'Unione bancaria che la riforma dell'ESM, l'esigenza ce la saremmo creata tutta da soli, senza avere alcuno dei problemi della Grecia.

5.1. Qui apriamo una digressione di tipo squisitamente politico.
Se rapportiamo questa situazione in fieri al 2020, dovremmo considerare anche che potrebbero esserci elezioni anticipate; evento improbabile, ma non da scartare, dipendendo, in buona parte, la sua fattibilità formale, dal "se" verrà depositata la richiesta di referendum sulla recente riforma costituzionale
Questo elemento complicherebbe leggermente il quadro preferito nella soluzione Citigroup: questa richiede che una maggioranza sia estremamente difficile da raggiungere e che si verifichi l'agevolazione di un governo di "tutti e di nessuno" nell'imporre misure pesanti di tagli alla spesa e di inasprimento fiscale.
Un risultato elettorale "fresco", invece, con la legge elettorale attuale e i probabili "numeri" raggiungibili dal centrodestra, renderebbe difficile gestire uno stato di eccezione il cui orientamento sia l'irlandesizzazione "finale" italiana.
In teoria.
In pratica, sarebbe difficile ma non impossibile: se non altro perché le stesse elezioni e, a maggior ragione, la vittoria del cdx, porterebbero, allo stato, un'accelerazione manovrata degli elementi di crisi, e di "minaccia", da parte dell'Ue, che aprirebbero la via al neo-stato di eccezione.
Quindi, anche in caso di nuove elezioni, potrebbe maturare lo stesso, sia pure in circostanze (in parte) differenti, l'esigenza del policy maker ideale.
Ma il cambio di governo, nell'ipotesi ritenuta più verosimile, (ove avvenisse), sarebbe affidato a un allargamento della maggioranza (di estensione oggi imprevedibile); tutto questo sia, sempre allo stato, attingendo transfughi da gruppi parlamentari oggi formalmente all'opposizione, sia in un rimescolamento bipartisan che potrebbe manifestarsi in funzione del "Chi" avrebbe il ruolo di guida dell'intero processo.


6. Torniamo all'avvento del policy maker ideale e della sua mission, fenomenologicamente sintetizzabile nella riduzione permanente all'impotenza della forza lavoro di fronte alla convenienza produttiva del capitale cosmopolita.

La "madre di tutte le soluzioni" italiane in questo senso, com'è noto, e come ci dice appunto il FMI (p.4), è abbattere il debito pubblico.
E il FMI ci dice pure in dettaglio come fare: e questo ci ribadisce  che il policy maker ideale che può realizzare questo "virtuoso" obiettivo deve possedere questo profilo:
a) "lo standing e la incorrotta forza politica di fare quel che ci chiede di fare il FMI" (p. 4.2.);
b) avere nella sua "cassetta degli attrezzi" politico-economica le convinzioni scientifiche (qui, p.5) relative ai seguenti punti (riduco al minimo, invitando ad andarsi a leggere la versione "espansa" linkata):
b1) la Legge di Say, attualizzata all'utilizzo di modelli (stocastici) di equilibrio macroeconomico fondati sulla funzione di produzione;
b2) la consequenzialità deficit pubblico-crowding out;
b3) l'effetto "saldi reali” (real balance effect);
b4) il c.d. trickle down .

7. Ora, chi potrebbe avere mai in Italia, questi requisiti simultanei?
In una risposta a caldo, poche persone: standing e forza politica sufficienti, esigono una dimensione istituzionale notoria all'opinione pubblica, e logicamente proiettata in un prestigioso record di rapporti con la governance economico-finanziaria internazionale. "Incorrotta", inoltre, va intesa dentro il bis-linguaggio mediatico mainstream: significa non "bruciata" o comunque implicata nell'azione di governo nazionale degli anni susseguitisi alla crisi del 2011.
Alcuni ne hanno un'idea piuttosto precisa: magari non così dettagliata sul piano...politico-economico e più...istintiva e personale.
Ed è un'idea che pare prendere corpo a livello di giornaloni e media: Sole 24 ore in anticipo su tutti, molto spinta in area del tradizionale centrodestra, senza disdegnare l'endorsement di Prodi. Vedremo se avremo uno spin in crescendo...
Ma la soluzione del "Chi?" è dunque così scontata?

8. Un'attenta ponderazione di tutti gli elementi in gioco, tuttavia, induce a un nuovo inciso politico, che riguarda, è inutile nasconderselo, l'individuazione in Mario Draghi del policy maker ideale.
Ad essere realisti, il suo diretto coinvolgimento come premier di un governo tecnico di grandi intese, è reso (soggettivamente) difficile dalla sua grande esperienza e competenza economica e istituzionale (può sembrare un paradosso...): cioè, sarebbe presumibilmente titubante a entrare in gioco in una partita che esiga lacrime & sangue a "la Monti", compromettendo in pochi mesi la popolarità e il prestigio che potrebbero invece legittimare l'elezione al Colle; la comprometterebbe l'intestarsi una fase di recessione che conseguirebbe, come lui non può non sapere, alla realizzazione dell'agenda FMI.
Certo, (e lo vedremo), ci sono alcune accortezze di politica economico-fiscale che possono limitare l'ampiezza di tale recessione: ma queste misure sarebbero comunque molto impopolari e il rischio di una parabola "Monti" non si addice ad un'ampia e convergente candidatura al Colle...E neppure alle fortune elettorali successive di chi gli darà appoggio in parlamento.

8.1. Stiamo sempre ragionando per supposizioni e queste potrebbero non incastrarsi.
Ma ai postulati che abbiamo assunto (interesse USA, convergente in buona parte con quello tedesco, al riorientamento degli investimenti finanziari sugli asset dell'intera attuale eurozona - e non solo su quelli tedeschi "in bolla"-, con svalutazione stabilizzata del dollaro; e, quindi, irlandesizzazione italiana che garantisca l'ambiente adatto, sia sul piano del mercato del lavoro che della stabilità monetaria/rischio futuro di cambio), potremmo aggiungerne un altro.
Si tratta di questo: oggi, con l'Ue che ti morde le caviglie ad ogni passo, e con l'atteggiamento pregiudizialmente negativo (sia pure per ragioni diverse) di Francia e Germania, nessuna persona intelligente, economicamente colta e dotata di esperienza istituzionale internazionale, potrebbe considerare molto appetibile fare il presidente del consiglio in Italia.
Si tratta, con un comprensibile ritardo temporale, dello stesso fenomeno che già si manifesta sulla (non)appetibilità di ricoprire il ruolo di sindaco nelle città (un fenomeno che è padre e figlio del pareggio di bilancio e, prima ancora, dei patti di stabilità finanziaria interni; cioè dello statominimismo).
Si spiega così la frase che Verderami, sul Corsera del 26 ottobre, attribuisce a Giorgetti:  «Draghi non ci pensa nemmeno a finire in quel manicomio. Altra cosa sarebbe il Quirinale...».

8.2. Però...è ben probabile che Draghi di questo si renda già conto benissimo e abbia in mente dei "rimedi".
A ben pensarci, a lui converrebbe andare a fare direttamente il Presidente della Repubblica, posizione di governo ormai trasformatasi de facto in primaria e, però, totalmente irresponsabile dell'andamento dell'economia (comunque, un obiettivo di politico di medio periodo).
Draghi, perciò, (l'uomo che più di tutti parrebbe poter attivare una fideiussione sulle difficoltà italiane con lo schiacciassassi delle regole, vecchie e nuove, dell'eurozona) potrebbe accordarsi con le forze politiche, in cambio di una candidatura de plano al Colle, per indicare un suo fidatissimo mandatario esecutore; naturalmente di un certo prestigio finanziario ed economico, con ciò rassicurando la sua (ampia) maggioranza, e gli ambienti finanziari internazionali, che questi agirebbe sotto la sua stretta forward guidance.

8.2.1. Se, in via di esempio logico-deduttivo, il centrodestra fosse parte di questo accordo, avrebbe un'ampia convenienza.
Nel mentre che un governo, comunque tecnico-emergenziale, si intesta la parte impopolare dell'impatto delle misure "agenda FMI" - liquidazione di sanità e pensioni pubbliche e ampie privatizzazioni, opportunamente mitigate dalla concessione di sgravi fiscali sia immediati che graduati nel medio periodo -, Draghi, da presidente della Repubblica, sarebbe presumibilmente benevolo verso la formazione di un governo dello stesso centrodestra, scaturente dalle elezioni politiche. L'atteggiamento pregiudizialmente ostile dell'Ue verrebbe così neutralizzato o, comunque, molto attenuato, rispetto alla situazione attuale (e, per converso, lo stesso Draghi sarebbe un presidente comunque in buoni rapporti genetici con la larga maggioranza del futuro parlamento).
E ciò, anche laddove queste elezioni siano successive alla sua elezione alla Presidenza da parte dell'attuale parlamento in seduta comune integrato, attenzione..., dai (58) delegati regionali, (a questo punto decisivi)!

8.3. Un accordo di larghe intese per un governo tecnico-istituzionale, comunque fondato sul perno del centrodestra rafforzato da forze centriste e variamente neo-liberali, (che abbondano in parlamento), non sarebbe difficile da raggiungere: anzi, risulterebbe nella convenienza di tutti, poiché, pur passando per una fase iniziale di difficoltà/recessione nella crescita di breve termine, vedrebbe tutti i partners convintamente riuniti nella "fede" in una crescita di medio-lungo periodo, senza più l'assillo della correzione del parametro del debito pubblico (qui, p.4, b): mediante la definitiva riduzione strutturale del deficit).
Insomma, si avrebbe una certa ampia condivisione, da parte di tutti e di nessuno, della fase di aggiustamento, nella fede che questa fase sarebbe risolutiva per restituire senso alla conquista del governo (da parte di chiunque vinca le successive elezioni).
Col dubbio, però, che i vantaggi così fortemente attesi, siano accompagnati da un forte resistenza popolare nelle classi medie, più incise dallo smantellamento privatizzatore del welfare che appare ormai inevitabile.

Rimane il fatto che chiunque sia il CHI in questione dovrà realizzare, ma sul serio, - altrimenti il suo avvento perderebbe senso e legittimazione - e senza potersene e volersene discostare troppo, l'agenda fissata dal FMI (p. 4- 4.3).
Vedremo quindi, nel prossimo post, con l'approssimazione più ridotta possibile, come questa agenda si convertirà in misure rapportabili alla situazione economica e patrimoniale italiana.

(8- SEGUE)

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