giovedì 13 febbraio 2020

VERSO IL LIMITE ESTREMO...DELLA TERRA DI NESSUNO (EFFETTI DILAGANTI DELLA SOLUZIONE ALLA "QUESTIONE SOCIALE" E ALLA "QUESTIONE FINANZIARIA")


Vi chiederete: cosa ha a che vedere questo con la questione indicata dal titolo e dal contenuto del post...dopo averlo letto con attenzione vi parrà evidente...(consiglio: leggersi il brano in inglese riportato in immagine fino alle sue battute finali).


1. Abbiamo visto come non esista il mero "pericolo" ma, piuttosto, la presa d'atto che, - a forza di propugnare la de-sovranizzazione (cioè la cessione unilaterale della sovranità, incondizionata rispetto a ogni esplicita, eppur doverosa, considerazione della "giustizia fra le Nazioni" e della "parità di condizioni"), e di giustificarla come conseguenza inevitabile, e dichiarata, dell'inadeguatezza della Repubblica italiana, quale Stato indipendente, a provvedere ai bisogni del popolo italiano e a governarlo -, si sia varcata la soglia in cui si ritorna "allo stato di fatto, allo stato meramente politico in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario" (ho sottolineato le diverse declinazioni logiche compiute da Calamandrei, citato, della qualificazione di "politico" perché c'è chi non lo capisce e storce il naso, pensando che siano reiterazioni ridondanti...).

2. Questo "ritorno allo stato di fatto" è spiegato molto bene da Calamandrei (qui, pp. 2-3) come conseguenza della "negazione dei diritti fondamentali", cioè della effettiva realizzabilità delle norme sostanziali della nostra Costituzione che prevedono, in particolare, i diritti sociali, quelli che impongono l'intervento dello Stato e non la sua mera astensione (sul punto, v. infra lo stesso Calamandrei). 
Orbene, la negazione dei diritti sociali - distruttiva della Costituzione e appunto instaurativa dello "stato meramente politico in cui le forze politiche sarebbero di nuovo in libertà senza avere più nessuna costrizione di carattere legalitario" (sempre usando alla lettera le parole di Calamandrei in Assemblea Costituente) - discende oggettivamente proprio dalla "questione finanziaria" (v. ancora infra sempre Calamandrei), cioè dalla privazione simultanea del potere di emissione monetaria e del potere di effettiva manovra economico-fiscale, che si connette alla unilaterale cessione di sovranità

3. Ma dal superamento, sempre più pronunciato e reclamato come irreversibile, di questo ancoraggio alla legalità costituzionale in senso sostanziale, discendono conseguenze non indifferenti
La prima di esse è che la politica tornata allo stato libero privo di ogni costrizione di carattere legalitario (costituzionale) ben può proseguire ad agire in un quadro di regole procedurali e organizzative riconducibile alle previsioni costituzionali; ma si tratterebbe di una legalità costituzionale solo apparente, in quanto si muoverebbe solo sul piano ritual-procedurale e, quindi, dettata da uno "spirito pratico ordinativo" di forze politiche scisse da responsabilità legali-costituzionali e indifferenti alla legalità costituzionale sostanziale.
Questa legalità oltre che "apparente", cioè delimitata alla forma dell'azione politica, sarebbe anche però "occasionale", cioè discendente dall'inerzia determinata dalle contingenti esigenze di funzionalità degli organi tipizzati in Costituzione (in teoria...legati all'esito del processo elettorale): sarebbe cioè la conseguenza della normale esigenza di continua operatività degli organi pubblici, che esige una predeterminazione delle norme sul loro funzionamento in ogni tempo e in ogni regime.
In altri termini, la permanenza dell'azione di tali organi "di governo" nell'alveo della legalità costituzionale non è ritraibile da quella sua parte normativa organizzativamente necessitata, e quindi ordinativa delle fasi istitutive e deliberative della vita di tali organi: la fonte costituzionale, in tal caso, non è necessariamente prescelta come manifestazione di volontà di aderire all'assetto socio-economico da essa prefigurato, ma in base alla necessità, storicamente occasionale, di preservare la propria funzionalità procedurale e organizzativa anche sentendosi, coscientemente, liberi nei fini rispetto alla legalità costituzionale sostanziale.

4. Dunque, questi due ordini di norme, da un lato, procedurali-organizzative - relative alla funzionalità in sé degli organi elettivi, e dando per scontato che la democrazia costituzionale italiana non è certamente esauribile nello svolgimento delle elezioni (qui, la chiara distinzione operata da Lelio Basso; p.6.4) -,  e dall'altro sostanziali (relative ai diritti fondamentali), sono operativamente distinte tra loro e possono arrivare a una spiccata, se non totale, indipendenza applicativa.
Norme di organizzazione e procedurali, per rispettare formalmente lo Stato di diritto (cioè il principio che i pubblici poteri agiscano in base alle previsioni di un'apposita norma giuridica previgente, dettata preferibilmente, ma non necessariamente, da assemblee elettorali: c.d. Rule of Law in senso generale), possono essere dettate dagli stessi organi deliberanti elettivi, o di governo, in un vasto scenario di autoregolamentazione e, soprattutto, di prassi applicative della stessa; e questo quand'anche sussista un quadro presupposto di disciplina stabilita dalla legge ordinaria o, come nel caso dello Statuto Albertino, da norme costituzionali non rigide; e quindi derogabili e modificabili dalle successive deliberazioni degli organi detentori del potere di indirizzo politico, senza che siano previste sanzioni giuridicamente applicabili. 

5. Questo sistema istituzionale anomalo, in quanto "scisso" sul piano della legalità costituzionale, può operare avendosi sanzioni esclusivamente politiche: cioè, come appare accadere sempre di più oggi, sanzioni costituite da reazioni politiche di segno opposto affidate al mutare dei (transeunti) rapporti di forza elettorali: contro-modifiche delle norme organizzative e procedurali nonché, anche, semplici applicazioni nella prassi, aventi segno contrario rispetto alla precedente regola, o alla precedente modifica  di essa, apportata dalla parte politica avversa.
Questo tipo di vicende politiche - che pure ci appare sempre più normale -, si verifica, com'è evidente, in modo del tutto indipendente dall'applicazione o meno, sul piano del diritto sostanziale e quindi dell'assetto degli interessi sociali, della legalità costituzionale definita come applicazione vincolata, per gli organi di indirizzo politico, delle diverse disposizioni costituzionali concernenti gli specifici diritti fondamentali che qualificano la nostra Costituzione (e che, dunque, caratterizzano il permanere o meno della legalità costituzionale in senso proprio e non occasionale e meramente organizzativo).

6. Su questo genere di questioni (della massima importanza per i cittadini e la tutela dei diritti ad essi apprestata), sempre Calamandrei, un illustre Costituente certamente moderato e (sia pur in modo atipico) ascrivibile ai liberali del tempo, è ben chiaro; egli ci fornisce una spiegazione lineare del senso del suo ragionamento (avvertimento) sopra linkato che svolse in Costituente: estraiamo il passaggio saliente di un più ampio discorso (che vale la pena di leggere interamente), intitolato "La festa dell'Incompiuta" pronunciato in occasione della festa del 2 giugno 1951 (da egli stessi definita come "terzo anniversario della Costituzione", discorso pubblicato su "Il Ponte", n.6, 1951):
"...non basta accorgersi che queste promesse (ndr; appunto contenute nelle norme sostanziali della Costituzione) non sono state ancora mantenute, per accusare senz'altro il governo di deliberato tradimento della Costituzione: queste, si sa, sono promesse a lunga scadenza, e il governo può giustificarsi col dire che, finché c'è da pensare al riarmo, i tempi per pensare ad altro non sono maturi.
Ma il tradimento che bisogna fin d'ora denunciare è un altro: non che questo governo abbia lasciato finora attuata la parte programmatica della Costituzione, ma che sia sia deliberatamente astenuto dal portare a compimento la parte organica, cioè quegli strumenti costituzionali che la Costituente, dopo averli disegnati, non ebbe il tempo di perfezionare, ma la cui attuazione fu affidata alla prima legislatura costituzionale, come ufficio preliminare e condizione inderogabile perché il nuovo governo potesse qualificarsi come costituzionale".

7. Per un qualsiasi lettore in buona fede, questa precisazione di Calamandrei, tutt'ora dinamicamente attualissima, dovrebbe dissipare ogni dubbio sulla circostanza che, nell'intenzione dei Costituenti (e che Costituente!), l'attività politica di governo non poteva più considerarsi politica allo stato libero, assolutamente "libera nei fini", secondo il tradizionale criterio della (auto)-fissazione di obiettivi e priorità, nel delineare l'assetto degli interessi sociali, puramente dettati dalla combinazione delle maggioranze elettorali.
Comunque, e in ogni circostanza (il discorso evidenzia come "contingenze", congiunture, e veri e propri "stati di eccezione", sono stati costantemente richiamati, fin dall'inizio dei governi repubblicani, per giustificare l'attenuazione del o la sottrazione al vincolo legalitario costituzionale), l'attività politica si era trasformata, irreversibilmente, in attività giuridicamente, e quindi obbligatoriamente, conforme a Costituzione

7.1. Beninteso: la "parte organica" cui fa riferimento Calamandrei, come conferma quanto stiamo per esporre di seguito, non si riferisce agli "organi" tradizionali di governo e di espressione assembleare dell'indirizzo politico, che sono tipici delle Costituzioni tradizionali (e ne esaurivano gran parte della portata nel prevedere come avrebbero funzionato parlamento elettivo e governo, nelle rispettive sfere di connessione alla preposizione elettorale), organi che comunque ricevettero una disciplina, in Costituzione, tra quelle relativamente più dettagliate; Calamandrei si riferisce agli organi ulteriori e agli impegni ulteriori, assunti dallo Stato repubblicano, per realizzare i suoi fini fondamentali e novativi rispetto allo Statuto Albertino: si tratta cioè degli strumenti per garantire il nuovo scenario dei diritti fondamentali, il nuovo concetto, come vedremo, di "diritti di libertà" tesi a risolvere, in simultanea, la questione sociale e la questione finanziaria. Parliamo, non ci sarebbe bisogno di dirlo, dell'attivazione Corte costituzionale e della sua tormentata funzionalità concreta, ma anche, a maggior ragione, agli strumenti legislativi di tutela del lavoro e di azione economica governativa di perseguimento della piena occupazione.

8. Ed infatti, sempre Calamandrei in un altro articolo, pubblicato su Il Ponte nell'agosto del 1945, intitolato "Costituente e questione sociale", mostra inequivocabilmente quale fosse il tipo di legalità sostanziale che si presentava alle istituzioni detentrici del potere di indirizzo politico: cioè una legalità relativa non al "come", formale e procedurale, adottare le scelte politiche fondamentali, ma al "vincolo di contenuto" che legalmente alle stesse sarebbe stato imposto dalla Costituzione. 
Riportiamo, per la sua attualissima significatività, i passaggi più importanti del paragrafo 2 di tale articolo, intitolato, a sua volta: "Il problema pratico della soddisfazione dei diritti sociali" (i corsivi riportati sono originali del testo):
"E ora possiamo tornare, per concludere, al punto di partenza, cioè ai compiti della prossima Costituente. Dovremo, nella nuova Costituzione italiana, garantire a ogni cittadino i diritti di libertà? Dovremo, in aggiunta ai tradizionali diritti politici, specificare, in altrettanti articoli, i diritti "sociali"?
Nessun partito democratico potrebbe, a quanto si può supporre, rispondere negativamente a queste due domanda: negar questi diritti vorrebbe dire infatti negare la democrazia.
Ma allora, se si risponde affermativamente a queste due domande, ecco che...la questione sociale si presenta sulla soglia della Costituente come la più importante e la più urgente delle questioni costituzionali: se veramente si vuol fondare una democrazia, a questa questione preliminare bisogna dare una risposta.
...
Bisogna infatti non perder di vista che il funzionamento pratico e quindi la struttura giuridica di questi cosiddetti "diritti sociali" è fondamentalmente diversa dal funzionamento e dalla struttura dei tradizionali diritti di libertà: perché, mentre questi hanno...un contenuto negativo, in quanto con essi lo Stato si impegna solamente a non fare, cioè a non ostacolare la libertà individuale, e quindi con essi non si addossa prestazioni positive che gravino sul bilancio pubblico, i "diritti sociali" mirano a un aiuto positivo che il singolo attende dallo Stato, il quale si impegna con essi a fare qualcosa per lui, a dargli qualcosa per sollevarlo dall'indigenza, a fornirgli il lavoro, la casa, l'assistenza, l'istruzione o i mezzi economici per procurarsi tutti questi beni.
C'è dunque tra i classici diritti di libertà politica e questi nuovi diritti una differenza che sotto l'aspetto economico è essenziale: che se la soddisfazione dei primi non costa nulla allo Stato, lo stesso non si può dire per i secondi, la soddisfazione dei quali è per lo Stato, prima che una questione politica una questione finanziaria.
Se si guarda alla loro finalità, è legittimo l'allineamento di questi nuovi "diritti sociali" accanto ai tradizionali "diritti politici" del cittadino in un'unica categoria di "diritti di libertà"; perché la loro proclamazione deriva, come si è visto, dall'aver riconosciuto che l'ostacolo alla libera esplicazione della persona morale nella vita della comunità può derivare non solo dalla tirannia politica, ma anche da quella economica; sicché i diritti che mirano ad affrancare l'uomo da queste due tirannie si pongono egualmente come rivendicazioni di libertà".
  . 
9. Quanto fin qui detto ci serve per fissare un punto: rilevare, nel senso di percepire, il venir meno della legalità costituzionale, non può essere fatto senza porsi il problema della questione sociale e, di conseguenza, della questione finanziaria.
Al di fuori di questa considerazione, che è interpretativa della Costituzione in senso sistematico e storico-economico, ma anche letterale, la scissione tra legalità apparente e occasionale, limitata all'aspetto organizzativo e procedurale, e legalità sostanziale, cioè quella qualificante l'effettiva portata novativa della Costituzione del 1948 rispetto allo Statuto Albertino, non può essere colta.

9.1. Ma, secondo punto della massima importanza per la vita democratica, non cogliere questo fondamentale aspetto, non è senza conseguenze. 
La prima è piuttosto evidente: se la legalità costituzionale fosse riducibile, anche solo per una fase storica (e quanto appena riportato nelle parole di Calamandrei escluderebbe che i Costituenti lo abbiano contemplato come legittimo) all'aspetto organizzativo e procedurale di uno Stato di diritto basato sul principio elettivo, sarebbe stato sufficiente, per i fondatori della Repubblica, prendere atto dell'esito del referendum sulla forma di Stato, e ripristinare lo Statuto, semplicemente adattandolo, nelle sue previsioni, - peraltro piuttosto ampie circa i "diritti di libertà" tradizionali "a contenuto negativo -", sostanzialmente a tre aspetti;
a) il suffragio universale, già facente parte dell'ordinamento legislativo monarchico (tendenzialmente dal 1912) e ritenuto sicuramente compatibile con lo Statuto stesso (ovviamente esteso al voto femminile, "conquista" comunque acquisita nel 1946); 
b) la elettività anche del Senato;
c) ovviamente, la previsione della forma repubblicana, abolendo la figura del Re come capo dello Stato.

10. Ma se così non è, e la conclusione non è giuridicamente e storicamente controvertibile, la inevitabile conseguenza ulteriore è che, - messa da parte la legalità costituzionale qualificante la Costituzione del 1948, a seguito del venir meno dell'applicazione effettiva, e anche solo potenziale, delle disposizioni fondamentali relative ai diritti fondamentali, a loro volta inscindibili dalla realizzazione dei diritti sociali -, sono proprio la questione sociale e la questione finanziaria i punti che vengono rimessi in contestazione nella loro risoluzione legalitario-costituzionale e, che, dunque, troverebbero altre soluzioni affidate all'azione politica in astratto libera nei fini e da ogni vincolo legalitario.
In concreto, tuttavia, vista dal punto di vista dello svolgimento storico-istituzionale delle vicende della nostra legalità costituzionale, questa "rimessa in contestazione" si è senza dubbio collegata all'auto-privazione del potere di emissione monetaria e del potere economico-fiscale, fattori che avrebbero determinato (nell'assunto teorico corrente) questo processo di "liberazione" della politica (sia pure disciplinata, appunto, inerzialmente da norme costituzionali organizzative e procedurali).

11. Senonché, questa sopravvenuta libertà nei fini dell'azione politica delle istituzioni repubblicane, è, con tutta evidenza, solo apparente: in realtà, - essendosi realizzata attraverso dei vincoli assunti con dei trattati istitutivi di un'organizzazione economica internazionale (che autoproclama la propria contraddittoria estensione/aspirazione ad una natura "politica" federalista), e quindi, per definizione, e anzi "in assunto" dei suoi propugnatori, realizzatasi proprio attraverso (crescenti e non concluse) cessioni di sovranità -, i fini liberi che in teoria deriverebbero dalla rimozione del vincolo legalitario-costituzionale, vengono a coincidere coi fini di tale organizzazione internazionale, che si appropria delle parti più fondamentali della sovranità e impone il proprio indirizzo politico senza che sia liberamente contemplabile alcun fine autodeterminato dagli organi costituzionali (elettorali) di determinazione dell'indirizzo politico nazionale.

11.1. Poiché, peraltro, l'autoproclamata estensione ad una natura generalmente "politica" di tale organizzazione internazionale, risulta del tutto incompleta, e anzi osteggiata dai suoi stessi membri dominanti sul piano del diritto positivo (se non altro perché viene da questi decisamente negata la traslazione definitiva e insindacabile di sovranità; qui pp.2-3.1., in manifesta condizione di "non parità di condizioni" rilevante ai sensi dell'art.11 Cost.), l'intera politica italiana (intesa come insieme di soggettività politiche accedenti in via elettorale, di volta in volta, alla titolarità degli organi costituzionali di indirizzo politico) si trova di fronte a un non imprevedibile paradosso:
- come segnala Calamandrei, a seguito della "negazione dei diritti fondamentali" intesi nel senso condiviso dalla Costituente, divenuti infatti, con proclamata (anche dalla Corte costituzionale) enunciazione normativa, strettamente subordinati e recessivi di fronte alla soluzione offerta alla "questione sociale" e alla "questione finanziaria" mediante il vincolo esterno monetario e fiscale, la Costituzione è "automaticamente distrutta". 
- Ma non nella sola parte, (peraltro come abbiamo visto non scindibile), relativa alla realizzabilità dei diritti fondamentali: la Costituzione, privata della sua effettività qualificante la portata novativa delle norme adottate dal Potere Costituente, è degradata, in ogni sua parte, a fonte modificabile e abrogabile da una qualsiasi fonte di diritto europeo: se le leggi nazionali, infatti, sono obbligatoriamente disapplicabili ove incompatibili con questo diritto, e se questo rifiuta e non formula una propria gerarchia delle fonti, ogni legge nazionale, diviene cedevole di fronte alle fonti europee e ciò in una situazione consolidata di indifferenza verso la base costituzionale della stessa legislazione nazionale; base che finisce per essere disapplicata in modo dapprima graduale, poi ripetuto e infine sistemico, tale da implicare una sua obiettiva non effettività (abrogatrice de facto).  
- E dunque questa cedevolezza della legge nazionale, (quindi dell'attività politica per eccellenza) non è più eccettuabile o attenuabile invocando la corrispondenza attuativa della legge nazionale a principi costituzionali (ammesso e non concesso che gli interpreti siano ancora in grado sia di rinvenire tale corrispondenza, dopo circa 40 anni di vincolo esterno e di "recepimento" del diritto europeo, sia di volerla scorgere, dopo l'accettazione giurisprudenziale di principi come quello della "scarsità di risorse" e del "conflitto intergenerazionale" su diritti fondamentali a finanziamento progressivamente ristretto)
- E' una vicenda che abbiamo ampiamente testimoniato nelle stesse pronunce della Corte costituzionale in materia di impatto delle regole monetarie e fiscali sul livello dei diritti fondamentali della Costituzione: se è valsa alla sostanziale prevalenza della soluzione europea circa la "questione sociale" e la "questione finanziaria" sui diritti del lavoro, previdenziali e assistenziali, come non potrebbe verificarsi, e anzi, essersi già verificata, sulle restanti prerogative legislative previste dalla Costituzione

11.2. Venendo all'attualità più "scottante", ciò non può non essersi verificato anche in materia di ordine pubblico e di connessa disciplina relativa agli essenziali effetti, sociali, economici e persino penalistici, dell'entrata di cittadini stranieri nel territorio nazionale: la legge statale, in questo processo di occupazione appropriativa della sovranità generale da parte della fonte europea, viene reinterpretata, per obbligo incombente sull'intero sistema giudiziario, come cedevole di fronte a qualsiasi disciplina europea che, appunto, "occupi", a qualsiasi livello di fonte, la materia.
Le conseguenze qui segnalate, del venir meno per intero della legalità costituzionale, dunque, pone il paradosso della libertà apparente (nei fini) al centro di ogni possibile manifestazione di scelta politica, - quindi sia legislativa che attuativa a livello di governo - che in assunto si assumesse come legittimata dal voto.

Ma il voto senza il presupposto dell'effettività della legalità costituzionale, e quindi a fronte di un'illimitabile occupazione ab externo dell'intero campo della sovranità, non è in grado di legittimare alcuna concreta resistenza all'interpretazione giurisprudenziale della prevalenza del diritto europeo e, per omogeneità giuridico-culturale, di ogni fonte di diritto internazionale, attratta nella sfera politico-normativa dell'attitudine a rendere irrilevante la base costituzionale dell'intero ordinamento giuridico nazionale.

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